“Non c’è pace, tra i draghetti’…”. Scontro in cdm tra Draghi, Lega e Pd. Venti di crisi. Intanto, i centristi ‘draghisti’ si illudono di avere un futuro

“Non c’è pace, tra i draghetti’…”. Scontro in cdm tra Draghi, Lega e Pd. Venti di crisi. Intanto, i centristi ‘draghisti’ si illudono di avere un futuro

6 Ottobre 2021 1 Di Ettore Maria Colombo

“Non c’è pace tra i draghetti”. La Lega non vota la delega fiscale del governo. Letta convoca i ministri dem per una war room. Crisi alle porte? I partiti, sia vincitori che sconfitti, alle comunali, si aggirano come api impazzite intorno a Draghi… Intanto, i centristi si sentono ‘forti’ e provano a organizzarsi, sperando che poi arrivi ‘Marione’ ma tutti insieme (Lega, Pd, centro) scherzano col fuoco

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Nb. questo articolo si compone di due parti. La prima parte è stata pubblicata sul sito The Watcher Post il 6 ottobre 2021, ed è quello sull’analisi politica generale della situazione tra governo Draghi e partiti. Invece, il secondo articolo riguarda i movimenti neo-centristi e centristi che si muovono all’ombra di Draghi ed è stato pubblicato, in parte, sul Quotidiano nazionale il 6 ottobre 2021, mentre un’altra sua parte, l’ultima, è inedita.

 

Non si fa manco in tempo ad analizzare il voto delle comunali che già scoppia la prima grana dentro il governo Draghi tra Lega e Pd. E la dotta analisi dei flussi elettorali del Cattaneo? Rinviata…

Berlusconi Salvini Meloni

Berlusconi Salvini Meloni

Non si fa neppure in tempo a commentarli, figuriamoci ad analizzarli, i risultati elettorali, che già scoppia la prima ‘mina’, ma non tra – nel senso nel di dentro – i diversi partiti dopo il voto. Né quelli di centrodestra, assai ammaccati – per usare un eufemismo – dal voto uscito dal primo turno delle elezioni amministrative (Salvini si dimetterà? E la Meloni? Che dice il Cavaliere?). Né quelli di centrosinistra: cosa farà, del suo trionfo, il Pd, diventato il primo partito italiano? Riflessioni sull’abnorme astensionismo, nulla da dire? E la sinistra-sinistra, ridotta ovunque ai minimi termini? E i centristi, debolucci pure loro, tranne la lista Calenda a Roma, primo partito, ma solo a Roma (successo personale), che dicono? Nulla, tranne Renzi, tronfio per il bel risultato di Iv (sic).

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Il logo del Movimento 5Stelle

Neppure sul lato del M5s, praticamente nulla, tranne il solito ‘bollire’ delle chat interne, e il relativo leccarsi le ferite, arrivano news significative: Conte non si dimette (figurarsi, è stato appena eletto), la Raggi intigna e grida, strepita, contro le ‘corazzate’ altrui che, forse con un ‘complotto’, l’hanno affondata. Autocritica, da parte dei big,  zero, ma si sa, hanno preso i vizi peggiori dei vecchi politici.

Ecco, non si fa in tempo neppure a dare una rapida, distratta, occhiata ai ‘flussi elettorali’ che il mitico Istituto Carlo Cattaneo ha già sfornato, un giorno dopo il voto, in tempo reale (solo Ceccanti ne gioisce) che succede il patatrac, sul percorso del governo. La Lega non vota un decreto del governo (la delega fiscale). La notizia la battono le agenzie, che sono passate da poco le cinque de la tarde.

