Cartabia ‘under attack’. I 5Stelle vogliono impallinare la riforma della giustizia. Il Pd, faticosamente, media…

Cartabia ‘under attack’. I 5Stelle vogliono impallinare la riforma della giustizia. Il Pd, faticosamente, media…

22 Luglio 2021 0 Di Ettore Maria Colombo

Scontro sul decreto giustizia Cartabia tra pentastellati e ‘resto del Mondo’. Il voto slitta, ma ci sarà la fiducia

Scontro sul decreto Cartabia

Scontro sul decreto Cartabia

 

Nb: questo articolo è stato pubblicato, in forma più succinta, sul sito di notizie Tiscalinews.it il 22 luglio 2021. 

“La riforma Cartabia fa schifo, bisogna boicottarla!” tuona l’M5s. Retroscena di Palazzo? Gossip anonimi? No, il titolo del ‘Fatto’…

La riforma Cartabia fa schifo

La riforma Cartabia fa schifo

Per capire cosa pensano i 5Stelle della ministra guardasigilli Marta Cartabia (uno dei nomi più gettonati per succedere a Mattarella al Quirinale, peraltro, e sua paziente e devota allieva e pupilla) e della riforma del processo penale ormai da giorni all’esame della Camera dei Deputati, riforma che porta il suo cognome, la riforma Cartabia, non serve fare quello che, normalmente, fanno tutti i giorni i cronisti parlamentari. Cose del genere. Uno, compulsare nevroticamente le agenzie di stampa per pescare dichiarazioni sensazionalistiche o ‘barrati’ (sono i take d’agenzia con le stellette).

M5S_logo

Due, andare ‘a caccia’ di qualche pentastellato di complemento che bazzica i cortili di Montecitorio (ieri, per dire, fino a tarda sera, erano presenti in tanti, ma solo perché era convocata l’aula per il voto finale, con fiducia, sul decreto Semplificazioni, quindi occorreva, per forza, essere presenti: di solito, invece, i 5Stelle, in Aula, latitano). Tre, pendere dalle labbra e auspicare un messaggino Whats’App, anche solo una ‘faccina’, dei potenti portavoce del potente leader, Giuseppe Conte, dei big del Movimento, di presidenti di commissione più o meno compresi nel ruolo o di porta-ordini e porta-bandiera dei capi-corrente. O, ancora meglio, degli attuali ex ministri a 5Stelle, poi defenestrati.

Lucia azzolina

Lucia Azzolina

Ieri, per dire, accigliata e sospettosa, impartiva ordini e consigli, pareri e imperativi categorici, nel cortile d’onore di Montecitorio, attorniata da un nugolo di deputate 5S donne a farle corona, la ex ministra all’Istruzione Lucia Azzolina, la cui somiglianza – nota di colore – con la famosa attrice comica Sabrina Guzzanti è impressionante: sembrano due gemelle siamesi.

bonafede

Alfonso Bonafede

I quali ex ministri, poveretti, da Alfonso Bonafede in giù, ma vale pure per gli ex viceministri, si aggirano tutti impettiti e tutti ben vestiti come animule vagule blandule nei corridoi dei Passi Perduti di Montecitorio forse alla vana ricerca di staff nutriti, spaziosi uffici e scorte col lampeggiante che prima avevano e ora non hanno più, ahi loro (Vare, Vare, redde mihi legionas meas! gridava, inconsolabile, il grande imperatore Cesare Ottaviano Augusto quando seppe dello sterminio di ben tre legioni romane a Teutoburgo, guidate dal generale Varo, massacrate a opera degli infidi Germani).

Cesare Ottaviano Augusto

Cesare Ottaviano Augusto

No, molto più semplicemente, basta aprire, ogni giorno il Fatto quotidiano di Marco Travaglio o, ancora più semplicemente, il Fattoquotidiano.it diretto da Peter Gomez. E uno si fa subito l’idea.

