Corsa al Colle 13.  L’Aventino del Pd, la corsa di Berlusconi, i dubbi di Salvini e Meloni. Per il Quirinale si gioca a poker

Corsa al Colle 13. L’Aventino del Pd, la corsa di Berlusconi, i dubbi di Salvini e Meloni. Per il Quirinale si gioca a poker

12 Gennaio 2022 0 Di Ettore Maria Colombo

Pubblico qui tre articoli usciti in questi giorni sul Quotidiano nazionale relativi alla Corsa al Colle

Nb: questo primo articolo qui sotto è stato pubblicato sul Quotidiano nazionale del 12 gennaio 2021

Corsa verso il Colle/13. L’Aventino del Pd, la corsa di Berlusconi, i dubbi di Salvini e Meloni. Per il Quirinale stavolta si gioca a poker

Il Quirinale è come una partita di poker: tutti dicono ‘parola’ perché nessuno vuole scoprire le carte prima dell’avversario

Il Torrino del Palazzo del Quirinale illuminato con il tricolore

Il Torrino del Palazzo del Quirinale illuminato con il tricolore

Il caos, sul Quirinale, regna sovrano. La rapida successione dello stato di incoscienza in cui versano tutti i principali partiti la indicano, in chiaro, le agenzie di stampa. Alle ore 19.23 battono che la notizia che la Direzione del Pd, allargata ai gruppi parlamentari, da giovedì – quando doveva essere, convocata da una settimana – è rinviata a sabato, cioè il giorno dopo il tanto lungamente atteso vertice del centrodestra. Dopo pochi minuti, e sempre dalle agenzie, si apprende che anche il vertice del centrodestra Salvini-Meloni-Berlusconi, che era appunto previsto per venerdì, slitta – e non casualmente – alla settimana successiva ancora in un giorno, peraltro, ancora da definirsi…

Salvini Meloni Berlusconi

Salvini Meloni
Berlusconi ANSA/CLAUDIO PERI

Insomma, ognuno attende le mosse dell’altro, avversari e pure alleati, e il gioco del Quirinale si gioca a un tavolo di poker dove ogni giocatore, non sapendo quali carte ha in mano l’altro, dice ‘parola’, prima di rilanciare o far vedere il punto che ha in mano anche perché qualcuno, di sicuro, ha il bluff.

Salvini esce dall’angolo e prefigura il “governo dei migliori”

Qualche ‘punto’ (fermo) lo mette, però, Salvini. “Io e gli italiani Draghi lo vogliamo vedere al governo” dice, in serata, dagli studi di Porta a Porta, “penso debba continuare a svolgere un ruolo di garanzia, se togli il tassello più importante di questo governo non so come ne usciamo”, chiosa. Ergo, è unfit per il Quirinale. Non solo. Il leader della Lega punta anche a ‘commissariare’ il premier e il governo: Una volta eletto il presidente della Repubblica bisognerà riflettere anche sulla natura del governo, bisognerebbe mettere in campo le energie migliori possibili da parte di tutti i partiti. Sicuramente un governo debole da qui a marzo 2023 non fa un buon servizio agli italiani”.  Salvini, sempre da Porta Porta su Rai1, traccia così le possibili prospettive dell’esecutivo post-partita del Quirinale: “I partiti – sottolinea  il leader leghista – una volta eletto il presidente della Repubblica dovranno riflettere se non valga la pena metterci gli assi di briscola. Tutti, dal primo all’ultimo“. Insomma, il leader del Carroccio sembra prefigurare un ‘governo dei migliori’ con dentro i leader dei principali partiti di maggioranza.

Invece, su Berlusconi, sempre da Vespa dice: “nessuno da sinistra può mettere veti a priori, bisogna aspettare che lui dica cosa vuol fare, sciolga le riserve, ha tutto il titolo e il merito di proporsi e il centrodestra sarà unito e compatto”. Belle parole, ma Salvini sa bene che Berlusconi vuole provarci, e fino in fondo, ecco perché, quando lo incontrerà, gli chiederà non numeri ipotetici, sulla carta, ma “nomi e cognomi di tutti quelli che ti hanno detto, per certo, che ti votano”. Nel frattempo, Berlusconi è arrivato a Roma e, sempre ieri sera, ha visto il coordinatore azzurro Antonio Tajani e ricevuto i capigruppo di FI. Insomma, Berlusconi ci crede, è convinto di farcela, ma Salvini e Meloni – che si limita a ribadire la richiesta di un Presidente che sia un “vero patriota” – lo sono molto meno.

