Taglio dei parlamentari, il Senato dice sì e solo il Pd dice no. Punti positivi e critici della riforma costituzionale

Taglio dei parlamentari, il Senato dice sì e solo il Pd dice no. Punti positivi e critici della riforma costituzionale

7 Febbraio 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

Taglio dei parlamentari, c’è il primo sì del Senato. La Camera avrà 400 deputati, il Senato 200 senatori. Ora il testo passa a Montecitorio. FI vota con i gialloverdi, i grillini parlano di “svolta storica”. Pd e LeU contrari.

aula del senato

L’Aula del Senato

Non solo M5S e Lega, anche FI e FdI votano la riforma costituzionale

“Ho bisogno di vederli con i miei occhi, i tacchini che festeggiano il Natale…” ridacchia un senatore di lungo corso. Certo che, se mai succedesse, sarebbe una svolta – politica, oltre che costituzionale – di carattere epocale. Cosa succede? Semplice, o anzi no, è assai complicato. Ma partiamo dalla notizia, poi cerchiamo di capire perché. Ieri mattina il Senato ha approvato il disegno di legge, voluto dalla maggioranza di governo e presentato dal ministro alle Riforme istituzionali, Riccardo Fraccaro: propone una riforma costituzionale che taglia il numero dei deputati (da 630 a 400) e dei senatori (da 315 a 200). I sì sono stati 185, i no 54, gli astenuti 4. Il testo passa ora alla Camera.

 

riforma costituzionale

Riforma Costituzionale

In favore del ddl costituzionale (che abbisogna di una doppia lettura in entrambi i rami del Parlamento e che, se non viene approvato con i due terzi dei voti nelle Camere, può essere sottoposto a referendum costituzionale popolare) hanno votato M5S Lega, che avevano presentato il testo, ma anche Forza Italia FdI, che hanno definito la loro scelta “un’apertura di credito” alla maggioranza sulle riforme. Dopo, però, vi saranno diversi passaggi successivi, come vedremo più avanti, analizzando che tipo di riforma è.

 

I 5Stelle esultano: “500 milioni risparmiati!”

 

Esultano, invece, ovviamente, in casa 5Stelle. “Evviva! Approvato il taglia-poltrone in Senato! Presto ci saranno 345 parlamentari e un risparmio di mezzo miliardo di euro a legislatura. Dicevano: impossibile! e invece se lo diciamo lo facciamo! Festeggiamo insieme!” scrive sulla sua pagina Facebook il vicepremier M5S Luigi Di Maio.

Luigi di Maio

Luigi Di Maio

 

“È un giorno storico – dichiara il ministro per i Rapporti con il Parlamento e la Democrazia diretta, Riccardo Fraccaro – l’approvazione in prima lettura al Senato della legge che riduce il numero dei parlamentari segna una svolta nella storia della nostra democrazia. Abbiamo posato la prima pietra per un Parlamento nuovo, più efficiente e con meno costi, in grado di rappresentare al meglio le istanze dei cittadini”. “Il taglio dei parlamentari – continua Fraccaro – era stato proposto da tutti i partiti in passato, noi lo stiamo realizzando portando a compimento una riforma lungamente invocata dai cittadini”. “Il no delle opposizioni – continua il ministro – è paradossale, soprattutto se arriva da parte del Pd che ha proposto di ridurre i parlamentari nella scorsa legislatura e ora inventa scuse per votare contro. Con meno parlamentari il processo di approvazione delle leggi sarà più efficiente, quindi migliorerà la capacità delle Camere di essere il luogo principale della decisione politica e di rispondere alle esigenze del popolo”. “Non da ultimo, risparmieremo 500 milioni di euro a legislatura, ben 300 mila euro al giorno– conclude il ministro Fraccaro – risorse che saranno sottratte ai costi della politica e potranno essere impiegate per la collettività”.

