“Il tetto di cristallo”. Le tante, troppe, candidate donne al Quirinale. Non è ancora giunto il tempo per una donna al Colle

“Il tetto di cristallo”. Le tante, troppe, candidate donne al Quirinale. Non è ancora giunto il tempo per una donna al Colle

8 Dicembre 2021 2 Di Ettore Maria Colombo

Se non ora quando? “Ci vorrebbe una donna…” (ma non è ancora giunto quel tempo). Le tante candidate al Quirinale, un “tetto di cristallo” che rimarrà ancora intatto e a lungo

quirinale

 

Nb: questo articolo è stato pubblicato, in forma più succinta, su “Luce!”, il portale del gruppo Quotidiano Nazionale, l’8 dicembre 2021

Una donna al Colle? “In un Paese normale sarebbe civile”…

‘una donna’ al Quirinale

‘Una donna’ al Quirinale

Certo, sarebbe bello. Certo, sarebbe giusto. Certo, sarebbe un segnale da Paese civile a un Paese ‘incivile’ che le donne le uccide, violenta, perseguita, stalkerizza, o – assai più banalmente – non le valorizza, le paga meno degli uomini, le discrimina, le tiene in un cantuccio, a ‘badare’ alla famiglia, presunti ‘angeli del focolare’ (sic). Peccato che non succederà neppure questa volta.

A volere, e chiedere, di eleggere ‘una donna’ al Quirinale – mai c’è stata un Capo dello Stato donna, ma, se è per questo, mai una donna è diventata neppure presidente del Consiglio, nella storia dell’Italia repubblicana, figurarsi prima – ci sono anche i ragazzi del sito www.gay.it . I quali dicono e scrivono che “una donna Presidente” sarebbe “una cosa giusta” perché, appunto, “in un Paese normale non dovrebbero esserci distinzioni di genere ma l’Italia è tutt’altro che normale”.

Ad oggi, tre donne presidenti della Camera, una del Senato

Irene Pivetti

Irene Pivetti

In un’Italia che, dal 1948 ad oggi ha avuto appena tre donne presidenti della Camera (Nilde Jotti, Pci, la prima, eletta nel 1983-1987, la prima volta e riconfermata nel 1987-1992, la seconda: Irene Pivetti, Lega, 1994-1996; Laura Boldrini, LeU, la terza e ultima, 2013-2018, ndr.) e solo una donna eletta presidente del Senato (Maria Elisabetta Alberti Casellati, FI, dal 2018, ndr.)scrive il sito www.gay.it – “infrangere il tabù del Quirinale sarebbe gradito, corretto, doveroso, necessario.

Laura Boldrini

Foto Vincenzo Livieri – LaPresse – Laura Boldrini ospite a Otto e mezzo

In un’Italia in cui, statisticamente parlando, ogni tre giorni, viene brutalmente ammazzata una donna, il più delle volte tra le mura domestiche, un Capo dello Stato al femminile farebbe scuola, indicherebbe una strada, un cambiamento effettivo nei ruoli di potere, ancora oggi nella stragrande maggioranza dei casi a trazione maschile. In un Paese normale non ci dovrebbero essere distinzioni di genere, tanto nel mondo della politica quanto in quello del lavoro. Ma l’Italia di oggi è tutt’altro che ‘normale’, visto e considerato che su 949 parlamentari solo 339 sono donne, così come la differenza in busta paga fra uomo e donna è del 23,7% a favore del primo, naturalmente. Ed è qui che la battaglia per una signora al Quirinale, la prima e storica presidente della Repubblica, si fa ancora una volta campale, per iniziare a picconare quel vetro di cristallo che, dal 1948 ad oggi, non si è mai concesso neanche una piccola crepa”.

Dodici presidenti della Repubblica dodici, e tutti uomini. Una lunga storia di elezioni presidenziali giocata dai ‘maschi’…

Enrico De Nicola

Enrico De Nicola

Già. Parlano i numeri, la fredda, secca, statistica. Dal I gennaio del 1948 ad oggi l’Italia repubblicana ha avuto ben dodici presidenti della Repubblica. Da Enrico De Nicola, prima Capo provvisorio dello Stato, poi presidente effettivo per 5 mesi appena, a Sergio Mattarella, il cui incarico si completerà il 3 febbraio 2022 (ecco perché, entro metà gennaio, i 1009 Grandi elettori saranno convocati a palazzo Montecitorio per l’elezione del suo successore).

mattarella

Il Presidente Mattarella

Dodici presidenti della Repubblica, e tutti uomini, eletti da uomini, con il contributo delle donne.