Enrico Letta

Enrico Letta

Letta si converte al ‘bis’ di Mattarella: “sarebbe il massimo”

Dal canto suo, il segretario del Pd, Enrico Letta, a sua volta intervistato sempre ieri sera, ma da Giovanni Floris su La7, a DiMartedì, è più esplicito sull’identikit del futuro presidente e invoca «Un candidato con le caratteristiche di Mattarella». E al giornalista che gli chiede se possa essere lo stesso, attuale, Capo dello Stato, risponde così: «Sarebbe il massimo».

Una frase che entusiasma i parlamentari dem che tifano per un bis dell’attuale capo dello Stato. «A me pare l’unica soluzione seria per non creare confusione in un momento delicatissimo», ribadisce Matteo Orfini. E al Mattarella bis pensano anche, tra gli altri, i democrat Walter Verini, Stefano Ceccanti e Andrea Romano. E anche Veltroni non ha escluso del tutto la possibilità di un bis in caso di stallo. Ma nella trasmissione Letta non va oltre. Anzi sottolinea: «Sarebbe la soluzione migliore, ma il presidente ha detto più volte di no e bisogna essere rispettosi della sua volontà».

Invece, al di là dello slittamento della Direzione, la voce che arriva dal Nazareno è che la ‘mossa’ del segretario sarebbe quella di votare scheda bianca nei primi tre scrutini e di uscire dall’aula quando e se il Cavaliere, al quarto, ci proverà. Letta è convinto che il Cavaliere sarà impallinato dai suoi, ma il Pd (e, si spera, anche M5s e LeU) dovranno uscire dall’aula per impedire soccorsi ‘rossi’.

Sergio Mattarella

Sergio Mattarella

Una sorta di ‘Aventino dem’ allargato ai 5Stelle che dreni possibili consensi al Cavaliere per poi gettare sulla bilancia il peso dei voti giallorossi. Dopo, cioè dalla quinta votazione in poi, può però succedere di tutto: doversi acconciare a un nome fornito dal centrodestra (salgono, di molto, le quotazioni di Letizia Moratti) o spingere al bis un Mattarella assai recalcitrante, come chiedono molti dem, dai riformisti come Ceccanti ai Giovani turchi. Oppure ancora far digerire, al centrodestra, il nome di Giuliano Amato, che piace molto al corpaccione degli ex-Ds, alla sinistra di Orlando, Provenzano e Boccia, a Speranza e D’Alema. Di certo, Letta vuole tutelare Draghi, tenendolo a palazzo Chigi o preservandolo per il Quirinale (del futuro), che per quello attuale sembra unfit…

Toto-Colle. L’incertezza dei parlamentari su cosa succederà

gregorio defalco

Gregorio De Falco

“Io sono per il bis di Mattarella!” dice un deputato M5s. “Maddai, è uno sgarbo, una scortesia istituzionale!” gli ribatte a brutto muso un altro, peraltro del suo stesso partito. “Io voterei la Bindi o la Segre” dice il comandante De Falco, quello della Concordia, che è senatore. “Berlusconi no, ma la Casellati potrei votarla, in fondo tocca al centrodestra fare una proposta” azzarda il deputato che non ti aspetti, cioè dem. Di certo, non un deputato uno scommette sul fatto che Draghi possa diventare Capo dello Stato: “Ha stufato”, dice uno, “era meglio Conte” fa un altro.

David Sassoli

David Sassoli prematuramente scomparso

Mentre la Camera dei Deputati commemora, alla presenza del premier Draghi e del governo, il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli (scomparso prematuramente ieri mattina) e dato che il Transatlantico è stato richiuso per la nuova emergenza Covid, è in un freddo e buio cortile d’onore di palazzo Montecitorio che i deputati si esercitano nello sport preferito, il Toto-Colle.

Gli importanti appuntamenti politici e di partito della settimana

I due ‘dogi’ Toti e Brugnaro prendono il largo

I due ‘dogi’ Toti e Brugnaro prendono il largo, Toti e Brugnaro

Il problema è che siamo ancora ai prologomeni, come dicevano gli antichi, cioè ai preliminari. Oggi si vedono i centristi di Toti-Brugnaro che brigano con Renzi per dar vita a un ‘gruppone’ neo-centrista: c’è chi dice che non voteranno mai per il Cavaliere e chi invece che potrebbero farlo. Ma, soprattutto, si ri-vedono i 5Stelle: Conte, direttivo e gruppi parlamentari, ormai di fatto in assemblea permanente e con una serie di opzioni così diverse, al loro interno, da non capirci nulla.

