“E’ qui la festa?!”. Sì, a Santi Apostoli! Comunali, il Pd esulta per il sonoro 5 a o. M5s in crisi. Il gioco a scacchi di Letta tra governo e Colle

“E’ qui la festa?!”. Sì, a Santi Apostoli! Comunali, il Pd esulta per il sonoro 5 a o. M5s in crisi. Il gioco a scacchi di Letta tra governo e Colle

19 Ottobre 2021 0 Di Ettore Maria Colombo

“E’ qui la festa?!”. Sì, ma a Santi Apostoli! Comunali, Il Pd festeggia euforico: un sonoro 5 a 0 sulle destre. M5s in crisi. Il gioco a scacchi tra Colle e governo. Le possibili mosse di Letta e i contraccolpi tra i dem

Il gioco a scacchi tra Colle e governo

Il gioco a scacchi tra Colle e governo

Nb. Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2021 sul sito internet Tiscalinews.it 

Cinque a zero!!! Il Pd esulta come ai Mondiali. ‘S’en fout’, direbbe Cambronne, tutto il resto che pure c’è…

Que s’en fout! (la traduzione esatta, pur volgare, è ‘che si fottano’), o meglio ancora “La Guardia muore, ma non si arrende!”, come disse il generale Etienne Cambronne

Que s’en fout! (la traduzione esatta, pur volgare, è ‘che si fottano’), o meglio ancora “La Guardia muore, ma non si arrende!”, come disse il generale Etienne Cambronne

Cinque a zeroooo!”. Meglio che agli Europei, forse un viatico per i Mondiali. Stile Olimpiadi. Insomma, un successo indubitabile, ecco, meglio dirlo subito, e chiaramente.

E, dunque, Que s’en fout! (la traduzione esatta, pur volgare, è ‘che si fottano’), o meglio ancora “La Guardia muore, ma non si arrende!”, come disse il generale Etienne Cambronne che, ci tiene a ricordare Walter Scott, autore del romanticismo inglese, non disse mai Merde!, come gli fece dire Victor Hugo, nei Miserabili, rivolto ai cannoni inglesi mentre rifiutava di arrendersi, a Waterloo (1815), dove Cambronne comandava la Vielle Garde, cioè la Vecchia Guardia, nell’ultima eroica difesa di quel che restava della potente Grand Armeé di Napoleone I, ormai sconfitto dal duca di Wellington, e già bello che fuggito, mentre invece la Vecchia Guardia si faceva massacrare. Waterloo, oggi, ha il nome di Salvini&Meloni.

Salvini e Meloni

Salvini e Meloni

Insomma, ‘che si fottano’. Chi? L’alto tasso di astensionismo (43,83%, il più basso di sempre, un record assoluto nella lunga storia d’Italia). Ma pure le periferie che restano ‘a casa’, non votano proprio, che altrimenti chissà come andava, il voto, che ormai sono tutte ‘de destra’. E pure che importa se solo i quartieri bene votano – e in massa – per i candidati del centrosinistra. E pure che importa se il centrodestra ha scelto i candidati peggiori che poteva scegliere, come cercandoli con il lanternino o con la lanterna del noto filosofo, tra lo stoico e il cinico, Diogene.

Achille occhetto oggi

Achille Occhetto oggi

E pure se – dice la Cabala, cui bisognerebbe sempre prestare attenzione, non fosse per scaramanzia – nel 1993, l’alleanza dei Progressisti vinse tutti i comuni d’Italia, con le prime elezioni fatte con l’attuale legge elettorale, quella ‘dei sindaci’, da Milano a Torino, da Venezia a Firenze, da Roma fino a Palermo, e giù giù, colorando di ‘rosso’ – allora sì, che era ‘rosso’, il colore del Pci-Pds – e poi, alle politiche del 1994, il segretario della ex ‘Cosa’, Achille Occhetto, presentò la – indimenticabile – ‘macchina da guerra’, sempre quella dei Progressisti (andavano da Rifondazione comunista ai liberali e repubblicani, passando per Verdi, socialisti, etc) e perse, in modo rovinoso, le elezioni politiche. Certo, era sceso in campo, all’improvviso, un certo cavalier Silvio Berlusconi, e il centro del Patto Segni, alleatosi con la Dc di Mino Martinazzoli, si era voluto intestardirsi, senza capire la nuova legge elettorale (si chiamava Mattarellum, indovinate chi l’aveva scritta? Sì lui, Sergio Mattarella) – presentare da solo. Ma una sconfitta così sonora (centrodestra oltre il 40% dei voti nelle due Camere, Progressisti al 34%, Pds al 20%, il peggior risultato della Sinistra in tutto il dopoguerra) non si era registrata, a memoria d’uomo, e pure di militante, della Sinistra (c’è voluto Matteo Renzi nel 2018, per un risultato peggiore, appena il 18%). 