Mario Draghi

Mario Draghi

Titolo: “La Lega non vota la riforma del fisco di Draghi. Salvini: “Non è l’oroscopo, non firmiamo in bianco. Il premier cambi metodo”. Il premier: «Salvini ci spiegherà la sua assenza». Ecco, come esce la notizia, Letta convoca i ministri dem – lui che, ormai, nel Pd può fare e disfare come vuole, nel Pd – e minaccia, forte di fresca vittoria: “Strappo gravissimo. Noi avanti con Draghi. E la Lega?”. Eh, la Lega

Ogni elezione, qualsiasia sia, in Italia, provoca dei ‘terremoti’ (a differenza che in tutti gli altri Paesi ‘normali’): è così pure stavolta

Draghi Merkel

Draghi Merkel

Ecco, se il buongiorno si vede dal mattino, le elezioni, per quanto siano state ‘comunali’, hanno il loro primo, immediato, contraccolpo politico, come è ‘buona’ tradizione politica che succeda, ma solo in Italia (un premier, Massimo D’Alema, si dimise, prima e unica volta di un ex comunista ‘vero’ al governo per aver perso le Regionali, nel 2000, appena per 5 a 6, per non dire di molti altri casi).

Draghi trasecola, non è abituato a queste ‘sceneggiate’. In Germania, se la Merkel perdeva un Lander, non succedeva nulla. In Gran Bretagna, se Johnson perde la città di Londra, va avanti uguale e in Francia le regionali in Alsazia-Lorena non fanno mica dimettere i premier. Ma in Italia sì, capita.

l centro se lo va sognando forte solo Matteo Renzi

ll centro se lo va sognando forte solo Matteo Renzi

Del resto, il centrodestra è allo sbando, la Meloni sta messa, se possibile, quasi peggio di Salvini, sia come percentuali (basse) che come scandali interni, Forza Italia è ridotta a percentuali imbarazzanti, con o senza Berlusconi, gli altri sono pulviscoli. Non che, nel centrosinistra, stiano messi meglio. La sinistra radicale non esiste più, o quasi. Il centro se lo va sognando forte solo Matteo Renzi, ma per il resto non esiste in natura (non nei partiti di centro, lista Calenda a parte, e non nei sindaci).

I 5Stelle sono entrati nella crisi peggiore della loro breve, ma infelice, storia, la peggiore di tutte: al Nord non esistono, sono praticamente azzerati (Italexit di Paragone ha preso, a Milano, più del M5s), al Centro, se non fosse per la lista Raggi a Roma, comunque fuori dal ballottaggio, sono ai minimi, al Sud resistono, ma neppure lì risultano decisivi. A Napoli il centrosinistra avrebbe vinto lo stesso senza di loro, in pratica irrilevanti. In Calabria, con tutti i 5Stelle al seguito, il Pd ha perso uguale.

Nenni Pietro

Pietro Nenni

Insomma, un disastro ovunque, molto peggiore di quello di Lega e FdI, e una leadership, quella di Conte, che ha riempito le piazze e vuotato le urne secondo l’antica, sempreverde, profezia del leader del Psi Pietro Nenni (“piazze piene, urne vuote”), e che nasce azzoppata, forse già morta, da subito.

Col centrodestra in crisi Salvini che bella pensata ha? La crisi…

Col centrodestra in crisi Salvini apre la crisi?

Col centrodestra in crisi Salvini apre la crisi?

Ma è il centrodestra, e i suoi leader, e partiti, quelli che gonfiavano i sondaggi di percentuali mirabolanti (appaiati, Lega e FdI, valevano il 20% l’uno, il totale faceva 40%, con FI al 7%, gli altri al 3%: totale 50%, insomma: avevano ‘già’ vinto le elezioni), si ritrova a bocca asciutta, ferito, semi-morto.

Solo che se FI al governo ci resta anche se, in Italia, si scatenasse una rivoluzione proletaria (anzi, a maggior ragione…) e se FdI all’opposizione ci resterà anche se la Corea del Nord dichiarasse guerra al nostro Paese, Salvini – ecco, il Capitano, ormai ridotto a rango di ‘caporale di giornata’ di un partito dove in molti stanno già dichiarando il ‘tutti a casa’, che rompe i ranghi, le righe, che è ormai allo sbando – ha iniziato a giocare con il fuoco della crisi, la crisi di governo, quella vera, per di più in pieno semestre bianco, che manco le Camere può minacciare di sciogliere, il povero Mattarella, il quale non vede l’ora di lasciare questa gabbia di matti e ritirarsi a fare il nonno (ha già preso casa).

