Uomini in cerca di guai… Letta vuole sostituire i capigruppo dem ‘maschietti’ (ed ex renziani) con due donne

Uomini in cerca di guai… Letta vuole sostituire i capigruppo dem ‘maschietti’ (ed ex renziani) con due donne

22 Marzo 2021 0 Di Ettore Maria Colombo

A “Casa dem” non ci si annoia mai. Il segretario provoca i capogruppo parlamentari che reagiscono a brutto muso. Delrio e Marcucci per ora resistono. Martedì lo scontro finale

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Su cosa si litiga, nel Pd? Ma sul ruolo delle donne!

Su cosa si litiga, nel Pd? Ma sul ruolo delle donne, è ovvio! Ormai sembra una maledizione. Lo scossone maggiore e più eclatante alla – pur già declinante – segreteria di Nicola Zingaretti venne provocato dalla protesta delle ‘femen’ dem contro la scelta di comporre una ‘rosa’ di nomi di ministri maschi (Franceschini, Orlando, Guerini), da proporre a Draghi per il suo governo, tutta al maschile.

Zingaretti Nicola

Nicola Zingaretti

Ne venne fuori un putiferio che, ancora oggi, il povero Zinga rivede i colpi al mento e gli uppercut e, come un pugile suonato e ferito da troppi anni passati sul ring, neppure sente più il suono del gong. Ora tocca a Letta affrontare l’ira delle ‘erinni’ dem, ma essendo Letta uno furbo e navigato, la sta usando a suo piacere e a suo comodo: in modo strumentale, insomma, per ottenere scopi politici, peraltro del tutto legittimi. Il primo obiettivo è rileggittimare il Pd agli occhi del suo elettorato, specie di chi non lo vota più (giovani, donne, lavoratori atipici, ma anche professionisti, ceti borghesi affluenti, i cosiddetti ‘bobo‘ direbbe Letta con linguaggio parigino) con mosse di alto impatto mediatico e a costo zero, almeno a pronunciarle (il voto ai 16 enni, la lotta alle correnti interne del partito, la guerra ad alzo zero contro il trasformismo parlamentare, etc). Mosse propagandistiche, a prescindere che poi ci creda o meno, in essere, proprio come quella di mettersi all’occhiello la palma di ‘difensor fidei‘ (in questo caso dei diritti delle donne). Il secondo obiettivo è ‘conquistare’ un partito che, da tempi immemorabili (di fatto dalla nascita) è riottoso, recalcitrante e oppositivo – nelle sue anime più profonde: le ‘correnti’ e i vari big a loro guida – al principio del ‘comando unico’ o del ‘potere assoluto’ (norma archetipo, almeno in Scienza della politica, direbbe Carl Schmitt).

Carl Schmitt

Carl Schmitt

Ci si sono scontrati e scornati tutti, con ‘questo’ Pd profondo, magmatico, imprendibile ed Eterno: Veltroni e Bersani, Zingaretti e, persino, Renzi, che pure lo plasmò a sua immagine e somiglianza, almeno per due anni. Hanno tutti fallito, eppure si tratta di quattro segretari eletti con le primarie, e non – come Letta e i casi dei segretari reggenti – in seno all’Assemblea nazionale. Ebbene, sono stati tutti mangiati, divorati, digeriti e sputati da un ‘corpaccione’, quello del Pd, che nonostante i tracolli elettorali e le sconfitte politiche ancora riesce a essere inscalfibile e intoccabile, nella sua geografia.

matteo renzi

Matteo Renzi

Ecco, magari Letta non ci riuscirà, ma sta provando a fare quello che non solo ‘son Tentenna’ Zingaretti (che ne è uscito con le ossa rotte) o il ‘buon Bersani’ (che ci ha rimediato il coccolone), ma neppure il Fondatore Veltroni (che ne ebbe un esaurimento nervoso) e tantomeno Renzi il Rottamatore (che pure accusò diversi disturbi alimentari) sono riusciti mai a fare: domare e azzerare il potere delle correnti e dei loro big, metterle nell’angolo e comandare, con pugno di fatto, il partito.