A dirla tutta, lungo l’intera Prima Repubblica, non si parlò mai, sotto l’elezione del Presidente, della possibilità che una donna potesse ambirvi. Insomma, si può dire che se mai è esistita una ‘Repubblica’ sessista e anti-femminista è stata di certo la Prima, quella che ha caratterizzato la storia del nostro Paese dal 1948 fino al 1992.

Filippo_Ceccarelli

Il giornalista Filippo Ceccarelli

Eppure, alcuni anni fa, il notista politico Filippo Ceccarelli, su Repubblica, estrasse una vera pepita, una chicca, dal suo monumentale archivio: agli albori della nostra democrazia repubblicana, il 28 giugno 1946, quando Enrico De Nicola venne eletto presidente (in quel caso, però, dell’Assemblea costituente, quindi con la dizione di Capo provvisorio dello Stato, carica che mantenne fino al I gennaio 1948, quando entrò in vigore, anche formalmente, la Costituzione), i 32 parlamentari dell’Uomo qualunque, movimento fondato dal commediografo Guglielmo Giannini (una sorta di M5s di Beppe Grillo ante litteram)avevano votato per una donna, la senatrice Ottavia Penna, da Caltagirone, figlia di una baronessa e moglie di un medico. “Lo scherzo dei qualunquisti non è sembrato spiritoso a nessuno” fu il commento di un quotidiano, riportò, più tardi, il re dei cronisti parlamentari, Vittorio Gorresio, nel suoi libro, I moribondi. Moribondo il Paese che parla di cose vecchie invece che agire – si potrebbe dire, parafrasando quel felice titolo.

In ogni caso, la questione delle donne al Colle, non si pose più per diversi decenni nonostante la stagione del femminismo che, insieme a quella della contestazione, fece irruzione nell’Italia degli anni Settanta, avesse di molto cambiato, in meglio, i costumi sociali (e politici) del Paese.

nilde iotti

Nilde Iotti

Certo, la prima presidente della Camera donna, oltreché comunista, Nilde Jotti, fece epoca, quando venne eletta sullo scranno più alto di Montecitorio, nel 1983, riconfermata nel 1987), oltre che quando il presidente della Repubblica di allora, Francesco Cossiga, affidò proprio a lei, nella crisi politica del 1984, il primo incarico, seppur ‘esplorativo’, mai affidato a una donna.

Ma la parentesi Jotti sembrava si fosse richiusa subito dopo la fine della sua esperienza, tanto che – quando la Camera dei deputati fece festa alla Iotti per i suoi 70 anni, il 10 aprile 1990, e lei buttò lì la frase “I tempi sono maturi per una donna al Quirinale”, nessuno le diede peso. Ecco, c’era ancora Cossiga, allora. Poi arrivarono Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella. E’ cambiato il mondo e siamo ancora agli auspici.

L'ex ministro Rosa Russo Iervolino

L’ex ministro Rosa Russo Iervolino

Vero è che, con la Seconda Repubblica, in parte, le cose cambiarono. Nel 1999 si parlava, oltre che della candidatura di Emma Bonino, vedremo poi, di quella della popolare Rosa Russo Jervolino, ma i voti a loro, alla conta, scarseggiarono e Carlo Azeglio Ciampi fu eletto al primo scrutinio e quando Napolitano fu eletto per la prima volta, nel 2007, la Bonino, pur candidata ‘ufficialmente’, raccolse appena un pugno di voti.

Invece, Rosy Bindi, nel 2012, risultò, in un sondaggio tra i lettori di Famiglia cristiana, la candidata donna più votata a succedere all’allora presidente Napolitano e, già nel 2006, prima che questi fosse eletto la prima volta, girava il nome.