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Il capo dello Stato Sergio Mattarella

Un gioco pericoloso assai, quello di Salvini, sia per il futuro della sua Lega che per il Paese, ma tant’è. Al primo cdm dopo il voto, Salvini, giusto per umiliare, in un colpo solo, due personalità, Draghi e Giorgetti, che giudica ‘responsabili’ del suo (pessimo) risultato elettorale (Draghi perché ne ha, sbagliando, ma lui, sbagliando, cioè Salvini, appoggia il ‘governo dei migliori’, e Giorgetti perché gli fa la fronda in casa e vorrebbe creare una ‘super-Lega’ ben diversa da quella di Salvini) – il ‘Capitano-Caporale ha deciso di ‘minacciare’ l’imminacciabile e di osare l’inosabile: sfidare lui, così ammaccato, discusso, scosso, da mille problemi e mille guai interni, proprio un ‘Molosso’ come Draghi a singolar tenzone su una delle riforme (quella fiscale) che sono il core business del governo oltre che del PNRR.

Cosa farà ora Draghi? Tempi bui incombono, forse, sul governo…

Il Presidente del consiglio Mario Draghi

Il Presidente del consiglio Mario Draghi

Ora, come risponderà Draghi, se chiederà un ‘chiarimento’, di tipo ‘semplice’, convocando Salvini a palazzo Chigi per un ‘franco colloquio’, se chiederà una ‘verifica’ interna alla maggioranza (quelle cose che si facevano nella Prima Repubblica, ecco) o se, addirittura, salirà al Colle ad aprire la crisi (“Presidente, non posso più andare avanti, la Lega è venuta meno ai suoi compiti, apro la crisi”…), magari chiedendo un voto di fiducia alle Camere, ecco, questo – al momento – non è dato sapere.

Certo è che il premier, un suo ‘commento’ ai risultati elettorali lo aveva fatto, a modo suo, proprio portando in cdm la delega fiscale. Un modo per “mandare un avviso alla maggioranza”, Lega in testa e a tutti: « Draghi aveva già pronto il testo. Aveva accolto la richiesta di rinviare la riforma a dopo le elezioni, ma ora dice ai partiti: abbiamo degli impegni», spiegava, ieri, un ministro a Francesco Verderami sul Corriere della Sera. Morale, fine della ricreazione. Draghi ha suonato la campanella. 

Francesco Verderami

Francesco Verderami

Che il premier non intendesse stare sotto lo scacco delle forze politiche e delle loro scaramucce, era parso chiaro a tutti i ministri già all’ultimo Cdm, peraltro. Prima Draghi li aveva invitati a «tenere le beghe tra partiti fuori da questa stanza». Poi li aveva gelati con una battuta mentre si discuteva la norma sui referendum: «… E se l’anno prossimo ci fossero le elezioni anticipate, vorrebbe dire che i referendum slitterebbero». Come a dire: non escludo nulla, neppure che alcuni di voi siano così ‘pazzi’ da negarmi la fiducia e voler andare al voto anticipato.

Ma i partiti, al netto di tutto, come stanno messi? “Se Atene piange, Sparta non ride”. Il centrodestra è a pezzi, il Pd ha dubbi.

Se Atene piange, Sparta non ride…

Se Atene piange, Sparta non ride…

Nessuno ha la forza di toccare il governo. Il voto conferma la debolezza delle forze politiche, tutte, e non solo del centrodestra. Insomma, come diceva Vincenzo Monti,se Atene piange, Sparta non ride”.

