“La vittoria è di Pirro?”. Il Pd vince a valanga ovunque, Letta diventa fortissimo, Conte debolissimo. Analisi e prospettive dei ‘giallorossi’

“La vittoria è di Pirro?”. Il Pd vince a valanga ovunque, Letta diventa fortissimo, Conte debolissimo. Analisi e prospettive dei ‘giallorossi’

5 Ottobre 2021 1 Di Ettore Maria Colombo

Sommario

“Una vittoria di Pirro”? Il Pd e il centrosinistra vincono le comunali in modo trionfale, ma i 5S sono ridotti ai minimi termini, la sinistra radicale pure e le ‘fregole’ di molti per urne anticipate aumentano. Ora, però, Letta comanderà le truppe dem dal Parlamento per ‘spianare’ la minoranza renziana. Probabile la ‘chiama’ a un congresso anticipato. Analisi e prospettive degli ex ‘giallorossi’ tra gioie e dolori

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Nb: questo articolo è stato pubblicato, in forma sintetica, su Tiscalinotizie.it il 5 ottobre 2021

Una vittoria di Pirro? Il Pd vede il bicchiere strabordare…

Vittoria di Pirro: una vittoria che è stata ottenuta al prezzo di sacrifici e aspetti negativi eccessivi, sproporzionati

Vittoria di Pirro: una vittoria che è stata ottenuta al prezzo di sacrifici e aspetti negativi eccessivi, sproporzionati

La si potrebbe chiamare, anche, volendo, una “vittoria di Pirro”. Nelle Guerre Pirriche, tra il 280 e il 275 a. C., Pirro, re dell’Epiro, cognato di Alessandro il Macedone, oltre che il Grande, venne la sciagurata idea di sbarcare in terra italica, dove la città di Taranto lo aveva chiamato in soccorso, e a cui capitò di vincere ben tre battaglie tre (tra cui a Eraclea e ad Ascoli Satriano), ma a costo di sacrifici immani, e perdite sanguinose, per il suo esercito, così devastanti che, alla fine, i Romani, allora agli albori del loro dominio, ebbero facile ragione delle sue truppe, ormai decimate, nell’ultima battaglia campale, quella di Maleventum (ribattezzata, per l’occasione, Beneventum…) e Pirro ci perse, oltre alla guerra, pure il regno e poi financo la vita, da cui appunto il detto ‘vittoria di Pirro’ …

astensionismo elezioni

Astensionismo alle elezioni, scarsa partecipazione

Ecco, a voler vedere il bicchiere mezzo vuoto, questo sembra, il risultato del primo turno delle elezioni amministrative di ieri in 1192 comuni, tra cui 20 capoluoghi di provincia e, soprattutto, sei grandi città italiane (vi rimandiamo, per i risultati, ai diversi siti Internet), una vittoria di Pirro. e non, come lo vedono nel Pd, il bicchiere, cioè non mezzo pieno, ma proprio pieno pieno, traboccante di acqua brillante. Infatti, più che per i ‘meriti’ del centrosinistra, e del Pd, queste elezioni comunali e amministrative, più che vincerle il centrosinistra, le ha perse il centrodestra (tema, però, non oggetto di questo articolo): astensionismo alle stelle, candidati tutti sbagliati, liti continue dentro la coalizione, scandali uno di seguito all’altro, tra Salvini e la Meloni, tra Lega e FdI, Berlusconi furente, negli ultimi giorni, contro i suoi alleati, ma assente, e per troppo tempo, dalla scena. E, come se non bastasse, a spargere sale sulle ferite di una coalizione, il centrodestra, che ‘in potenza’ (ma, da ieri, non ‘in atto’) ha dimostrato una incapacità totale di parlare al ‘cuore’ del Paese, le periferie come i ceti urbani, in ogni grande città.

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I tre leader del centrodestra: Berlusconi, Meloni e Salvini

Ma, che dire?, guai loro, del centrodestra e di leader che, per i più vari motivi, più ‘ammaccati’ di così non si poteva immaginarli, dopo aver goduto delle ‘fortune’ nei consensi e nei sondaggi, che – direbbe Arturo Parisi – oltre che ‘perdere’ hanno preferito “perdersi”.  Ma, ripetiamo, non è q l’oggetto di questo articolo, e – ripetiamo – guai loro. Dentro il Pd, e nel centrosinistra, il bicchiere lo vedono, appunto, bello pieno, e solido.