Come pure, però, girò, nel 1999, quando venne eletto Ciampi, quello della ex ministro Rosa Russo Iervolino, che militava nel PPI, mentre molti anni prima, in altre presidenziali, era girato quello della ex ministra dc Tina Anselmi che diede una risposta divertita: “Lo farei, per sfizio”.

Giulia Bongiorno

Giulia Bongiorno

Nel 2013 si parlava di Giulia Bongiorno e Anna Finocchiaro come possibili candidate della destra e della sinistra, poi arrivò Giorgio Napolitano. Nel novembre 2014 Massimo D’Alema giurava “Il paese è stramaturo per una donna al Quirinale”, ma nel 2015 si puntò, dopo il fallimento delle candidature di Marini e Prodi, al bis di Napolitano. Anche la terza presidente della Camera donna, Laura Boldrini, dopo la Jotti e dopo la breve parentesi Pivetti nel 1992-1994, alimentò la discussione pubblica. Solo sette anni fa, infine, un presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso del 2 giugno (il primo che teneva) ha tessuto un grande elogio delle tante donne che hanno fatto la Repubblica. Un modo per segnalare che esisteva il problema.

Insomma, puntualmente, e da almeno quarant’anni, ogni sette anni, e anche in queste ultime settimane, il toto-nomi ha coinvolto donne aspiranti presidenti, rilanciando la questione del genere come scelta di campo, in ambito politico, ma neppure stavolta una donna salirà al Colle. Così, almeno, dicono tutti i retroscenisti di Palazzo, quelli che la sanno lunga, e i bookmaker.

 

Mattarella ha detto no, Draghi vorrebbe anche, ma non può. Poteva essere l’ora di una donna al Colle, ma non lo sarà

draghi e mattarella

Il Presidente Mattarella e Mario Draghi

Intanto, Sergio Mattarella ha fatto capire, in tutte le salse, che non ci pensa neppure, a concedere un ‘bis’ e non sa più in quale lingua ripeterlo. Il premier, Mario Draghi, che pure ci pensa (e – si dice – vi agogni) sta ricevendo i ‘no’ e gli ‘stop’ di tutti i principali partiti e dei loro leader. I peones sono terrorizzati da una fine anticipata della legislatura, ove mai Draghi andasse al Colle, e i leader vogliono da un lato giocare le loro carte e pesare, nelle trattative per il nuovo inquilino del Quirinale, e dall’altro non vogliono concedere, a Draghi, più spazi e potere di quanti già non abbia. Insomma, Draghi resti dov’è, a palazzo Chigi.

quote rosa

L’eterno tema delle ‘quote rosa’ che mancano…

Eppure, mai come quest’anno, l’ipotesi “donna al Quirinale” stava, lentamente, prendendo forza. Se non fosse che l’idea delle cosiddette ‘quote rosa’ faccia storcere il naso a molti, perché una donna al Quirinale dovrebbe andarci per meriti proprio, e non solo e unicamente “in quanto donna” e, soprattutto, che non c’è alcuna donna, oggi, in grado di coagulare i consensi di gruppi e partiti che – di centrodestra o di centrosinistra – voglion fare la ‘parte del leone’, nella gara per il Colle.

Romano Prodi

Romano Prodi

Inoltre, soltanto un ex premier, Romano Prodi, ha lanciato una candidatura femminile per il Colle, in modo esplicito: “Penso che ancora non possiamo dire chi sia. Può essere anche il caso che arrivi una donna, perché non c’è mai stato un presidente della Repubblica donna e penso possa essere una bella prospettiva. Prendiamo tutte le esperienze del passato, nella maggior parte dei casi c’è stata una sorpresa”. Ma Prodi, come si sa, è fuori dal Parlamento e dai giochi.

Ma vediamo quali sono le candidate di cui pure si parla e che hanno delle chance per riuscirvi.

La Bonino è quella che ci è andata più vicino, al Colle

La Bonino è quella che ci è andata più vicino, al Colle

La Bonino è quella che ci è andata più vicino, al Colle

Il palmares della donna più ‘quirinabile’ spetta, da almeno 20 anni, alla prima donna data come ‘papabile’ per il Colle, la radicale Emma Bonino.