Peter Gomez

Peter Gomez direttore de Il Foglio

Ieri, per dire, per tutto il giorno, nella home, campeggiava questo titolo: “Efficienza processi penali, per i giornali (di solito Travaglio li chiama ‘i giornaloni’ e viene l’atroce sospetto che consideri, di risulta, il suo un ‘giornalino’, ndr.) l’Ue blinda la riforma Cartabia. Ma il rapporto sullo Stato di diritto promuove la legge Bonafede sulla prescrizione: ‘Lo stop in linea con le raccomandazioni’”. Lo ‘scoop’ sarebbe questo: “Sole 24 ore, Repubblica e il Giornale titolano sulla presunta benedizione della Commissione europea al progetto di via Arenula. Ma il documento, come è possibile leggere sul sito, fotografa quanto fatto dagli Stati da settembre a oggi. Non parla della riforma Cartabia, ma definisce ‘rilevante’ nella lotta alla corruzione quella dell’ex ministro M5s” (che poi sarebbe sempre lui, Alfonso Bonafede, una specie di ‘genio della lampada’ per il Fatto, anche se è il responsabile politico delle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e di una riforma della prescrizione che è un obbrobrio, ndr.).

FattoQuotidiano

Poi, però, si entra nel ridicolo e, forse, si sfiorano gli estremi del reato di vilipendio a un ministro della Repubblica facente funzioni. Infatti, sempre il Fatto.it spara la notizia che “la guardasigilli alla Camera assicura che la riforma non toccherà i procedimenti in cui è coinvolta la criminalità organizzata (ovvio, e ci mancherebbe pure, ndr.) ma nello stesso giorno vengono pronunciate le condanne nei confronti di ex parlamentari ed ex sottosegretari di Forza Italia che, se fosse in vigore la legge, non sarebbero mai state pronunciate perché a tempo scaduto”.

Conte

Giuseppe Conte

Ora, al netto del fatto che non è vero (ci vorranno due anni, forse tre, prima che la riforma vada a regime e quelli erano tutti processi precedenti già pendenti, quindi imprescrittibili, proprio come la strage di Viareggio o quella del ponte Morandi citate da Conte: non c’entrano un fico secco, ma serve a suscitare indignazione popolare e congestionare il ventilatore con sostanze escrescenti), il titolo con catenaccio ‘gridato’ del Fatto (“Concorso esterno: sei anni a D’Alì e dieci a Cosentino. Due processi per mafia che non ci sarebbero mai stati. Ma la ministra ignora gli allarmi dei magistrati”) è ‘fatto’ per suscitare un corale sdegno popolare contro la Cartabia, ma è anche un paragone pesante, fuorviante, lesivo per la ministra.

Stabilito che si tratta di un problema suo (della Cartabia) veniamo alla giornata e riannodiamone i fili.

“I reati per Mafia e terrorismo non vanno in prescrizione”: l’intervento della ministra Cartabia davanti al Parlamento

Cartabia Parlamento

“Mafia e terrorismo non vanno in prescrizione”: la Cartabia parla al Parlamento

I procedimenti di mafia e terrorismo non andranno in fumo” dice, giustamente, e ovviamente, con nettezza, il ministro della Giustizia, nell’Aula alla Camera prima e nell’Aula del Senato poi, nel rispondere alle molte accuse e forti critiche arrivate alla sua riforma del processo penale da magistrati assai noti e sempre sui giornali (i magistrati, come i politici, amano forte i riflettori) come quelle del procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri e del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho (solo l’ex procuratore capo di Torino, Armando Spataro, si espone a difesa): per entrambi, sentiti in audizione alla Camera, il ddl sarebbe “un’amnistia mascherata” capace, corbezzoli, di “minare la sicurezza del Paese”. Siamo dunque all’equazione riforma=criminalità. Non va molto lontano, da critiche simili, anche l’Associazione nazionale dei Magistrati, che protesta così: “La soluzione messa in campo dall’emendamento governativo” sulla prescrizione “non contiene una misura acceleratoria, capace di assicurare una durata ragionevole, ma un meccanismo eliminatorio di processi destinato ad operare senza poter essere illuminato da un criterio“. Intervento a gamba tesa, in attesa che arrivi, oggi, pure quello del Csm, anche se, in questo caso, l’idea che il Capo dello Stato – che ha voluto lui Draghi e, altrettanto lui, ha voluto come guardasigilli la Cartabia – possa in qualsiasi modo ‘avallare’ le critiche dei magistrati alla riforma, fino al punto di chiederne modifiche o rinvii, è francamente ridicola e subito è stata smentita dal Colle dopo un articolo del ‘solito’ Fatto quotidiano