La ‘questione femminile’ agitata da Letta ha un duplice scopo

Graziano Delrio e Andrea Marcucci

Graziano Delrio e Andrea Marcucci

Certo, a guardarla dall’esterno, è facile. Non c’è pace in casa Pd. Le prime mosse di Enrico Letta fanno discutere, soprattutto perché il neo segretario mette nel mirino i capigruppo di Camera e Senato. L’ex premier vuole sostituire Graziano Delrio e Andrea Marcucci con due donne: “Quando sono arrivato ho detto che c’è un problema enorme di presenza femminile nel nostro partito: tre ministri sono uomini, io sono un uomo”, spiega alTirreno e alla Gazzetta di Reggio, due interviste concesse in contemporanea e “fatte sull’uscio di casa di Marcucci (toscano) e Delrio (reggiano)” masticano amaro gli uomini dei due capogruppo. “Non possiamo fare una foto di gruppo del vertice del partito e presentare volti di soli maschi – aggiunge Letta.

Enrico Letta

Enrico Letta

In Europa sono cose che può fare Viktor Orban in Ungheria o Mateusz Morawiecki in Polonia” chiude con una nota particolare di fiele. Un paragone durissimo, per la galassia dem, che reagisce dividendosi tra chi spalleggia il segretario e chi non, specie dentro i gruppi parlamentari.

Lo sconcerto e il malumore nelle fila dei gruppi parlamentari

Salvatore Margiotta

Salvatore Margiotta

I primi feedback dei parlamentari (molti stupiti dal doppio attacco concentrico di Letta) sono nettamente negativi: “Sconcerto e malumore nelle fila dei gruppi parlamentari”, fanno sapere fonti del partito, mentre il senatore Salvatore Margiotta, su Twitter, usa l’arma dell’amara ironia: “Mi sfugge il nome della donna scelta capogruppo al posto di Benifei” (uomo, di nome Brando, dimessosi da capogruppo della delegazione del Pd dentro il Pse-PE e riconfermato all’unanimità dai suoi 18 colleghi appena l’altro ieri, Letta presente) a Bruxelles. Nelle varie chat di gruppo ribollono le polemiche, al punto che qualcuno cita i casi di Orlando e dello stesso Letta: “La parità di genere evidentemente non era una priorità. In modo particolare il ministro del Lavoro ha portato con sé altri due uomini, Provenzano e Misiani, uno come vice segretario ed il secondo in segreteria”.

Marcucci, per ora, tace mentre il di solito pacato Delrio tuona

ANDREA MARCUCCI

ANDREA MARCUCCI

Mentre Marcucci, ma solo per la giornata di ieri, tace (ma ci si aspetta che oggi spari a palle incatenate perché intende farsi riconfermare a furor di senatore, Delrio prova a dare una mano per uscire dall’impasse offrendo la sua disponibilità “ad affidare alla autonoma valutazione delle deputate e dei deputati come andare avanti nel nostro lavoro”.

Graziano Delrio

Graziano Delrio

Ma, sottolinea, “l’autonomia dei gruppi parlamentari va rispettata”, rivendicando di aver agito sempre nel rispetto della parità di genere negli incarichi che ha voluto far ricoprire negli ultimi anni ai suoi (tre donne su cinque incarichi).

Cecilia D'Elia

Cecilia D’Elia

Mentre la portavoce della Conferenza delle democratiche, Cecilia D’Elia, applaude invece all’iniziativa del segretario, ricordando che “spetta ora ai gruppi decidere il nome in piena autonomia, oltre ogni logica legata alle correnti”.

