Aggiungi un posto a tavola (di Bruxelles). La corsa per guidare l’Europarlamento è intorcigliata quanto quella per il Colle

Aggiungi un posto a tavola (di Bruxelles). La corsa per guidare l’Europarlamento è intorcigliata quanto quella per il Colle

28 Novembre 2021 1 Di Ettore Maria Colombo

Aggiungi un posto a tavola (di Bruxelles). La corsa per guidare l’Europarlamento è intorcigliata almeno quanto quella per il Colle. Per Sassoli ora sono  ‘cavoletti di Bruxelles’…

Aggiungi un posto a tavola (di Bruxelles)

Aggiungi un posto a tavola (di Bruxelles)

Nb. l’articolo è stato pubblicato , in forma ridotta, il 28 novembre 2021 sul sito di notizie The Watcher Post

 

La Politica italica sa giocare a un gioco solo, il “Gioco del Colle”

‘triangolo delle BermudeQuirinale palazzo Chigi palazzo Montecitorio

Il ‘triangolo delle Bermude’(Quirinale-palazzo Chigi-palazzo Montecitorio)

La Politica italiana ha e mantiene, da settimane, anzi da mesi, gli occhi e tutte le orecchie ‘appizzate’ sul Quirinale (e su palazzo Chigi, ovviamente), pronti a cogliere ogni refolo e ogni stormir di fronda su ciò che accade nel ‘triangolo delle Bermude’ (Quirinale-palazzo Chigi-palazzo Montecitorio). Come si sa, due sono le possibilità principali, e anche le possibili variabili conosciute e battute.

Walt Whitman

Il Poeta americano Walt Whitman

Il primo sentiero, quello più ‘battuto’, come direbbe il Poeta americano Walt Whitman, è che Mario Draghi ‘ascenda’ al Colle, con il consenso, implicito ed esplicito, di tutti i maggiori partiti e  leader.

Matteo Renzi appoggerà Letta

Matteo Renzi

I quali, come ricorda ogni giorno che Domine Iddio manda sulla Terra il leader di Iv, Matteo Renzi (ancora ieri lo ha ri-detto, dalle colonne del Corriere della Sera, intervistato da Maria Teresa Meli), “vogliono andare al voto” e “faranno di tutti per portarci a votare nel 2022”, sulla base del presupposto – non peregrino – che, dopo il governo Draghi, e con Draghi al Colle, nessun altro governo starebbe in piedi seriamente, che lo guidi Daniele Franco o Vittorio Colao, o Renato Brunetta o chi per essi.

Mattarella

Il presidente Mattarella

La grosse koalition di ‘salvezza nazionale’ cui Mattarella ha dato vita, imponendola a partiti riottosi e imponendo loro la stessa presenza di Draghi, andrebbe in pezzi e -via Mattarella dal Colle e via Draghi da palazzo Chigi – non resterebbe che votare, assicurando la ‘stabilità’ del Paese con un governo elettorale, magari a guida Lamorgese o Cartabia o chi altri.

 

Renzi ‘terrorizza’ i parlamentari peones con il rischio del voto, ma tutti i maggiori leader politici hanno ognuno le sue ‘convenienze’

peones

I peones

Certo, Renzi lo dice al fine di ‘terrorizzare’ i parlamentari, specie i peones, privi di ogni futuro (nel senso che nessuno li ricandiderà mai), e poi ‘condurli per mano’ dove vuole lui, cioè ad eleggere un Presidente della Repubblica non solo a lui favorevole, ma pure per potersi fregiare del merito del ‘Gioco del Colle’, passando alla ‘Storia’ non per i viaggi in Arabia o per i finanziamenti di Open ma per aver fatto cadere due governi (Conte 1 e 2) e per aver eletto due Capi di Stato (Mattarella e Mister x). Ma se Renzi ha il suo ‘interesse privato in atti di ufficio’, non è che gli altri leader siano da meno.

Salvini e Meloni

Salvini e Meloni

Ovviamente, sono diversi i propositi e i non detti di ognuno. C’è chi ha il manifesto intento di andare a votare ‘subito’ – o, quantomeno, ‘al più presto’ – e, in ogni caso, nel corso del 2022. FdI in testa, ma anche la Lega, ormai, manifesta propositi simili e Salvini, l’altro ieri, lo ha detto esplicitamente. E se la Meloni punta alle elezioni anticipate perché punta a guidare, da primo partito, il centrodestra, Salvini punta a scalzarla da tale posizione, riguadagnando alla Lega voti, consensi, sostegni.

