“Hanno tutti ragione”… Draghi nuovo ‘federatore’, le troppe correnti del Pd, le mosse di Letta per il congresso

“Hanno tutti ragione”… Draghi nuovo ‘federatore’, le troppe correnti del Pd, le mosse di Letta per il congresso

16 Settembre 2021 1 Di Ettore Maria Colombo

“Ma il governo Draghi è il nostro governo?”. La linea ondivaga di Letta, i dubbi dentro il Pd, la suggestione dem su Draghi che, nel ricordare Andreatta, tutti gli ulivisti si ‘coccolano’ nella speranza che voglia federarli e guidarli e la ‘tentazione’ del segretario: congresso anticipato

Il Presidente del consiglio Mario Draghi

Il Presidente del consiglio Mario Draghi

 

Nb: questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2021 sul sito di notizie The Watcher Post 

 

Draghi, a Bologna, ricorda Andreatta: Letta sorride, Prodi esulta, Bonaccini incita Draghi che ri-sorride

Draghi, a Bologna, ricorda Andreatta

Draghi, a Bologna, ricorda Andreatta

 Ma il governo Draghi è il ‘nostro’ governo?” si chiedono, cogitabondi, dentro il Pd. La risposta – oggi pare così, ma molto dipende dai giorni – è ‘sì’. Lunedì, infatti, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, si è presentato in quel di Bologna, per intitolare l’Aula Magna della “Bologna Business School” a Beniamino Andreatta. Il premier ha definito l’ex ministro Andreatta un riformatore paziente e lungimirante dell’economia italiana. Un protagonista appassionato del dibattito europeo. Un punto di riferimento della vita accademica di Bologna, la sua città adottiva”. Ma era anche uno, Andreatta, che diceva “le cose vanno fatte perché si devono fare” (e ogni riferimento al dibattito sul Green Pass è puramente voluto…).

zuppi papa francesco

Monsignor Zuppi, prete ‘di strada’ elevato, da Papa Francesco I, a cardinale

Enrico Letta – che di Andreatta è stato l’allievo più giovane e capace – lo aspettava sulle scale. Monsignor Zuppi, prete ‘di strada’ elevato, da papa Francesco I, cardinale, gli ha fatto grandi feste. Romano Prodi stesso – che pure ancora rimpiange ancora di non essere riuscito a ‘scalare’ il Colle, nel 2015, come ancora gli rimprovera Matteo Renzi (“è un rancoroso“, ma non lo appare) e che ha appena dato alle stampe la sua prima autobiografia (“Strana vita la mia“, Solferino ed.) – era in brodo di giuggiole, lui che di Andreatta fu il ‘figlio’ più grande, il migliore. Stefano Bonaccini, governatore della rossa Emilia-Romagna, che un giorno sembra voglia ‘sfidare’ Letta a singolar tenzone e un giorno, invece, no, che ha salutato – racconta il Foglio – il capo di gabinetto di Draghi, Antonio Funiciello, come si saluta un vecchio amico e ha detto a Draghi “Dai! Dai!” (al che ha risposto “ci si prova!”) e sempre Prodi sembrava dire ‘ma guardatelo, è il nostro fiore migliore, e ‘voi’ lo volete tenere in panchina?! Facciamolo nostro! E’ nostro…’.

Antonio Funiciello

Il capo di gabinetto di Draghi, Antonio Funiciello

Letta e Draghi, Prodi e Draghi, Zuppi e Draghi si sono ‘parlati’ anche in via riservata, cosa si sono detti non si sa, forse hanno parlato solo del fulgido esempio di Andreatta, forse di politica. Forse di ‘politica’ del futuro, con Mario Draghi nuovo ‘campione’novello Dini, novello Monti, ma sarebbe meglio dire, stando a Bologna, novello Prodidel centrosinistra ‘del futuro’ nelle vesti, ovviamente, del suo ‘Grande Federatore’…

