Caput Mundi correntorum. La prima grana di casa Letta è la auto-candidatura di Gualtieri a Roma. Il ‘Mondo di Mezzo’ dell’ex Pci romano

Caput Mundi correntorum. La prima grana di casa Letta è la auto-candidatura di Gualtieri a Roma. Il ‘Mondo di Mezzo’ dell’ex Pci romano

17 Marzo 2021 1 Di Ettore Maria Colombo

Sommario

Roma, caput Mundi correntorum. Scoppia il ‘caso Roma’, cioè la prima grana in casa del nuovo segretario del Pd. L’ex ministro Roberto Gualtieri si autocandida, sotto la regia di Goffredo Bettini e del Pd romano, speciale ‘Mondo di mezzo’. Enrico Letta fa trapelare tutta la sua ‘freddezza’.

Gualtieri e Letta

Gualtieri e Letta

A ottobre si vota in importanti città: Roma, ma anche Napoli, Torino, Bologna, Milano. Candidati e coalizioni ancora non ci sono, ma dentro i partiti si affilano le armi. E Letta, alle amministrative, si gioca il futuro e la segreteria

Scoppia ‘il caso Roma’. Gualtieri si candida ‘a freddo’ e da solo

Gualtieri e Bettini

Gualtieri e Bettini

Fra le prime ‘grane’ da affrontare, che pure ci sono e ci saranno, e tante, nella segreteria di Enrico Letta, ieri ne è scoppiata una bella grossa e per nulla cercata. La corsa per le comunali di Roma. L’ex ministro al Mef del governo Conte, Roberto Gualtieri – su ispirazione del ‘solito’ Bettini – avanza, del tutto a sorpresa, a ‘freddo’, la sua candidatura a sindaco della Capitale, per conto di Pd e centrosinistra senza minimamente aver concordato la sua uscita con Letta.

Gianni Letta

Gianni Letta

Il quale Letta, reagisce freddo, glaciale, distaccato. E la ira dei freddi, come si sa, è la peggiore. Morale, è ‘incacchiato’ nero solo che, chiamandosi Letta, si rifiuta di darlo a vedere (questa gliel’ha insegnata lo zio, Gianni Letta: mai tradire le emozioni, mai arrabbiarsi, la vendetta è un piatto che, appunto, va servito freddo: persino Renzi teme, l’ha capito).

matteo renzi

Matteo Renzi

Insomma, Letta, a ieri, alle candidature a sindaco di Roma, non ci pensava proprio: troppe erano gli assilli e le cose da fare. Senza dire del fatto che, da qui al 2023, quando finirà la legislatura (ma pure finisse nel 2022), la segreteria di Letta avrà un solo, cruciale, battesimo del fuoco: le elezioni amministrative che si terranno nelle principali città italiane (Roma, Napoli, Torino, Bologna, Milano, e chi più ne ha ne metta), previste, a spanne, verso l’autunno, assai inoltrato.

Letta, alle amministrative, si gioca il controllo del ‘suo’ Pd…

pd sede nazareno

La sede del Pd

Se Letta, e il centrosinistra, le perde, addio sogni di gloria: i ‘baroni’ del Pd – oggi acquattati e silenziosi, ma assai torvi, pronti a riprendersi il partito (“Ma questo Enrichetto che sputa addosso ogni giorno alle correnti, ma non ce l’aveva pure lui la correntina, solo che poi lo hanno tradito tutti i suoi?!” sbotta, in un conato di bile, un colonnello renziano) – si riprenderanno il partito (“Noi lo abbiamo messo là e noi lo possiamo togliere…” la velata minaccia di un big), e tanti cari saluti ai sogni di Enrico Primo il Rinnovatore. Se, per sbaglio, per caso, o per ‘fatal combinazione’, Letta le elezioni amministrative le vince “non lo ferma più nessuno” – ammette, rassegnato, uno zingarettiano – “si prende il Pd: si presenta alle primarie, le vince, e poi le liste le fa lui…”. Facile vaticinio e non per questo meno veritiero, concreto.

Il ‘contesto’/1. I sogni di gloria dell’ex dalemiano Gualtieri

I sogni di gloria del dalemiano Gualtieri

I sogni di gloria del dalemiano Gualtieri

Ecco perché, come in ogni giallo che si rispetti, bisogna fare uno, anzi due, passi indietro. Prima di capire ‘chi’ candida Gualtieri, bisogna, come al solito, capire il contesto e spiegare, dunque, cui prodest, vincere o perdere a Roma.