Quando si vince si vince, poche storie! E noi abbiamo vinto!!!” urlano di gioia tutti i dem.

Già le vittorie al primo turno avevano esaltato il Pd

Primarie Pd

Dentro il Pd ieri, facevano, e si capisce, i salti di gioia. Prima le vittorie al primo turno di Milano, Bologna e Napoli, vinte in rapida successione, e senza colpo ferire, contro avversari polverizzati, ridicolizzati: due grandi comuni ‘tenuti’, Milano e Bologna, ma con risultati schiaccianti, e uno riconquistato, Napoli, in modo netto ed inequivocabile, sempre al primo turno.

Gaetano Manfredi

Gaetano Manfredi

Proprio ieri, ironia della sorte, Gaetano Manfredi, un signore elegante, calmo, raffinato, posato, ha preso, a palazzo San Giacomo, sede del comune di Napoli, le consegne dal sindaco uscente, Luigi De Magistris, ex sindaco arancione, ex ‘descamisado’ di una sinistra radical (e radicale) che, di fatto, non esiste più, e quello imbarazzato e ‘piccolo’ sembrava lui, il leader di Dema, che manco in Calabria è riuscito a ottenere un posto da consigliere regionale, dopo essere fuggito da Napoli, lasciandola in dissesto finanziario, un buco da tre miliardi di euro, e ora ‘so c.’ di Manfredi, ecco, ma s’è messo all’opera.

Insomma, il Pd – già da 15 giorni – ‘governa’ città importanti, e cruciali, cui ora si aggiungono Torino, prima capitale del Regno d’Italia, ex capitale dello stato sabaudo (città in dismissione, però) e, soprattutto, la Capitale d’Italia, Roma, che presto avrà pure una ‘legge speciale’, come una vera Capitale europea, più una lunga serie di altri comuni, e inaspettati.

“Dov’è la festa?” Ma a Santi Apostoli, ovviamente

Piazza Santi Apostoli

Piazza Santi Apostoli

E così, nel Pd, non ci stanno dentro, per la contentezza. Esplodono come ragazzini che esultano per il primo amore, per il goal di Totti, o quegli eventi che capitano una volta, nella vita.

Prima al Nazareno, dove la gioia esplode incontenibile, con tanto di selfie buoni per i social e, ormai, anche per le dichiarazioni alla stampa. Poi, a piazza Santi Apostoli, per festeggiare: sul palco salgono, oltre al neo-sindaco di Roma, Gualtieri (“Enrico sarà la sorpresa dei prossimi anni”, dice, come per benedirlo, LUI, a Letta…), Letta, Bettini e Zingaretti, ministri di rango (Franceschini, Orlando, etc.), i tanti dirigenti del Pd nazionale e romano che si godono la vittoria al canto di “Bella ciao!” e tra i ‘buuu’ alla Raggi. Né mancano i compagni di strada, che pure, a volte, sbagliano: Fornaro (LeU), Nobili (Iv), etc.  