Forza Italia e FdI a favore, ma con dei ‘distinguo’

Taglio dei parlamentari

Votazione per il taglio dei parlamentari

Sulla carta ci si aspettava che fossero tutti d’accordo. Come oggi questa maggioranza, in passato anche il Pd e, prima ancora, FI avevano proposto di ridurre il numero degli eletti se non di abolire proprio l’elezione del Senato. Ma i distinguo erano emersi già nei giorni scorsi (il Pd che è arrivato a parlare di “assassinio della democrazia”) e così il voto unanime sul disegno di legge di riforma costituzionale, auspicato da Fraccaro, è un miraggio. La conferma è arrivata nella serata di mercoledì 6 febbraio, quando i senatori democratici si sono incontrati e hanno ribadito la linea del no al provvedimento, ma della posizione del Pd parleremo dopo, più nello specifico. Hanno invece votato con la maggioranza Forza Itali ae Fratelli d’Italia, anche se non sono mancati i dissidenti all’interno dei due gruppi. L’unico del gruppo di FIa votare contro il ddl è stato l’azzurro Raffaele Fantetti. Il senatore, eletto all’estero, ha sottolineato che il taglio comporterebbe una sotto-rappresentazione dei cittadini italiani residenti all’estero (come poi vedremo meglio).

Si sono invece astenuti gli “azzurri” Sandro Biasotti, Stefania Craxi e Sandra Lonardo, nonché Isabella Rauti di FdI. Non hanno invece preso parte al voto, annunciandolo in aula, Andrea Cangini (Fi) e Andrea De Bertoldi (Fdi): hanno spiegato di essere contrari al testo, ma anche di evitare il “no” anche perché i loro gruppi hanno votato per il ddl come gesto di “apertura di credito” verso la maggioranza sul tema più ampio delle riforme, da verificare nei successivi passaggi.

andrea cangini

Il Senatore Andrea Cangini

 

In particolare, il senatore Cangini – ex direttore del Quotidiano Nazionale e giornalista – ha parlato, nel suo intervento, del tentativo “di delegittimare la politica, comprimere il potere del parlamento fiaccando, di conseguenza, la forza dello Stato” ed ha giustificato il suo primo voto in dissenso dal suo gruppo, Forza Italia, “in nome della dignità della Politica, come usava dire il presidente della Repubblica Francesco Cossiga, contro chi – riducendo la Politica a una faccenda di crimini, soldi e privilegi – delegittima il Parlamento e fiacca la volontà dello Stato”.

Pd e LeU votano contro. Una scelta molto ‘impopolare’

Marcucci PD

Andrea Marcucci, capogruppo Pd al Senato
PH MASSIMO PERCOSSI

 Contrari al ddl Fraccaro si sono espressi- come si diceva – Pd, Leu e il gruppo delle Autonomie, dove siedono anche esponenti eletti nelle fila dei dem come Gianclaudio Bressa e Pierferdinando Casini. I democratici avevano presentato un emendamento che legava il taglio dei parlamentari alla trasformazione del Senato in una Camera delle Autonomie, ma la proposta è stata dichiarata inammissibile dalla presidente Maria Elisabetta Casellati. Di qui discende il loro no. Una scelta, quella del Pd, per nulla ‘popolare’ e che rischia di alienare al centrosinistra i consensi della maggioranza del Paese dove, a torto o a ragione, il tema della “Casta” continua a imperversare.

Il Pd ha ribadito, con tutti i suoi principali esponenti, la contrarietà al provvedimento: “Di Maio annuncia una festa per la prima lettura del ddl che chiama taglia poltrone”, ha scritto su Twitter il capogruppo del Pd al Senato Andrea Marcucci. “State attenti perché non riducono il numero dei parlamentari, ma cominciano a tagliare la democrazia”.

riccardo fraccaro

Riccardo Fraccaro

 

I democratici vogliono, peraltro, andare anche oltre: la presidenza del gruppo del Pd al Senato sta studiando un ricorso alla Corte costituzionale dopo che sono stati dichiarati inammissibili gli emendamenti al ddl Fraccaro. “Ci rivolgeremo”, ha detto il democrat Dario Parrini in Aula, “a qualsiasi istanza costituzionale possa essere legittimamente invocata affinché si ponga l’attenzione sul fatto che si vuole impedire al Senato e alla minoranza in questo Senato di discutere di cose serie”. Due le strade che il Pd sta valutando, entrambe assai dubbie e impervie.