Palmiro_Togliatti_Pci

Palmiro Togliatti, storico segretario del Pci

La candidatura di Gualtieri, innanzitutto, non è solo figlia dell’ambizione di Gualtieri medesimo. Uno che, da buon ex dalemiano, ambizioso e pieno di sé come tutti i dalemiani, studioso del Pci del dopoguerra e di Togliatti, si sente predestinato, da sempre, ad alti compiti e augusti destini. Per dire, Gualtieri voleva restare ministro, dopo il fallimento del Conte due, di cui era ministro chiave, a tutti i costi: ha cercato appoggi e sponde ovunque, dalla Ue al Pse, dal Vaticano a Confindustria (che gliel’ha pure data) per cercare di restare ministro anche nel governo Draghi.

Governo Draghi
Solo che, particolare non da poco, voleva restare al Mef, non accettava degradazioni. Come se il buon Draghi non potesse scegliersi – cioè lui, Draghi… – il titolare del Mef. Insomma, pareva proprio pretendere troppo e infatti il povero Gualtieri ha dovuto incassare lì il primo rinculo.

Ma, non soddisfatto, Gualtieri voleva candidarsi alla guida del Pd: un sogno fatto, più che altro, a casa sua e con qualche sponda nobile (la Cgil di Maurizio Landini), di cui in pochi si sono accorti. A quel punto, Gualtieri, noblesse oblige, ha pensato che gli restava solo un alto compito: fare il primo nel villaggio della Gallia, invece che il secondo a Roma, come insegnava – nel De bello gallico– il buon Cesare. Peccato che il villaggio si chiamasse, appunto, come la Capitale d’Italia.

Roberto Morassut

Roberto Morassut

E, presto, la città di Roma, verrà dotata di nuovi poteri: un disegno di legge costituzionale è appena sbarcato alla Camera, lo presenta Roberto Morassut, bettiniano storico, e con quello Roma riceverà una cascata di diamanti (cioè di euro), dall’Europa, via Recovery Plan, ospiterà – tra quattro anni – il Giubileo, le Olimpiadi e, con un po’ di sano ‘culo’, nuovi turisti. Insomma, piatto ricco, mi ci ficco, Gualtieri ha subito pensato: sono l’uomo giusto per candidarmi a Roma e vincere.

Il contesto/2. Il ‘mondo di mezzo’ dell’ex Pci-Pds-Ds romano…

gramsci 1

Antonio Gramsci

Sogni di gloria che, però, hanno bisogno di solide ‘strutture’ di potere e di base, che le ‘sovrastrutture’, direbbe Antonio Gramsci, lasciano il tempo che trovano. Ed ecco entrare in campo Goffredo Bettini, sempre lui. L’ex ‘consigliori’ di Zingaretti prima e di Conte poi (due fallimenti cosmici nel breve volgere di un paio di anni: insomma, siamo alla categoria dei ‘cattivi maestri’) è l’inventore del ‘modello Roma’. Cioè delle candidature, vincenti, di Francesco Rutelli e Walter Veltroni, a sindaco della Capitale, come di quella, perdente, di Ignazio Marino. Storico dominus del ‘partito romano’ – un partito nel partito dai tempi del Pci, poi traslato, pari pari, nel Pds-Ds-Pd – Bettini, però, nulla potrebbe dare, se non buoni (o cattivi, dipende dai punti di vista) consigli, se non avesse, oltre alle idee, anche le truppe. Quelle a fornirle, ci pensa, il buon Claudio Mancini.

Claudio Mancini

Claudio Mancini

Dalemiano, poi orfiniano (cioè della ex corrente di Matteo Orfini, ex commissario del Pd romano quando il Pd romano finì travolto dentro ‘Mafia Capitale’ e, di fatto, da allora mai più si riprese, al netto del dato penale di cui si è occupata, con alterne fortune, la magistratura di Roma) e, ora – nun te sbaji, si direbbe a Roma – bettiniano di ferro, Mancini – in questa legislatura diventato pure deputato e un seggio (nella passata legislatura) dato pure alla moglie – che, quando si può, meglio restare ‘tutti in famiglia’ – è stato accusato, sicuramente assai ingiustamente, di tutto e di più.

Mafia capitale

Mafia capitale

Compreso di spicciare le ‘faccende sporche’ del Mef per conto di Gualtieri, di cui era il parlamentare di riferimento. Così, almeno, sostiene un servizio del settimanale L’Espresso, uscito mesi fa, dal titolo “Tiro Mancini”, a firma Carlo Tecce che lo dipingeva come una sorta di ‘uomo nero’ del Pd descrivendolo così: “Dalla sezione di Monteverde al ministero dell’Economia, gestisce affari in Tunisia e i soldi del Pd romano. Chi è il deputato che affianca Gualtieri in via XX settembre”. Cattiverie purissime, distillati di perfidia, forse superiori al potere del povero Mancini.