criminalita organizzata

Criminalità Organizzata

Ed è proprio su quelle accuse – come abbiamo visto – che poggia la battaglia che il Movimento 5 stelle sta facendo in Parlamento per modificare la riforma e, di fatto, per svuotarla di senso e peso.

 

Conte aveva promesso a Draghi di ‘mediare’ con i deputati. Ma forse ci ha già ripensato e ora ri-avalla la ‘linea dura’…

L’incontro Draghi-Conte

L’incontro Draghi-Conte e il ‘nodo’ giustizia

Le parole della ministra non sembrano, altrettanto ovviamente, convincere i pentastellati: “Sulla lotta alla criminalità organizzata non si scherza”, dichiarano fieri e indomiti, respingendo le norme della Cartabia sulla prescrizione. Un tentativo di mediazione, in realtà, come vedremo è in atto per modificare il testo, con l’accordo di tutta la maggioranza e proprio al fine di spezzare le barricate pentastellate. Ma la mediazione, partita dopo il colloquio del premier Mario Draghi con il leader in pectore del M5s Giuseppe Conte (il quale, lunedì scorso gli aveva dato assicurazioni che i suoi, in Parlamento, avrebbero tenuto un atteggiamento positivo e di collaborazione…) non sembra decollare: i Cinque stelle – osservano dal governo, molto preoccupati – stanno facendo una sostanziale melina, perché non hanno reso chiari i possibili punti di sintesi. Insomma, stanno solo intorbidando le acque per prepararsi all’alluvione da loro stessi provocata.

Del resto, lo stesso Conte lo aveva detto chiaramente, nell’assemblea congiunta di martedì scorso con i gruppi pentastellati, svelando le carte della sua posizione: pur senza voler difendere bandiere ideologiche “c’è un limite che non possiamo oltrepassare“, e cioè “che possano svanire nel nulla centinaia di migliaia di processi, ed è un rischio concreto“, ha ribadito l’ex presidente del Consiglio.

Non che, per carità, non si possa portare un po’ di sana, umana, comprensione per il dramma a 5stelle. Da un lato la permanenza “da protagonisti” nell’esecutivo, dall’altro i valori fondanti del M5s, cioè il ‘giustizialismo’ che è anche la bandiera del Fatto quotidiano. E’ una strettoia tra incudine e martello quella che sta percorrendo in queste ore Giuseppe Conte, leader in pectore di un Movimento ancora disorientato dopo le guerre intestine, ma soprattutto scisso tra governisti e ortodossi. Questi ultimi, molto in forze sia alla Camera (di più) che al Senato (di meno), hanno mal digerito persino alcuni passaggi del discorso fatto dall’ex premier ai gruppi parlamentari, interpretati proprio come una promessa di lealtà a Mario Draghi senza, in fondo, troppe condizioni: “Sappiamo che sta mediando sulla giustizia, ma ci aspettavamo di più, un segnale più robusto“, si sfoga un senatore. Tutti sanno che il negoziato è complicatissimo, ma c’è anche chi scommette che alla fine Conte porterà a casa il risultato: non solo “il no ad ogni impunità“, ma anche garanzie precise per il reddito di cittadinanza.

