Pacchetto Pd 2 e 3. Minniti si ritira, renziani allo sbando, Guerini rifiuta di candidarsi. Zingaretti e Martina si rafforzano

Pacchetto Pd 2 e 3. Minniti si ritira, renziani allo sbando, Guerini rifiuta di candidarsi. Zingaretti e Martina si rafforzano

7 Dicembre 2018 0 Di Ettore Maria Colombo

Ecco il secondo e il terzo di tre articoli sul (disastroso) stato dell’arte del dibattito congressuale nel Pd per le primarie usciti dal 5 al 7 dicembre, su Quotidiano Nazionale, e qui presenti in forma più complessa, ragionata e articolata.

1. Minniti si ritira. Nel Pd scoppia il caos. Renzi è furibondo.

 

minniti in dubbio candidatura

Oggi (6 dicembre, ndr.), in un’intervista concessa al quotidiano La Repubblica, l’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti, annuncerà il ritiro dalla sua corsa alle primarie dem. Al di là della lombosciatalgia denunciata in questi ultimi giorni per cancellare inviti a conferenze stampa, presentazioni del suo libro e interviste in tv, quello di Minniti è un ritiro ormai maturato, di fatto, nella testa dell’ex ministro dell’Interno. Minniti, cioè,sarà irremovibile, anche se condito da un ultimo, disperato, caveat: la richiesta ai renziani di firmare un documento in cui rinunciare a ogni idea, velata o reale, di scissione. Insomma, una specie di richiesta di abiura da parte di chi, come Minniti, vede nei ‘comitati civici’ creati da Renzi il preludio di una vera e propria scissione dal Pd.

Peccato che un documento siffatto era già stato rifiutato, ieri, dai renziani e ovvio da Renzi, descritto “fuori come un balcone” per la rabbia. I quali renziani sibilano queste parole: “E’ offensiva anche solo la richiesta che ogni parlamentare firmi un impegno a non uscire dal Pd. E’ solo un pretesto. Minniti non ha capito che noi abbiamo scelto di restare In ogni caso, ormai. – conclude la fonte – tra noi e lui un rapporto che già era labile si è spezzato”.

Ma se la candidatura di Minniti è durata lo spazio di un mattino, cioè meno di un mese, ieri il Pd ha vissuto una giornata di ordinaria follia. Infatti, prima ancora che si tenga la riunione ‘definitiva’ tra i renzianissimi Luca Lotti e Lorenzo Guerini da una parte e Minniti dall’altra, nel pomeriggio si diffonde una ‘falsa’ Ansa che annuncia il falso ritiro di quest’ultimo. Scoppia il panico e tutti chiedono lumi, specie i parlamentari renziani, all’oscuro di tutto, a partire dalle mosse del loro ‘caro leader’.

Poi, arriva il confronto – ruvido – tra Minniti e i due Dioscuri, Lotti e Guerini, organizzatori dell’intera area dei renziani. Confronto che si conclude con un doppio non possumus: Minniti chiede ai renziani di firmare ‘un vincolo’ sul loro futuro, loro rispondono picche. Eppure, i due renzianissimi, durante l’incontro con Minniti, sostengono di aver confermato l’impegno al suo fianco, ma – aggiungono – “la decisione finale ora spetta a lui”. Antonello Giacomelli fa mettere a verbale che “quello che non possiamo fare è trascinare una situazione indefinita fino alle ore a ridosso della scadenza per la presentazione delle candidature. Quindi, credo che se nella giornata di oggi (giovedì 6 dicembre, ndr.) non ci sono fatti espliciti e conclusivi, bisognerà ragionare su un nuovo assetto del Congresso”. Minniti, però, ha deciso: oggi si ritirerà dalla corsa. Alle primarie gareggeranno, dunque, con ottime probabilità di vittoria, solo Zingaretti, appoggiato dalla sinistra interna, ma anche da big dem come Gentiloni, Franceschini e Fassino, e Martina, appoggiato da una coalizione rainbow (Giovani turchi, Delrio, Richetti), e i candidati minori (Boccia e Damiano). La reazione di Renzi, però, che ieri era a Bruxelles per una serie di incontri con i massimi rappresentati della Ue e delle principali famiglie politiche europee, è già durissima: “Non mi occupo di congresso – sibila – sbrigatevela voi”.