Letta apre anche un canale di dialogo con M5s

Irene_Tinagli_Pd

Irene Tinagli

Sostanzialmente concordi con la scelta del leader sono i due vice segretari, Irene Tinagli e Peppe Provenzano, anche loro più preoccupati di smantellare lo strapotere delle correnti, che poi è una polemica ricorrente nelle parole di Letta: “Stavano soffocando il partito, il Pd deve essere plurale”, dice il neosegretario al quotidiano spagnolo La Vanguardia. Giornale straniero cui conferma di voler aprire un canale di dialogo ‘speciale’ con i Cinquestelle: “La destra di Matteo Salvini e Giorgia Meloni supera il 40%. Per vincere dobbiamo formare una grande alleanza in cui ci sia il M5S, che ha avuto un’evoluzione europeista molto importante e positiva”, sottolinea Letta, puntualizzando che “la disponibilità di Giuseppe Conte a guidare il Movimento è una buona notizia e sono certo che ci capiremo bene”. Letta non dimentica Italia viva: “Il mio compito è anche quello di aprire questa alleanza a tutti coloro che hanno lasciato il Pd”, ma getta la palla nel campo di Matteo Renzi: “Dipende da loro. Sono disposto a dialogare con tutti”. Parole a dir poco gelide, non certo aperturiste, senza dire che ormai in Iv si sono rassegnati: “con Letta a guida nel Pd, noi saremo espulsi da ogni alleanza di centrosinistra” sospirano, anzi: gemono.

Le ‘aperture’ di Letta a Renzi sono gelide

Le ‘aperture’ di Letta a Renzi sono gelide

Le ‘aperture’ di Letta a Renzi sono gelide

Molto probabilmente l’incontro tra i due ex presidenti del Consiglio ci sarà, magari la prossima settimana, e Letta vi si presenterà con un colpo importante messo a segno. Eugenio Comincini lascia Iv e torna alla casa base dem: “Torno in pace, senza essere ‘cavallo di Troia’ di nessuno, disponibile al confronto sulle idee” scrive sui social il senatore lombardo. Accolto con entusiasmo da quasi tutte le aree del mondo democrat. “Eugenio ha deciso di tornare a casa, il partito che lo ha eletto nel 2018 – ribadisce il capogruppo Andrea Marcucci -. E a tutti ricordo che nel suo caso non si può certo parlare di transumanza”.

Eugenio Comincini

Eugenio Comincini

Ma Comincini potrebbe non essere il solo: gli occhi sono ora puntati su Leonardo Grimani, altro senatore di Iv che potrebbe fare il percorso inverso a breve. Certo è che con i guai di casa Pd, davvero non ci si annoia mai.

Lo scontro finale, all’arma bianca, è sul Potere

Lo scontro finale, all’arma bianca, è sul Potere

Lo scontro finale, all’arma bianca, è sul Potere

Si va dunque, allo scontro finale, e all’arma bianca, nel Pd, con la scusa di farlo sulle donne, ma come sempre con una ragione sola: il Potere. E’ il primo dell’era Letta ed è uno scontro “da cui usciremo tutti con le ossa rotte” è la fin troppo facile profezia di un big dem. Letta, dall’inizio, ha messo due punti fermi: lotta senza quartiere alle correnti (“stanno soffocando il partito”) e lotta al ‘gender gap’ (politico) che si è rivelato uno dei talloni d’Achille della gestione Zingaretti.

Il gender gap e la ‘lotta al correntismo’

giuseppe provenzano ministro sud

Giuseppe Provenzano Ministro del Sud

Il tema donne ha già creato scossoni con i due vicesegretari (Tinagli e Provenzano) e nelle nomine in Segreteria (otto e otto). Ma è nella lotta al ‘correntismo’ che Letta usa l’accetta: sceglie il ‘fior da fiore’ tra le correnti, che volevano imporgli i loro nomi, sulla base del feeling personale che ha con i ‘prescelti’, innervosendo, e parecchio, i vari capi corrente.

I nervi di molti saltano. Ieri, per dire, la Tinagli ha criticato un Pd “che ha passato gli ultimi due anni a guardarsi l’ombelico”. Vaccari, confermato all’Organizzazione, ma rimasto fedele a Zingaretti, reagisce duro (“Meglio se prima t’informi, cara”).

Gender gap

Gender gap

Ma lo scontro vero resta quello sul gender gap. “Quando sono arrivato – dice Letta in due interviste, una al Tirreno (giornale di casa Marcucci) e una alla Gazzetta di Reggio (casa Delrio), raffinata cattiveria subito notata dai due – ho detto che c’è un problema enorme di presenza femminile nel nostro partito: tre ministri sono uomini, io sono uomo. Penso che, per forza di cose, i due capogruppo debbano essere donne”.