Enrico Letta

Enrico Letta

Ma c’è pure chi ha il, malcelato, identico proposito. In primis, Enrico Letta e il ‘suo’ Pd: vuole eleggere nuovi gruppi parlamentari a lui fedeli, dato che quelli attuali non lo sono affatto, e coltiva ambizioni di grandeur nel senso che pensa, in scienza e coscienza, di potersela ‘battere’, con le destre alle elezioni.

Conte

Giuseppe Conte

In secundis, Giuseppe Conte e quel pezzo di M5s – sempre più periclitante, sempre più debole, fiacco e scarsamente in forze, sulla tolda di comando – che pensa di sfruttare le elezioni anticipate per rafforzarsi (ed eleggere, appunto, tutti yes man). In tertiis, sulla strada del Draghi al Colle, ci sono quei piccoli partiti che, scioccamente, pensano di poter ‘lucrare’ qualche percentuale, e dunque qualche seggio, in più dalle loro posizioni attuali (da Azione di Calenda a SI di Fratoianni, passa per gli ex M5s di L’Alternativa c’è e il movimento di Di Battista fino ai no-vax e no-Pass di Gianluigi Paragone).

 

Il partito del “rebus sic stantibus”, invece, non ha leader di peso

Il partito del rebus sic stantibus non ha leader

Il partito del rebus sic stantibus non ha leader

La ‘seconda strada’ quella “meno battuta“, come avrebbe detto, nella sua famosa poesia, Whitman, è anche quella più impervia. E consiste nel mandare un altra figura – pur di spicco, ma non così tanto – al Quirinale e mantenere Draghi a palazzo Chigi fino a fine legislatura per impedire che i leader dei vari partiti cadano, troppo facilmente, nella tentazione delle urne anticipate. “Loro il seggio lo hanno, ma a noi chi lo dà?!” è il refrain, in pratica, dei deputati privi di partito o, se ce l’hanno, privi di speranze di facile rielezione. Ma, se non fosse per il mare magno dei parlamentari peones, privi di costrutto, speranza e ambizioni, specie quelli pentastellati (ed ex), eletti nel 2018 per il loro primo mandato e che assai difficilmente torneranno in Parlamento (causa taglio del numero dei parlamentari e, anche, causa la cronica mancanza di ricandidature da parte di partiti che vogliono solo fedelissimi), le forze politiche e parlamentari che vorrebbero che rebus sic stantibus (traduzione: Draghi a palazzo Chigi e Mattarella o chi per lui per altri due anni al Colle anche se, al bis di Mattarella, ci crede solo il ‘soldato Stefano Ceccanti’, ultimo giapponese nella giungla) si contano sulle dita di una mano, pure mozzata.

Stefano Ceccanti

Stefano Ceccanti

Si tratta del ‘corpaccione’ dei parlamentari dem, tutti ex renziani, della pattuglia di Iv, di (quasi) tutta FI (tranne i filo-leghisti, ovviamente) e, soprattutto, della semi-inerte ‘massa di manovra’ dei 5S.

Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi

Un ‘partito’, però, quello del ‘lasciamo tutto così com’è’, o del queta non movere, che non ha capi, se si esclude Renzi, né sostegni, e neppure peso. Un partito che ci manderebbe anche, e persino, Silvio Berlusconi, al Colle (il quale Berlusconi ci crede pure) pur di non interrompere la legislatura, ma che, al netto di ‘capi’ che non ha, è facilmente ricattabile dai vari leader che li ‘minacciano’ ogni giorno.

 

Intanto, però, anche all’Europarlamento di Bruxelles succede di tutto… Ed è proprio lì che, di sicuro, i centristi saranno decisivi

Intanto, però, a Bruxelles succede di tutto…

Ecco, se questa è la situazione che vede partiti e leader posizionarsi in merito alla partita del Colle, si gioca, invece, nella fredda e piovosa Bruxelles, dentro le algide e paludate istituzioni della Ue, tutt’altra partita, non meno importante ma di cui in pochi, in Italia, parlano per il solito, frusto, motivo che, da noi, il provincialismo regna sovrano, a differenza altrui. Uniche lodevoli eccezioni, il Foglio, con le corrispondenze di David Carretta e l’Huffington Post con quelle di Angela Mauro, due ottimi giornalisti che, non a caso, a Bruxelles ci vivono e lavorano da anni. Chissà, dunque, che non succeda a Bruxelles, quello che tutti temono possa accadere a Roma. “Chissà che, cioè, nella coincidenza di date e di accidenti, di suggestioni che si alimentano a vicenda, i centristi non si rivelino decisivi, più nella contesa, in verità, che non nella conta”, scrive, appunto, proprio Carretta su Il Foglio.