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L’ex premier Romano Prodi

Anche sul versante opposto, nel centrosinistra, l’affermazione del Pd come primo partito d’Italia avviene soltanto sulle macerie del grillismo. Il centrosinistra oggi, di fatto non esiste, questa è la verità, nota Verderami, cioè non arriva al 30% dei voti: «al Nord l’M5S sta scomparendo», come ha evidenziato Prodi, offrendo a Renzi la possibilità di dire che «Iv è davanti ai grillini quasi ovunque».

In queste condizioni la dote che Conte porta in dote a Letta è insufficiente per competere con gli avversari. E infatti il leader del Pd deve, giocoforza, parlare di una «coalizione allargata», di ‘nuovo grande Ulivo’, qualsiasi cosa voglia dire, evocando una cosa che, in realtà, non vuole dire nulla, ma che, in teoria, sta a metà strada tra l’idea della ‘maggioranza Ursula’ (cioè, in buona sostanza, sarebbe un governo Pd-M5s-LeU-FI…, copyright, però, pure questo, sempre di Romano Prodi) e l’Unione di temibile memoria (sempre by Prodi), cioè un’accozzaglia indistinta di tutto e di tutti, dai centristi alla sinistra extraparlamentare, che magari può prendere un voto in più degli altri, ma che, alla prova del governo, si affloscerebbe al primo decreto, al primo problema, al primo guaio, e salterebbe in aria.

Forza Italia

Bandiera di Forza Italia

Peraltro, se il primo disegno, quello della maggioranza Ursula, per realizzarsi dovrebbe però passare per una rottura del centrodestra di governo e per il ‘distacco’, a quel punto definitivo di Forza Italia dal centrodestra (i ministri Carfagna, Gelmini e Brunetta ci sperano, e lavorano per questo, Tajani no, il Cavaliere non si sa, o meglio, di questi tempi, non si capisce bene cosa voglia fare davvero), il secondo ‘disegno’, quello dell’accozzaglia, del caravanserraglio stile Unione (dai centristi di Iv e Azione e +Europa fino a LeU, passando per M5s) non è neanche detto che, al momento del voto, convinca gli italiani, specie i tanti che si sono rifugiati, in queste comunali, nell’astensionismo, ma che, naturaliter, sono ‘de destra’, non ‘de sinistra’, visto che abitano nelle periferie urbane delle città.

Luciana Lamorgese

Luciana Lamorgese

Certo è che se Salvini, fino all’altro ieri, giurava che «noi stiamo nell’esecutivo e vi rimarremo. E se qualcuno usasse il voto per abbatterlo, sarebbe irresponsabile», parlando al Pd perché Meloni – che ha ‘sfidato’ Letta così: eleggiamo Draghi al Colle e, dopo, andiamo subito a votare – intendesse, ieri, come si è visto, ha cambiato idea, e ora è pronto ad aprire la crisi. Eppure, la sua linea ‘descamisada’ lo ha già consegnato alla sconfitta, ma il Capitano intigna. Già ieri è tornato a criticare il Viminale, e la Lamorgese, come pure la revisione del catasto, poi ha tirato la ‘bomba’ sulla delega fiscale a Draghi.

Cosa farà ora, davanti allo strappo della Lega, ‘Super-Mario’?

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Così si torna a Draghi, attorno a cui si stringono, per pura necessità, gli altri partiti della maggioranza. Compreso, ovviamente, il Pd, dove – nel giro di sei mesi, cioè con l’arrivo di Letta – è cambiato il lessico con cui si parla del governo di larghe intese. All’inizio era stato vissuto come «un pericolo» da autorevoli dirigenti del Nazareno. Oggi invece a Draghi porta in dote la vittoria, “perché grazie al nostro successo si rafforza”, diceva, a botta calda, dopo il voto, sempre lui, Letta.