Il curriculum non le manca: classe 1948, deputata alla Camera e al Parlamento europeo, nel 2006 ministra del Commercio internazionale e delle politiche europee nel governo Prodi II, ex commissaria Ue, poi vicepresidente del Senato della Repubblica dal 2008 al 2013, e ancora ministra degli Affari esteri nel governo Letta per un anno, dal 2013 al 2014. Nel 2010 scende in campo e si candida come governatrice della Regione Lazio, appoggiata dai Radicali e dal Pd, la Bonino andrebbe così a chiudere una carriera politica straordinaria, ma non è più il suo turno.

Emma Bonino fondatrice di +Europa

Emma Bonino fondatrice di +Europa

Del resto, la sola volta che l’attuale senatore della Repubblica e fondatrice di +Europa – una vita passata nelle fila dei Radicali italiani, al fianco di Marco Pannella nelle lotte per molte battaglie, tra cui due referendum vinti (divorzio e aborto) e molti altri persi, ma che hanno in ogni caso, cambiato volto al Paese – ci andò vicino corrisponde anche al numero di voti mai raggiunti prima, da una donna, durante una elezione quirinalizia. Correva l’anno 1999 quando partì, nel Paese, la campagna di opinione “Emma for president”, ma senza successo, mentre persino un sondaggio della SWG rivelava che il 33% degli italiani voleva lei a Capo dello Stato.

Emma Bonino al fianco di Marco Pannella

Emma Bonino al fianco di Marco Pannella

Ma prese 15 voti, alle votazioni nel 1999 e 13 a quelle del 2013, quando il Psi la candidò in modo formale (Bonino militava nella Rosa nel Pugno) e il M5s la inserì nelle proprie ‘quirinarie’, ma poi il Parlamento ‘ri-scelse’ Giorgio Napolitano.

Per lei, il Quirinale sembra davvero un capitolo chiuso, come ha detto a Repubblica il 31 maggio, anche se si dice sempre e comunque a favore di “una donna competente autorevole per il Colle, ma non penso a me stessa, ero pronta 30 anni fa. Una presidente della Repubblica manderebbe un segnale importante di fiducia a tutto il mondo femminile, che più ha sofferto per il Covid e sarebbe il messaggio che è un Paese per donne”.

La candidatura, appena nata e già abortita, di Liliana Segre

La candidatura, appena nata e già abortita, di Liliana Segre

La candidatura, appena nata e già abortita, di Liliana Segre

Senatrice a vita e oggi 91enne, Liliana Segre, scampata all’inferno dei lager nazista da bambina, ha già, e subito, declinato l’invito per il Quirinale, per quanto, sondaggi alla mano, sarebbe tra i nomi più apprezzati dagli italiani. Il Fatto quotidiano aveva lanciato una petizione on-line per sostenere il suo nome, ma lei ha, gentilmente, declinato, dicendo, giustamente, di non avere l’età giusta e che il compito sarebbe per lei troppo gravoso, oltre che dotata di competenze che lei ritiene di non avere.  

La Casellati ci spera, ma non ha le carte in regola per uscire

Maria Elisabetta Alberti Casellati

Maria Elisabetta Alberti Casellati

Prima donna di sempre ad essere eletta presidente del Senato, la 75enne  Maria Elisabetta Alberti Casellati farebbe felice i partiti di centrodestra, liberando lo scranno della seconda più alta carica dello Stato (il presidente del Senato è il Capo di Stato supplente, se questi è impedito), ma non gode di simpatie dentro gli ex giallorossi.

Maria Elisabetta Alberti Casellati ed il Presidente Mattarella

Maria Elisabetta Alberti Casellati ed il Presidente Mattarella

Giurista, avvocato, doppia laurea, vari incarichi nel Csm, pochi mesi dopo essere diventata presidente del Senato, nel 2018 riceve, dal capo dello Stato Mattarella, un incarico esplorativo per verificare la possibilità di una convergenza tra il centrodestra e il M5s per formare il governo. Fu la seconda volta nella storia della Repubblica che il mandato venne assegnato a una donna dopo quello del 1987 che Francesco Cossiga conferì all’allora presidente della Camera, Nilde Iotti.