fraccaro DDL

DDL Fraccaro

 

La prima è un ricorso alla Consulta, alla luce della sentenza della stessa Corte al ricorso dei 37 senatori democratici sull’iter di approvazione della legge di Bilancio: in quella sentenza la Corte, rigettando quel ricorso, affermò di aver “ritenuto che i singoli parlamentari sono legittimati a sollevare conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale in caso di violazioni gravi e manifeste delle prerogative che la Costituzione attribuisce loro”. La seconda strada è una “segnalazione” al Presidente della Repubblica, che però sull’iter e il merito dei ddl di riforma costituzionale non ha poteri. Si tratterebbe quindi non di una richiesta di intervento, ma appunto la “segnalazione” di una nuova compressione dei diritti dei parlamentari in due mesi.

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Stefano Ceccanti, deputato e costituzionalista

La posizione scelta dal Pd, però, è doppiamente curiosa – oltre che di dubbia legittimità costituzionale ed efficacia politica – perché, mentre il ddl Fraccaro veniva approvato al Senato, alla Camera si sta discutendo, da settimane, un altro ddl, sempre presentato dal ministro alle Riforme, che riguarda la possibilità di ampliare, per i cittadini, il ricorso al referendum propositivo, su tutta una serie di materie. Un tema su cui, a partire dal deputato e costituzionalista Stefano Ceccanti, il Pd ha ottenuto, dal ministro proponente e dalla maggioranza di governo, una serie di – importanti – concessioni: sul numero delle firme necessarie per poter ricorrere a referendum, che è stato abbassato, sulle materie da escludere dalle proposte referendarie, che sono state ampliate fino a ricomprendere molti art. della Costituzione, sulla possibilità di ‘conciliazione’ tra Camere e promotori del referendum, che sono state meglio qualificate, etc.

Un atteggiamento, dunque, quello del gruppo Pd alla Camera che è stato, sinora, ‘collaborativo’ (tecnicamente si dice ‘emendativo’) e che ha visto il Pd spuntarla su molti temi. Non si capisce, dunque, perché il Pd faccia, con una mano (accettando di ‘migliorare’ il testo del ddl sul referendum) quello che nega con un’altra (dicendo no alla possibilità di ridurre il numero dei parlamentari) e dimostrando, di fatto, una vera ‘schizofrenia’ politica nel diverso comportamento dello stesso gruppo parlamentare del Pd nelle due Camere.

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Dario Parrini, capogruppo del Pd in Commissione Affari costituzionali del Senato

 

In ogni caso, sempre Dario Parrini, renziano e capogruppo del Pd in Commissione Affari costituzionali del Senato, ha spiegato che il suo partito si oppone “a un disegno anti-parlamentare” perché “la riduzione del numero dei parlamentari andava collocato all’interno di una riforma seria che almeno porti al superamento delle due anomalie più gravi del sistema parlamentare italiano: due Camere che fanno le stesse cose e l’unico Paese al mondo in cui un ramo del Parlamento non usa il suffragio universale per essere eletto”.

Cosa ‘non’ prevede la riforma istituzionale a firma Fraccaro

di maio grillo casaleggio

Di Maio, Grillo e Casaleggio

L’appunto critico di Parrini riguarda il fatto che la riforma non tocca affatto le funzioni delle due Camere (resta pienamente in vigore, cioè, il “bicameralismo perfetto”) e che non viene parificato neppure il diverso – e assurdo, ormai – elettorato passivo e attivo delle due Camere: continueranno a servire 18 anni per essere elettori e 25 anni per essere eletti alla Camera dei Deputati e 25 anni per essere elettori e 40 per essere eletti al Senato della Repubblica. Il che, in effetti, è un non-sense, anche perché non si capisce perché due Camere, pur ridotte di numero, debbano continuare a essere votate in modo difforme, ma continueranno a svolgere gli stessi, identici, compiti.

La riforma non prevede neanche il taglio agli stipendi dei parlamentari, come chiedevano – e chiedono – i Cinque Stelle, richiesta che sarà avanzata in un’altra proposta di legge e proposta su cui, però, la Lega ha già posto il veto.