La scelta della piazza dove ha avuto sede prima l’Ulivo e poi l’Unione – era una sede ‘mitica’, ci hanno scritto sopra libri, ma pure assai caotica – e dove sono state festeggiate le uniche due vittorie elettorali (1996 e 2006) del centrosinistra nelle urne (e non, cioè, ‘per grazia ricevuta’, stile governi Letta-Renzi-Gentiloni), da quando vige la Seconda Repubblica, non è casuale. Lo dice, apertis verbis, sempre Letta: “Santi Apostoli è un bel luogo, evocativo, con tanto simbolismo. Sono tanto contento di essere qui a festeggiare”. “E’ un trionfo, il 5 a 0 – dice Letta – ma, aggiunge, “lo dico senza trionfalismi” (sic). E poi, ancora: “Gli elettori si sono saldati, ora dobbiamo costruire un campo largo”, una di quelle perifrasi che ama tanto G

Goffredo Bettini

Goffredo Bettini

offredo Bettini.

 

Eccolo, dunque, che nasce, tra sventoli di bandiere, cori da stadio, gioia che sprizza dai pori, l’Ulivo 2.0, detto anche Ulivo 4.0, dipende tutto da come li conti, i precedenti dell’Ulivo 1 e dell’Ulivo 2, dell’Unione, del Pd, etc. – ma poco importa, non saremo certo noi, qui, a sottilizzare.

Vittorie del centrosinistra “dalle Alpi alla Sicilia”…

Vittorie del centrosinistra "dalle Alpi alla Sicilia"...

Vittorie del centrosinistra “dalle Alpi alla Sicilia”…

Né si festeggia mica solo per la vittoria a Roma. Come direbbe Alessandro Manzoni, sempre celebrando Napoleone Bonaparte (“Ei fu siccome immobile” etc.), la notizia corre – e i risultati pure – “dalle Alpi alla Sicilia” (poi c’erano pure il Manzanarre e il Reno, ma vabbè, quelli stanno all’estero, magari la prossima volta, quando verrà risuscitato pure “l’Ulivo mondiale”) e la gioia, da incontenibile, tracima, contagia.

Stefano Lorusso

Stefano Lorusso

Si festeggia, certo, l’elezione di Stefano Lorusso a Torino (59,2% contro 40,8% del civico Damilano), dem di provata fede, un riformista, moderato, pacato, che ha vinto senza i 5Stelle, proprio come Gualtieri a Roma (ma i voti arrivati ai due candidati sono anche i loro, dei 5Stelle). Non si festeggia, per un pelo, a Trieste, dove il lettiano Francesco Russo compie una incredibile rimonta sul candidato del centrodestra, Dipiazza, che vince per 51,4% contro 48,6%, e perde per un soffio, ma fa diventare il Pd il primo partito della sua città, e pure queste so’ belle soddisfazioni… Si festeggia, per dire, pure a Isernia, a Cosenza (dove il neo-sindaco è il giovane e bravo Caruso, socialista del Psi), a Latina, con una rimonta che ha dell’incredibile, uno dei pochi posti dove il centrodestra era ‘sicuro’, ma proprio ‘convinto’ di vincere (sic), e a Varese, cioè nella storica ‘patria’ della Lega, espugnata per la seconda volta, cinque anni dopo, con Salvini&Giorgetti che ci venivano un giorno sì e l’altro pure, ma non è servito proprio a niente.

Insomma, tranne a Trieste (e a Benevento, dove Mastella viene riconfermato e attacca Letta che gli aveva schierato contro i cannoni di Navarone, ma non è servito: Clemente mantiene il suo feudo e ‘citofonare Prodi’ per sapere di cosa è capace) è un trionfo e, nel Pd, si fanno tutti belli tronfi… Ma, ovviamente, e soprattutto, si festeggia l’elezione di un altro dem a sindaco di Roma.

“Annamose a ripija Roma!”. L’urlo dei dem capitolini…

“Annamose a ripija Roma!”. L’urlo dei dem capitolini…

“Annamose a ripija Roma!”. L’urlo dei dem capitolini…

L’ex ministro al Mef del governo Conte II, Roberto Gualtieri, è diventato primo cittadino della Capitale d’Italia con un clamoroso risultato (60,1%), al ballottaggio, ottenuto contro Enrico Michetti, lo sfidante – e geniale gaffeur – di centrodestra, inchiodato al 39,9%. Un risultato che più rotondo non si può, con tanto di rimonta.