Matteo Orfini

Matteo Orfini, leader dei Giovani Turchi

Certo è che Mancini – tra ipotetici demeriti e certi meriti (è uno che, in fondo, i voti ‘veri’, a Roma, li ha sempre avuti) – è il portatore di borracce non solo di Gualtieri, ma pure di Bettini. Insomma, va bene philosophari, sed primum vivere. Bettini, infatti, a novembre, senza che nessuno, tranne Repubblica, se ne accorgesse, ha fondato una sua corrente di marca e matrice lib-lab-dem, impreziosita dagli allora ministri Gualtieri (e Manfredi), ma i voti, a Roma, ce li ha Mancini, e i suoi, portati con tigna e certosina pazienza dal Pci al Pds, dal Pds ai Ds fino, appunto, al Pd.

La lunga e buona battaglia del popolare Fioroni contro il comunista Mancini affonda le sue origini alle origini del Pd

Beppe_Fioroni_Pd

Il leader dei pop dem nel Pd, Beppe Fioroni

 

Mancini, si sa, fa e disfa alleanze, segretari locali, candidati sindaci e candidature del Pd romano. Non si muove foglia che Mancini non voglia. Solo uno gli resiste, da anni, anzi: decenni.

Si tratta di Beppe Fioroni. Ex ministro all’Istruzione nel governo Prodi II, nei ‘secoli’ passati ex andreottiano – poi popolare, poi margheritino, poi cattodem – Beppe Fioroni, la guerra contro Mancini la vince, e la perde, la rivince e la riperde, nel corso degli anni, sempre domo, invitto, senza mai mollare, nel nascituro Pd o in ‘come si chiama adesso’, anche se, a un certo punto, è stato  tentato di abbandonarlo quando Renzi (dicasi, Renzi), summus ius, summa inuria, decise che il Pd doveva aderire al PSE mentre Fioroni voleva rimanere a metà strada, un po’ PSE e un po’ PPE.

Ma Fioroni, il Pd, non l’ha mai mollato e – sulla scorta del vecchio detto degli andreottiani (“A Fra’, che te serve?“), ora si è galvanizzato dal ritorno di Letta, che per lui “è un vero democristo, come Dio comanda”. E poco conta che quelli come Letta, a quelli come Fioroni, li schizzavano perché, da bravi tecnocratici, ma privi di voti, li ritenevano troppo ‘compromessi’ con il Potere. Il che, in effetti, è pure vero, storicamente parlando, ma come dimostra Mancini sempre lì siamo: i voti servono….

La ex margheritina Prestipino a Roma resiste a Mancini…

Patrizia Prestipino scaled

PATRIZIA PRESTIPINO

Contro Mancini, dunque, si può ergere solo chi ce li ha, i voti. A Roma, infatti, non lo fa nessuno, in pratica, tranne una. Si chiama Patrizia Prestipino, fa la deputata di Roma Sud, si è vinta il collegio uninominale da sola, strappandolo con le unghie e con i denti al centrodestra come ai Cinquestelle, ma facile, che bella forza. La Prestipino, innanzitutto, viene dal mondo di Rutelli, della ex Dc e della ex Margherita, ergo nulla c’entra con il ‘potere’ di Mancini che allignava nel Pci. E poi è di Base riformista, la corrente degli ex renziani, e renziana era, temporibus illis. Altri stili, altri mood, altre frequentazioni (la Prestipino è chic, va nei salotti, Mancini è resta figlio del popolino romano).

Però, va detto, quando si riunisce il Pd di Roma e Lazio solo la Prestipino si alza e – contro Zingaretti, contro Mancini, contro Bettini – insorge e osa dire: “compagni, non sono d’accordo…”. Ogni volta che lo fa, nelle assise del Pd romano, corre un brivido che perfino Zingaretti lo sente….

Bettini è l’ideologo del Potere romano, Mancini porta i voti

guccini locomotiva

come nella canzone di Guccini, “un pazzo s’è gettato contro il treno”…

Ma certo è anche che, quando si riunisce il Pd romano e laziale, si sa sempre che, assente o silente, comanda lui, Mancini. Ergo Bettini, si capisce, che, però, di mestiere, fa l’ideologo, l’ispiratore, il mentore, ieri di Zingaretti, poi di Conte, poi di tutti e due e, per ultimo, di Gualtieri.