Venerdì, infine, si sarebbe dovuto tenere il vertice del centrodestra che avrebbe dovuto dire una parola fine alla telenovela ‘Berlusconi sì/Berlusconi no’ (pare che Salvini chiederà a Berlusconi, per provarci davvero, “numeri certi e certificati”), vertice che invece è stato rinviato alla prima settimana. Giovedì, infatti, si doveva tenere la Direzione del Pd che, allargata ai gruppi parlamentari, dovrà dire la sua, sul Colle, il segretario Enrico Letta in testa, ma è stata rinviata a sabato per i funerali di David Sassoli.

La strategia dell’Aventino escogitata dal Pd funzionerà?

pd sede nazareno

La sede del Pd al Nazareno

E la voce che arriva dal Nazareno è che, al di là della definizione del “metodo” e del “profilo”, cioè non indicando un nome che è uno, la ‘mossa’ del segretario sarebbe questa. Finché c’è Berlusconi in campo, si vota scheda bianca. Quando il Cavaliere ci proverà, al IV scrutinio, e sarà impallinato dai suoi (di questo Letta è convinto), il Pd (e, si spera, anche M5s e LeU) dovranno uscire dall’aula per impedire soccorsi ‘rossi’, nel segreto dell’urna, alla sua candidatura.

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Una sorta di ‘Aventino dem’ allargato ai 5Stelle che dreni possibili consensi al Cavaliere per poi, una volta che questi ne uscirà con le ossa rotte, gettare sulla bilancia il peso dei voti giallorossi e concordare, col centrodestra, il nuovo Presidente. Letta, dunque, cerca di uscire da una gara difficile e rischiosa senza rompersi l’osso del collo. Dopo, cioè dalla quinta votazione in poi, può però succedere di tutto: doversi acconciare a un nome fornito dal centrodestra (salgono, di molto, le quotazioni di Letizia Moratti) o spingere al bis un Mattarella assai recalcitrante, come chiedono a gran voce i riformisti dem (Stefano Ceccanti) e i Giovani turchi di Orfini.

Giuliano Amato

Giuliano Amato

Oppure ancora far digerire, al centrodestra, il nome di Giuliano Amato, che piace molto al corpaccione degli ex-Ds, alla sinistra di Orlando, Provenzano e Boccia, ad Art 1 di Speranza (e, soprattutto, di D’Alema), ma meno a Letta. Di certo, tutelare il buon nome di Draghi, tenendolo a palazzo Chigi o preservandolo per il Quirinale (del futuro) che per quello attuale sembra unfit…


Nb: questo articolo è stato pubblicato l’11 gennaio 2022 sulle pagine del Quotidiano nazionale

Veto di Letta: “Berlusconi divisivo”. I centristi rilanciano Draghi.

I 75 grandi elettori di Italia Viva e Coraggio Italia vogliono evitare a ogni costo le elezioni anticipate e puntano a portare al Colle il premier. Decisivo sarà il vertice di venerdì del centrodestra: Salvini e Meloni chiederanno precise garanzie al Cavaliere

draghi salvini

Draghi & Salvini

Stabilito che Mario Draghi è stato tranchant (“Non risponderò a domande sul Quirinale o su futuri sviluppi”) e che Matteo Salvini ripete, da giorni, come un disco rotto, che “sto lavorando da giorni con contatti a 360 gradi per garantire una scelta rapida, di alto profilo e di centrodestra”, il ‘Grande Gioco’ del Colle inizia a carburare.

Matteo Renzi

Matteo Renzi

Passi, seppur millimetrici, vengono fatti e le pedine si vanno posizionando, sulla scacchiera. I primi a muoversi sono i centristi, forse decisivi, sia per i numeri che hanno che per le ambizioni. Matteo Renzi e i suoi fanno capire due punti: uno, il leader di Iv, mentre fino a ieri l’altro brigava per lasciare Draghi dov’è, ora vuole ‘spedirlo’ al Colle perché solo lo spostamento al Quirinale è la garanzia che non ci saranno elezioni anticipate. L’altro input che mandano i renziani è che non sono disponibili a sostenere la candidatura di Berlusconi, come invece si era detto e pure a lungo nelle settimane precedenti.