In ogni caso, il progetto dei 5Stelle ha una sua ‘coerenza’: ridurre il numero dei parlamentari da un lato (e, subito dopo tagliare i loro stipendi) e, dall’altro, ampliare la possibilità dei cittadini di ricorrere al referendum propositivo. Un ‘disegno’ che, di fatto, mira a ‘svuotare’ il Parlamento della sua centralità nel sistema politico italiano e a creare un cortocircuito politico sempre più forte tra il governo (e i partiti che lo reggono) e il Popolo, ovviamente ‘sovrano’.

L’iter obbligatorio che bisogna seguire per cambiare la Costituzione

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L’ex ministro alle Riforme Maria Elena Boschi

Il taglio del numero dei parlamentari faceva già parte del ddl Boschi-Renzi (bocciato dagli italiani nel referendum costituzionale del 4 dicembre 2015): il ddl prevedeva di ridurre il numero dei senatori da 315 a 100, ma eletti dalle Regioni, lasciando quindi inalterato il numero di deputati.Trattandosi di una riforma costituzionale il disegno di legge richiederà una doppia lettura conforme da parte delle due Camere. Le leggi di revisione della Costituzione – recita infatti l’articolo 138 della Costituzione – e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi, a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Si evita il referendum se la legge è stata approvata, nella seconda votazione, da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

Insomma, di tempo ancora ce ne vuole, prima che la riforma costituzionale a firma Fraccaro venga approvata. Considerando i tempi di lavoro delle due Camere e l’attività di governo, oltre che il ‘necessario’ intervallo di tre mesi tra le prime due e le seconde due deliberazioni, dovrebbe passare circa un anno, non meno.

E molte cose, da qui ad allora, possono ancora succedere. Se il governo cadesse, per dire, difficilmente ci sarebbe più una maggioranza coesa che riesca a votare, a maggioranza assoluta, per le riforme costituzionali. Infine, la fine anticipata della legislatura manderebbe, per ovvie ragioni, a monte ogni velleità di riforma istituzionale. Una cosa, però, è certa. Se mai il ddl Fraccaro arriverà ‘a dama’ e si dovesse tenere un referendum popolare su questo tema, è assai facile prevedere che i ‘sì’ batterebbero i ‘no’: il tema della lotta alla ‘Casta’ è ancora molto forte, nel Paese.

Cosa, invece, prevede, nello specifico, il ddl Fraccaro

aula del senato

L’Aula del Senato

 

Il provvedimento, ovvero il ddl Fraccaro, modifica gliarticoli 56, 57 e 59 della Costituzione. Ma ecco, nello specifico, i cambiamenti apportati: – Camera – i deputati passano da 630 a 400 e di questi 8 (e non più 12) saranno eletti nella circoscrizione estero. La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni – esclusi quelli per l’estero – si otterrà dividendo il numero degli abitanti del Paese per 392, invece che per 618. – Senato – il numero senatori scende da 315 a 200. Quattro, invece di sei, quelli che saranno eletti dagli italiani all’estero. Cambia anche il terzo comma dell’articolo 57: ogni regione o Provincia autonoma dovrà avere almeno tre senatori (erano sette), mentre il Molise ne mantiene due e la Valle d’Aosta uno. – Senatori a vita – viene sostituito il secondo comma dell’articolo 59, dove si precisa che “il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque”. Infine, le nuove disposizioni (se saranno approvate in via definitiva al termine delle quattro letture) si applicheranno “a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore”. In soldoni, vuol dire che la riforma entrerebbe in vigore a partire dalla legislatura successiva a questa.

Il confronto con le altre democrazie europee

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Gli scranni dove siedono i parlamentari europei a Bruxelles

 

Negli Stati Uniti la Camera dei rappresentanti è composta da 435 membri e il Senato da 100. In Spagna i cittadini eleggono i membri del Congresso dei deputati (350) e 208 senatori delle Cortes su 266 totali. I francesi eleggono i membri dell’Assemblea nazionale577 deputati, mentre il Senato(che non vota la fiducia) è composto da 348 grandi elettori. Sistema simile in Germania, dove il Bundestag conta ben 709 eletti (ma è un numero variabile, a causa del sistema elettorale tedesco), mentre la Camera Alta, il Bundesrat, ne conta appena 69, ma perché rappresentano, in proporzione, i Land tedeschi. Nel Regno Unito la Camera dei comuni, ramo dominante rispetto alla Camera dei Lord, conta 650 parlamentari. Insomma, come si vede, il confronto con l’Italia è impietoso, ma per il nostro Paese: stati molti più grandi del nostro hanno – quasi tutti – meno parlamentari dell’Italia.