Poi, certo, comanda Zingaretti, a partire dalla Regione Lazio, dove ci sono tutti i suoi uomini ma ora siamo alla scissione tra i pasdaran dell’ex segretario: Zingaretti vorrebbe candidarsi lui, a sindaco di Roma, solo che sor Tentenna, come lo chiamano da trent’anni, ancora ci sta pensando; Bettini (e Mancini) vuole imporre Gualtieri anche per vendicarsi del povero Zinga che, a suo dire, non ha forzato la mano difendendo Conte fino alla disperazione e impedendo l’arrivo di Draghi.

Giuseppe Conte e Beppe Grillo

Giuseppe Conte e Beppe Grillo

Per Bettini – che ora chiede, minaccioso, il congresso, nel Pd, Letta o non Letta – bisognava sfidare il Colle, la Ue, la Nato, l’Onu, il Papa e portare, in compagnia di Conte e di Grillo, il Paese al voto. Zingaretti, un pochino, si è stufato persino lui, di Bettini, e questi, dunque, ha ripiegato su Gualtieri che ora usa come una bomba incendiaria della giustizia proletaria, come nella canzone di Guccini, “un pazzo s’è gettato contro il treno”…

Bettini smentisce i retroscena e, dunque, pure se stesso…

Goffredo Bettini

Goffredo Bettini

In realtà, proprio stamane, Bettini smentisce tutti, persino se stesso: “qualsiasi candidato deve passare da primarie. Io sono lontanissimo dalle vicende romane, Gualtieri ha parlato con Astorre e Casu”: pigliatevela co’ loro il succo della nota diramata alle agenzie stile bonzo thailandese.

maria teresa meli

Maria Teresa Meli

E Bettini tira in ballo pure “La bravissima e cara amica Maria Teresa Meli che, sul Corriere della Sera di oggi, ha riportato una ricostruzione circa la candidatura di Roberto Gualtieri che qualcuno gli ha dettagliatamente raccontato. In quanto giornalista, ha fatto benissimo. Ad un certo punto, tuttavia, un po’ maliziosamente, osserva che colui che avrebbe accelerato i tempi, vale a dire Claudio Mancini, è un mio carissimo amico. E’ un’inezia, forse casuale. Mi dà l’occasione, tuttavia, in quanto ripresa da altri organi di stampa, di chiarire che, come più volte ho detto nel corso di questi mesi, sono stato e sono lontanissimo dalle vicende di Roma. Non ne ho mai parlato pubblicamente. Da quello che so i colloqui con Gualtieri sono stati svolti dal segretario regionale Astorre e da quello cittadino Casu. Non so su indicazione di chi o se autonomamente. So anche che da mesi c’è un tavolo di una possibile alleanza che ha deciso di svolgere le primarie per la scelta del Sindaco. So che sono emerse già candidature di valore. So che, dunque, qualsiasi persona intenda candidarsi deve partecipare ad esse. Anche la persona più autorevole, come nel caso di Gualtieri – assicura Bettini -. Questo per rispetto dell’iter politico e programmatico che è stato deciso insieme. Per rispetto dell’insieme dei gruppi dirigenti del Pd e della coalizione democratica. Per rispetto di tante personalità di cui il Pd è ricco, donne e uomini, che si sono già candidate o che, pur non candidate, hanno dato un contributo di grande rilievo con interventi, libri, e un’azione costante e diffusa nel territorio. Personalità, alcune, mie grandissime amiche”.

Monica Cirinnà

Monica Cirinnà

Insomma, Bettini, dopo aver lanciato la pietra, ritira la mano e si rifugia nel lavacro purificatore delle primarie, ben sapendo che sarebbero inutili e finte. Una corsa di ‘sette nani’ (Gualtieri, Tobia Zevi, che le reclama, Monica Cirinnà, che non vede l’ora di far parlare di sé, forse Stefano Fassina per la sinistra-sinistra, etc. etc. etc.) totalmente controproducente contro Raggi (M5s), Bertolaso (centrodestra) e contro Calenda (Azione civile) che ne uscirebbero, da fuori, come i veri tre sfidanti per la guida della città mentre il Pd si contorce e distorce dividendosi le spoglie dei suoi pochi voti.