Annamose a ripijarse Roma!” potrebbero dire i dem, se fossero ‘fascisti’ stile giro di Alemanno, ultimo sindaco ‘de destra’ della Capitale, ma non solo non lo sono: sono fieramente antifascisti. E anche l’antifascismo militante ha dato il suo bel contributo, al ballottaggio: la schiacciante vittoria è arrivata – come il volo di aruspici fausti – dopo la manifestazione antifascista per la Cgil che si è tenuta nella mitica, rossa, San Giovanni, il tempio dei comizi di Berlinguer (e Cofferati).

Roma, dunque, torna “a sinistra”, dopo l’infausta parentesi di Ignazio Marino, il sindaco dottore, defenestrato dal suo stesso partito, nel 2015, dopo appena due anni dopo la sua (infausta) elezione, e prima della vittoria, a tappeto, di Virginia Raggi. Il Pd promette di rinverdire i fasti della premiata ‘Ditta’ Rutelli&Veltroni: fecero grande Roma secondo quel ‘modello Roma’ che era diventato proverbiale ma che conosceva, e conosce ancora oggi, un solo deus ex machina, Goffredo Bettini.

giulio andreotti

Giulio Andreotti

E c’è sempre lui, Bettini – ex europarlamentare, ex deputato, oggi ‘solo’ libero pensatore nel Pd, un po’ come Giulio Andreotti nella Dc che, con una corrente piccola piccola, ne condizionava la vita – dietro la scelta di Gualtieri a sindaco. Che Letta neppure lo voleva, e prima ha pregato Zingaretti (stoppato dagli ‘amici’ dei 5Stelle…) di candidarsi lui, ma niente. E poi ci ha provato pure con l’attuale presidente del Parlamento Ue, David Sassoli, che però non se l’è sentita manco lui.

Peppe Provenzano

Giuseppe Provenzano

Un po’ come Peppe Provenzano, attuale vicesegretario dem, che ha rifiutato, timoroso, il seggio di Roma-Primavalle, pensando fosse tosto (troppo) e rischioso (assai), e alla fine s’è dovuto mangiare le mani: ora, in Parlamento, a far compagnia al segretario, neo-eletto deputato del collegio di Siena, ci è andato il giovane Carneade romano Andrea Casu. Ecco, pure Sassoli temeva che si poteva perdere, non se l’è sentita, e amen: tra due mesi non sarà più presidente del Parlamento della Ue, tornerà a fare l’europarlamentare semplice (che è sempre un bel vivere, si capisce, ma insomma, bonjour tristesse.

Largo a Gualtieri, che tutto era ed è tranne che smargiasso, ma ora già, alle prime uscite da sindaco, si atteggia a “fatece largo che passamo noi, sti’ ragazzoni de’ sta’ Roma bella”. Succede. Gualtieri – professore di Storia, ex comunista, legnoso e tignoso, unica passione ‘commestibile’ la chitarra, che manco suona male (così dicono) – è stato scelto, però, non da Enrico Letta, ma imposto da Goffredo Bettini. Il quale Bettini, da antico e mai domo dominus del Pd romano (che ancora è: sua pure la ‘creatura’ di Zingaretti), gli ha messo tutti i suoi (Claudio Mancini, uomo-macchina del Pd laziale e vero ‘titolare’ della campagna elettorale di Gualtieri, e altri) alle calcagna, lo ha cinturato, ha costruito liste su liste (compresa quella di Onorato, ex fan del ‘bel’ Alfio Marchini, candidato centrista nel 2016), ha sapientemente dosato i suoi passaggi tv e social, lo ha portato, persino, nelle vituperate ‘periferie’, quelle che Gualtieri conosce solo per sentito dire (lo ha detto lui, Gualtieri, in impeto di sincerità: “sono ‘anche’ stato due-tre volte nelle periferie”).

Enrico Michetti

Enrico Michetti

Risultato, Gualtieri ha stra-vinto e tanti cari saluti al povero Michetti, il candidato più improbabile (e più ‘destrorso’, nella sua goffaggine, quasi peggio di Gianni Alemanno, che almeno era di destra ‘vera’, meglio nota come ‘destra sociale’) che il centrodestra abbia mai messo in campo. E tanti cari saluti, soprattutto, a Virginia Raggi, la sindaca uscente, che ha perso sia la prima sfida (arrivare al ballottaggio) che la seconda (condizionare il ballottaggio, con l’astensione).

