Pacchetto Cgil. Camusso lancia Landini, i riformisti Colla. Retroscena e storia della lotta nel sindacato

Pacchetto Cgil. Camusso lancia Landini, i riformisti Colla. Retroscena e storia della lotta nel sindacato

28 Ottobre 2018 0 Di Ettore Maria Colombo

Pubblico qui, in forma rielaborata e più lunga per i miei ’25 lettori’ del blog, tre articoli sulla Cgil che va a congresso, compreso quello che, in forma più succinta, è uscito oggi su Quotidiano Nazionale. 

L’articolo pubblicato su Quotidiano Nazionale del 28 ottobre 2018 

maurizio landini camusso

Maurizio Landini

“Si individua in Maurizio Landini il compagno” – dice, con tono grave e serio la segretaria della Cgil Susanna Camusso nel suo intervento conclusivo al Direttivo della Cgil che, ieri pomeriggio, ha aperto anche formalmente la strada al XXVIII congresso della Cgil – che “più risponde al profilo di attuazione del progetto e può interpretarlo nella visione collegiale e di condivisione”. Parole che vengono da un vocabolario antico e vetusto, tipico del comunismo novecentesco e che vivono ancora e solo nell’ultima Balena Rossa ancora non spiaggiata della sinistra storica (la Cgil, appunto). E così, la Camusso, dopo quasi un decennio (venne eletta nel 2010, un’era geologica fa, politicamente e sindacalmente parlando, indicata alla guida della Cgil dal suo predecessore, Guglielmo Epifani, oggi deputato di Leu) di guida ininterrotta del sindacato più grande (e, un tempo, più ‘rosso’) d’Italia, ha deciso che il suo delfino sarà il suo più antico e storico avversario, l’ex leader della Fiom (i metalmeccanici, l’aristocrazia rossa del sindacato che fu) Maurizio Landini. Già, anche questo succede in casa Cgil, e cioè che un ex fiommino – l’ala più ribelle e radicale della Cgil che ha dato filo da torcere a tutti i suoi ex segretari generali, da Cofferati ad Epifani fino, appunto, alla Camusso – possa diventare il ‘principe ereditario’ di una Cgil che, seguendo lo schema classico destra/sinistra (ma quella interna al sindacato, un po’ speciale e molto autonoma: Cofferati, per dire, era un riformista, Trentin, invece, un radicale…) si collocherebbe ‘a sinistra’ come mai prima d’ora. Ma il tempo passa per tutti, persino a corso d’Italia. E così, se Landini ha – almeno in parte – mitigato il suo ribellismo (la “Coalizione sociale” che, anni fa, aveva lanciato e voleva fondare per lanciarsi in politica è finita in soffitta), anche la Camusso non è più la sindacalista ‘rossa’ dura e pura di una volta che, detestando il Pd di Renzi. aveva sposato, pur senza portargli voti veri, la causa di Leu, dove sta il suo mentore, Epifani. Infatti, i famosi operai delle fabbriche del Nord Italia che, negli anni ’90, votavano Lega, ora votano, e in massa, per i 5Stelle e così la ‘nuova’ Cgil vuole interpretare il “vento del cambiamento” che, in Italia, soffia ovunque.

Certo, se solo Di Maio fosse stato “più coraggioso” il decreto dignità la Cgil l’avrebbe festeggiato a base di lambrusco e popcorn (invece lo ha, in sostanza, criticato), mentre la Lega qualche problema, sul piano dei diritti (non solo dei migranti), lo pone, al sindacato ‘rosso’, ma alla coppia Camusso&Landini la “manovra in deficit” piace molto, come pure affascina il reddito di cittadinanza che, un tempo, sarebbe stato vissuto da un sindacato tutto proteso a creare il lavoro e non a farne a meno. Ma esiste un’opposizione interna alla svolta ‘gialloverdina’? Sì, esiste. Si concentra intorno al segretario dell’Emilia-Romagna Vincenzo Colla. Onesto riformista, pur se privo dei guizzi oratori di Landini, ne sarà il contendente nel voto degli iscritti (in realtà si tratta, per lo più, di funzionari e militanti) che si aprirà nel 2019 e che vedrà il nuovo segretario uscire dal XVIIII congresso della Cgil, come sempre nel seno della sua Assemblea generale. Colla – nella sua rincorsa, che ad oggi sembra minoritaria – ha due obiettivi: fungere, per categorie storicamente non ‘massimaliste’ (bancari, edili, tessili e i pensionati che pesano per la metà degli iscritti) un’ancora di salvataggio, e raccordarsi con quel che resta del Pd nel post-Renzi. Chi vincerà è ancora presto per dirlo, ma Colla può sorprendere.  