Le parole di Losacco Alberto (“chi era costui?”) indicano che, stavolta, il ‘partito’ è unito…

Le parole di Losacco Alberto ("chi era costui?") indicano che, stavolta, il ‘partito’ è unito…

Le parole di Losacco Alberto (“chi era costui?”) indicano che, stavolta, il ‘partito’ è unito…

Le schiaccianti vittorie di Milano, Napoli, Bologna e delle suppletive a Siena con l’elezione del segretario Letta. Gli ottimi risultati in tutte le grandi città che andranno al ballottaggio, a cominciare da quello di Roma, dove si è giocata la partita più complicata. Questi numeri, sommati a quelli di tutti gli altri comuni, parlano chiaro: il Pd e il centrosinistra sono i vincitori di questa tornata elettorale”. dice il deputato Losacco.

Il lavoro sulla coalizione e i candidati che abbiamo espresso – spiega Losaccohanno mandato in crisi un centrodestra che in tre delle sei grandi città non arriva neppure al ballottaggio e che a Roma è momentaneamente primo solo per le divisioni nel nostro campo (la lista Calenda, ndr). E’ la riprova – conclude Losacco con una nota (lunga) e diramata a tutte le agenzie che, oggi, nessun organo di stampa riprenderà (siamo pronti a scommetterci sopra, ndr.) che la strada per battere le destre è quella del nuovo centrosinistra, una coalizione larga, inclusiva e in grado di rappresentare quell’Italia che chiede concretezza e responsabilità di governo. Un lavoro che riparte per dare a tutte le città dove si vota al secondo turno amministrazioni all’altezza della loro storia e valore”.

Area dem (Franceschini) fa e disfa da sempre ogni tela, dentro il Pd. Letta ‘chiamerà’ il congresso?

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Dario Franceschini

Chi lo dice? Enrico Letta? No. Allora Andrea Orlando o Beppe Provenzano, che si contendono la leadership della sinistra del Pd, ringalluzziti come non mai, dopo il voto? No. Allora Nicola Zingaretti o Goffredo Bettini, inventore di quel ‘modello Roma’ e ‘grande elettore’ della candidatura di Roberto Gualtieri che ha imposto a tutti, a dispetto pure di Letta? Macché. Lo dice Alberto Losacco, deputato dem. Uno potrebbe dire: “Losacco, chi era costui?”, un “don Abbondio chi era costui?” di manzoniana memoria.

Ecco, Losacco, ai più, non dice molto, ma è un deputato di fede franceschiniana ‘osservante’, uno dei tessitori, sottotraccia, di quella Area dem (la corrente/silente, ma presente, del ministro alla Cultura, appunto) che, da sempre, cioè almeno da quando il Pd è nato, con Veltroni, ma soprattutto dall’era Bersani (poi Letta, ma al governo, poi Renzi, poi Zingaretti, ora Letta, ma al partito) decide, nel Pd, il bello e il cattivo tempo. Insomma, decide se ‘uno’ deve fare il segretario e ‘un altro’ il premier (e viceversa).

Renzi Letta

Renzi e Letta

Ecco, se il buon giorno si vede dal mattino, possono succedere molte, cosa, nel Pd. Letta – forte dei risultati di ieri, neodeputato dem, sempre più forte nel partito, e pure fuori, come mai è stato, prima, un segretario, se non durante la fulgida ascesa (e poi, altrettanto repentina, discesa, ma verso gli Inferi) di Matteo Renzi – potrebbe fare esattamente quello che fece l’odiato ‘nemico’ Renzi, ma quando era già finito alle corde: ‘chiamare’ un congresso anticipato per spiazzare i suoi avversari interni (gli ex renziani, quelli di ‘Base riformista’, ma anche Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna, e tanti sindaci, che da tempo gli si erano messi ‘alle calcagna’ e, insomma, volevano azzopparlo) per farsi ‘incoronare’ leader attraverso quel lavacro di folla, e di militanti, e di simpatizzanti, che sono, da sempre, nel Pd, le primarie, dove – direbbe Prodi – “DEVE scorrere il sangue” (A Bologna, per dire, è scorso assai: ex renziani tutti sterminati). 