Zingaretti che voleva correre e le primarie dei ‘sette nani’…

Zingaretti e Letta

Zingaretti e Letta

Dall’altra parte,, stavolta il povero Zinga è davvero innocente. Quello di Bettini (e di Mancini), via Gualtieri, è stato un colpo basso inferto anche ai desiderata dell’ex segretario, il quale – con Letta che lo chiama, abbastanza seccato, ecco – cade dal pero: non ne sapeva nulla, di Gualtieri, anzi, come si sa, si lamenta: ci stava facendo lui, più di un pensiero, su Roma novello, eterno, Cincinnato.

stefano fassina

Fassina Stefano

Ad appoggiare la corsa di Gualtieri, nelle prime ore, mentre Letta è impegnato a parlare di tutt’altro alla Stampa estera, nel centrosinistra, parlano – fin troppo solleciti, credendo che Letta condivida la scelta, il nome e l’idea – un po’ tutti, dai Verdi fino a Stefano Fassina di LeU. Oltre che, entusiasta come può essere, sempre, mezzo Pd. Solo Iv, furba (lì c’è Luciano Nobili, ‘Lucianone’, un altro che, nella sua vita, è stato tutto: gasbarriano, rutelliano, lettiano, renziano, uno che la sa lunga) tace.

Carlo Calenda

Carlo Calenda

Invece Carlo Calenda – leader di Azione civile (sono lui e quattro gatti in tutt’Italia, ma stanno tutti i giorni in tv) spara le solite palle incatenate contro Gualtieri come le sparerebbe contro chiunque non si chiami Calenda Carlo: “a Roma io mi sono già candidato, e da molti mesi, certo non mi ritiro”. Certo è anche che, da quando le agenzie battono la notizia, di prima mattina, è un turbinio di reazioni che arrivano da ogni parte, persino da fuori Roma. Tutti, appunto, parlano e fan festa come gli augelli a Pasqua, tranne Letta Enrico: non ne sapeva nulla, si è trovato messo di fronte al fatto compiuto e non l’ha presa bene, anzi: non l’ha presa per niente bene.

L’ira di Letta è fredda, il nome perfetto sarebbe Sassoli…

Andrea Casu

Andrea Casu

Il segretario nazionale convoca, appena può, cioè a sera tarda, il segretario di Roma Andrea Casu (ex renziano, passato da tempo armi e bagagli con Zingaretti, non conta quasi nulla) e il segretario del Lazio, Bruno Astorre, zingarettiano doc. Letta fa loro un bello shampoo, per la serie ‘ma come vi è venuto in mente di parlare adesso di Roma?!”, i due si difendono, imbarazzati, come possono. Morale, il nome di Gualtieri, a partire da oggi, finirà nel dimenticatoio e amen, ma questa, Letta, se la lega di certo al dito, che poi l’ira degli ex diccì, quando si arrabbiano, è pure l’ira più funesta.

Letta e Bersani

Letta e Bersani

Poi, appena passerà qualche tempo, e la polvere si deposita, Letta dovrà pur metterci mano, nel verminaio romano, ma ora è troppo presto. In ogni caso, le alternative sono due. ‘Regalare’ Roma a Zingaretti, senza le dimissioni del quale oggi Letta non sarebbe diventato segretario del Pd. E poi i due si sono subito presi: un feeling umano immediato, anche se corre tra un ex Dc e un ex Pci (ricorda l’affetto imperituro e costante che lega Letta a Bersani, uno di quegli affetti che vanno ben oltre la Politica: Enrico e Pier Luigi sono amici, amici veri). Insomma, candidare Zinga, sempre che la Raggi si ritiri e i 5Stelle convergano sulla sua candidatura, oppure pescare dal mazzo la carta migliore possibile, per uno come Letta. Candidare, cioè, sempre cercando, a tutti i costi, e costi quel che costi, l’accordo con i 5Stelle, l’attuale presidente del Parlamento europeo, David Sassoli.

David Sassoli

David Sassoli

Cattolico, volto umano del Pd romano, ex volto del Tg1 (“piace tanto alle mamme”, sospirano, nella speranza che, alla fine, accetti, in Base riformista), candidato alle primarie del 2013 (con Prestipino e altri), contro Marino, le perse, ma gode di buona fama e tanti meriti. E’ pure romanista (come Draghi), oltre che romano, ed è uomo perbene, oltre che cattolicissimo, che nella città del Papa male non fa. “Sarebbe perfetto” sognano gli ex renziani, mentre i lettiani non si pronunciano ma dubitano che “David, che a dicembre finirà due anni di mandato a capo del Parlamento, voglia lasciare, e non provare a candidarsi di nuovo a quella carica, per una gatta da pelare come Roma, ma certo, se ci stesse, è perfetto. Why not?”. Ma come finirà, a Roma, mica dipende solo dal Pd…

La giunta Raggi e il caos dentro il Movimento 5Stelle

Raggi e Gualtieri

Raggi e Gualtieri

Come si sa, l’amministrazione capitolina è oggi in mano alla (disastrosa) gestione Raggi, fiore all’occhiello – poco fiore, molto occhiello – del M5s: lei si vuole ricandidare, i 5Stelle fingono di difenderla, Di Maio vuole pensionarla, magari offrendole un posto nel nuovo Direttorio a 5Stelle e, in proiezione futura, uno scranno parlamentare, ma Beppe Grillo ancora la difende, il braccio di ferro è ancora in corso. A giubilarla, nel Movimento, ci pensa, in primis, la sua acerrima e storica rivale nella cosmografia grillina, Roberta Lombardi, che solo pochi giorni fa ha condotto l’operazione ingresso del M5s dentro la giunta Zingaretti con ben due assessori, e di peso, di cui uno è la Lombardi.