nicola danti

Nicola Danti (Iv-Renew Europe)

Perché – anche in questo caso – come a Roma da parte di Renzi, la minaccia dei numeri sembra funzionale a guadagnarsi, in via preventiva, spazio negoziale, ad alzare il prezzo del proprio sostegno, insomma a fare politica. “Attendiamo di capire le proposte che ci verranno fatte, e poi valuteremo”, sibila, allusivo, Nicola Danti, europarlamentare renziano di Renew e sentinella fedele del leader di Iv tra Strasburgo e Bruxelles. E tutto sembra un gioco illusionistico: a metà gennaio si voterà per il Colle e Matteo Renzi ha già iniziato le manovre preparatorie per dimostrare che, in caso di prova di forza, il basculare della galassia centrista potrebbe decidere le sorti della sfida quirinalizia, ma nei corridoi dei palazzi europei, all’attendismo tattico del gruppo liberale di Renew (fusione del PDE, Partito democratico europeo, e dello storico partito dell’ALDE, i liberali), guardano tutti con inquietudine.

David Sassoli

David Sassoli

Specie il presidente uscente dell’Europarlamento, il democrat David Sassoli, che ha attivato i suoi canali diplomatici proprio con i liberali guidati dal presidente francese, fondatore del movimento En Marche!, Emmanuel Macron. Perché sa che da lì passa la sua possibilità di essere confermato alla guida del Parlamento europeo come sa che il suo passato recente non depone a suo favore.

 

Le ‘manovre’ di Sassoli per farsi riconfermare presidente della Ue si scontrano con le divisioni delle ‘famiglie’ Ue, cioè dei grandi e maggiori gruppi dell’Europarlamento

Guy Verhofstadt

Guy Verhofstadt

L’ingordigia con cui Sassoli s’è accaparrato la regia della conferenza sul futuro dell’Europa avrebbe indispettito assai il liberale belga Guy Verhofstadt, che ora fa sapere di avergliela giurata e di voler dirottare almeno una quarantina dei cento voti  del bacino liberale contro il candidato italiano.

Forse anche di più”, azzarda Carlo Calenda, che nel gruppo di Renew c’è entrato da due settimane, dopo aver abbandonato il Pd e i socialisti, sbattendo la porta perché il Pd ha chiesto, al gruppo socialista dei S&D (il Pse in ‘formato’ Parlamento Ue) di agevolare l’ingresso dei 5Stelle, oggi ignavi e inerti, come presenze, nel gruppo Misto, nel gruppo socialista, con conseguente loro snaturamento.

Qui un articolo che parla del possibile ingresso del M5s nei gruppo dei S&D: 

Non aprite quella porta! Toc, toc! Chi è? Siamo i grillini e vogliamo diventare ‘socialisti’! Il dibattito nel Pd e nel M5s sul Pse…

Sassoli e Calenda

Sassoli e Calenda

La candidata espressa dal Ppe, la maltese Roberta Metsola, riscuote molto favore tra i nostri”, dice Calenda, pur se parla da ultimo arrivato. Poi, certo, “le logiche nazionali vincono spesso su quelle di gruppo”, mette le mani avanti Calenda, “ma la scelta dei Popolari è stata intelligente”.  Così intelligente che dalle parti del Pd hanno subito cercato ragioni per delegittimarla: “E’ una antiabortista convinta”, dicono, “e c’ha pure il marito implicato nei Panama Papers, racconta Carretta su Il Foglio.

La maltese Roberta Metsola

La maltese Roberta Metsola

Ma la Metsola potrebbe ‘pescare’ proprio tra i liberali, assai più conservatori di quel che si pensi a Bruxelles, rispetto alle loro posizioni classiche che esprimono nei vari Paesi (in Germania sono or ora entrati nella coalizione ‘semaforo’ con SPD e Verdi, cioè dentro un governo progressista), oltre che, ovviamente, sui voti del PPE, il primo gruppo,  su quelli di un pezzo della Destra (i Conservatori e Riformisti di Meloni e Fitto, mentre Identità e Democrazia di Salvini lancerà un proprio candidato, sapendo che sarà solo di bandiera), oltre che contare sull’elemento dell’alternanza, tra PPE e PSE, regola aurea finora sempre rispettata. Ma proprio la ‘conta’ è un azzardo che Sassoli vorrebbe evitare.