Non foss’altro perché Letta è stato, sì, eletto segretario, all’unanimità, ma solo dentro il ‘parlamentino’ del Pd, l’Assemblea nazionale, dunque con una elezione da parte dell’Apparato, di secondo grado, e Letta, invece, proprio come il suo antico mentore, Romano Prodi, sa bene quanto sia importante, e carismatico, per chi fa il segretario del Pd – e, forse, pure il futuro leader del centrosinistra – farsi eleggere con le primarie.

Giorgia Meloni

La leader di Fdi Giorgia Meloni

Ma se questo accadrà, si vedrà nel 2022, dopo l’elezione del nuovo inquilino del Colle (altra prova decisiva, per Letta e la sua leadership…), anche perché i tempi ‘lunghi’ del congresso dentro il Pd (almeno sei mesi ci vogliono) non collimano certo con eventuali elezioni politiche anticipate al 2022 cui si andrebbe, probabilmente, incontro se – come già la Meloni propone, il suo guanto di sfida, proprio a Letta – Draghi andasse al Colle.

Nel Pd quasi non ci credevano, a così tante vittorie…

Mattarella

Il Presidente Mattarella

Come sia sia, se lo dice Losacco – peraltro amico personale di quel Francesco Saverio Garofani, oggi consigliere ‘sottomarino’ (nel senso che non si vede e non si sente, ma pesa eccome) del Capo dello Stato, Sergio Mattarella – vuol dire che… è vero…

Il Pd ha vinto le elezioni amministrative ed è diventato il primo partito d’Italia. A ‘non’ crederci, sulle prime, sono proprio quelli del Pd. Insomma, un successo così vasto, così ‘epocale’, non se lo aspettavano neppure loro. Quasi non credono ai loro occhi, nel compulsare i primi exit poll e le prime proiezioni. Le prime dichiarazioni, infatti, sono guardinghe, fatte da esponenti minori e locali del partito, neppure numeri due, ma tre.

Ci vogliono ore prima che, dentro il Pd, prendano dimestichezza col successo cui, da troppo tempo (diciamo pure dal 40% del 2015, ma erano elezioni europee e le vinse sempre lui, l’odiato Renzi…), non erano davvero più abituati. E poco importa l’altissimo astensionismo. O che, tra grandi centri e piccoli e medi, le differenze siano vistose. O che, ancora, nelle grandi città, siano andati a votare solo i ceti borghesi, le Ztl, e non le periferie. O che, in Calabria, il Pd – alleato con l’M5s – abbia registrato una sonora batosta. O che l’alleato per eccellenza, i 5Stelle, appunto, si siano ridotti a percentuali modeste, o infime, e che la leadership di Conte già fa acqua ovunque. O che, a Trieste (solo), il centrodestra canti vittoria. Bazzecole. Cose di cui neppur dover tener conto.

Le tante e clamorose vittorie dei candidati dem

Le tante e clamorose vittorie dei candidati dem

Le tante e clamorose vittorie dei candidati dem

Le vittorie – sicure, ma non con risultati così – di Bologna e Milano, con candidati ‘schiacciasassi’, Lepore e Sala, rispetto ai loro avversari, inesistenti o imbarazzanti, e la vittoria – per nulla sicura, e davvero clamorosa – di Manfredi a Napoli, al primo turno. Ma anche il ballottaggio che vede in testa il Pd a Torino (senza neppure avere l’M5s come alleato) con Lorusso, contro l’unico civico ‘buono’ del centrodestra, Damilano.

Roberto Gualtieri

Roberto Gualtieri

E, in modo davvero inaspettato, il fatto che Gualtieri, a Roma, stia a solo un’incollatura dal patetico Michetti, con la Raggi lontana, e i voti di Calenda che – sono sicuri, dentro il Pd – al ballottaggio “torneranno tutti all’ovile” (cioè a Gualtieri, che però qualche domanda su quei voti fuggiti dovrà pur farsela) rappresentano un dato assai inaspettato.

Roma palazzo del bufalo 03 largo del nazareno

Largo del Nazareno, ove ha sede il PD

E così, è davvero una gioia infinita quella che ‘tracima’ dal Nazareno ai militanti, da Siena, dove si trova Letta, al suo quartier generale (uno sciccosissimo hotel, peraltro) ai comitati elettorali dei candidati dem sparsi in tutte le principali città italiane.

Scendendo città per città, ecco tutte le stra-vittorie

Del resto, volendo ‘scendere’ nei risultati, città per città, almeno in quelle grandi, che per le piccole e medie c’è ancora bisogno di tempo, cioè almeno tutto oggi, per avere dati veri, la vittoria del Pd è larga, impressionante, imperiosa, indubitabile.