Francesco Cossiga Nilde Iotti

Francesco Cossiga Nilde Iotti

Ma proprio la Casellati è risultata decisiva nell’affossamento del ddl Zan, a palazzo Madama, appoggiando la richiesta di voto segreto alla ‘tagliola’ richiesto da Lega e Fratelli d’Italia, voto segreto contestato da Pd, 5 Stelle e LeU. Inoltre, anche la sua conduzione dei lavori d’aula è stata oggetto di critiche e lei molto discussa: poco amata a sinistra e, a dirla tutta, pure a destra.

La carta Moratti? Volendo, può giocarsela il centrodestra

Silvio Berlusconi Letizia Moratti

Silvio Berlusconi Letizia Moratti

La vera carta ‘coperta’ – ove la candidatura di Silvio Berlusconi, che ci tiene molto alla corsa del Quirinale, per coronare il sogno di una vita, fallisse, a causa dei franchi tiratori o del mancato accordo con il resto del Parlamento – del centrodestra, in realtà, è, tuttavia, proprio una… donna.

Si tratta della 72enne, ex sindaca di Milano, Letizia Moratti. Tornata alla politica attiva a inizio 2021, quando è stata nominata vicepresidente nonché assessore al Welfare della Regione Lombardia, erede di una delle famiglie più in vista di Milano, i petrolieri – e storici proprietari dell’Inter – Moratti, già 20 anni fa fu nominata ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca da Silvio Berlusconi nel suo III governo, la Moratti potrebbe, paradossalmente, avere più chance di farcela della stessa Casellati, se il centrodestra riuscisse a imporre un proprio nome. 

Le ‘candidate’ del centrosinistra? Sono tre e sono deboli…

bindi rosy

Rosy Bindi

 Invece, nel campo del centrosinistra, sono almeno tre le possibili candidate, ma tutte deboli. Oggi 70enne, ha le sue chance Rosy Bindi, ex Dd, poi PPI, poi Pd, nel 2006 eletta ministra per le politiche per la famiglia nel governo Prodi.

Barbara Pollastrini

Barbara Pollastrini

Fu lei, insieme a Barbara Pollastrini, a proporre i DICO, malamente naufragati e lontani parenti delle unioni civili poi approvate nel 2015 dal governo Renzi (particolare da molti dimenticato).

Nel 2018, dopo 24 anni, non si è ricandidata alle elezioni politiche, restando fuori dal Parlamento, anche perché proprio Renzi la escluse dalle liste. Il M5s guarda alla candidatura della Bindi di buon grado, ma tutt’al più come candidato ‘di bandiera’ dei giallorossi nei primi tre scrutini. Insomma, il suo è solo un nome ‘sacrificabile’.

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Anna Finocchiaro

Ci sarebbe spazio, in teoria, anche per Anna Finocchiaro, 66enne ministra per le Pari opportunità nel primo governo Prodi. Anche lei, come la Bindi, ha salutato il Parlamento nel 2018, dopo 31 anni ininterrotti di permanenza, e anche lei ‘rottamata’ dall’allora segretario, Matteo Renzi. Una lunga militanza nel Pci prima, nel Pds-Ds poi, la Finocchiaro oggi è vicina più a LeU che al Pd e mantiene con l’ex premier Massimo D’Alema rapporti saldi, ma difficilmente questo le basterà, per imporsi.

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Roberta Pinotti

Il terzo nome che pure è circolato, per il Colle, sempre in ambito del centrosinistra, è quello di Roberta Pinotti: rientra tra le papabili presidenti, dopo aver guidato il ministero della Difesa dal 2014 al 2018, come fece proprio Mattarella nel 1999-2001, ha solo 60 anni ed è vicina, politicamente, al ministro e capofila di Area dem, corrente del Pd, Dario Franceschini, ma non è gradita ai 5Stelle.

Belloni e altre. I nomi delle possibili presidentesse ‘tecniche’

Elisabetta Belloni, 63enne ex direttrice generale della Farnesina, messa a capo dei servizi segreti dal governo Draghi

Elisabetta Belloni, 63enne ex direttrice generale della Farnesina, messa a capo dei servizi segreti dal governo Draghi

Ma girano, come si sa, anche i nomi di ‘tecnici’, mai stati parlamentari, ma comunque in corsa.
E, tra i nomi ‘tecnici’, c’è una donna che, da anni, è candidata ‘a tutto’, palazzo Chigi compreso, quello di Elisabetta Belloni, 63enne ex direttrice generale della Farnesina, messa a capo dei servizi segreti dal governo Draghi e prima donna a un tale, delicato incarico, la Belloni, però, non è mai deputata e/o senatrice: è stata segretario generale del Ministero degli affari esteri dal 2016 al 2021. In teoria, potrebbe strappare voti da tutti i partiti attualmente in Parlamento, in pratica da nessuno.