Andrea Orlando

Andrea Orlando

E il ministro Orlando, che non voleva saperne di sedere al fianco della Lega «nemmeno se a Palazzo Chigi ci fosse superman», e di cui il premier ha, di fatto, ‘stracciato’ la legge contro le multinazionali sulle delocalizzazioni, ora giura che «il governo potrà andare avanti con più velocità e determinazione», come vuole Draghi. Eppure, nel Pd, diventato il ‘primo partito’, la ‘tentazione’ (folle) di correre a urne anticipate, per poter gridare ‘ball, set, match’, corre sul filo. Come se, alle politiche, si votasse come si vota nei e per i comuni. Come se le grandi Regioni, tranne cinque, non fossero tutte amministrate da governi di destra (ultima arrivata la Calabria, con Occhiuto di Forza Italia, e fa 16). Come se l’alto astensionismo, che alle Politiche, in gran parte, ‘rientra’, già sapessero dove andrà.

La partita che si sta aprendo per il Colle porterà anche alle urne?

vista colle quirinale

Vista particolare del Quirinale

In tempi ‘normali’, lo scontro tra partiti si ferma. Al massimo, si sposta sulla corsa per il Quirinale. Meloni già sfida Letta, dicendosi disponibile a votare Draghi se poi, in cambio, si andasse subito al voto: il guanto, in realtà, lo ha però lanciato a Salvini, che invece sull’argomento citato nicchia assai. 

Il centrodestra potrebbe nuovamente dividersi, disperdendo la forza dei numeri di cui dispone con i suoi grandi elettori (se resta unito è a un filo dalla maggioranza assoluta dei voti, alla IV votazione) e lasciando, anche stavolta, un Pd – che in Parlamento è, invece, assai minoritario – fare lui da ‘regista’ e, dunque, ‘scegliersi’ di nuovo il nuovo inquilino del Colle, come una maledizione di TutankQurinalem.

Se non fosse, però, che anche il centrosinistra è diviso, perché Conte non controlla i gruppi parlamentari e il Pd annovera troppi candidati. Sul Quirinale potrebbe scoppiare l’ennesima crisi dei partiti. Sempre che non scoppi prima, cioè subito. Dato che, nella nostra pazza Italia, votare in 1200 comuni, e perdere (o vincere) elezioni solo comunali può anche voler dire aprire una crisi di governo


Spuntano fuori, dalle praterie del nulla centrista, I “liberali pragmatici” (sic): vogliono dare vita al ‘partito di Draghi’…

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi

Ma se Draghi non andasse al Colle (se ci va, si vota presto, a maggio 2022, altro che ottobre, nessuno può reggere dopo di lui), completasse la sua opera di governo e poi, nel 2023, invece di ‘riposarsi’, scendesse in Politica (o vi ‘salisse’, come voleva fare Mario Monti, presto caduto sulle scale)? Ecco, in quel caso,  i vari ‘centrini’ oggi presenti in politica sono già pronti ad appoggiarlo…

C’è chi lo chiama il partito di Draghi e chi il movimento dei ‘pragmatisti’, ma quel che è certo è che, dopo le amministrative, i centristi vedono una prateria aprirsi e la vogliono percorrere. L’obiettivo dichiarato di alcuni di loro è costruire un rassemblement liberale o lib-dem (fa più chic), fortemente ancorato all’Europa, e ai suoi valori, ma anche alla Nato e agli Usa, che possa occupare lo spazio di quanti non si riconoscono né nel Pd né nel centrodestra sovranista a guida Meloni-Salvini.

Salvini e Meloni

Salvini e Meloni

I ‘pragmatici’ – beati loro – vogliono diventare l’ago della bilancia della Politica italiana per mettere insieme una futura coalizione di governo sul modello del partito liberale tedesco, la Fdp (liberista, peraltro). Il punto di riferimento dei vari ‘conversari’ che si vanno svolgendo è, ovviamente, uno solo, Mario Draghi o, meglio, il suo decisionismo e il suo programma di governo, la sua azione, il suo utilizzo del PNRR, ma anche la sua capacità di dialogo coi sindacati come con Confindustria, con lo sport come con la società civile, con i laici come con i cattolici, etc.