Sala Vince a Milano

Sala Vince a Milano

Vincere a Bologna, vabbé, ci stava, ma Lepore ha ottenuto una vittoria da macchina schiacciasassi. Vincere a Milano, certo, se lo aspettavano, e Sala ‘non’ è più del Pd (pare si sia iscritto ai Verdi, i Verdi smentiscono), ma la vittoria è clamorosa.

Vincere a Napoli pure, è vero, lo speravano, ma così netta, la vittoria, al primo turno, e dato che, a sinistra, c’erano ben due liste concorrenti, beh, è da gridare a ‘o’ miracole’, al sangue di san Gennaro che si scioglie e tutto grazie a un santo laico, Manfredi.

Michetti, uomo ridicolo e ora assai ridicolizzato, ha preso appena il 30% dei voti

Michetti, uomo ridicolo e ora assai ridicolizzato, ha preso appena il 30% dei voti

Andare al ballottaggio a Torino, con Lorusso, contro il candidato più forte – e temuto, dal Pd – del centrodestra, in posizione di forza, e senza neppure l’apporto dei (deboli, ovunque) 5Stelle era una speranza che non coltivavano in sogno. Ma il ‘capolavoro’, ovviamente, è tutto a Roma. Michetti, uomo ridicolo e ora assai ridicolizzato, ha preso appena il 30% dei voti, Gualtieri è a una incollatura, quasi al 27%, e se è vero che la Raggi ha preso il 20% dei voti e Calenda solo il 18,4%, con i voti dell’una o dell’altra, già al primo turno anche Gualtieri – ‘invenzione’ di Bettini proprio come lo furono Veltroni, Rutelli e pure Marino, già meno felice – avrebbe pure lui già vinto, e già al primo turno…

Il Bottegone non c’è più, Ceccanti e Fornaro sì…

Stefano Ceccanti

Stefano Ceccanti

 E, dunque, al Nazareno, quasi non credono ai loro occhi e se li stropicciano a lungo, scorrendo i dati, prima degli exit poll, poi delle proiezioni, e poi, infine, i dati veri, quelli del Viminale. Del resto, il ‘contro-Viminale’, quello che, una volta, stava al ‘Bottegone’, ma quel mitico ‘servizio’ di contro-raccolta dati non esiste, ormai, più da decenni, è stato smantellato come tutta l’organizzazione del Pci-Pds-Ds che fu. Restano, come cultori della materia, due cavalieri solitari: il deputato dem, Stefano Ceccanti, e il capogruppo di Leu, Federico Fornaro, i soli – a sinistra – affidabili, nell’analisi del voto (astensione, percentuali, partiti, liste, etc.), due che, se non ci fossero, bisognerebbe inventarli.

Poi però parla Letta e dice cose molto precise…

Poi però parla Letta e dice cose molto precise…

Poi però parla Letta e dice cose molto precise…

In ogni caso, ubriacati come sono del ‘sapore della vittoria’, serve – come si diceva – che intervenga, direttamente, il segretario del Pd, Enrico Letta, a sua volta assai ebbro per l’altrettanto rotonda vittoria nel collegio uninominale di Siena (intorno al 49%), per esultare, in modo chiaro, rotondo, semplice, ma anche per ‘rimettere a terra’ il partito: “Abbiamo vinto sul territorio, non su Twitter o nei salotti” – dice il neo-deputato dem, pronto, a giorni, a prendere possesso del suo ufficio in Parlamento, da dove governerà il Pd anche e soprattutto nella corsa al Colle come pure in tutte le ‘cabine di regia’ del governo Draghi e, forse, anche per precipitare il Paese a elezioni anticipate ove mai tale tentazione allignasse (e già alligna, come si è visto dalle parole della Meloni a Letta) – “Siamo tornati in sintonia con il Paese. Cinque anni fa al primo turno non ottenemmo nessuna vittoria”. Poi, aggiunge: “Abbiamo dimostrato che la destra è battibile” e – ammette, slancio di sincerità – “ha sbagliato completamente la campagna elettorale”.