Carlo Calenda

Carlo Calenda

E, infine, tanti cari saluti pure a Carlo Calenda: Gualtieri se n’è annesso i voti, senza neppure dover pagare troppo dazio, senza che dovrà mai, così dicono i suoi, neppure dargli un assessore (Calenda non chiede, dice), pur se, almeno a lui, ha riconosciuto di aver avuto parte alla vittoria. Insomma, un trionfo. E poco importa se, oggi, amministrare Roma, tra Ama-Atac-Acea, che fanno acqua, sudore e lacrime (ai romani) da tutte le parti, è un compito da far tremare le vene nei polsi. Ci vorrebbe un Ernesto Nathan (liberale), un Luigi Petroselli (comunista), Rutelli-Veltroni (al cubo), invece a accogliere i Grandi della Terra o in udienza dal Papa per il nuovo Giubileo, o ad accendere la fiamma olimpica, o allo stadio, per Roma-Lazio, o all’Ippodromo, o alle cene della Roma bene, dai costruttori che pesano e hanno i soldi, ci andrà lui, Gualtieri, e cari saluti a tutti.

Ma poi arriva il ‘dopo-Festa’. Cosa accadrà ora nel Pd? E nei 5Stelle, dove già si sentono gli anti-Conte?

Conte, come un Salvini qualsiasi, preferisce porre l’accento sul “vero vincitore dei ballottaggi, il drammatico astensionismo”

Conte, come un Salvini qualsiasi, preferisce porre l’accento sul “vero vincitore dei ballottaggi, il drammatico astensionismo”

Però c’è il ‘dopo-Festa’, quando la sbornia passa e resta solo un gran mal di testa, all’indomani. Cosa accadrà nel Pd? E cosa accadrà, anche, negli ‘amici’ dei 5Stelle?

Ecco, questo dipende, e pure da tanti fattori, ma Letta alcuni ‘indizi’ li offre, nelle sue parole, pur se ancora dette tutte in mood festeggiamenti. Il leader dem è sicuro: “Il Pd non è più il partito della Ztl, abbiamo vinto anche nelle periferie, oltre che nelle le metropoli, con un risultato a valanga attorno al 60%, questo indica che nelle periferie abbiamo ricominciato un dialogo” (sic).

Conte sta gestendo bene una fase complicata, per l’M5s”, nota, tendendo una mano all’alleato, che sa essere finito sotto il tiro incrociato dei suoi (Raggi e Di Battista a sinistra, Di Maio a destra).

Ma in casa pentastellata ormai è psicodramma. Conte, come un Salvini qualsiasi, preferisce porre l’accento sul “vero vincitore dei ballottaggi, il drammatico astensionismo” e incita i suoi: “non c’è da parlare, ma da fare, che c’è molto da fare, bisogna riorganizzare il Movimento, ci stiamo lavorando e continueremo a lavorarci”.

renzi italia viva

Renzi Leader di IV

Certo è che i suoi scalpitano e, dalle truppe parlamentari, si preparano nuove fughe (20, pare) al Misto. Inoltre, le ‘sue’ truppe già gli rimproverano, rabbiose, che “ora che Letta apre l’alleanza a Renzi e Calenda, che farà Conte?”. Di Maio, di default ‘diplomatico’ (“I cittadini hanno scelto”), si limita a mandare “ai neo-sindaci un grosso in bocca al lupo per l’impegno che li aspetta”.

E poi c’è Matteo Renzi, leader di Iv, non si fa sfuggire l’occasione, infierisce sul cadavere: dice che, oltre alla “clamorosa sconfitta del centrodestra”, intingendo la penna nel fiele, che i ballottaggi decretano “la fine del tempo dei 5 Stelle” perché “dimostrano che il sovranismo non paga” e “il populismo grillino-destrorso si può sconfiggere”.