Letta vuole sloggiare sia Marcucci che Delrio

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Insomma, Letta chiede di sloggiare, e subito, ai due ‘maschietti’ a guida dei gruppi parlamentari dem di Camera (Graziano Delrio, area Delrio…) e Senato (Andrea Marcucci, area Guerini-Lotti). Martedì ci sarà l’incontro coi gruppi parlamentari di Camera (mattina) e Senato (pomeriggio). Seguirà un voto che sarà un terno al lotto e che, comunque vada, spaccherà i gruppi. Marcucci chiederà di farsi riconfermare e conta su ben 23 (20 di Base riformista, 2 Giovani turchi e il rientrante Comincini) senatori fedelissimi alla sua guida, sui 35 totali. Delrio, invece, è disponibile a lasciare, ma mette i puntini sulle ‘i’: “L’autonomia del gruppo va rispettata né accetto lezioni sulla parità di genere”.

Graziano Delrio Andrea Marcucci

Graziano Delrio Andrea Marcucci

La sua maggioranza interna è meno granitica di quella di Marcucci: conta su 30 deputati di Br, sui 95 totali, ma qui sono più forti le tre pattuglie di orlandiani, zingarettiani e cuperliani. Le sinistre interne ne hanno una ventina, in totale, l’area Franceschini (Area dem) cinque e Orfini (Giovani turchi) ben sette. A Delrio potrebbe succedere la Serracchiani (della sua stessa area), Alessia Rotta (Br) o la Madia. Al Senato girano invece i nomi di Fedeli (Base riformista), Pinotti (Area dem) o Bini (Base riformista), ma Marcucci darà battaglia e ha i numeri x farcela.
Intanto, le chat dei parlamentari ribollono. “E ora che si fa?” si chiedono in molti, assai spaventati. “Ricordati che le prossime liste le farà Letta…” è il messaggio spedito ai più coriacei, quelli di Base riformista, alcuni dei quali potrebbero riconvertirsi al “Vangelo secondo Enrico”. I quali, peraltro, stanno capendo che “con Enrico è meglio venirci a patti. Magari convergendo su di lui in una corrente para-lettiana di appoggio al segretario, “altrimenti saremo spazzati via, e tutti…”.

Letta vuole gruppi parlamentari a lui ‘fedeli’

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La verità è che Letta ricorda quante camicie, ben più delle fatidiche sette, Zingaretti ha sudato per imporre una linea (la sua) che non era la loro (dei gruppi). Vuole, dunque, Letta gruppi parlamentari a lui fedeli. Anche perché – stabilito che il governo Draghi lo appoggerebbero comunque, i gruppi parlamentari dem, pur di non ‘andare a casa’ – in caso contrario, cioè se non avesse gruppi a lui fedeli, le importanti riforme istituzionali e politiche da lui promesse (il voto ai 16 enni, lo ius soli, la lotta al trasformismo, la riforma della legge elettorale, le altre riforme istituzionali, etc.) chi mai potrebbe appoggiarle? I gruppi servono a questo e anche a ‘controllare’ i numeri e gli equilibri nel partito.

Brando Benifei

Brando Benifei

Da notare che, in Europa, il capogruppo, Brando Benifei (orlandiano), il “gesto elegante” chiesto da Letta lo ha fatto: anche per questo è stato riconfermato all’unanimità dai 18 membri che compongono il gruppo dem Ue. “E’ maschio” protesta, veemente, Margiotta, senatore di area Guerini-Lotti, che fa notare a tutti l’incongruenza di Letta che voleva tre donne. “Possiamo sempre far diventare Andrea ‘gender fluid’, così magari piacerà alla Cirinnà…”, sbottano in casa Marcucci. Il catalogo, nel Pd, è questo. Pessimo, as usual, nonostante Letta, uguale.

NB: Parti dell’articolo sono state pubblicate il 22 marzo 2021 su Quotidiano Nazionale e Tiscali.it