Letta è chiaro: il Pd ‘deve’ svoltare ‘a sinistra’ e con un nome nuovo: Progressisti, Sinistra, Democratici…

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Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci e primo segretario del Pdl

Ma la frase ‘politicamente’ impegnativa è questa: “Si vince solo se si allarga la coalizione andando oltre il Pd”, dice Letta, e intende proprio la direzione ‘a sinistra’. Senza simbolo, come ha fatto lui stesso a Siena. Magari diventerà ‘I Progressisti’, come già fu nel 1993-1994, con Achille Occhetto (anche se il paragone non è che porta bene…). Magari diventerà un ‘ConLe’ invece che ‘ConTe’, come voleva e ambiva l’oggi assai abbacchiato leader del M5s. Magari diventerà ‘La Sinistra’, come piacerebbe a Bersani, e pure a D’Alema, e pure a Fratoianni, e pure a Civati, e pure a un sacco di altri. Un nome facile, semplice, comprensibile. Come in tutti i Paesi europei e non solo loro. O, più banalmente, più mestamente, diventerà ‘I democratici’, come doveva essere all’inizio e cioè nel sogno dei ‘padri putativi’ dell’Ulivo (e dell’Unione) Prodi, Parisi, Santagata, etc. che avevano fondato l’Asinello-I Democratici (la Margherita no, non era ‘cosa loro’, era ‘cosa’ dell’ex PPI e degli ex maneggioni dell’epoca, stile Rutelli, e pure Franceschini, ops), sogno che poi si perse nelle brume di piccoli capataz locali e colonnelli senza eserciti.

congresso del pd

Certo è che il nome del Pd, forse già nel 2022, non sarà più quello scelto nel 2007-2008, dopo quasi 15 anni di onorato servizio, e anche la ‘maledizione di Renzi’ si completerà: era lui quello ‘accusato’ di voler cambiare nome e stravolgere senso e natura del Pd, per farne un “partito della Nazione” (l’idea, in realtà, non era sua, e manco di Denis Verdini, viene da Antonio Gramsci, oscuro pensatore sardo, poi mutuata da tale Alfredo Reichlin, vestale dell’ideologia del Pci, ma questa è davvero un’altra Storia…), sarà Letta a farlo. Una cosa è certa: il ‘big bang’ del Pd, di cui resterà poco, se non quell’antico, oscuro, presagio di D’Alema (“amalgama mal riuscito”) e nessuno ricorderà il vaticinio di Veltroni (“nel nome, il suo destino”) corrisponderà anche alla sua decisa svolta a sinistra

guerini lotti

Guerini Lotti

Ecco, i riformisti dem – quelli dell’area Lotti&Guerini, solo a sentir dire che bisogna andare ‘oltre il Pd’, ma anche e soprattutto “a sinistra”, di solito mettono mano alla fondina della pistola, ma stavolta non fanno un fiato, neppure un plissé. Tacciono, muti e, anche, abbastanza sconsolati. Del resto, qui scatta, invece, la famosa frase che Sergio Leone fa pronunciare a Clint Eastwood nel ‘Il Buono, il Brutto e il Cattivo‘: “Quando l’uomo con la pistola incontra l’uomo col fucile, l’uomo con la pistola è un uomo morto“. Oggi, è Letta che ha in mano ‘il fucile’, ai suoi oppositori resta una ‘pistola’, pure scarica. Il resto, diciamo, vien da sé, in re ipsa. E che la sinistra-sinistra, quella che ‘fu’ radicale (Articolo Uno – Sinistra italiana – Verdi – etc.) non stia messa bene, per nulla benissimo, tranne che in poche grandi città dove raggranella percentuali intorno al 5% tutti insieme, non importa, non conta, non fa problema: c’è il Pd, nuova ‘grande’ casa dei Progressisti, per accogliere tutti i soldati e le truppe disperse di mondi che, ormai, non ci sono più.  

La nuova sinistra? “Una grande chiesa”, ‘Jova’ dixit…

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Questa vittoria scandisce Letta,  rafforza l’Italia perché rafforza il governo Draghi

Questa vittoria – scandisce Letta, tra gli applausi e la commozione dei suoi, ancora più ebbri di lui – rafforza l’Italia perché rafforza il governo Draghi. La destra ha sbagliato campagna elettorale. Vinceva quando aveva un federatore, Berlusconi. Senza di lui, non vince più” (il che è vero, peraltro: il centrodestra ha sbagliato i candidati, il genere di gara, la competizione, tutto). Il concetto, del resto, è facile, semplice, e pure assai immediato, da capire: il centrodestra è diventato ‘destra-centro’ (e perde), il ‘centro’ non esiste, “di qua” – direbbe Bersani – c’è ‘solo’ la Sinistra, quella con la ‘S’ maiuscola.