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Matteo Renzi – Italia Viva

A spiegare, a modo suo, il progetto e a metterci, ovviamente, il cappello è Matteo Renzi: “l’area riformista (dai moderati che non vogliono Salvini e Meloni, fino ai democratici che non vogliono morire grillini) è fortissima” – scrive il leader di Iv nella sua enews. “Sia dove vinciamo, sia dove facciamo testimonianza, i risultati sono molto buoni e questo è fondamentale in vista del 2023”. Renzi, cioè, dà per scontato che, fino a fine legislatura, non si voti, ma oggi – specie dopo la rottura di ieri sera della Lega sulla riforma fiscale – chi può dire che non vi saranno elezioni anticipate nel 2022 o se Draghi andrà al Colle? Nessuno, appunto. Sulla stessa lunghezza d’onda di Renzi, in ogni caso, si mette Carlo Calenda che può vantare il successo di essere il primo partito di Roma, sopra al Pd: “il dato è che esiste un’area di riformismo pragmatica che non si accontenta dell’offerta politica attuale”, dice e vuole ‘pesare’ i suoi voti.

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Carlo Calenda

Di liberismo parla, da anni, Benedetto Della Vedova, segretario di Più Europa, che prende subito la palla al balzo: “ora c’è da costruire una area europeista, liberaldemocratica e dalla tornata elettorale esce rafforzata la via di Draghi: riforme ed europeismo”. Ma la platea di voti e consensi da ‘acchiappare’ è vasta e punta agli astensionisti. Il segretario dem, Enrico Letta, fiuta il pericolo e si barcamena tra la necessità di una alleanza forte con i 5S (concetto ribadito ieri) e l’esigenza di rassicurare l’elettorato moderato, parlando di ‘nuovo grande’ Ulivo per non perdere il centro.

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Enrico Letta

Alla finestra resta, invece, Silvio Berlusconi che però appare sempre più lontano dalla voglia di federare il centrodestra e sempre più infastidito dai toni populisti di Meloni e Salvini. Il prudente Antonio Tajani ricorda che “vince il centrodestra che si riconosce nei valori del popolarismo Ue”.

Lo spiega la ex azzurra Michaela Biancofiore, oggi in Coraggio Italia

Lo spiega la ex azzurra Michaela Biancofiore, oggi in Coraggio Italia

Ma chi sarebbero, oggi, i “liberali pragmatici”? Lo spiega la ex azzurra Michaela Biancofiore, oggi in Coraggio Italia elencando i comprimari della nuova, fantastica, avventura: “Parlo della lista civica di Calenda a Roma, della lista di Damilano a Torino, di Iv di Renzi, dell’Udc, di Lupi e di Coraggio Italia”. Il ‘centro’ politico italiano si fa sempre più affollato, ma le percentuali di ognuno restano assai risibili.

Messi tutti insieme, questi partiti non arrivano all’8-10% dei voti e molto cambia a seconda di quale sarà la legge elettorale con cui si voterà.

Un ‘centro’ sempre più affollato e composto da troppi, ‘centrini’…

Un 'centro' sempre più affollato e composto da tanti, troppi, 'centrini'...

Un ‘centro’ sempre più affollato e composto da tanti, troppi, ‘centrini’…

Il ‘centro’ politico, dunque, è sempre più affollato, nonostante le sue percentuali restino assai risibili.

C’è Carlo Calenda, con il suo sonoro 18,4%, prima lista a Roma, ma non presente altrove. C’è, ovvio, Matteo Renzi che, ieri, ebbro di gioia, sosteneva, via enews, che “L’area riformista (dai moderati che non vogliono Salvini e Meloni, fino ai democratici che non vogliono morire grillini) è FORTISSIMA (scritto così, in maiuscolo, ndr.). I nostri risultati sono molto buoni, fondamentali”. “In questo quadro, il risultato di Italia Viva – assicura Renziè incredibilmente superiore alle nostre aspettative. Eleggiamo sindaci iscritti al partito in tutta Italia, siamo determinanti in moltissimi comuni, abbiamo un numero impressionante di consiglieri e assessori. Laddove c’erano le liste riformiste, i candidati di Iv sono campioni di preferenze (da Milano a Roma a Napoli). In tutta la campagna elettorale i 5S e Conte dicevano: ‘non preoccupatevi di Renzi, ha l’1%’. Con l’1% abbiamo preso più consiglieri comunali di loro. Italia Viva è viva. I 5S no. Adesso dobbiamo costruire un’area vasta di riformisti e liberali, tutti insieme”. Già, solo che metterli insieme, Renzi e Calenda, non è facile. Due personalità troppo forti e urticanti che, a metterli nella stessa stanza, finiscono per urlare e prendersi a schiaffi. 