Ogni mediazione dovrà viaggiare necessariamente sui contenuti, è il refrain dei pentastellati nei corridoi di Montecitorio. In primis sulla spina dell‘improcedibilità, per cui il punto di caduta – si spiega – deve essere “sostanziale” e non di facciata. “Noi manterremo lo spirito costruttivo sugli emendamenti, ma se si andrà avanti con l’impunità non potremo che dare battaglia” ed “io non mi sentirei di dare un voto favorevole”, dice senza giri di parole l’ex sottosegretario Vittorio Ferraresi, tra i pasdaran oltranzisti e giustizialisti come Giulia Sarti, Lucia Azzolina e ovviamente Alfonso Bonafede.

Proprio per questo, l’ipotesi della fiducia fa paura ai più: aprirebbe un bivio cieco, in particolare prima
dell’inizio del semestre bianco. In mattinata un gruppo di attivisti della prima ora, con alla guida la consigliera regionale Francesca De Vito e supportati dagli ex pentastellati dell’Alternativa c’è, si sono fatti sentire davanti alla Camera richiamando gli eletti alla tutela dei principi fondativi del Movimento: “Il governo dei migliori si inventa l’improcedibilità come soluzione alle lungaggini processuali”, lo slogan. La strategia dei parlamentari per arrivare a dama potrebbe essere proprio quella di guadagnare tempo, obtorto collo, in commissione Giustizia prima dell’approdo in Aula, e così sarà.

Ma, di contro, ogni forzatura potrebbe essere controproducente. Altra nota dolente sono i malumori di chi continua a pensare che il nuovo statuto sia troppo “verticistico” e apra la strada, nei fatti, ad un partito tradizionale. Alcuni militanti romani sono arrivati a mettere a punto un documento in cui si invita non votare lo statuto di Conte perché ritenuto “illegittimo” e “antidemocratico” per 18 diverse ragioni. Su questo fronte, però, non ci sono negoziati possibili e il testo – frutto della ricomposizione dei ‘sette saggi’ – andrà ai voti il 2 e il 3 agosto. Intanto, l’antipasto della consultazione degli iscritti
sulla nuova piattaforma SkyVote è la scelta del candidato sindaco di Torino del Movimento 5 Stelle.

La terza grana è il nervosismo crescente sul titolare del Mite, Roberto Cingolani, che ha raggiunto un livello d’allerta. Le perplessità sul suo operato sono state esplicitate anche nella riunione dei parlamentari con Conte. Gli eletti hanno chiesto all’ex premier di guidare il Movimento nella difesa delle riforme simbolo messe in campo in questi anni, dalla giustizia all’ambiente. Nessun intervento da parte dei big, ma Roberto Fico in giornata si è mostrato fiducioso: “I detrattori dicono che il Movimento è finito ma siamo ancora qui e adesso partiremo più forti di prima“. Tante belle parole…

 

mario draghi

L’imperativo di Draghi è rispettare l’impegno al via libera alla riforma alla Camera entro agosto

Resta l’imperativo di Draghi: rispettare l’impegno al via libera alla riforma alla Camera entro agosto (quando, il 3 agosto, si entrerà in un semestre bianco che si annuncia di certo assai turbolento).

Ecco perché si prepara a mettere la fiducia se la calendarizzazione del ddl sulla riforma del diritto penale (oggi si terrà una conferenza dei capigruppo sul tema) non dovesse rispettare la tempistica prevista e, dunque, slittare a settembre, come il ddl Zan. Un ddl che, nato morto, finirà presto per spiaggiarsi. Con i voti segreti, la maggioranza dei pro-Zan, alla ripresa dei lavori d’aula (in questo caso del Senato), a settembre, finirà di sicuro ‘sotto’ e, a quel punto, il ddl Zan diventerà il ddl del ‘mai’.

Ecco, Draghi – cui dei diritti Lgbtq importa poco – ha imparato tecnicismi e furbizie parlamentari, compreso il filibustering: non vuole, ovviamente, che la sua riforma della Giustizia finisca ‘sotto’.