L’altra mossa la faranno, oggi, altri centristi, quelli di Coraggio Italia di Toti e Brugnaro, ma in questo caso si tratta di centristi ‘anfibi’: eletti con il centrodestra, in teoria ne fanno parte e fino a ieri venivano contati nei 451 voti questi, ma ormai è chiaro che fanno gioco soltanto per sé.

Tanto che, in vista della riunione che i 31 Grandi elettori di Coraggio Italia (21 deputati, 9 senatori, il governatore ligure Toti) terranno mercoledì, viene fuori, da fonti accreditate di CI, che la scelta sarà quella di puntare su Mario Draghi e, quindi, non sostenere la candidatura Berlusconi, anche se poi il partito smentisce la voce e Toti stesso assicura di essere pronto a votare Berlusconi, ‘se’ avrà i numeri per farcela. Uno scarto di lato di non poco conto perché i 31 Grandi elettori di CI, sommati ai 44 di Italia viva, fa 75. Un bel gruzzolo, per chi si sente quirinabile e su cui Berlusconi non può più contare.

La terza parte in commedia la gioca il Pd che oggi riunirà la segreteria e giovedì la Direzione (che non votano), allargata ai gruppi parlamentari (che votano, per il Colle). Ieri sera ha parlato, e diffusamente, Enrico Letta. Lo spauracchio di una candidatura di Berlusconi è ben presente, a Letta. Ieri sera, in una intervista, ha lanciato l’altolà: “Le parole di Berlusconi (se Draghi va al Colle, cade il governo, ndr.) sono molto gravi. Spero che le smentisca. La loro tempistica è sbagliatissima”.

Letta Conte Speranza

Letta Conte Speranza

Letta giudica il Cavaliere “un candidato divisivo in quanto capo partito, come lo sono io, Salvini o Conte. Il presidente deve essere istituzionale”. Poi Letta fa un appello, ma destinato a cadere nel vuoto: “Ci aspettano settimane complicate, questo non è il momento del muro contro muro, chi lo scatena si assume una grandissima responsabilità. E’ il momento dell’unità e della condivisione”.

Dal Nazareno si continua a predicare “unità” sia interna al Pd (nei gruppi parlamentari le voci per un Mattarella bis si fanno sempre più insistenti) sia verso gli alleati (M5s, soprattutto, e LeU), in vista di quel nuovo patto di consultazione a tre (Letta-Conte-Speranza) che, stipulato una prima volta, è già diventato carta straccia, anche se ieri Letta e Conte si sono visti per parlare di Colle.

I 5Stelle, infatti, sono divisi in partes tres come la Gallia di Cesare. Una parte, specie i senatori pentastellati, punta al bis di Mattarella, una parte (l’ala che fa capo a Di Maio) vorrebbe promuovere Draghi al Quirinale e una terza (i seguaci di Conte) cerca il ‘dialogo’ con il centrodestra se, tolto di mezzo Berlusconi, proponesse un nome potabile, meglio se ‘donna’ (salgono di molto le quotazioni della Moratti).

Letizia Moratti

Letizia Moratti

In ogni caso, visto che tutti gli altri partiti aspettano, come le tavole della Legge, che il Pd parli per primo, rischiano di restarne assai delusi. Il Pd parlerà di “metodo” e di “scelta condivisa”, senza fare nomi, tanto meno quello di Draghi. Alla fine, come è giusto che sia, il vertice davvero decisivo sarà quello del centrodestra di venerdì. Se il nome di Berlusconi sarà realmente in campo e ufficiale, è un conto. Se no, è altro film.


Nb. Questo articolo è stato pubblicato l’11 gennaio 2021 sulle colonne del Quotidiano nazionale

Il Cavaliere alza il tiro: con Draghi al Colle, noi fuori. Berlusconi oggi nella Capitale per seguire personalmente le trattative. «Se il premier diventa presidente allora Forza Italia va all’opposizione>>

berlusconi

 Silvio Berlusconi ci crede, eccome se ci crede, e in vista del vertice del centrodestra che si terrà venerdì nella sua villa Grande, sull’Appia, dove sta per sbarcare da Arcore tra oggi e domani, con i suoi la mette così: “Io sono il fondatore del centrodestra e questo deve pur contare qualcosa… Sono sicuro che Salvini e Meloni faranno la loro parte…”. Il che è, però, il suo vero cruccio perché né lui né i suoi mettono la mano sul fuoco sulla fedeltà, perinde ac cadaver, dei due alleati.