Jovanotti

“grande chiesa/ da Che Guevara a madre Teresa”, direbbe, Lorenzo Cherubini (in arte Jovanotti)

Non resta che costruire, dunque, una “grande chiesa/ da Che Guevara a madre Teresa”, direbbe, invece, Lorenzo Cherubini (in arte Jovanotti), che va dalla sinistra-sinistra ‘poderosa’ di Elly Schlein (Bologna) a quella ‘ecologista’ e ‘radicale’ (Roma, Napoli) fino a quel che resta dei centristi che ‘ci stanno’ ad allearsi con il Pd (Sant’Egidio a Roma, le tante liste civiche, i Moderati che, a Milano, Torino, Napoli, hanno preferito il Pd, etc.). Insomma, i centristi senza ‘puzza sotto il naso’, quelli come Calenda, dai dem assai aborrito, snobbato, detestato, anche se, in fondo, Calenda i voti li ha presi. I ‘centristi’ finti, quelli di Renzi&Calenda, invece, non servono, sono un’inutile orpello ‘borghese’. “Non hanno un voto in natura” dicono al Nazareno (cioè come i 5Stelle, ma amen, ognuno, quando vince, fa figli e figliastri, alcuni sono figli ‘prodighi’, altri figli ‘diseredati’). Eppure, appunto, i loro voti, almeno a Roma, quelli dei centristi ‘odiosi’, alla Calenda, serviranno eccome, a Gualtieri, per vincere al ballottaggio, e infatti Calenda già ‘sfotte’ Letta e gli chiede se, ‘ora’, i suoi voti li vuole, e glieli chiederà, o se, invece, gli ‘puzzano’.

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Sarà questo il Pd del futuro? Un Pd ‘de sinistra’? Si vedrà. Certo è che è diventato il primo partito d’Italia, ha vinto in tutte le grandi città del Paese (o quasi) e i 5Stelle possono fungere, casomai, da junior partner, maldirotti come sono, dopo il voto.

La profezia di Parisi: “perdere sì, ma non perdersi mai”… E le sempre ‘sagge’ parole di Romano Prodi…

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Arturo Parisi, ministro della Difesa del II governo Prodi e, soprattutto, suo storico braccio destro

Ora, il Pd – direbbe Arturo Parisi, capitano in seconda dell’Unione, dopo l’Ulivo, di quel Romano Prodi che ieri sera ha detto trattasi di “una vittoria indubitabile del Pd e di Letta che ha messo insieme una larga coalizione”, anche se poi, Prodi, cogitabondo ma saggio, aggiunge: “Sono mutati i rapporti di forza, non è più il problema di una alleanza tra uguali. I 5 Stelle al Nord stanno scomparendo. Ora i rapporti saranno completamenti diversi, ora c’è un perno, ora il rapporto con il M5S può essere portato avanti in modo completamente diverso” (cioè, in pratica, il Pd comanda, l’M5s ubbidisce, ecco… ) – può non ‘perdere’, come è pure capitato, e per ben due volte alla coppia Parisi&Prodi, ma “perdersi”, cioè sprecarla e sporcarla, la vittoria (utile leggere, e rileggere, all’uopo la bellissima intervista di Parisi rilasciata al direttore de L’Espresso, Marco Damilano).

Letta si fa accorto: “non sono mica un supereroe”…

Zingaretti e Letta

Zingaretti e Letta

Letta, non a caso, si fa subito accorto, aggiusta subito il tiro e dice che “molti di questi risultati li condivido con Zingaretti per il lavoro impostato prima del mio arrivo” perché “la politica è anche questo, non c’è nessun supereroe”. Supereroi no, ma un ‘eroe’, nel centrosinistra vittorioso, c’è e si chiama Letta (Enrico), che, ora, si gode il suo ‘trionfo’.

Lo farà, a partire da oggi, da deputato ‘non’ semplice del Pd e per quelle ‘truppe’ dem sempre assai riottose, e negligenti, a ogni ‘ordine’ e a ogni ‘comando’, saranno bei guai: Letta li tratterà con lo scudiscio. Non fosse altro perché li potrà comandare da vicino e controllarne tutte le mosse sia nel ‘grande gioco’ del Colle che  anche dopo. E, con Letta lì, a un passo, col fiato sul collo, vaglielo a dire tu che non vuoi votare il ddl Zan, lo ius soli, il ddl eutanasia, il salario minimo, il RdC rinforzato, la patrimoniale, il ‘guai ai ricchi’.