Roberta Lombardi

Roberta Lombardi

Un piccolo primato, ad oggi: mai una giunta regionale di centrosinistra aveva ‘aperto’ ufficialmente ai pentastellati. Ci è voluto del bello e del buono messo dall’ex segretario, Zingaretti, che pensava così di ancorare per ‘scambi’ futuri un Movimento riottoso e cangiante come l’attuale.

guido bertolaso

Guido Bertolaso

Infine, il centrodestra si prepara, da tempo, a riconquistarla, Roma. Finge di sfogliare la margherita dei nomi, ma ha già scelto (come vuole Berlusconi) per lanciare l’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso, oggi sul fronte Covid in Lombardia e aspetta solo che Pd e M5s finiscano di litigare. Il problema è, appunto, e al solito, il centrosinistra: fino a ieri, non aveva uno straccio di candidato, neppure ufficioso. Da ieri, questo candidato, in teoria, c’è: trattasi dell’ex titolare del Mef, Roberto Gualtieri. Quello che non c’è, appunto, è il placet del neo segretario del Pd, Enrico Letta.

L’autocandidatura di Gualtieri e la ‘freddezza’ di Letta

L’autocandidatura di Gualtieri

L’autocandidatura di Gualtieri

Formalmente, quella della Capitale “sarà una partita molto importante delle elezioni amministrative di autunno – dice, circospetto, Lettache saranno una tappa di avvicinamento alla costruzione di questa alleanza di centrosinistra e con i 5 Stelle che costruiremo in vista delle politiche del 2023”.
La verità, però, al di là dell’ufficialità è tutt’altra, come abbiamo visto. Letta è a dir poco ‘irritato’, come trapela. Ma vale come con il Colle: se i suoi lo descrivono ‘irritato’, si traduce: ‘inkazzato’…
Infatti, voleva parlare di Mondo, e non a caso aveva scelto di farlo alla Stampa estera, Enrico Letta, e invece si è ritrovato a parlar di… Roma, nel senso del comune italiano, e manco della squadra di calcio (Letta è milanista, peraltro). Roma, certo, è e resta pur sempre Capitale d’Italia e della Cristianità, per carità, ma insomma l’idea non era quella. Almeno non nella giornata di ieri, ecco.

Le elezioni amministrative? Si fanno in autunno (forse)

pier carlo padoan

L’ex ministro Pier Carlo Padoan

Non certo di parlare di elezioni comunali, ecco. Le quali, peraltro, sospirano i suoi, “manco si sa quando si fanno…”. In realtà, il governo Draghi una data, per quanto lasca, l’ha già fissata, per il prossimo turno elettorale: dovrebbe tenersi tra il 15 settembre e il 15 novembre, ma l’indicazione è generica, la pandemia non si sa se ancora infurierà o meno e potrebbero essere rimandate fino all’ultimo giorno utile. La sola cosa certa è che la tornata elettorale è bella succosa e su tre step: elezioni amministrative (comunali), regionali (in Calabria) ed elezioni suppletive in ben due seggi uninominali lasciati vacanti in giro per l’Italia da due eletti passati a miglior e più piacevole vita.

simona bonafé

Simona Bonafè

Uno dei due, peraltro, è quello di Siena, dove aveva vinto il democrat, ex ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, il quale ha deciso di fare un upgrade del suo stipendio (+è entrato nel cda di Unicredit), l’altro è quello di Marco Minniti (volato da Leonardo) e dove proprio Enrico Letta si potrebbe/dovrebbe candidare: i toscani dem – dalla segretaria regionale, Simona Bonafé, al sindaco di Firenze, Dario Nardella – chiedono a gran voce che lo faccia, anche perché l’alternativa sarebbe Giuseppe Conte o Zingaretti e i toscani, a entrambi, non li vedono proprio di buon occhio.

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Dario Nardella

Ma lui, Letta, ad oggi però ancora nicchia, allontana il ‘sì’, anche se – come ha detto in tv, domenica sera, ospite da Fabio Fazio su Rai 3 – “ho lasciato tutti gli incarichi retribuiti che avevo…” che è come dire “di qualcosa dovrò pur vivere…”. In effetti, lo stipendio da segretario dem, detto con il massimo rispetto per cassintegrati, precari, partite Iva, è a livelli risibili, poche migliaia di euro.