 


 

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Il Quarto Stato. Il celebre dipinto dei lavoratori in sciopero opera di Pellizza da Volpedo

Un’analisi dettaglia del Direttivo della Cgil che si è tenuto ieri tratto dall’Huffington Post a firma della collega Lucia Conte

 

Il direttivo della Cgil si chiude senza strappi: il parlamentino del più grande sindacato italiano evita (per ora) la conta e si riaggiorna alla prossima settimana, probabilmente il 4 novembre. Le federazioni e i territori che appoggiano la candidatura di Vincenzo Colla, in alternativa a quella di Maurizio Landini, indicato dal segretario generale Susanna Camusso come suo successore, erano arrivate all’appuntamento di ieri con l’intento bellicoso di chiedere l’annullamento della designazione dell’ex leader della Fiom. Poi però gli stessi hanno fatto retromarcia.

Il primo tentativo di assalto al “compagno Landini” si traduce nel pomeriggio, dopo la relazione della Camusso, in un ordine del giorno firmato dai segretari di Fillea (edili), Filctem (chimici), Slc (Telecomunicazioni) e Spi (pensionati), oltre ai segretari di Emilia Romagna e Lazio, in cui si prende “atto che la segreteria nazionale non è stata in condizione di avanzare una proposta unitaria sulle caratteristiche, sui criteri del progetto e del percorso di rinnovamento del gruppo dirigente e del segretario generale coerente con il mandato ricevuto” e si ritiene che “allo scopo di evitare inedite rotture il percorso per l’elezione del segretario generale sia pienamente affidato alle regole e alle sedi previste dallo Statuto e dai regolamenti che definiscono la democrazia della Cgil“.

Si tratta di una vera e propria “sfiducia alla segreteria nazionale della Cgil“, secondo Maurizio Brotini, segretario Cgil della Toscana e membro del direttivo nazionale, che su Facebook polemizza: “Un Odg inviato alla stampa prima che venisse presentato e discusso nel Direttivo Nazionale ancora in corso”. Effettivamente, la diffusione del documento dei sostenitori di Colla sui mezzi di informazione alimenta i conciliaboli nel direttivo e fa discutere i militanti sui social network. Nel frattempo arriva al tavolo della presidenza un altro ordine del giorno, quello di maggioranza, che approva la relazione della Camusso: “La maggioranza della segreteria – si legge – ha ritenuto opportuno indicare nel compagno Maurizio Landini la figura che meglio può rispondere al profilo di attuazione del progetto e può interpretarlo in una visione collegiale. Su questo terreno è necessario proseguire la ricerca unitaria, dentro gli equilibri dati e ferme le prerogative che comunque saranno in capo al futuro segretario generale della Cgil”.

Sono le 18. Ci sono ancora 23 iscritti a parlare. E dopo ci sarebbe la conta. Ma i presentatori del primo ordine del giorno, quello di ‘opposizione’, decidono di ritirarlo e consegnano alla presidenza la seguente comunicazione: “I sottoscrittori dell’Ordine del Giorno presentato e poi ritirato al Comitato Direttivo della Cgil di oggi, 27 ottobre, affermano che tale ODG non proponeva, né nella lettera, né nelle intenzioni, qualsivoglia forma di sfiducia al segretario generale, Susanna Camusso“. A questo punto il direttivo viene sospeso e rinviato alla prima data utile che potrebbe essere quella di domenica 4 novembre.