Francesco Verderami

Francesco Verderami

Ecco, Letta arriva, ti porta in un angolo del Transatlantico – a volte, sul Corsera, Francesco Verderami chiede a Roberto Fico “ma quando ce lo riaprite?!”, Fico resta muto, non risponde (che, poi, non rispondere a Verderami, è un errore di tipo capitale) – e ti appiccica al muro e ti chiede, a brutto muso, ‘beh, la voti la patrimoniale o non la voti? Lo vuoi, forse, il seggio, alle prossime elezioni o non lo vuoi?’. Eccolo, il nuovo Letta, quello ‘de sinistra’, ce lo avrai lì, a un passo, che ti controlla, e insomma, sono guai tuoi. 

Il tracollo ‘bestiale’ del M5s e le sue conseguenze

M5s fine e rinascita

Detto tutto questo, cosa resta da dire? Resta da dire molto, e cioè, dove sono i 5Stelle? E come stanno? Male. Distrutti, polverizzati, ridotti a percentuali da prefisso telefonico al Nord. Umiliati a Roma, nonostante il 20% della Raggi, che arriva solo terza, e il 10% della Sganga a Torino, dopo che la sindaca uscente, Appendino, fiutata l’aria, ha pensato che era meglio lasciar stare. Neppure decisivi, un puro orpello, persino a Napoli, dove pure restano discretamente in salute, ma lì è tutto merito Di Maio e Fico, non certo di Conte.

Nenni Pietro

Pietro Nenni

Ecco, il povero Conte. Osannato nelle piazze in giro per l’Italia e umiliato, alla sua prima prova, nelle urne, tanto per ribadire il vecchio, arcinoto, detto del leader socialista Pietro Nenni (“piazze piene, urne vuote”) che però, va detto, vale pure per Calenda, il detto.

Conte prova a difendersi e si ‘rifugia’ a Napoli…

Conte prova a difendersi e si 'rifugia' a Napoli...

Conte prova a difendersi e si ‘rifugia’ a Napoli…

I dati non possono compromettere il nuovo corso” dice Giuseppe Conte mettendo le mani avanti. È la prima tornata elettorale sotto la sua guida e, per il M5s, è un bagno di sangue. A Milano è un testa a testa con il movimento dell’ex Gianluigi Paragone, ma non per il ballottaggio, per un ‘terzo posto’ (si fa per dire) su percentuali vicine al… 3%. A Torino, dopo cinque anni di governo, il M5s incassa un misero 8%, a Roma Virginia Raggi resta fuori dal secondo turno e si contende voto a voto il terzo posto con Calenda.

Gaetano Manfredi

Gaetano Manfredi

Abbiamo vinto a Napoli”, provano a difendersi i 5 stelle esultando per Gaetano Manfredi che la spunta al primo turno, ma con l’obiettivo che si erano posti, diventare la prima lista in città, che probabilmente sfumerà alla fine dello spoglio: sono crollati 40% delle politiche a poco più del 10%. In un amen. A Bologna la lista sosteneva il centrosinistra, ma è ben lontana dalle dalle speranze di incassare un risultato a due cifre: vede inchiodati i pentastellati intorno al 4%.

Pietro Salvatori

Pietro Salvatori giornalista

“Siamo morti”, dice un parlamentare raggiunto al telefono, a Pietro Salvatori, collega dell’Huffington Post. Il nuovo corso forse non è compromesso, ma sicuramente parte zavorrato”, scrive il collega. È uno scenario da tregenda per il partito di Conte: vince solo trainato dal Pd e perde di brutto dove va da solo, con candidati identitari come la Sganga a Torino o la Raggi tanto che anche i favorevoli all’alleanza oggi si interrogano: “È vero che vinciamo, ma da partner di minoranza, così finiamo dissanguati”, scrive Huff.