 

Una riforma che sta per essere sepolta sotto migliaia di emendamenti, quasi tutti (ben 961…) targati Cinque Stelle

Mario Perantoni

Mario Perantoni

Il guaio è che, in commissione Giustizia, presidente il per nulla ecumenico e bipartisan Perantoni (M5s), giacciono la bellezza di 1631 emendamenti, di cui oltre 900 (916) solo dei Cinque stelle. Perantoni, non vedeva l’ora, dunque, di scrivere al presidente della Camera Roberto Fico per manifestargli l’impossibilità di portare il testo in Aula il 23 luglio, come programmato, e che chiedere di fissare un’altra data. Un rinvio, insomma, ma di quanto tempo? Una nuova data potrebbe essere indicata nelle prossime ore o durante la prossima settimana. Si parla di un nuovo approdo in Aula ‘pronto’ per il 29 o 30 luglio, con discussione generale e poi voti sugli emendamenti, uno per uno, nella prima decade di agosto, voto rischioso perché, senza la fiducia, sono possibili eventuali voti segreti.

Al netto del fatto che i parlamentari dovranno posticipare le ferie e le varie località di vacanza già prenotate, non è detto che la manovra di un ben pezzo del M5s (se non di quasi tutti) – di certo quelli più oltranzisti e manettari – non riesca lo stesso, facendo saltare, a colpi di voti sui singoli articoli, la riforma o, almeno, di posticiparla a settembre, a prescindere dai numeri che la maggioranza avrà.

 

 Sarebbe lo scenario peggiore anche per il M5S, che, al di là delle posizioni pubbliche, all’interno dei gruppi teme una spaccatura – tra ortodossi e governisti – se si arrivasse all’aut aut della fiducia. Le pressioni sono altissime, sui pentastellati, soprattutto da una parte della mitica ‘base’ che ieri mattina è tornata in piazza per far sentire tutta la propria contrarietà alla riforma, ma in generale all’andazzo preso dal Movimento con lo Statuto. Importante sarà, in questa partita, il ruolo che giocherà il Pd.

I dem restano convinti che l’impianto della riforma Cartabia sia quello giusto, ma sono aperti a miglioramenti, che al Nazareno chiamano ‘tecnici’, anche per conservare intatto il filo dell’alleanza con i Cinquestelle, che intanto prova a smontare la narrazione che il testo sia frutto delle interlocuzioni con l’Europa nell’ambito del piano per il Recovery fund (il teorema del Fatto, appunto).

Al Nazareno comunque le sensazioni sono positive sul fatto che la mediazione possa portare a un risultato, anche in tempi brevi. Le modifiche al processo penale sono comunque un crocevia importante: per il governo, ma anche per le forze di maggioranza. E, ovviamente, i rispettivi leader.

Letta vuole mediare con i 5Stelle, Salvini e Renzi ‘tirare dritto’

enrico letta

Letta vuole mediare con M5s

In ogni caso, sia Enrico Letta, che pure spinge per la mediazione e tira il freno a mano – ma dopo aver dato una bella mano a Conte per smarcarsi da Draghi e dalla Cartabia minacciando sfracelli se le proposte del M5s sulla giustizia non fossero passate (forte la irritazione di Draghi, con Letta, grande la delusione della Cartabia, per Letta: due amici al governo in meno), sia Matteo Salvini, che attacca i Cinque stelle, sia Matteo Renzi, che già che c’è firma i referendum proposti da Radicali e Lega, ribadiscono l’impegno di tutti gli altri principali partiti al via libera alla riforma “entro l’estate”.

 Non a caso, oltre a FI e Italia viva, anche Matteo Salvini fa scudo al testo: “Ho profonda stima di Gratteri, ma non condivido le sue preoccupazioni“. Il leader della Lega tende la mando anche a Draghi: “Se il presidente del Consiglio riterrà di dover porre la fiducia, avrà il nostro sostegno“.

Renzi e Salvini

Renzi e Salvini

Ma, ormai, a questo punto, data la ingestibile mole degli emendamenti targati M5s, un voto di fiducia in Aula su un maxiemendamento presentato dal governo è lo scenario considerato più probabile, ma ancora non è chiaro se sarà messo su un testo blindato o su un testo frutto di un’intesa preventiva.