“I presentatori ora non vogliono votare e corrono via dalla sala. Questi erano quelli che lo facevano per la Cgil“, è il commento di Michele De Palma, esponente della Fiom (ed ex responsabile Lavoro del Prc di Bertinotti che fu, ndr.). Ma uno dei firmatari dell’odg ritirato, Roberto Ghiselli, segretario confederale della Cgil che insieme a Colla non ha appoggiato in segreteria la scelta di Landini, spiega in una nota: “E’ stata impedita un’inopportuna stroncatura del dibattito e la riunione e stata aggiornata. È un fatto positivo che sia stata accolta la nostra richiesta di prosecuzione della discussione ed aver di conseguenza determinato la decisione l’aggiornamento dei lavori del Comitato direttivo. Con questa soluzione sarà possibile proseguire il confronto che auspichiamo finalizzato a superare le divisioni emerse con l’obiettivo di addivenire a soluzione condivisa ed unitaria. Consideriamo inoltre importante che a tal fine entrambi gli ordini del giorno presentati siano stati ritirati”. In verità l’ordine del giorno di maggioranza non è stato propriamente ritirato bensì ‘sospeso’. Difficile escludere che non si arrivi a una votazione. Le posizioni restano distanti anche se il compagno Landini, sopravvissuto al primo assalto, arriverà a prossimo show down sicuramente rafforzato.

 


 

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I funerali di Togliatti, quadro di Renato Guttuso

La battaglia dentro la Cgil viene da lontano… Una breve storia della lotta tra riformisti e massimalisti nel sindacato italiano.

 

Il cambiamento, dentro la Cgil, è stato (ed è) epocale. Il sindacato più rosso d’Italia viene, infatti, da una tradizione schiettamente ‘riformista’. Il primo segretario della Cgil del dopoguerra, Giuseppe Di Vittorio – ideatore del famoso “Piano del Lavoro” che proponeva, di fatto, un piano di investimenti e di piena occupazione di stampo keynesiano – lo era così tanto, un ‘riformista’, che nel 1956 – praticamente unico dentro il Pci cui pure apparteneva, votò contro l’appoggio del Pci (stalinista) di allora all’invasione armata da parte dell’Urss dell’Ungheria insorta. Naturalmente, nella storia della Cgil (rinata come CGL nel 1944, dovette subire prima la scissione della Libera Cgil, poi Cisl, nel 1949, e poi quella della Uil, nel 1950, continuando a rappresentare, cioè, solo il blocco socialcomunista) resta importante, se non decisiva, la pratica (una ‘filosofia’, di fatto) della “cinghia di trasmissione” tra partito e sindacato. In soldoni, si trattava della richiesta, da parte del Pci (e, fino agli anni ’50, anche del Psi ‘frontista’, cioè alleato al Pci) di eseguire gli ordini del Partito, fiancheggiandolo e sponsorizzandone tutte le decisioni, anche quelle non condivise.

Anche negli anni ’70, di fronte all’irrompere sulla scena dei movimenti studenteschi ed operai dell’ondata 1968-1969, la Cgil non cambia pelle e resta il fedele alleato del Pci (a quell’epoca era quello guidato da Enrico Berlinguer), tranne che per la parte che fa capo alla Fiom. Infatti, le tre federazioni dei sindacati metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil (cioè la Fiom Cgil, la Fim Cisl e la Uilm) si uniscono nell’FMLU (Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici Uniti) e si spostano sempre più a sinistra, spronando e spalleggiando le lotte operaie e studentesche dell’estrema sinistra. Fino al periodo dell’occupazione delle fabbriche (e, in particolare, di quelle della della Fiat) che darà vita, come ‘fallo di reazione’, all’altrettanto famosa ‘marcia dei 40 mila’ (quadri e dirigenti) della Fiat a Torino nel 1980. Intanto, la Cgil appoggia – e sposa – persino la “politica dell’austerità” voluta, negli anni del compromesso storico, dallo stesso Berlinguer e il suo leader di allora, Luciano Lama, ne paga le conseguenze con la contestazione subita all’università di Roma nel 1977.

 

enrico Berlinguer

Insomma, la Cgil resta un sindacato schiettamente ‘riformista’ anche negli anni ’70, appoggia il tentativo (fallito) del Pci di Berlinguer di entrare nell’orbita di governo nel periodo della solidarietà nazionale, fronteggia il terrorismo (al prezzo di enormi sacrifici e di omicidi come quello, avvenuto ad opera delle Br, dell’operaio Guido Rossa a Genova) e non schiaccia mai il pedale sull’opposizione sociale e politica ai governi di allora, timorosa di possibili golpe fascisti.