Letta ‘sfotte’ Salvini, ma apre al centrodestra: eleggiamo il Capo dello Stato “in modo largo”

Obiettivo politico di Letta

Obiettivo politico di Letta

Letta, è chiaro, non la pensa così, gli amici pentastellati, e Conte sopra di tutti, se li vuole tenere belli ‘stretti stretti’, ma vuole fare di più, renderli ‘digeribili’ ai centristi, cioè sdoganarli. Sempre per creare quel famoso Ulivo 2.0 o 4.0. Così prende di mira e sfotte solo il centrodestra: “Spero che la destra non tiri nessuna conclusione e che la linea sia quella della conferenza stampa di Salvini oggi (ieri, ndr.). Per noi sarebbe la cosa migliore…”. Ma se sulla incapacità della destra (Salvini&Meloni) a leggere la sconfitta, sonora, subita, ha ragione da vendere, sul resto è foschia, nebbia fitta, smog metropolitano denso.

Ha pagato la coerenza del Pd, sull’estensione del Green Pass”, dice il segretario, puntellando il governo Draghi, per chi avesse ancora dei dubbi che non voglia farlo. 

Ma dice anche, Letta, pur mettendo le mani avanti (“di Quirinale si parlerà dopo l’approvazione della legge di bilancio, a gennaio”), che “il Presidente della Repubblica deve essere eletto con la più larga maggioranza possibile, noi cercheremo e lavoreremo per costruire una larga maggioranza per l’elezione del successore di Mattarella”.

Mattarella

Il presidente Mattarella

Ben due notizie sono contenute in questa stessa frase. Il primo è un messaggio in bottiglia per il Pd: Mattarella non accetterà alcun bis, la prima, conviene che ci rassegniamo all’idea. Era, il bis di Mattarella, la ‘prima scelta’ del Pd, ci sono stati dietro, vanamente, per mesi, ora pare che l’hanno capita: Mattarella ‘cerca casa’, fuori dal Quirinale, il suo staff pure, più chiaro di così solo i cellulari per ipovedenti).

Serve una “larga maggioranza” per trovare il suo successore, cioè un ‘patto tra gentiluomini’ col centrodestra, è la seconda notizia che dice Letta. Compito non facile, anzi: assai arduo. Eleggere un presidente a ‘larga maggioranza’ vuol dire, tradotta, una cosa sola: spedire Draghi al Colle, il che, però, a questo punto, a Letta può pure fare comodo, inizia a farci un ‘pensierino’, senza dire che è proprio questa la ‘vecchia’ idea di Bettini.

Mario Draghi

Mario Draghi

Così, infatti, cioè con Draghi spedito al Colle, si ‘libera’ un posto non da poco, quello da candidato premier della ‘nuova’ alleanza Pd-M5s, più alleati minori, a destra come a sinistra, cioè verso i moderati neo-centristi di Iv-Azione-+Eu, e verso gli scalmanati della sinistra che fu.

Posto che, a questo punto, può essere ‘coperto’ da un solo candidato, con tutte le carte in regola, lo stesso Enrico Letta. Sarebbe una sorta di bon gré, mal gré (di buon grado, suo malgrado…), ma insomma, ci siamo capiti: qualcuno, l’amaro calice della candidatura a premier, davanti agli italiani, nel 2022 o nel 2023, dovrà pur berlo…

Con Draghi al Colle, c’è solo Letta come candidato premier, alle prossime elezioni politiche…

maggioranza ursula

Fa capolino la ‘maggioranza Ursula’….

Non sarà facile, ma Letta ci vuole provare, forte del 5 a 0 appena incassato. Tutto il resto, ‘dipende’. E, cioè, nell’ordine, se Draghi andrà al Colle, ci sarà un nuovo governo, magari a guida Franco (ministro dell’Economia) o Cartabia (Giustizia), che rassicuri la Ue, scavalli l’autunno, scriva la nuova manovra e, anche, faccia maturare la pensione ai parlamentari di prima nomina? Chi può dirlo, oggi? Si deciderà a febbraio 2022, quando si faranno i giochi ‘veri’ per il Colle, ma anche se la maggioranza dovesse, nel frattempo, cambiare, e diventare una ‘maggioranza Ursula’ (dentro FI, che resterebbe attaccata al governo, magari pure i centristi minori, ma fuori la Lega), molto meglio, per Letta.

