Pd a congresso. Minniti scioglie la riserva, Martina forse. Il ‘Grande Gioco’ delle primarie è iniziato

Pd a congresso. Minniti scioglie la riserva, Martina forse. Il ‘Grande Gioco’ delle primarie è iniziato

18 Novembre 2018 0 Di Ettore Maria Colombo

NB: Questo articolo è stato scritto in forma originale per il sito spraynews dove è uscito anche l’articolo di ieri che presentava l’Assemblea Nazionale del Pd che si è tenuta oggi presso l’Hotel Ergife di Roma. Qui il link: Il Pd è un pacchetto di mischia. Si apre l’Assemblea nazionale e si scaldano i candidati per le primarie. Nomi papabili e giochi interni . 

 

1. Un’inutile e stanca Assemblea Nazionale del Pd fa partire il congresso

 

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I possibili candidati alle primarie del Pd

Minniti si candiderà oggi in diretta tv dopo un’intervista a Repubblica, ma ha già fatto sapere che non intende fare alcun ‘ticket’ con la ex cigiellina Teresa Bellanova, che pure si era detta assai disponibile alla pugna. Il problema è che la mossa sarebbe stata interpretata da tutti gli osservatori come ‘il cappello’ messo da Renzi, e in modo ferreo, sulla testa (pelata) di Minniti in quanto la Bellanova è una renziana doc e Minniti non vuole ‘padrini’ politici, neanche se si chiamano ‘Matteo’ (ma i loro voti, invece, li vuole eccome…). Martina dovrebbe candidarsi, ma solo nei prossimi giorni, magari anche lui con una bella intervista a Repubblica – decisamente il giornale ‘preferito’  tra tutti i dem. Nicola Zingaretti si è già candidato, e da mesi, come pure saranno della partita Matteo Richetti, Francesco Boccia Cesare Damiano, oltre al giovane (e polemico) outsider Dario Corallo. E allora a cosa e a chi è servita lAssemblea nazionale del Pd convocata all’Ergife?

A poco o a nulla che non riguardasse banali, e formali, adempimenti statutari. In una manciata di ore, dalle 11 del mattino alle 16 del pomeriggio, infatti, l’Assemblea dem si è consumata senza strappi né gesti o parole eclatanti, con l’eccezione di quelle di un paio di giovani peones che hanno sparato ad alzo zero contro il “quartier generale”: “Siete arroganti, liberate il Pd, ritiratevi tutti” il grido di dolore lanciato dalla consigliere regionale emiliana Catia Tarasconi.

 

2. Tutti i giochi sono aperti, ma il congresso a tre fasi del Pd non aiuta a dirimerli.

 

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L’ex premier ed ex leader del Pd Matteo Renzi

Risultato: l’Assemblea (eletta al congresso del 2017 vinto da Renzi su Orlando ed Emiliano) si è sciolta, il presidente Matteo Orfini ha accolto le dimissioni del segretario, Maurizio Martina (la segreteria più breve in dieci anni di vita del Pd) e ha proclamato la costituzione della commissione congressuale che presiederà alle tre fasi congressuali che si apriranno da oggi: congresso tra i soli iscritti (prima fase), Convenzione nazionale (dove arriveranno e si presenteranno solo i tre candidati che avranno superato il primo turno, quello tra gli iscritti) e primarie aperte a iscritti, elettori e simpatizzanti che si terranno, sempre che il calendario non subisca improvvise variazioni, il 3 marzo 2019 e che decideranno chi dovrà essere il futuro segretario del Pd. Ma solo se uno dei tre candidati ammessi alla seconda fase supererà il 50,1% dei voti, altrimenti si tornerà in Assemblea nazionale dove a ‘pesare’ saranno non i voti dei singoli cittadini ma le correnti e i loro delegati. Tanto per capirsi, se nessuno arrivasse al 50,1% dei voti, tra i tre meglio piazzati due di essi, anche se arrivati secondo e terzo rispetto al primo, potrebbero allearsi ed eleggere segretario uno dei due (o un altro nome ancora…) tagliando fuori il primo arrivato.  Ma questi sono solo ‘scenari’. Subito dopo la conclusione dell’Assemblea si è riunita la Direzione (il ‘parlamentino’ dem composto da 200 membri mentre l’Assemblea ne conta 1000) per i relativi, a sua volta, adempimenti statutari.

Insomma, “la Guardia è stanca, l’Assemblea è sciolta”, si potrebbe dire, parafrasando la storica frase delle Guardie Rosse dei Soviet che sciolsero, per mai più riaprirla, l’Assemblea del Popolo della rivoluzione russa, attribuendo tutti i poteri a Lenin. Oppure si potrebbe dire, come sibila il cattodem Beppe Fioroni, che “nella Chiesa, l’estrema unzione è la cerimonia più breve, era giusto non perdere altro tempo”. E così, infreddoliti e annoiati, i delegati riprendono i trolley e sciamano via dall’Ergife mentre i big e i colonnelli restano a discutere – e a litigare – dentro la Direzione. Ad esempio sui ‘tempi’ del congresso: Martina e Zingaretti, ma anche Delrio e Gentiloni, li vogliono il più possibile rapidi e anticipati, Renzi e i suoi sono per un percorso più lungo e soft anche perché il congresso anticipato non volevano neanche farlo.