Il ‘fil rouge’ che lega Andreatta, Prodi, Parisi, Letta

Draghi a Bologna

Draghi a Bologna

Certo, Draghi ha sorvolato sulla sua attività politica (non era proprio il caso, ecco…), ma Andreatta, storico esponente della Dc, ala ‘tecnocratica’, o Dc dei ‘professori’, è anche colui che – prima di Romano Prodi, prima pure di Arturo Parisi (tutta da leggere l’intervista di quest’ultimo a, Marco Damilano, direttore de L’Espresso in edicola da questa domenica: “Ho perso, ma non mi sono perduto” il titolo, dove Parisi racconta cinquant’anni di battaglie ‘uliviste’ condotte sempre a viso aperto), per dire – si è letteralmente ‘inventato’ il centrosinistra della Seconda Repubblica e l’Ulivo.

Andreatta e Prodi

Andreatta e Prodi

Senza dire del fatto che il figlio, Filippo Andreatta, professore di Scienze Politiche a Bologna, è un amico personale di Enrico Letta, nonché suo discreto, ma efficiente, consigliere. Insomma, se mai – e mai dire mai – Draghi ‘scenderà’ o ‘salirà’ in Politica (quella attiva), dove potrebbe farlo se non lungo il solco tracciato – alla fine della Prima Repubblica – dal primo ‘prof’ per eccellenza, cioè proprio Andreatta? L’Ulivo, il centrosinistra, forse anche, con i ‘giallorossi’, i 5S, ma solo se realmente ‘pacificati’, cioè diventati ‘liberali, europeisti, moderati’, uno schieramento che, quello sì, potrebbe dare vero filo da torcere a un centrodestra che, almeno a livello nazionale, sembra ‘predestinato’ – stante il 47-50% nei sondaggi – a vincer le prossime elezioni politiche.

arturo parisi

Arturo Parisi

E questo a prescindere sia da quando si terranno (nel 2023, come è probabile, o invece nel 2022?), sia dal sistema elettorale con cui si terranno (l’attuale Rosatellum, per un terzo maggioritario, un sistema proporzionale, come vorrebbero i 5S, o un sistema maggioritario a doppio turno, come vuole il duo teste d’uovo dem Ceccanti e Parrini).

Il Letta-schema: Draghi ‘almeno’ fino al 2023

Mattarella Draghi

Il presidente Mattarella e Mario Draghi

In ogni caso, sembra fatta. Il governo Draghi ‘è’ il ‘nostro’ governo, sembra dire il Pd, e il premier ‘deve’ restare a palazzo Chigi “almeno fino al 2023” come ripete, ormai da mesi, sempre Letta.

Al Quirinale, nel 2002, andrà qualcun altro, ancora da trovare, o – chissà – tornerà l’attuale presidente, Sergio Mattarella (che non vuole, però, concedere alcun ‘bis’) e a votare si andrà nel 2023, a scadenza ‘naturale’ della legislatura.

Salvini e Meloni

Salvini e Meloni

Salvini – e pure la Meloni, cui Letta ha ‘aperto’, per un suo coinvolgimento nella scelta del nuovo inquilino del Quirinale, sempre lunedì scorso, alla presentazione del libro di Fabrizio Roncone, “Razza poltrona” (Solferino editore), a Roma – dovranno farsene una ragione e, forse, almeno la Meloni sembra proprio che se la sia già fatta (“Non mi piace, ma penso che resterà Mattarella” ha detto la leader di FdI, parlandone con Letta).

Ma il governo Draghi è davvero ‘il nostro governo’? Nella sinistra dem non lo pensano per niente…

Goffredo Bettini

Goffredo Bettini

Messa così, sembra facile, netta, comprensibile. Peccato che un pezzo del Pd ‘non’ è d’accordo. Goffredo Bettini, per dire, uno che preferisce andare alle Feste del Fatto quotidiano, non è affatto d’accordo: vorrebbe ‘spedire’ Draghi al Quirinale e andare a votare in via anticipata per ‘giocarsela’ (sic) contro il centrodestra, e subito, nel 2022.