Solo nel 1984, un Luciano Lama che non credeva affatto a quell’impostazione, appoggia il referendum promosso dal Pci contro l‘abolizione dei punti di scala mobile (la ‘contingenza’) varato dal governo Craxi, ma Pci e Cgil lo perdono in modo drammatico (ne scaturirà, a breve, la morte dello stesso Berlinguer per lo sforzo, anche personale, compiuto). Tornata ‘riformista’, ma al prezzo di una divaricazione sempre maggiore tra l’area che fa capo al Pci e quella che guarda al Psi (alfiere ne è il vicesegretario generale, Ottaviano del Turco), la Cgil arriva negli anni Novanta con un prestigio ormai intaccato e una forza degli iscritti che, per la prima, entra in fase calante. Toccherà a un esponente della sinistra, Bruno Trentin (leader della Fiom negli anni 70 insieme al cislino Pierre Carniti e a Giorgio Benvenuto per la Uilm), firmare quel patto del 1992  che inaugura la cosiddetta ‘politica dei redditi‘ stringendo i lavoratori italiani in una morsa di sacrifici varati dal governo Amato e dal governo Ciampi. A Trentin, dopo una breve e infelice stagione guidata dal Antonio Pizzinato, segue il lungo regno di Sergio Cofferati che diventa segretario nel 1994 e vi resta fino al 2001. Da notare che sia Trentin che Pizzinato (come la Camusso più tardi) provenivano dalle fila della Fiom Cgil, ma con grandi differenze tra d loro: Trentin, pur da ex fiommino, mise le vesti del riformista, la Camusso invece lo sarà solo a tratti.

Cofferati, che pure viene da una categoria (i chimici) e una tradizione riformista, sposta però la Cgil molto a sinistra. E’ la stagione dell’opposizione dura al primo e poi ai seguenti governi Berlusconi, sia sulle politiche del lavoro e sociali, ma anche su quelle della giustizia (i decreti ‘salva corrotti’ e le leggi ad personam) ma soprattutto dell’opposizione della Cgil alla svolta che ha trasformato il Pci nel Pds prima e nei Ds poi, ma è anche la stagione dei ‘girotondi’ e della ‘società civile’ che Cofferati appoggia indicendo diverse manifestazioni per opporsi al decennio berlusconiano. Cofferati proverà anche la scalata ai Ds, dando vita al ‘Correntone‘ e poi a ‘Sinistra democratica’ (SD) di Fabio Mussi, ma il tentativo fallisce: l’area che fa capo a Cofferati è sonoramente battuta da Fassino e D’Alema in due congressi.

 

Cofferati

Dopo Cofferati, arriva alla guida della Cgil il ben più algido e assai meno carismatico Guglielmo Epifani, a sua volta un ex riformista, che torna a collocare la Cgil vicino al centrosinistra e ai governi dell’Ulivo, quelli della (breve) stagione 2006-2008 (Prodi II),  ma che soprattutto cerca di far ritornare la Cgil a ‘fare sindacato’ e non, per forza, ‘anche’ politica. Negli stessi anni – ma già, in verità, negli anni di Cofferati – la Fiom torna all’antico e si colora sempre più di rosso, appoggiando di fatto l’area che fa capo al Prc di Bertinotti e, anche, al Pdci di Cossutta, con segretari carismatici e ‘operaisti’ che si oppongono – da sinistra! – alla svolta ‘a sinistra’ di Cofferati prima ed Epifani poi. Sono gli anni delle segreterie di Claudio Sabbattini prima e di Claudio Rinaldini poi, fino a quelli del nuovo segretario, Maurizio Landini. Un mondo, quello della Fiom, dove sono presenti, di fatto, tutte le posizioni della sinistra, da quella post-riformista (l’area di Durante) a quella che più radicale non si può (l’area 28 Aprile di Giorgio Cremaschi, vicino ai no-global).