Le truppe parlamentari del M5s sono già in rivolta

M5S e Beppe Grillo

M5S e Beppe Grillo

Il partito fibrilla, poi a metà pomeriggio arriva una proiezione che vede la sindaca della Capitale in rimonta: serpeggia un breve brivido di euforia, che viene stroncato presto dai dati che continuano ad affluire (a essere sballato era il sondaggio di Swg per la La 7, quello della Rai-Opinio era perfetto e Rainews24 c’ha preso, la 7 no). Tra i parlamentari è un vespaio tra chi difende “i buoni risultati a Napoli e Bologna”, sostenendo la linea di Conte che dice che “questo è il tempo della semina per il M5s, siamo appena partiti con il nuovo corso, si è insediato appena prima che si depositassero liste, il nuovo corso non ha potuto dispiegare appieno le sue potenzialità” e chi, invece, gli getta la croce addosso per una campagna elettorale tutta e solo ‘autocentrata’ e che ha ‘oscurato’ i candidati.

Lo stato di crisi in cui versa il Movimento è profondo

Lo stato di crisi in cui versa il Movimento è profondo

Lo stato di crisi in cui versa il Movimento è profondo. “Forse a questo nuovo corso servirebbe un bel bagno di umiltà”, ragiona un onorevole. Il timore è quello di diventare una costola (pure minore) della sinistra, junior partner minoritario di una coalizione che calza molto stretta a chi ha nel dna il “no alle alleanze” e la “centralità” del M5s.

Conte fa buon viso a cattivo gioco, spiega ai cronisti che “avevo detto che ci avrei messo la faccia ed eccomi qui”, ma il volto è teso, e chi ha avuto modo di parlarci – racconta Salvatori – spiega che si aspettava qualcosa in più. Il partito sbanda, c’è chi dice che “un conto sono i like e un conto la vita reale”, chi spiega che “Conte deve fare tanta palestra, non servono i selfie, serve convincere le persone con un progetto credibile”.

Il post di Grillo appare già come un de profundis

Il post di Grillo appare già come un de profundis

Il post di Grillo appare già come un de profundis

L’ex premier è nervoso. Beppe Grillo poco prima che si chiudessero i seggi ha postato una foto con Gianroberto Casaleggio e l’enigmatica didascalia: “Abbiamo fatto l’impossibile ora dobbiamo fare il necessario”. con la scusa di ‘festeggiare’ la nascita del Movimento, legata a San Francesco. Alcuni la leggono come la necessità di convivere con una leadership che, non è un mistero, non gli va a genio affatto, altri proprio come un attacco al nuovo capo, ma un’interpretazione autentica non è dato saperla.

Conte risponde quasi stizzito a chi chiede: “E che sono io l’interprete dei post di Grillo?”, ma scrollarsi di dosso l’ennesimo litigio interno di una giornata non è per nulla semplice.

L’avvocato del Popolo (che fu, il Popolo…), ora, pensa ai ballottaggi, non scioglie le riserve ma spiega che se appoggio ci sarà, non sarà per i candidati di centrodestra. Il borsino interno del presidente e del M5s riporta in alto le quotazioni di un sostegno a Roberto Gualtieri a Roma, in forte ribasso quelle di un appoggio al Pd torinese.

Conte ‘fugge’ a Napoli, il Movimento implode

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Ma prima ci si dovrà leccare le ferite e capire fino a che punto la leadership contiana esce indebolita da una sconfitta così netta. La maggioranza dei gruppi parlamentari è ancora con lui, ma il malumore serpeggia sempre più insistente. WhatsApp  down, il chiacchiericcio che stava montando nelle chat interne ai gruppi parlamentari si interrompe e aiuta, come fosse una manna dal cielo, stavolta, il ‘crollo della Rete’ e dei social, una sorta di legge del contrappasso per un Movimento nato tutto sulla Rete.

Napoli posillipo

Napoli Posillipo

Conte prende la macchina e se ne va a Napoli, una delle pochissime città in Italia dove ieri sera può dire di avere vinto. E forse nemmeno del tutto, dato che, appena arriveranno i dati sulle liste nei vari centri (piccoli, medi e grandi) saranno altri, brutti, guai.

Nel Pd, almeno in questo, sorridono gli ex renziani che, tirando un sospiro di sollievo, ora dicono: “avete visto? Allearsi con i 5Stelle non serve a nulla. Sono ininfluenti. Bisogna invece aprire al centro e ai moderati”. Già, sarà anche vero, hanno ragione, ma ora devono ‘convincere’ il segretario. Per Letta, che vive una ‘seconda giovinezza’, bisogna “spostarsi a sinistra” e “fare come l’Spd, e pure i Verdi, in Germania. Si vince a sinistra”. Minoranza interna del Pd e contiani nei 5Stelle sono i veri, grandi, sconfitti, nel voto…