Lorenza Carlassare

La giurista Lorenza Carlassare

Tra gli altri nomi di donne ‘tecniche’ ci sono la giurista Lorenza Carlassare, che piace molto ai 5S, quello di Anna Maria Tarantola, ex presidente Rai, ex dirigente della Banca d’Italia, perfetta candidata draghiana, e Elena Paciotti, la prima donna che è stata presidente dell’Anm. Ma, francamente, nessuno di loro ha vere chance.

Il solo nome in corsa è la Cartabia, ma per palazzo Chigi…

Il solo nome in corsa è la Cartabia, ma per palazzo Chigi

Il solo nome in corsa è la Cartabia, ma per palazzo Chigi

L’unico, vero, nome ‘papabile’, tra gli attuali rappresentanti di governo, è però uno solo: quello di Marta Cartabia ex presidente della Corte Costituzionale nonché ministra della Giustizia, voluta in quel ruolo espressamente dall’attuale capo dello Stato, Sergio Mattarella, di cui si può considerare la migliore allieva e discepola, e non solo come professore di diritto.

Il suo nome era stato più volte pronunciato, addirittura nel ruolo di premier, già a fine 2020, quando il governo Conte II iniziava a vacillare minacciato dalle richiesta di Italia viva. La Cartabia, ovviamente insieme a Draghi, era stata spesso presa in considerazione per il ruolo di premier al posto di Giuseppe Conte. Invece è diventata ministra della Giustizia nel governo Draghi. Classe 1963, sposata e madre di tre figli, laureata con lode in legge a Milano, giurista e prima presidente della Corte costituzionale(dal dicembre 2019 a settembre 2020) donna, dopo ben 45 presidenti tutti al maschile, la Cartabia alla Consulta ha trascorso 9 anni, inizialmente come giudice nominata da Giorgio Napolitano nel 2011, a soli 48 anni, e poi da presidente, quando si presentò dicendo: “Sì è rotto un vetro di cristallo. Ho l’onore di essere qui come apripista”. Chissà l’onore non si ripeta.

Il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, ed il baciamano alla Cartabia

Il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, ed il baciamano alla Cartabia

Culturalmente vicina a Comunione e Liberazione, Cartabia si è sempre tirata fuori da qualsivoglia baruffa politica, anche di tipo mediatico (ma ha detto di ‘no’ al matrimonio egualitario, nel lontano 2011, quando presiedeva la Consulta) ed è riconosciuta, da più parti, come super partes. Sarebbe, a dirla tutta, un ottimo nome, ‘perfetto’, praticamente, e per tutti i leader e tutti i partiti, tranne i 5Stelle che ne hanno fieramente osteggiato, fino all’ultima, la riforma del processo penale che la ministra, però, ha portato a casa.

Con Draghi non sono mancate alcune difficoltà, per la gestione della riforma della giustizia, ma il rapporto resta solido

Con Draghi non sono mancate alcune difficoltà, per la gestione della riforma della giustizia, ma il rapporto resta solido

Con Draghi non sono mancate alcune difficoltà, per la gestione della riforma della giustizia, ma il rapporto resta solido. Paradossalmente, il nome della Cartabia, in questi giorni, si fa spazio come jolly, almeno sui giornali, per provare a tenere assieme la formula della “salvezza nazionale” anche nel 2022. La Cartabia, cioè, viene vista meglio come quella che, tra i suoi ministri, ha più chanches di diventare la ‘successora’ di Draghi alla presidenza del Consiglio – ove mai questi dovesse davvero andare al Colle – che… come effettivo possibile presidente della Repubblica.

Potrebbe, dunque, per un paradosso della storia, essere la Cartabia non la prima donna ‘presidente’ della Repubblica, ma la prima donna premier sì. Sempre che, si capisce, al Colle ci vada Draghi…