Brando Benifei

Brando Benifei – Capogruppo Pd al Parlamento UE

La strategia sarebbe quella di tirare in ballo gli equilibri politici generali e di non farne una questione personale. “Perché il punto vero è che senza la riconferma di un socialista alla guida dell’Assemblea, il Pse resterebbe escluso dalle cariche apicali della Ue proprio mentre l’Europa, con la vittoria dell’Spd in Germania, prende un volto progressista”, dice Brando Benifei, capo delegazione del Pd a Bruxelles e neo-fedelissimo di Enrico Letta, il quale – nonostante sia dichiaratamente un ‘maschietto’, Benifei – lo ha voluto riconfermare nel suo incarico mentre, per i capigruppo di Camera e Senato, ha puntato sulla ‘parità di genere’, promuovendo due donne, guarda caso diventate sue fedelissime. Benifei, invece, comanda e dispone, fa e disfa, nel gruppo italiano dem all’Europarlamento dove, tranne due eurodeputati ‘indipendenti’ veri (l’avvocato Giuliano Pisapia e il medico Pietro Bartolo), gli altri sono tutti molto ‘dipendenti’ dalle volontà e pure dalle bizze del Nazareno e dal timore di non ricandidatura (anche qui due lodevoli eccezioni: il ‘sinistro’, molto attivo sul tema dei diritti umani e dei migranti,  Pierfrancesco Majorino, e la ‘destra’ Simona Bonafé, vice-presidente del gruppo del Pse alla Ue, in predicato di diventarne presidente, in luogo dell’attuale presidente del gruppo, una spagnola, e forte nella sua regione, la Toscana, dove ricopre anche l’incarico di segretario regionale del Pd, pur ex renziana). 

I socialisti puntano al bis di Sassoli, il PPE fa muro: rotto il patto non scritto Pse-PPE che guidava la Ue

simona bonafé

Simona Bonafè

 Ma, tornando a Bruxelles, in buona sostanza, “non ci sono le condizioni per votare un candidato del Ppe” alla presidenza del Parlamento Europeo per la scadenza di metà mandato, cioè a gennaio, anticipa ad Angela Mauro, sull’Huffington Post, settimane fa, una fonte dei Socialisti&Democratici  l’esito della riunione del gruppo con il presidente attuale del Parlamento europeo, David Sassoli, in programma a Strasburgo. Alla vigilia delle votazioni nel gruppo del Ppe per la scelta del candidato alla presidenza – è stata nominata, poi, appunto, la maltese Roberta Metsola – i socialisti ufficializzano ciò che era nell’aria da mesi: all’appuntamento con l’elezione del presidente a gennaio, proprio negli stessi giorni in cui il Parlamento italiano sceglierà il successore di Sergio Mattarella al Quirinale, avranno un loro candidato. Chi? Sassoli. Reduce da due mesi di malattia per polmonite, il presidente, con il sostegno del suo gruppo, è determinato a correre per il secondo mandato per la parte restante della legislatura europea.

Dunque, ufficialmente a partire da oggi, il patto del 2019 tra socialisti e popolari, secondo cui a Sassoli sarebbe subentrato il presidente del Ppe, Manfred Weber, non esiste più. Non solo perché Weber si è ritirato dalla corsa già a settembre, dopo la sconfitta della Cdu in Germania, sua colpa, ma anche per una serie di altre ragioni. Secondo i socialisti, “è stato il Ppe a stracciare quel patto quando ha sostenuto la nomina del conservatore irlandese Paschal Donohoe alla presidenza dell’Eurogruppo, incarico che invece doveva andare alla ministra socialista spagnola Nadia Calvino. La nomina di Donohoe a capo dei ministri finanziari dell’Ue nel 2020 ha cambiato l’equilibrio politico nelle istituzioni Ue estromettendo i socialisti dai vertici: la presidente della Commissione Europea Ursula von Leyen è del Ppe e il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel è liberale, in quota al gruppo macroniano ‘Renew Europe’.

È per questo che “la presidenza del Parlamento Europeo deve restare socialista”, insistono le stesse fonti parlamentari parlando alla Mauro tanto più che, dopo le elezioni tedesche, sono cambiati anche gli equilibri europei in generale, il Ppe non governa nei maggiori paesi dell’Ue: Germania, Francia, Spagna, mentre in Italia governa con il Pd.