“Coraggio Italia” di Toti e Brugnaro

“Coraggio Italia” di Toti e Brugnaro

E, c’è pure, ‘Coraggio Italia’, neonati centristi fondati dal duo Giovanni Toti (governatore della Liguria) e Brugnaro (sindaco di Venezia) che hanno uno un carattere e approccio mite alla Politica (Toti) e uno un carattere pessimo, “ma coi soldi” (dicono i suoi): in teoria, stanno nel centrodestra, come quelli di Lupi (Noi con l’Italia) e l’Udc di Cesa, ma da mesi lanciano segnali in tutte le direzioni. Verso Calenda, verso Renzi, verso FI (andata, va detto, malissimo, alle comunali, in tutte le grandi città). “Tutti insieme – assicurava una vecchia volpe, l’ex azzurro Osvaldo Napolisiamo e saremo cruciali, decisivi, per eleggere il nuovo Capo dello Stato perché contiamo circa 100 parlamentari”.

Totò direbbe “è sempre meglio abbondare”

Totò direbbe “è sempre meglio abbondare”

Ora, al netto del fatto che, direbbe Totò, “è sempre meglio abbondare” (i centristi, variamente intesi, in Parlamento sono 48 e, anche sommando i 30 di Coraggio Italia, il totale fa 78, non di più), quanto valgono, oggi, i vari ‘centrini’in politica?

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La società di sondaggi Youtrend

Il 2,2% di Iv, che ha perso pure alle porte di Firenze, a Sesto Fiorentino? Il 3,4% di Azione di Calenda, forte solo a Roma? L’1,7% di +Europa, che di fatto non aveva liste, nelle città al voto? L’1% di Coraggio Italia che e che la Supermedia di You trend (da cui prendiamo i dati) manco calcola, con Toti che ha perso pure la ‘sua’ Ameglia, in Liguria? Fa 8,5%%, ecco. in totale, sommandoli tutti tutti, al massimo, forse, fa 10% con Lupi e Cesa, ma ben sapendo, sempre sulla scorta del principe Antonio De Curtis (Totò) che “la somma non fa il totale”.

rosatellum

Ma Todo cambia a seconda della legge elettorale, per i centristi. Con l’attuale, il Rosatellum, lo sbarramento è fissato al 3%, ma i 2/3 di collegi uninominali, per i centristi, sarebbero una tagliola sanguinolenta, meglio di no. Con il proporzionale – quello morto due anni fa, per precisa scelta di Renzi – lo sbarramento al 5% è abbordabile, ma rischioso, per molti, specie Iv., che non a caso ha ‘bloccato’ quella legge, affondandola, perché voleva mettere la soglia di sbarramento più bassa, al 3%.

Con la proposta di legge Ceccanti-Parrini, entrambi esponenti del Pd, di base un maggioritario a doppio turno con premio di maggioranza, ma eleggendo al primo turno i parlamentari (tutti) con un sistema simile all’ex Provincellum, la soglia di sbarramento riscende al 3% e, anche per questo, ‘piace alla gente che piace’ (pure a Calderoli e alla Lega, piace, per dire, la proposta del duo dem, ma a FdI e FI no). Troppo presto, comunque, per parlare. Prima si svolgerà il ‘Grande Gioco’ del Colle, poi si vedrà. In fondo, però, nel framezzo, nell’attesa, ‘sognare’ il partitone con Draghi, ai centristi, non costa nulla.