Matteo Salvini

Matteo Salvini

Salvini vorrebbe fare, lui, da kingmaker di un presidente: di centrodestra, sì, ma non il Cavaliere anche se vuole lasciare Draghi dove sta, a Chigi. La Meloni preferirebbe, invece, spedire Draghi al Colle per ottenere al più presto elezioni anticipate perché – facile vaticinio – sa che, dopo di lui, nessun altro governo, tecnico o meno, è possibile. Persino i centristi di Toti e Brugnaro (Coraggio Italia), pur se tutti eletti con il centrodestra, ogni giorno che passa ‘brigano’ con Matteo Renzi per dar vita a un gruppone di Grandi elettori centristi: appaiono più orientati a votare per Draghi al Colle che entusiasti della candidatura del Cav.

Ma Berlusconi – che ha già detto e fatto sapere in tutte le lingue possibile che, con Draghi al Colle, “la maggioranza non esisterebbe più, noi di FI ne usciremmo un minuto dopo e si andrebbe al voto” – è testardo e, dunque, si aspetta “lealtà” da parte di Salvini come della Meloni come dei centristi, sicuro di poter convincere, alla fine, pure Renzi.

Il Cavaliere pensa che Salvini e Meloni abbiano interesse a farlo perché, in caso contrario, “salterebbe l’intera coalizione” e “io mi vendicherei”, non solo scatenandogli contro le tv. Insomma, un doppio ricatto, bello e buono, rivolto sia ai peones sia ai due leader suoi alleati.

Dopodiché, Berlusconi sa bene che il problema dei franchi tiratori c’è sia dentro la sua coalizione che fuori, tra i tanti ‘desperados’ del Misto che gli giurano eterna fedeltà e promettono voti ‘sicuri’ che però forse così ‘sicuri’ non sono.

Augusto Minzolini, vecchia volpe del Palazzo

Augusto Minzolini, vecchia volpe di Palazzo

Per questo motivo, il Cavaliere avrebbe accolto il suggerimento arrivato dai suoi durante le Feste (il primo a scriverlo è stato il direttore del Giornale, Augusto Minzolini, vecchia volpe del Palazzo) di ‘marcare’ le schede per evitare le brutte sorprese. Il trucco, vecchio come il Mondo (lo si usava nella Dc ai tempi della Prima Repubblica) è di scrivere la scheda, da parte di ogni partito e/o gruppo parlamentare della coalizione, combinando in modo diverso nome, cognome e titolo onorifico (esempio: “Silvio Berlusconi” la Lega, “Berlusconi Silvio” FdI; “on. Berlusconi” FI, “cavalier Berlusconi” il Misto, e via così.).

Ma l’arma fine di mondo del Cavaliere è il voto anticipato: con Draghi al Colle, “FI esce dal governo e si va a votare entro la primavera”, ripete a tutti i suoi interlocutori, mentre invece “io favorirei la nascita di un governo che duri fino al 2023 con la stessa maggioranza che mi ha eletto”.

Berlusconi assicura e rassicura tutti di avere i numeri per spuntarla dal IV scrutinio in poi, quando ‘bastano’ 505 voti per farcela, sicuro di poter contare su un ‘pacchetto’ di voti decisivo (circa 50) fuori dalla coalizione – che parte da un bacino di 451 voti, almeno sulla carta – pescandoli tra gruppo Misto, i 5Stelle e non solo (persino il Pd) grazie all’‘operazione scoiattolo’, ovvero la caccia dei Grandi elettori uno ad uno.

Antonio Tajani

Antonio Tajani

Intanto, il coordinatore di Forza Italia, Antonio Tajani apre le porte anche al leader di Iv, Renzi, e soprattutto, dalle colonne del Giornale, lancia un dream team: “Berlusconi al Colle e Draghi a palazzo Chigi”. Una quadratura del cerchio che, per gli azzurri – almeno quelli di casa ad Arcore – è un “sogno realizzabile”, dice sempre Tajani. Non resta che spiegarlo a Grandi elettori e italiani che si ritroverebbe con un uomo così controverso al Colle e con altrettanto sicura crisi di governo.

Ecco perché pare proprio che Salvini e la Meloni siano decisi a chiedere a Berlusconi un conto preciso dei numeri a disposizione, senza accontentarsi stavolta di assicurazioni generiche. «Ci deve dire davvero quanti voti ha, per eccesso. Nomi e cognomi», dice una fonte leghista molto accreditata. Il che, anche per il Cavaliere, sarà impresa non da poco.