Non siamo qui a parlare di me”, esordisce Sassoli alla riunione del gruppo. Ma poi argomenta: “Sono al servizio del mio gruppo. Ma non possiamo permetterci di portare questa casa alle elezioni con una coalizione a trazione conservatrice. Sarebbe un errore politico in un momento in cui in Europa siamo in vantaggio come famiglia politica. Non è accettabile farci portare alle elezioni europee da un circolo di conservatori.

renew europe

Renew Europe raccoglie, appunto, i ‘liberali

L’ufficializzazione dello strappo è il fischio di inizio della competizione e chiama in causa gli altri gruppi del Parlamento europeo. Come si schiereranno i Verdi e i Liberali?

I primi, i Verdi, storicamente membri del Parlamento Ue, genericamente di ‘sinistra’, si dicono aperti “ai negoziati” e “abbiamo anche qualcosa da chiedere”, dice la co-presidente del gruppo dei Verdi Ska Keller. Con la presidenza del Parlamento, si rinnovano anche le presidenze delle Commissioni. “Pensiamo che sia importante guardare alla rappresentazione della società”, aggiunge l’eurodeputata tedesca in Ue.

Per i Verdi, che in Germania stanno per inaugurare una coalizione di governo con i socialisti, è alquanto complicato appoggiare il candidato del Ppe. Tanto più che la maltese Metsola rappresenta la parte più a destra dei Popolari e lo stesso Weber si sta spostando sempre più su posizioni vicine a Orban o ai Conservatori del Pis polacco e Giorgia Meloni. “Se servono barriere fisiche per respingere i migranti, facciamole”, insiste Weber spesso a Strasburgo. A sentire alcune fonti parlamentari, la sua sarebbe una tattica per puntare ai voti dell’estrema destra a sostegno di Metsola ora che non c’è più il patto con i socialisti. Ma si tratterebbe di una strada complicata: tra i nazionalisti, Weber viene additato come il maggior responsabile dell’addio forzato di Orban al Ppe. Complicato insomma tornare indietro, seppure a destra.

E comunque il problema non verrebbe risolto perché difficilmente i voti della destra (dai conservatori di Ecr ai sovranisti di Identità e Democrazia, dove sta la Lega) si sommerebbero ai Liberali, per non parlare dei Verdi. E Renew Europe come si schiera?

Ufficialmente il presidente del gruppo di Renew, Stephane Sejourne, si dice certo che “alla fine si arriverà ad un accordo tra tre famiglie politiche”, da intendersi come Ppe, Socialisti&Democratici e loro, i liberali: la somma fa 423 voti su un totale di 705 eletti. Socialisti, liberali e Verdi i- cioè una coalizione semaforo in salsa europea . infatti non ce la farebbero a eleggere un presidente da soli: arrivano a 318 voti, anche sommando gli 8 del M5s, oggi nel Misto, si fermerebbero comunque a soli 326: comunque pochi.  Raggiungerebbero una maggioranza pur risicata con la sinistra del Gue (altri 39 voti).

Esperimento non impossibile, anche se – sottolineano un po’ tutte le fonti parlamentari – un accordo vero e solido sul nome di Sassoli passa solo attraverso un’intesa tra i leader europei, a partire da Macron che la scorsa settimana era in Italia per la firma del Patto del Quirinale e il 9 dicembre ospiterà a Parigi una riunione con von der Leyen, Michel e lo stesso Sassoli per mettere a punto il programma della presidenza francese della Ue, di turno a partire da gennaio 20222 (ogni sei mesi, tocca a un Paese diverso). 

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Sandro Gozi, nuovo presidente dei Federalisti europei, deputato del PDE-Renew Europe e renziano

È dunque ancora presto per giungere a conclusioni sulla posizione ufficiale del gruppo liberale a egemonia macroniana, gruppo in cui siedono anche i due eurodeputati renziani Sandro Gozi (eletto all’estero, in Francia, con En Marche!) e Nicola Danti.

Ma i liberali, come i Verdi, stanno per dar vita ad un governo coi socialisti in Germania: un’alleanza che in teoria dovrebbe vivere anche a livello europeo e dunque anche per loro diventa difficile, se non impossibile, avvicinarsi ad un Ppe sempre più spostato a destra.