Roberto Fico

Roberto Fico

Il presidente della Camera, Roberto Fico dice di aver ascoltato le obiezioni di alcuni magistrati e, ieri impegnato nella tradizionale cerimonia del Ventaglio con l’ASP (Associazione stampa parlamentare), ovviamente, a una domanda su un’eventuale fiducia, frena: “Auspico un accordo di tutte le forze politiche con lavoro approfondito in commissione”. Insomma, anche Fico vuole evitare la fiducia.

Ma fonti democrat che seguono da vicino il dossier giustizia fanno capire che l’apposizione della questione di fiduciasarà inevitabile: non possiamo rischiare che la riforma Cartabia salti, a costo di spaccare i 5Stelle nel voto finale sul testo, anche perché alcuni di loro sono così oltranzisti e giustizialisti, al di là delle correnti di appartenenza, che finiranno comunque per votare contro”. 

Le pesanti critiche dei magistrati al ddl Cartabia giocano di sponda coi 5Stelle. Il governo sarà costretto a mettere la fiducia

gratteri

NICOLA GRATTERI PROCURATORE REPUBBLICA

Al centro delle critiche dei magistrati – subito rilanciate dal M5s – ci sono, come si sa, le norme che fanno terminare il giudizio di appello per improcedibilità dopo due anni (tre per i reati più gravi) e la Cassazione dopo un anno (18 mesi per i più gravi). Secondo l’Anm quelle norme “eliminano” i processi senza accompagnarsi a “una misura acceleratoria” che assicuri una ragionevole durata dei processi. Si fa “un favore alle mafie”, ha detto, durissimo, il capo della Procura di Catanzaro Nicola Gratteri. Ma Cartabia, che martedì scorso a Napoli ha toccato con mano le difficoltà di uno dei tribunali con i tempi di giudizio più lunghi d’Italia, ribatte che il governo è “consapevole di quello che fa” e lavora proprio per combattere il “gravissimo” vulnus della durata eccessiva dei processi, anche implementando i concorsi e con l’assunzione di 16500 addetti all’ufficio del processo.

Ma non andrà in fumo – ribatte agli attacchi la ministra Cartabia nell’aula della Camera – nessuno dei procedimenti per mafia, sia perché per i reati più gravi c’è la possibilità di prorogare il termine di due anni fissato in appello per l’improcedibilità, sia perché “i procedimenti che sono puniti con l’ergastolo – e, spesso, lo sono quelli per mafia – non sono soggetti ai termini dell’improcedibilità“. Motivazione chiara e ineccepibile, anche se assai poco ascoltata e bene accolta, dalle truppe pentastellate. 

m.cartabia

La Ministra Cartabia

E, infatti, poco dopo la fine del question time con la ministra Cartabia, i deputati del Movimento componenti della commissione Giustizia della Camera replicano subito alle sue parole con una nota puntuta e irsuta in cui osservano che “i processi contro la grande criminalità non si esauriscono con i maxi-processi nei confronti dei vertici delle organizzazioni” e che solo in piccola parte riguardano reati condannati con l’ergastolo. L’obiettivo del M5s, spiegano fonti di maggioranza, sarebbe quello di indicare espressamente i reati per mafia, terrorismo e anche contro la Pa tra quelli imprescrittibili.

Roberto Fico e Luigi Di Maio

Roberto Fico e Luigi Di Maio

Poi, certo, la mediazione con Conte, portata avanti sull’asse via Arenula-Palazzo Chigi con il supporto dell’area più governista del Movimento (Di Maio e Fico), al momento mirerebbe a non stravolgere la riforma ma di intervenire con modifiche puntuali. Ad esempio il Pd preme per ampliare la norma transitoria che disciplina l’entrata in vigore della riforma e che secondo la stessa Cartabia “consentirà agli uffici in maggiore difficoltà di adeguarsi e di sfruttare le occasioni degli investimenti e anche della digitalizzazione per poter essere al passo con i tempi” e ridurre la durata dei procedimenti, così da dar modo a tutti di concludere il processo di appello in meno di due anni.