 


2. Il day after del ritiro di Minniti. Truppe Renziana allo sbando provano a spingere alla candidatura Guerini che però si nega

 

guerini

Il day after della rinuncia di Marco Minniti a correre alle primarie dem è il giorno del caos, oltre che dell’incredulità. Lui, l’ex premier ed ex leader, accusato – più a ragione che a torto – di stare lavorando a una scissione, prova a negare. In una diretta Facebook mattutina dice che non sarà lui “il burattinaio” del congresso dem perché “da mesi mi preoccupo del Paese, che è più importante del Pd, non della Ditta” e che “io non farò il capocorrente ma neppure mi nascondo”.

Poi, in serata, intervistato da Zapping (Radio 1) Renzi assicura che “la scissione non è all’ordine del giorno” e che “io non lavoro a qualcosa di diverso”. Il problema è che non gli crede più nessuno, neppure i suoi. Infatti, tutti i renziani – sia quelli (i pochi) che seguiranno ‘il Capo’ nella sua nuova avventura, sia quelli (i molti) che resteranno con tutti e due i piedi nel Pd – sanno bene che, a partire da gennaio (o, al massimo, a marzo) Renzi leverà le tende per farsi il suo nuovo partito. A questo punto, però, scatta il fatidico ‘che fare?’. E qui le strade dei renziani (o ex renziani…) divergono.

L’opzione minimale è quella di dare vita a una lista che, cambiando cavallo e fantino in corsa, appoggi la corsa di Maurizio Martina alla segreteria dem, provando a irrobustirne la candidatura e – magari, chissà – rendendolo concorrenziale con Zingaretti. Sarebbe anche un modo per ‘pesarsi’ senza dare nell’occhio: vorrebbe dire eleggere, con una lista autonoma pro-Martina, dei propri delegati nell’Assemblea nazionale e dopo contarsi lì dentro e trattare.

maurizio_martina_pd

L’opzione meno minimalista – quella su cui punta un big come Antonello Giacomelli ma che accarezza anche Luca Lotti, il quale con Renzi ha ormai, di fatto, rotto e che non lo seguirà nella sua nuova avventura – è di scendere in campo con un proprio candidato per dimostrare a tutti, dentro e fuori il Pd, che i renziani non solo ‘tengono botta’ e non smobilitano, ma che possono spostare, in modo decisivo, gli equilibri congressuali facendo vincere chi vogliono loro nell’Assemblea nazionale. Sempre che, ovviamente, nessuno dei due candidati principali raggiunga il 51% alle primarie.

Il problema è che il solo candidato non ‘di bandiera’, ma con buone possibilità di avere un’affermazione dignitosa si chiama Lorenzo Guerini, noto come (l’ex?) Forlani di Renzi. Guerini, oggi presidente del Copasir, sembra irremovibile: non vuole candidarsi e bere, da solo, l’amaro calice, ma potrebbe convincersi, dato il suo notorio ‘spirito di servizio’, al grande passo se le insistenze dei renziani (Giacomelli, Topo, Fiano, etc.) avessero la meglio sulla sua nota ritrosia.

Ancora 48 ore di tempo si danno, i renziani, per decidere. Il mondo, però, va avanti anche senza di loro, Pd compreso. Zingaretti, forte di appoggi importanti sia ‘a destra’ (Franceschini, Gentiloni, Zanda) che a ‘sinistra’ (Orlando), si sente già la vittoria in tasca e lancia una doppia proposta: candidare Carlo Calenda come capolista del Pd alle Europee ed eleggere l’ex premier Gentiloni a presidente del partito. Martina, invece, sente di poter risalire la china e Richetti, che con lui gioca in tandem, prova a spostare truppe su di lui. Certo è che la diga dei renziani orfani di Renzi è collassata.


NB: Questi articoli sono stati pubblicati il 6 e il 7 dicembre 2018 sul Quotidiano nazionale, ma in forma più succinta.