A meno che – e questa è la lettura sostenuta da altre fonti parlamentari – l’ultima versione del Weber filo-sovranista non si spieghi con l’ambizione del tedesco a diventare presidente del partito, incarico che ora è ricoperto dal conservatore polacco Donald Tusk, un moderato rispetto al governativo Kaczinsky ma sulla sua stessa linea nazionalista in merito al respingimento dei migranti ammassati al confine con la Bielorussia grazie alle macchinazioni di Lukashenko. In tal caso,, la partita al Parlamento Europeo assumerebbe contorni del tutto diversi e le oscillazioni di Weber si spiegherebbero con le sue ambizioni personali, più che come un modo per far conquistare la presidenza dell’Eurocamera al Ppe. Una sorta di ‘Renzi in salsa Ue’….

Oltre a Metsola, gli altri candidati tra i Popolari erano l’olandese Esther de Lange e l’austriaco Othmar Karas, ma la maltese ha mantenuto le maggiori chance di vittoria alle ‘primarie’ interne al PPE, pur se non senza veleni interni. Nel Ppe c’è chi, a microfoni spenti, accusa la Cdu tedesca di voler conquistare delle posizioni di potere in Europa, nonostante la sconfitta elettorale subita in Germania. Secondo queste voci, Metsola, originaria di un paese piccolo dell’Ue e dunque senza un grande peso specifico nell’Unione, sarebbe solo lo strumento di un nuovo potere tedesco, giacché sarebbe circondata da dirigenti tedeschi che verrebbero nominati con la sua elezione.

Vero o falso che sia, per ora c’è di certo che Sassoli è in pista, che i socialisti non appoggeranno un candidato dei Popolari, che le due maggiori famiglie politiche europee si contendono la presidenza dell’Europarlamento rompendo un patto ultra decennale e un po’ come successe solo nel 2017, quando i socialisti sfidarono i Popolari candidando Gianni Pittella contro Antonio Tajani nella successione al socialista tedesco Martin Schulz. Vinse Tajani. Ma ora è tutto molto di diverso, insistono i socialisti: sono finiti anche in Germania i tempi della Grande Coalizione. Un po’ come accadrà in Italia?

Le diverse ‘stranezze’ della governance dell’Unione europea, il gioco a incastro in corso a Bruxelles, il ruolo decisivo di Macron

Emmanuel Macron

Emmanuel Macron

In ogni caso, se ne discuterà, dell’incarico a nuovo presidente del Parlamento Ue – carica che, per statuto, va rinnovata ogni due anni sui quattro del mandato pieno (stranezza e singolarità tutta europea, e non vigente in nessuno dei parlamentari nazionali dei 27 Paesi che compogono la Ue) al prossimo Consiglio europeo, quello del 16 dicembre, quando i capi di stato e di governo discuteranno degli assetti complessivi della nuova Ue, quella che dovrà affrontare la seconda parte della legislatura.

Charles Michel

Charles Michel

In tanti guardano proprio a Macron come ago della bilancia perché il presidente francese, alla vigilia della sfida per l’Eliseo, assai rischiosa e molto problematica, peraltro, della riconferma del “suo” Charles Michel alla guida del Consiglio europeo ne fa una questione non negoziabile.

E, dunque, Macron saprà cosa chiedere, a chi andrà a proporgli un patto, compreso Sassoli. Sempre che il dem non voglia puntare tutto sull’altra grande sfida di gennaio: quella per il Quirinale. Trovandosi però a dover fare i conti, anche lì, con gli ondivaghi centristi. E con un candidato ben più ‘quirinabile’ e ‘quirinalizio’ di lui, parlando di incarichi europei in corso d’opera, ma in Commissione.

Paolo Gentiloni

Paolo Gentiloni

Quel Paolo Gentiloni che, dopo il ‘disgelo’ con Matteo Renzi – via pranzo a Bruxelles, che doveva restare segreto ma è finito sui giornali – è diventato il vero candidato ‘in pectore’ del Pd. Sempre che, si capisce, il Pd possa contare e conterà qualcosa, nella sfida per il Colle, il che non è affatto detto.

Mario Draghi

Mario Draghi

E sempre che, appunto, al Colle non vada Draghi perché, in quel caso, scatterebbe il ‘tana libera tutti’ per i partiti italiani, ma anche per i gruppi nella Ue. A quel punto, paradossalmente, Sassoli avrebbe qualche chance in più di vedersi riconfermare nella Ue. Chance che, oggi, centristi o meno, non ha.