Orlando andrea

Orlando Andrea

La sinistra interna non è d’accordo: né il ministro Orlando, pare, e neppure gli ex zingarettiani e neppure l’ex ministro, nuova stella nel firmamento della sinistra dem, Provenzano. Vorrebbero, ‘loro’, andare a votare prima possibile, forse pure tenere un congresso anticipato, ‘sfidare’ la leadership di Letta – in modo ‘amichevole’, da ‘bon amì’, si capisce – spostare l’asse del partito sempre più a sinistra, stringere i bulloni dell’alleanza con i 5Stelle che, oggi guidati da Giuseppe Conte, ‘sognano’ la stessa cosa: alleanza stretta a tre (Pd-M5s-LeU), nessun rapporto con i ‘reprobi’ renziani, calendiani, boniniani, centristi di varia natura (quel piccolo mondo che veleggia a, e pure questo va detto, modeste percentuali e che sta tra Iv-Azione-+Europa), Draghi messo in condizione di ‘non’ nuocere, spedendolo, appunto, al Quirinale, Conte leader.

La linea di Letta appare, agli osservatori, ‘ondivaga’, ma non lo è: deve pur fare “di necessità virtù”…

Enrico Letta

Enrico Letta

E così, nei giorni pari Letta fa proposte di super ‘sinistra’ (la patrimoniale per i ricchi, il ddl Zan, lo ius soli, il voto ai 18enni) e, nei giorni dispari, si appoggia alla ‘destra’ interna (gli ex renziani), rilanciando l’azione di Draghi, rafforzandone l’azione (contro Salvini e non solo), appoggiandone le riforme, ma anche sottraendolo alla corsa per il Colle, per ‘preservarlo’ in futuro e, chissà, magari proporgli il ruolo di ‘federatore’ del centrosinistra. A Draghi, cioè, e non a Conte, neppure citato per sbaglio, peraltro, da Letta, alla festa di chiusura della Festa nazionale dell’Unità.

guerini

Lorenzo Guerini

Insomma, un giorno – come lunedì scorso – si capisce benissimo che Letta vuole “fare sua” la famosa ‘agenda Draghi’, come gli ha chiesto, in modo secco, il ministro Lorenzo Guerini (la cui assenza, al comizio di Letta, è stata assai notata, e molto chiacchierata, ma confida Guerini ai suoi: “Ero via per ragioni personali, Enrico lo sapeva”), uno che, di solito, non parla ‘mai’ di politica (non in pubblico almeno, proprio come Franceschini).

Enrico Morando

Enrico Morando

Un giorno, invece, Letta lo fa lui, il ‘gauchiste’, la sinistra interna è felice, la destra interna bolle. Come è successo al convegno dell’area liberal, Libertà eguale, capeggiata da Enrico Morando, che ha rimproverato al Pd di aver ‘smarrito’ la via (del riformismo, dell’agenda Draghi, etc. etc. etc.) e ‘minaccia’ di candidare il suo vero ‘beniamino’, Stefano Bonaccini, al congresso ‘contro’ Letta.

Bonaccini

Stefano Bonaccini

Anche se – va detto – le minacce della destra dem sono al livello del noto ‘chiacchiere e distintivo’ che rimproverava, allo sceriffo, il boss Al Capone, come si è visto nel caso Bologna: ex renziani ‘epurati’ dalle liste a sostegno di Matteo Lepore e ‘riformisti’ che hanno blandamente protestato, senza fare, in buona sostanza, neppure un plissé.

La verità è che il nuovo segretario, dentro il Pd, non ha una sua maggioranza congressuale, che risulta, ancora oggi, quella eletta con Zingaretti: 66% di tutti gli organismi dirigenti agli ormai ex zingarettiani, il restante 44% diviso tra le mille altre correnti interne, da Base riformista in giù. Ecco perché, più che una ‘minaccia’ altrui, anticipare il congresso può ‘convenire’ a Letta, per dotarsi di una maggioranza sua, stabile, certa, certificata, come era per Zingaretti (e come era, prima di lui, per Renzi e, prima ancora, per Bersani) e poter finalmente ‘dare le carte’ senza doversi, ogni volta, appoggiare alla destra o alla sinistra.