Le comunali si terranno in molte città chiave per il futuro del Pd

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Enrico Letta

Ma insomma, ieri, Enrico Letta, aveva in mente ben altro che occuparsi, per un’intera giornata, delle candidature alle prossime comunali. Le quali, in ogni schieramento politico – e nel centrosinistra e in particolare nel Pd – sono come le ciliegie: se parli di Roma, i napoletani si sentono snobbati, i torinesi fanno i sussiegosi più di tutti gli altri, i milanesi si innervosiscono, i bolognesi s’adontano.

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Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala

Eh già, perché mica si vota solo a Roma… Si vota pure a Milano, dove il sindaco uscente, Giuseppe Sala, ha mollato il Pd per ‘rifondare’ i Verdi (non si sa bene con chi), a Torino (dove il Pd non riesce a trovare uno straccio di candidato), a Bologna (dove il Pd si scannerà in primarie tra nani bolognesi), a Napoli (dove il Pd non sa ancora bene chi candidare, ma poi dovrebbe convergere su un 5Stelle). Tutte città difficili e che, almeno alcune di loro, proprio non si possono perdere, in casa democrat.
Certo è che Letta, ieri, voleva che l’attenzione dei media si concentrasse su altro e, in particolare, sulle parole da lui dette davanti ai colleghi della Sala Stampa Estera. Una conferenza stampa, quella tenuta da Letta, davanti ai sussiegosi e arcigni colleghi della stampa estera in Italia, in cui il nuovo segretario del Pd ha affrontato molti temi.

E pensare che, ieri, Letta ieri voleva andare “all’estero”…

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Monica Nardi, storica portavoce di Letta

Il nuovo segretario del Pd aveva preparato con estrema cura, con i suoi più fidati collaboratori (per ora restano fissi solo e soltanto a quota due: la portavoce, Monica Nardi, e il consigliere politico, Marco Meloni), una giornata, quella di ieri, che doveva essere di tutto riposo, da un lato (“prendere possesso” dei nuovi uffici al Nazareno, decidere le stanze, se ri-tinteggiare o meno le pareti, etc.) e, dall’altro, tutta impostata nella proiezione all’esterno. Uno come Letta alla dimensione internazionale ci tiene, ca va sans dire. Tanto per dirne una, articoli su Le Monde, El Pais, Times, Financial Times, etc, sono usciti come se piovessero, quando solo girava il suo nome per la segreteria il che, francamente, non è usuale. Dopo aver riempito i giornali italiani per una settimana, Letta si era riservato l’incontro che gli ha organizzato la Stampa estera italiana, nella sua sede, ieri, come un fiore all’occhiello da esibire: al massimo sperava di parlare di centrosinistra.

L’incontro alla Stampa estera: gli affondi contro Salvini

Matteo Salvini

Matteo Salvini

Qualcosa, in effetti, è uscito. Nel mirino di Letta, ovvio, c’è soprattutto Matteo Salvini, che il ‘mite’ (sic) neo-segretario dem ha deciso di azzannare, in pratica, tutti i giorni. Torna a difendere, a spada tratta, lo ius soli (declinato, però, anche come ius culturae, pericoloso ‘cedimento’ alla retorica renziana che ne parla da anni senza mai portarlo a dama…). Difende a spada tratta il sostegno del Pd al governo Draghi contro Salvini che sostiene che “Letta vuole farlo cadere”.

Vaccino covid

Letta sui vaccini sfotte Salvini

Sui vaccini sfotte: “invidio molto Salvini, che ha una idea su tutto e che dice la sua su tutto, esattamente il modello tipico italiano: tutti ct della Nazionale. Ma penso invece che la politica fatta così tutto sommato abbia fatto tanti danni”.

E poi un’altra sferzata: bene la ‘virata’ di Salvini sull’Ue, con l’adesione al programma Draghi, ma “è come se il Papa fosse andato a San Pietro e avesse detto: ‘Cari fedeli Dio non esiste, ma continuate a andare a messa’…”.

D’altronde, Letta vede nella Lega un avversario diretto, implacabile, e prova a placcarlo: “Il Pd a cui voglio lavorare deve essere il partito che torna a occupare i territori e a sfidare la Lega sui territori”. E a chi gli fa notare l’anomalia di un’alleanza di governo che mette insieme i ‘nemici’ di sempre, Letta fa notare che si deve fare “una distinzione fra Lega e FI. Nei giorni scorsi Brunetta ha fatto cose che noi condividiamo”.