Paradossalmente, però, dice chi vuole mantenere lo status quo, l’Italia diventerebbe il Paese, dentro l’Unione europea, con il più basso numero di parlamentari rispetto alla sua popolazione, come rivela l’Ufficio studi del Senato: 0,7 deputati ogni 100 mila abitanti e 0,3 senatori 100 mila abitanti mentre, in Gran Bretagna, il rapporto è di 1 a 100, in Francia e Germania di 0,9 a 100, in Spagna di 0,8 a 100, per quanto riguarda i deputati, mentre per i senatori il numero è più basso solo in Germania, dove però il Bundestag rappresenta, in modo non elettivo, i Lander. In Italia, dunque, si avrebbe un parlamentare ogni 150 mila cittadini invece che ogni 80 mila, come è oggi, peraltro con una legge (la legge costituzionale n. 1/1963) che stabilì un numero fisso di deputati e senatori che prima era variabile.

Ma se la riforma passa, servirà anche un’altra riforma: adeguare il Rosatellum

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La scheda elettorale del Rosatellum

Subito dopo l’approvazione della riforma che taglia il numero di senatori e deputati, il Senato ha iniziato l’esame della legge elettorale che dovrebbe essere applicata in conseguenza della riduzione dei parlamentari, legge che è già stata ribattezzata come “Rosatellum ter”. Il testo, presentato da M5S e dalla Lega (primo firmatario il ‘padre’ del PorcellumRoberto Calderoli), prevede infatti di applicare l’attuale sistema elettorale – il Rosatellum – anche al caso di un minor numero di eletti nei due rami del Parlamento. Il disegno di legge contiene una delega al governo a ridisegnare i collegiche, ovviamente saranno meno numerosi e più grandi, per adeguarsi al minor numero di parlamentari da eleggere. La delega riguarda sia i collegi uninominali che quelli plurinominali proporzionali. La ripartizione dei seggitra le circoscrizioni – esclusi gli eletti all’estero – si otterrà poi dividendo il numero degli abitanti del Paese per 392, invece che per 618 e lo stesso sarà fatto al Senato perché il numero senatori scende da 315 a 200.

In conseguenza del mix tra collegi uninominali (38%) e parte proporzionale che caratterizza il Rosatellum (42%), i collegi scenderebbe da 231 a 147 alla Camera e da 109 a 74 al Senato. Il che vuol dire che tutti i ‘difetti’ del Rosatellum (capolista bloccati, pluri-candidature, debole alternanza di genere) verrebbero, di fatto, tutti ampliati e non diminuiti. Ma – come si sa – cambiare una legge elettorale è quasi più difficile che fare una riforma istituzionale… E, non a caso, le leggi elettorali si cambiano solo al fine di una legislatura.

Il ‘dramma’ che stanno vivendo già i parlamentari eletti all’estero…

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i simboli dei principali partiti politici presenti alle elezioni europee del 2014

Drastico sarebbe, infine, il calo dei parlamentari eletti all’Estero da quando è in vigore la “legge Tremaglia” (varata nel 2006) Oggi, si tratta di 18 parlamentari che diventerebbero 12: in particolare, di 12 deputati sei senatori che diventerebbero, rispettivamente, otto quattro. Un taglio drastico che ha messo in allarme l’intera comunità degli italiani all’Estero, la cui platea elettorale, negli anni, è invece cresciuta, passando da 2,6 a 4,2 milioni di elettori.  Oltre che, ovviamente, i parlamentari italiani eletti all’Estero che si sono schierati tutti contro la riforma di Fraccaro.


NB: Questo articolo è stato pubblicato, in forma ridotta, sul sito di notizie spraynews.it