La ‘mossa’ futura di Letta: anticipare lui il congresso

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Romano Prodi ed Enrico Letta

Letta – che ha tanti difetti, ma non è stupido – ha capito la manovra dei suoi avversari interni (la destra interna come la sinistra interna): ecco perché potrebbe anticiparlo lui, il congresso, rilegittimarsi con un ‘bagno di folla’ – il ‘lavacro’ delle primarie, quelle in cui, Prodi docet, “deve scorrere il sangue” – e spiazzarli, scompaginarne le fila, rottamarli, specie se vincerà, come è molto probabile, le prossime elezioni amministrative di ottobre, almeno le sfide più importanti nelle grandi città. Ma, dentro la Assemblea nazionale, la maggioranza dei voti ce l’hanno gli ormai ‘ex’ zingarettiani, una partnership e una ‘primazia’ che Letta potrebbe volersi presto scrollare di dosso.

Ecco perché, dunque, il segretario un giorno si appoggia agli ex renziani di Base riformista – che, come i liberal di Enrico Morando – sono ‘super’ tifosi di Draghi, ‘draghiani’ a 36 denti, e un giorno si appoggia alla sua sinistra interna, che invece Draghi, come Conte, assai mal sopporta.

Un congresso ‘purificatore’, dunque, un ‘bagno’ di folla – i milioni di votanti che affollano, come sempre, le primarie – per rilanciare sé stesso, oltre che per rilanciarsi, sarebbe l’idea di Letta. Ma, come sempre, si vedrà. Troppo presto, oggi, per dire cosa succederà. Certo è che se, nei seggi e nelle urne, i voti si ‘contano’, pure le primarie servono a quello.

Ecco perché chi parlava – anche su queste colonne – di congresso ‘anticipato’ – che, per Statuto, va convocato a ottobre del 2022, non oltre, e celebrato nei sei mesi seguenti, così ha deciso la commissione congressuale del Pd, a fine agosto – forse non ha tanto sbagliato, nell’analisi. Letta ha fatto sapere, con una dura nota alle agenzie, che “fantasiose ricostruzioni giornalistiche” dicono che il congresso non si terrà in via anticipata, ma che lui, invece, è in carica fino a marzo del 2023 (tradotto: le liste per le prossime elezioni le faccio io, il che è, peraltro, assai vero) e che “di congresso anticipato non se ne parla”. Si vedrà. Col Pd, ogni giorno ha la sua pena.

Nel Pd non sono d’accordo neppure su ‘chi è’ l’erede del dirigente migliorista del Pci Emanuele Macaluso…

emanuele macaluso

Emanuele Macaluso

Nel Pd, del resto, spesso si litiga anche sulle ‘quisquilie’ e le ‘pinzillacchere’, direbbe Totò. Per dire, quando al convegno di ‘Libertà eguale’, l’area di cultura, pensiero politico e filosofico, guidata da Enrico Morando, abbiamo ascoltato ‘rivendicare’ l’eredità, politica e spirituale, dell’ex senatore, e leader dell’area migliorista del Pci, Emanuele Macaluso, abbiamo subito pensato che Peppe Provenzano, che di Macaluso si professa ‘erede’ se ne sarebbe assai adontato. Così – ci hanno detto – effettivamente è stato.

Giuseppe Provenzano

Giuseppe Provenzano

Dunque, chi è il vero ‘erede’ di Macaluso, nel Pd? Una ‘domanda dalle cento pistole’, in effetti, nel senso che, oggettivamente, della cosa – pur nobile – interessa poco o punto a quasi nessuno. Resta il busillis. I ‘riformisti’ liberal di Morando? I ‘gauchiste’ di sinistra alla Provenzano? Boh… (Macaluso ce lo ricordiamo, lo abbiamo avuto come ultimo direttore al vecchio ‘Riformista’: oggettivamente, era un ‘destro’, garantista e migliorista a tutti gli effetti, oltre che, come si sa, amico personale di Giorgio Napolitano. Su di lui è uscita una biografia di Concetto Vecchio,L’ultimo compagno. Il romanzo di una vita”, Chiarelettere, Milano, 2021, il titolo dice tutto…). In ogni caso, ci sono assai cadute le braccia, ad assistere a un dibattito di tale ‘tenore’ storiografico…