Intanto, però, lo scenario politico cambia ancora una volta. L’asse destra-sinistra della politica italiana si sgretola, entrano in scena nuovi soggetti politici (l’M5S in primo luogo) e la Cgil si fa trovare, di fatto, impreparata, priva di riferimenti politici. Intanto, il ‘peso’ di tutti e tre i sindacati confederali (la Cisl di Savino Pezzotta prima e Raffaele Bonanni poi, che con la Cgil di Cofferati ma anche di Epifani guerreggeranno a lungo, e la Uil di Luigi Angeletti) diventa sempre più impalpabile e rarefatto. La ‘Trimurti’ – come veniva chiamata, in modo spregiativo negli anni Settanta – perde colpi, potere e prestigio, oltre a iniziare a godere di cattiva stampa perché coinvolta nella polemica contro la ‘Casta’ (in questo caso si tratta di quella, appunto, dei sindacalisti, che godono – se dirigenti – di lauti stipendi e laute pensioni). La segreteria Epifani passa, sostanzialmente, in modo incolore. A lui segue il regno (otto anni, dal 2010 al 2018) della Camusso. La ex segretaria lombarda fa piazza pulita di tutti gli elementi riformisti ancora presenti a corso d’Italia, eliminandoli uno via l’altro dalla segreteria confederale, ma non riesce a intaccare due enclave speciali: quella dei pensionati (lo Spi), guidato da Carla Cantone (oggi deputata del Pd di fede renziana) e quella, ovvio, della Fiom, dove Landini – tra propositi politici non meglio specificati come la fantomatica ‘Coalizione sociale‘ nata e mai operante – continua a fare la sua politica di opposizione radicale a ‘ogni’ governo. Compresi, ovviamente, quelli a guida Pd. Ma anche la Camusso entra preso in rotta di collisione con il Pd: ingaggia una dura battaglia contro Renzi in merito alla sua iniziativa di abolire, in via definitiva, l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori varato in un’altra epoca (il 1970), per non parlare della scelta di Renzi di dare vita al Jobs Act. Neppure gli 80 euro vengono promossi (una “mancia elettorale”). Infine, sul referendum costituzionale del 4 dicembre 2014, la Cgil si schiera con la sinistra più radicale, e con l’Anpi e i professori, contro la riforma costituzionale varata dal governo Renzi, con la Fiom di Landini in testa.

CGIL Logo

Ma ‘todo cambia‘, come cantava Mercedes Sosa, e le elezioni del 4 marzo 2018 – in cui la Cgil ha appoggiato, in modo del tutto acritico ma anche senza procurar loro alcun voto, la scissione dal Pd prima di Mdp-Articolo 1 e poi di Leu – segnano l’arrivo dell’onda gialla e di quella leghista che formeranno poi, il 2 giugno, il governo Conte (gialloverde). La Cgil, spiazzata e indecisa sulla scelta di promuovere (almeno in parte) le politiche del lavoro attuate da Di Maio ma diffidente e, ovviamente, contraria alle scelte ‘securitarie’ di Salvini, pensa di non poter più ignorare i (tanti) voti dei suoi iscritti ai due partiti oggi al governo. E’ proprio da questo contesto che nascono le mosse attuali della Camusso che, con un capovolgimento di alleanze degno di uno stratega militare, sceglie di puntare tutto su Landini indicando in lui il suo successore alla guida della Cgil nel congresso (il XVIII dalla sua fondazione) che si terrà nel corso del 2019. L’ala riformista – ancora presente e vigile dentro la Cgil – risponde, appunto, con la candidatura di Vincenzo Colla, onesto e sincero riformista emiliano, privo dei guizzi oratori di Landini, ma dotato di una solida cultura social-riformista che, pur se da lontano, si ricollega alla migliore tradizione del riformismo ciglellino, quella dei Di Vittorio, Lama e Trentin. Chi vincerà è, ovviamente, presto per dirlo, ma anche il nuovo leader della Cgil avrà il suo peso – per quanto assai minore di un tempo – sulle prospettive future del Pd, a sua volta a congresso nel 2019, e di un centrosinistra sempre più esangue.

 


 

NB: Questi tre articoli sono stati pubblicati, rispettivamente, su Quotidiano Nazionale, l’Huffington Post e questo blog.