La ‘nuova’ legge elettorale e l’alleanza del nuovo centrosinistra

Elezioni
Poi, Letta annuncia che è già al lavoro per “vincere le elezioni” (quelle del 2023, si capisce, che tanto prima non si vota…). Legge elettorale permettendo, si capisce. Letta non nasconde le sue preferenze per un sistema come il Mattarellum, un maggioritario con recupero proporzionale, mentre boccia senz’appello Porcellum e Rosatellum, ma su questo dovrà vedersela – prima ancora che con la Lega, senza la quale nessun tipo di legge elettorale è possibile, come con tutti gli altri partner di governo, grandi e piccoli – proprio con il suo partito, il Pd. Una ‘Babele’ di lingue su tanti, troppi, temi, compresa  la legge elettorale. Ogni corrente ha la sua ‘ricetta’ e la custodisce gelosamente, anzi spesso nella stessa corrente non sono d’accordo tra loro: in Base riformista, per dire, il fiorentino Parrini è un proporzionalista, il pisano Stefano Ceccanti è un maggioritarista…

Ceccanti Stefano

Stefano Ceccanti

Contraddizioni in seno alla stessa corrente democrat… Infine, Letta aveva pensato bene di parlare di alleanze, presentando ai colleghi esteri, come all’opinione pubblica, uno schema di ritorno al bipolarismo chiaro, comprensibile: “Da una parte le destre, con Salvini e Meloni protagonisti, e dall’altra un’alleanza di centrosinistra guidata dal Pd che dialogherà con i 5 Stelle”.

Salvini e Meloni

Salvini e Meloni

Ho molto filo da tessere”, spiegava, soddisfatto, Letta, a ora di pranzo, in via dell’Umiltà, prima sede ufficiale di Forza Italia, dove oggi ha sede la Stampa estera, annunciando incontri ad horas con Giuseppe Conte (M5s) e Roberto Speranza (LeU), come con tutti gli altri leader della futura coalizione. Compreso, dunque, Matteo Renzi. Un incontro/scontro, quest’ultimo, in cui qualsiasi cronista vorrebbe travestirsi da cameriere – come faceva Augusto Minzolini quando era giovane – e pagare a peso d’oro un posto in cucina del ristorante scelto per l’incontro di Teano e assistervi.

I sondaggi iniziano a essere meno inclementi, per il Pd…

Enrico Letta

Segretario Enrico Letta PD

L‘arrivo di Letta al Nazareno, intanto, ha portato a sondaggi meno inclementi, rispetto agli ultimi mesi, per il Pd. La scorsa settimana l’Swg dava i dem quarto partito, l’ultima rivelazione lo dà di nuovo al secondo posto, con il 17,4%, dopo la Lega (24,2%), ma marcato a uomo da Movimento Cinque Stelle e Fratelli d’Italia, entrambi schizzati al 17%. Resta anche il capitolo interno al Pd, il solito copione a soggetto della lotta tra le correnti. Con Letta che cerca di smussarne, e ridimensionarne il peso, forse anche troppo.

Gli altri temi: correnti e donne, segreteria e capigruppo

Roma palazzo del bufalo 03 largo del nazareno

Largo del Nazareno, ove ha sede il PD

I renziani? credo siano categorie del passato”, dice Letta, poi prova a rilanciare il tema della rappresentanza di genere. ma restano tante le questioni aperte, a cominciare dalla segreteria, che dovrebbe essere varata fra un paio di settimane, quando al Nazareno arriveranno le risposte dei circoli alle 21 domande che il segretario ha posto come fondanti per definire il programma del Pd. E poi c’è quella dei capigruppo di Camera e Senato. Al momento, la loro sostituzione non sembra all’ordine del giorno, ma quel giorno arriverà e potrebbe arrivare pure l’ora delle donne: due donne, al posto dei ‘maschietti’ Marcucci e Delrio, e così la sostituzione di entrambi non apparirebbe una punizione, ma uno ‘stato di necessità’, in particolar modo per Marcucci, sempre che si trovino posti degni per ricollocare due calibri da novanta, per autorevolezza e forza correntizia, come i due citati.
I programmi di Letta, dunque, sembrano a lungo termine. Anche per spiegare questa convinzione usa l’ironia: perché dovrebbe resistere di più di altri segretari del Pd?, gli chiede un cronista: “Perché questa è l’ultima chance”, risponde. Del resto, come dargli torto?

 

NB: questo articolo è stato pubblicato, in parte, il 17 marzo 2021 sul sito di notizie Tiscali.it