Un covo di pericolosi riformisti, i liberal dem, che puntano a una ‘federazione’ con i piccoli centristi

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi

Ma tornando al tema della politica più urgente, a Orvieto, nella sua relazione introduttiva, Morando ha rivendicato con forza, sia pure in uno schema politico che resta fedele all’obiettivo del bipolarismo, “l’esperienza altamente positiva dell’attuale governo”, suggerendo “al Pd e ai partiti minori del centro-sinistra un consapevole sforzo di convincere quella maggioranza di italiani che valuta positivamente l’esperienza Draghi e desidererebbero che essa proseguisse che l’unico partito/schieramento in grado di impegnarsi in modo esplicito e credibile per garantire loro il conseguimento di questo obiettivo è il Pd/centrosinistra”. E la filosofa Claudia Mancina, nelle sue, di conclusioni, è andata ancora oltre, chiedendosi perché non si debba formare un raggruppamento politico attorno a Draghi per andare alle prossime elezioni con lui, Draghi, come candidato premier.

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Benedetto Della Vedova

Intanto, a Orvieto, notava, ieri, su il Sole 24 ore, con Emilia Patta, se di pentastellati non se ne sono visti, hanno preso la parola tra gli altri il leader di +Europa, Benedetto Della Vedova, i renziani Luigi Marattin ed Elena Bonetti, l’ex forzista Fabrizio Cicchitto, l’ex leader sindacale, vicino a Carlo Calenda, Marco Bentivogli. Volti della “diaspora rifomista” che nei prossimi mesi potrebbero ritrovarsi in una casa comune. “Ma noi non abbiamo intenzione di fondare un partito, per il momento”, puntualizza Mancina. Per ora. Prima bisogna vedere gli effetti delle comunali di ottobre e anche di quelle future. 

Forse, sulle correnti, però, aveva ragione Letta… Sono dodici, forse tredici: decisamente troppe

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Tredici: decisamente troppe

Certo, forse aveva ragione Enrico Letta, quando diceva, all’atto dell’accettazione della candidatura a segretario dem, avvenuta a febbraio scorso – sembra, ormai, un’era geologica fa, invece sono passati pochi mesi, in ogni caso si tratta di una croce da ‘cireneo’ che un politico ‘democratico’, dotato di senno, dovrebbe mai accettare… – che “Sono stato un uomo di corrente per tutta la mia vita, però un partito che lavora per correnti, come qui da noi, non funziona. Dobbiamo superare insieme questa sclerotizzazione”. Belle parole, ma zero risultati concreti, almeno a un primo bilancio. 

Le correnti del Pd, se possibile, a far data dalla sua elezione, sono proliferate e aumentate di numero, un piccolo ‘esercito’ di tanti gruppetti. Oggi sono un’enormità, almeno per un partito che non sfonda il ‘muro’ del 20%, nei sondaggi. Ne abbiamo contate 12 (dicasi, dodici), ma forse sono di più, tipo tredici, dipende come le conti.

Paola De Micheli

Paola De Micheli

Partendo da sinistra, e andando verso destra, ci sono gli ex zingarettiani (Vaccari, Furfaro, Oddati) di ‘Proxima’, legati all’ultimo segretario, e che godono del 66% dei voti all’interno dell’Assemblea nazionale, il parlamentino dem, quello che – se vuole – elegge un segretario, come avvenuto con Letta, e che – di sicuro – convoca un nuovo congresso, decidendo quando. L’area di Paola De Micheli(“Rigenerazione democratica”), la quale coltiva, pare, persino velleità da futuro ‘leader’ del Pd. Poi c’è pure “Energie democratiche” di Anna Ascani (ex lettiana, ex renziana, ex zingarettiana, etc.). Poi, c’è, soprattutto, la corrente della sinistra interna, ‘Dems’, capitanata dall’attuale ministro al Lavoro, Andrea Orlando, ma dalla quale l’ex ministro ‘rosso’, Peppe Provenzano vorrebbe autonomizzarsi per costruirne una nuova, tutta sua, per ‘scalare’ il Pd e candidarsi a segretario, quando sarà possibile.

anna ascani

Anna Ascani

Poi, Le ‘Agorà’ (da ‘non’ confondere con il progetto delle ‘Agorà’ lanciate da Letta…), di Goffredo Bettini, ideologo di Conte oggi e Zingaretti ieri (aderiscono Roberto Morassut e Monica Cirinnà: una corrente per tre persone…). Poi c’è Sinistra dem di Gianni Cuperlo (e pure qui sono solo in tre: lui, Barbara Pollastrini e, forse, qualcun altro…).