 

La possibile ma stretta via per una mediazione: le proposte dem

alfredo bazoli scaled

Alfredo Bazoli

L’idea –ci spiega Alfredo Bazoli, capogruppo in commissione Giustizia del Pd e raffinato esperto dei temi della giustizia – sarebbe quella di far entrare a regime la nuova prescrizione dal primo gennaio 2025 e intanto stabilire che l’appello possa durare tre anni e la Cassazione un anno e mezzo o due”. La soluzione gradita ai dem – ma anche al governo, e al ministero di via Arenula, da quanto trapela – è già è stato ribattezzato ‘lodo Bazoli’, il quale – deputato cattolico e bergamasco – si schernisce così: “noi forniamo delle idee e le mettiamo a disposizione di tutto il governo”. Se la mediazione passerà – con un emendamento del governo e/o direttamente della ministra, e sempre, però, accompagnandolo con l’apposizione della questione di fiducia che i 5Stelle non vogliono, facendo decadere tutti gli altri, sarà merito suo e di un Pd che cerca di tener ‘per la cintola dei pantaloni’ 5S sempre più indisciplinati.

M5S PD

Pd e M5S

Altra ipotesi in campo, in queste ore febbrili di mediazione, è quella di far scattare il computo della prescrizione non dal deposito delle motivazioni di primo grado ma da quando si presenta l’impugnazione. E c’è pure chi ipotizza un’estensione dei reati cui si applica l’appello di tre anni.

Intanto, però, la commissione Giustizia della Camera non può far altro che certificare lo stallo. Il presidente M5s della commissione Giustizia, Mario Perantoni, scrive al presidente della Camera Roberto Fico perché con la capigruppo decida (la decisione sarà presa oggi, ndr.) una nuova data per l’approdo in Aula della riforma Cartabia, sostenendo che il rinvio sarebbe “una opportunità di dialogo“.

Ma a chi, come il Pd, chiede almeno di iniziare in commissione ad esaminare i testi, i Cinque stelle, che hanno presentato oltre 900 emendamenti, di cui un’ottantina qualificanti (e alcuni soppressivi sic et simpliciter della riforma: un bel primato per una forza politica che, fino a prova contraria, sta ‘al governo’ e non all’opposizione: di fatto un atto di sfiducia palese all’operato della ministra) oppongono un deciso no. Prima bisogna tenere la conferenza dei capigruppo (e lì trovare l’intesa) poi si parte.

 

Il ddl Cartabia finirà ‘spiaggiato’ come il ddl Zan? No, affatto.

Morale, sulla giustizia comandano i 5Stelle: nei rapporti con il Pd – in questo caso partito ‘suddito’ e ‘vassallo’ – e in parte anche con Draghi, il  cui potere di ‘ricatto’ (la possibilità di salire al Colle, dimettersi e chiedere elezioni politiche anticipate) , è frenato dal countdown per l’arrivo di quel semestre bianco che prevede, dal 3 agosto in poi, che non potranno più essere sciolte le Camere.

mattarella

Il capo dello Stato Sergio Mattarella

Draghi sta per ritrovarsi, dunque, senza un partito, l’M5s, membro della sua coalizione di governo – il principale, per numero, in Parlamento – che lo spalleggi veramente, con una riforma della Giustizia bloccata alla Camera, che slitta sempre in fondo al calendario e chissà se vedrà la luce ad agosto, che ha numeri ballerini e con una maggioranza che, per quanto larga sia, rischia di trovarsi i batti-quorum. Sarebbe una fine molto triste e ingloriosa per una riforma importante e cruciale, anche perché ricorda molto da vicino quella sul ddl Zan: di rinvio in rinvio si apre l’orizzonte, poi si richiude, intanto il tempo passa, la gente si dimentica, poi bisogna aggiungere una cosa là e una qua e, ops, ecco che la legislatura è finita e tanti saluti. Potrà rimanere ‘l’anno del mai’ quello della riforma Cartabia? Draghi farà di tutto per impedirlo. La Cartabia pure. Entrambi, si capisce, con la benedizione di Mattarella.