buscando el levante por el poniente, come direbbe Colombo

Buscando el levante por el poniente, come direbbe Colombo

Governare, buscando el levante por el poniente, come direbbe Colombo (povero Colombo, ormai trattato peggio di un negriero schiavista, odiato in tutte le Americhe), cioè fingere di volere una maggioranza ‘draghiana’ o ‘draghista’ e invece dimezzarla, decapitarla, limitarla, stringere confini e bulloni, ma senza far dirazzare il Pd e il centrosinistra, tutt’altro: godendo, anzi, di una posizione di governo che fa sempre comodo, e ricacciando Salvini sui banchi dell’opposizione, a far ‘compagnia’ alla Meloni, per dimostrar che sono ‘unfit’ a governare l’Italia.

Inoltre, se Draghi andrà al Colle, i desiderata dei riformisti dem, gli ex renziani dentro il Pd, che ora Letta se lo devono tenere stretto stretto (le liste, quando si vota, le farà lui e lui è già pronto a farle in ‘modalità Renzi’, da angelo sterminatore di tutti quelli che non gli sono stati leali e fedeli) – che lo vedrebbero bene, a Draghi, come leader del centrosinistra, nel 2023: lui, Draghi, vedrebbero molto bene, non Letta, e che a quello, nei loro sogni reconditi, ancora sperano – andranno frustrati. Potrà essere Letta e solo lui il candidato premier del centrosinistra che verrà.

E, ‘forse, ma forse’, direbbe Cetto la Qualunque

E, ‘forse, ma forse’, direbbe Cetto la Qualunque

Con i 5Stelle nel ruolo di junior partner, ovvero di ruota di scorta, si capisce, ormai dimezzati. E, ‘forse, ma forse’, direbbe Cetto la Qualunque, una ‘speranza’ di vittoria, con questa simpatica armata Brancaleone, questo ineffabile campo d’Agramante, questa ‘macchina da guerra’ con le ruote sgonfie (senza l’Italia profonda, senza le periferie, solo con i voti delle ztl e simili, ma dove vanno? Non oltre il 35% del Paese, ecco), perché, dice Letta,le comunali dimostrano che la destra si può battere”. Il che è pure vero, ma solo se la destra o si divide o sceglie pessimi candidati o si auto-suicida, come pure ha fatto.

Bonaccini vacanze

Bonaccini

E il congresso del Pd? Se non si correrà al voto, Letta lo ‘chiamerà’ entro la fine del 2022 per farsi consacrare leader pure dal ‘bagno’ delle primarie, cosicché nessuno possa più, nel Pd e fuori, metterne in dubbio l’investitura e il diritto regale all’investitura a candidato premier. Primarie che, ovviamente, senza candidati reali e alternativi (Bonaccini, a questo punto, non si candiderà mai come anti-Letta, non è il tipo, ecco, che si lancia in sfide impossibili, è un ‘cauto’…) stravincerà le primarie contro un paio di candidati deboli, debolissimi, messi lì giusto per far numero e la donna, mi raccomando ‘la donna’.

letta renzi

Enrico Letta Matteo Renzi

Sempre, si capisce, non finisca come il povero Akel, Achille Occhetto, che partì per suonarle, alle destre, e finì irrimediabilmente ‘suonato’… Ma quello era il 1993, questo è il 2021, un abisso, li separa, altri tempi. E anche altri leader. Letta, che pure ha tanti difetti, non è uno sprovveduto, emozionabile e iracondo a tratti come Occhetto: è freddo, calcolatore, razionale, un vero caterpillar, Letta, scuola di Beniamino Andreatta, Dc sì, ma tecnocratica. Verrà fuori alla lontana, anzi lo sta già facendo. Chi pensa che, con Renzi, sono l’opposto esatto, lo yin e lo yan, lo zenit e il nadir, il nord e sud, non ha capito nulla. Letta è molto simile a Renzi. Stessa cattiveria, stessa memoria, stessi rancori lunghi, profondi, ‘radici che non gelano’. Ma Letta, dice un big, è “un Renzi che ce l’ha fatta”…