Dario Franceschini

Dario Franceschini

Poi, i Giovani turchi di Matteo Orfini e Francesco Verducci, l’area liberal di ‘Libertà eguale’ di Enrico Morando, che si è trovata da poco a Orvieto (vi ritorneremo), forse la più ‘antica’ corrente dem. Palmares che si contende con ‘Area dem’, guidata da Dario Franceschini, il ‘solito’ Franceschini, sempre ministro, da anni, quello che – se vuole, quando vuole, come vuole – si sposta, cambia idea, e – oplà – ecco che un vecchio segretario viene deposto e un nuovo segretario trova la luce, lo spazio, la nomina…

serracchiani

Debora Serracchiani

Poi c’è – ultima nata, evviva! – “Comunità democratica” di Graziano Delrio e Debora Serracchiani che preferiscono, però, la dicitura di ‘sorgente’ di pensiero (sic), nati dalle ceneri dell’ex corrente di Maurizio Martina – il quale, per non saper né leggere né scrivere – ha pensato bene di andarsene a lavorare alla Fao, pur se l’altro sfidante di Zingaretti al congresso, Roberto Giachetti ha fatto di più: si è scisso e andato in Iv.

maurizio martina

Maurizio Martina

E, infine, c’è la più famosa di tutte, Base riformista, gli ex renziani capitanati da Lorenzo Guerini e Luca Lotti, che è anche la più numerosa e agguerrita, dentro i gruppi parlamentari (una sessantina su 138 parlamentari tra deputati e senatori).

 Fa dodici, ma forse sono tredici, dipende dai punti di vista, dagli stati d’animo del momento e stante che il nuovo segretario ha deciso che lui, una corrente, che pure ce l’aveva, quella dei ‘lettiani’ (lo erano De Micheli, Boccia, etc.) ha deciso, per coerenza, di non volerla fondare.

Letta e i giornali: una croce e delizia quotidiana, o come direbbe Sorrentino, “hanno tutti ragione”…

Paolo Sorrentino

“Hanno tutti ragione” direbbe Paolo Sorrentino

Forse, infine, hanno ragione gli uomini vicini al segretario (a ogni segretario, succedeva pure con Zingaretti, succedeva persino con Renzi…) quando lamentano che la stampa – cioè, i ‘giornali’, ma oggi ci sono pure i siti Internet, e manco quelli ‘aiutano’ (Mario Lavia, su L’Inkiesta, per dire, si è specializzato nell’arte di ‘fustigatore’ del Pd…) – sono sempre ‘nemici’ e ne leggono le paginate facendosi il ‘sangue amaro’ perché, ogni giorno, è un fiorire di critiche, di ditini alzati, di polemiche.

Forse, infine, hanno ragione i ‘normali’ militanti dem, quelli che non vivono dentro torri eburnee, che non fanno ‘giochetti’ alle spalle, che non ‘tramano’ per ‘defenestrare’ il segretario di turno e che, “oh, ma insomma! Non va mai bene uno! Ogni giorno criticate! Il segretario non si tocca!”.

Ecco, forse hanno tutti ragione (“Hanno tutti ragione” come direbbe Paolo Sorrentino) – il segretario, i suoi uomini, la ‘base’ del partito – ma è pur vero che, anche oggi, vanno ripresi i fili e raccontati i tormenti e i patemi che vive, da mesi, il Pd. Senza fare sconti, che ogni giorno ha la sua pena, come si sa, ma il Pd bisognerà pur raccontarlo, ecco…