 

3. Dall’Assemblea ‘notizie’ zero: Renzi neppure viene, Minniti scappa via subito… 

 

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Il cartello all’entrata dell’Assemblea nazionale del Pd

“Notizie” giornalisticamente appetibili, perciò, dall’Assemblea non ne arrivano. Del resto, Matteo Renzi neppure si presenta (“Meglio che se ne stia zitto e fermo, almeno per un po’…”, sospirano i suoi, che aggiungono, quasi come a scusarlo, che “è molto concentrato a far rivincere le comunali a Nardella a Firenze“... ) e Marco Minniti, dopo una breve apparizione e qualche conciliabolo con alcuni dem, scappa via subito (doveva presentare il suo libro a Milano….).

Anche l’ex premier, Paolo Gentiloni, resta giusto il tempo per ascoltare gli interventi dell’olandese ed esponente del Pse, nonché suo candidato alla guida della Commissione Ue alle prossime elezioni europee del maggio 2019, Franz Timmermans (che parla un perfetto italiano e che pare che tifi per la Roma…) e del segretario ormai dimissionario, Martina, che chiede a tutti “unità”. Come pure faranno molti altri degli intervenuti dal palco, tra cui Piero Fassino, perché in tanti temono un congresso “lacerante” e “divisivo”, come invece sarà.

 

4. Gli zingarettiani danno segni di nervosismo: temono le “truppe cammellate”

 

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Il governatore del Lazio Nicola Zingaretti

Presenti in sala, e nei conciliaboli fuori, restano in pochi, tra i big che contano. Tra i candidati certi c’è Nicola Zingaretti che, dopo diversi conciliaboli con Martina, Andrea Orlando e con Dario Franceschini, suoi sponsor al congresso, lancia una proposta innovativa: non far pagare i canonici due euro a chi vota alle primarie aperte per permettere “l’ampia partecipazione”. La verità è che ‘Zinga’ e i suoi sono preoccupati e già denunciano le “truppe cammellate” che, specie al Sud (vedi i casi delle ripetute primarie invalidate a Napoli, nel corso degli anni…), affliggono le primarie dem. Inoltre, sempre gli zingarettiani, sono consapevoli che al ‘primo giro’ di corsa, quello tra i soli iscritti, “non vinceremo noi, ma Minniti. Il candidato di Renzi ha in mano l’apparato, vedi De Luca…”. Nervosi sono nervosi, i zingarettiani: sperano che Martina, alla fine, non scenda in campo (“Così diventa un giudizio di Dio tra Renzi e gli anti-Renzi e Minniti sarà costretto a fare campagna elettorale con la Boschi e suo padre…” è la perfidia che viene ripetuta) e sanno che sarà una battaglia durissima nella quale vogliono fare il pieno di voti “per vincere alle primarie aperte”. Risultato ambizioso, specie se Martina decidesse di candidarsi, perché il segretario dimissionario potrebbe contare sull’apporto di personalità di spicco come Delrio Orfini che, altrimenti, potrebbero restare agganciati, obtorto collo, a Minniti, anche se altre previsioni dicono che, senza Martinain campo, Delriopunterebbe le sue carte su Richetti e Orfinipresenterebbe una candidatura di bandiera, pare una donna. Invece, se Martina si candidasse, toglierebbe voti, specie in Lombardia, a Minniti (e dunque a Renzi) sul lato ‘destro’ e a Zingaretti sul lato ‘sinistro’. Insomma, Zinga tifa perché Martina si candidi, Renzi e i suoi anche…

 

5. La giornata decisiva è oggi. Minniti sarà in campo. E Martina, forse, pure…

 

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L’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti

Tutti giochi che si apriranno – e si capiranno – in via definitiva solo da oggi, quando, appunto, Minniti si lancerà nella corsa per la leadership del Pd. Prima con un’intervista alla ‘solita’  Repubblica e subito dopo in tv, ospite della trasmissione In mezz’ora  condotta da Lucia Annunziata su Rai3. Succederà tutto, cioè, come al solito, sui media, e non negli organi statutari. Minniti vuole essere – e sarà, conoscendolo – il candidato di se stesso e non ‘di Renzi’ (lo dimostra il suo rifiuto al ticket con Bellanova, sponsor l’ex premier), ma non può fare a meno dell’ex segretario e dei suoi supporter, se vuole vincere. Non a caso, nel pomeriggio parte l’appello di 500 sindaci che gli chiedono di candidarsi, lanciato, via Twitter, dal renzianissimo Matteo Ricci, sindaco di Pesaro.

 

Ma, tra i renziani, ‘cova’ ben altro, e cioè il sogno della tanto evocata scissione. Infatti, ove vincesse Zingaretti (sempre Fioroni lo chiama “Bersani 4.0” che “vuole riaprire la Ditta, riprendendo gli scissionisti di Leu per fare un neo Pci”), i renziano doc, cioè quelli più pasdaran (Gozi, Scalfarotto, llo stesso Renzi) non avrebbero dubbi: meglio uscire, subito, dal Pd ‘ridotto’ a un post-Pci e magari allearsi con esso alle elezioni che dare battaglia restando dentro il partito. Ma anche se vincesse Minniti, che renziano non lo è mai stato (anzi, tutt’altro), i tormenti e i dubbi dei renziani su un ‘contenitore’ (il Pd) che non riconoscono più come loro resterebbero intatti. Il loro sogno resta quello di un partito personale con – ovviamente – Renzi alla guida, oltre che di schietto stampo liberal-democratico ed europeista. Ma se persino la possibile vittoria di Minniti alle primarie potrebbe non bastare per far cambiare loro idea con quella di Zingaretti il dado sarebbe tratto. Si vedrà. Certo è che, dentro il Pd, il ‘Grande Gioco’ delle primarie è bello che iniziato.

 


NB: Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2018 in forma originale sul sito web di notizie spraynews