Speciale primarie Pd/2. Chi è Maurizio Martina, da dove viene, chi lo appoggia e un’intervista

Speciale primarie Pd/2. Chi è Maurizio Martina, da dove viene, chi lo appoggia e un’intervista

2 Marzo 2019 3 Di Ettore Maria Colombo

 

Pubblico qui la stessa, identica, introduzione allo ‘speciale Primarie‘ che ho iniziato ieri con un ritratto e un’intervista a Nicola Zingaretti, il candidato da battere alle primarie del 3 marzo 2019 (la trovate qui:  Speciale primarie Pd/1. Chi è Nicola Zingaretti, da dove viene, chi lo appoggia e un’intervista ). Oggi, invece, si parla di Maurizio Martina.

 

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I candidati alle Primarie del Pd 2019

Una breve introduzione generale. Le primarie del Pd

 

Domenica prossima, 3 marzo, si terranno in tutt’Italia (principalmente nei 7000 circoli del Pd, ma anche in gazebo messi nelle varie città per l’occasione) le primarie. Vuol dire che potranno parteciparvi, oltre agli iscritti, anche i semplici elettori e simpatizzanti del Pd e del centrosinistra a patto di versare un piccolo obolo (5 euro) e sottoscrivere la ‘Carta degli intenti’ del Pd, come si è sempre fatto. Il nuovo segretario, in realtà, non verrà proclamato immediatamente, cioè la sera stessa del voto, ma dovrà attendere la convocazione della nuova Assemblea nazionale (1000 delegati la platea) che decreterà l’elezione del nuovo leader del Pd, come prevede lo Statuto dem (si tratta, cioè, di un’elezione ‘indiretta’, come quella del presidente Usa, e non di un ‘elezione diretta’). Quindi, il vero obiettivo di ogni candidato non è avere più voti popolari degli altri ma più ‘Grandi elettori‘ (i delegati in Assemblea): la maggioranza di sicurezza è fissata, dunque, a 501 delegati, ma questa cifra non corrisponde al 51% dei voti assoluti. Per un complicato meccanismo di calcolo che riguarda l’elezione dei delegati in Assemblea, infatti, solo chi si assicura il 53-54% dei voti reali ha la certezza di avere, in Assemblea nazionale, la maggioranza assoluta dei delegati (501 su 1000).

Pertanto, se uno dei candidati finirà sotto o poco sopra del 50% dei voti reali nei gazebo il voto dell’Assemblea nazionale diventerà dirimente, nel senso che potrebbe verificarsi di tutto, lì dentro.

Ma su questo e su altri aspetti delle primarie (storia, numeri, regolamento, modalità di elezione, poteri, etc.) torneremo più avanti, cioè nei prossimi giorni. Presentiamo, invece, qui, in tre diversi articoli, i tre candidati che si contendono l’investitura a segretario del Pd del futuro. Partiamo, per ordine di grandezza, dal candidato che ha preso più voti nel primo step delle primarie democratiche (il voto nei circoli), che è diventato ufficiale lo scorso 3 febbraio, quando sono stati resi noti i risultati definitivi del voto nei circoli che si sono tenuti per l’intero mese di gennaio, e cioè Nicola Zingaretti. Domani sarà il turno di Maurizio Martina, segretario uscente, poi di Roberto Giachetti.

Da tenere a mente, in ogni caso, che uno dei problemi principali delle primarie di domenica sarà di certo la partecipazione. L’asticella è fissata, da tutti, a un milione di voti, per non sfigurare: se  i votanti fossero di meno, l‘affluenza verrebbe indicata come un flop, dal milione in su un successo.

Chi è Maurizio Martina, una vita nei Ds e poi nel Pd

 

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Maurizio Martina, ex segretario del Pd

 

“Diamoci una scossa. Noi democratici dobbiamo essere idealisti senza illusioni, per dirla con John F. Kennedy, o lasceremo il campo agli illusionisti senza ideali che stanno sfasciando il Paese. La sinistra è cambiamento”. Queste parole, messe a exergo della mozione di cui è il candidato dicono abbastanza di chi è e cosa vuole Maurizio Martina.

Nato il 9 settembre del 1978 a Calcinate, in provincia di Bergamo, Martina non è un “nativo democratico” nel senso del Pd ma un “nativo democratico” nel senso dei Ds.

Cresciuto in una famiglia operaia della provincia di Bergamo, Martina si fa da sé: prende il diploma di perito agrario e la laurea in Scienze politiche. Alla passione giovanile per il teatro unisce quella per il mondo agricolo e agroalimentare, oltre alla politica.. L’esperienza e la carriera di Martina sono state, nel tempo, costellate di tanti incarichi politici, praticamente tutti di partito e, dopo di governo. La sua carriera è fatta di una lunga militanza prima nei Dse poi nel Pd.

Nel 1999 con una lista civica viene eletto consigliere comunale a Mornico al Serio, in provincia di Bergamo, a 21 anni, ma inizia a far politica partecipando al Movimento degli studenti nel 1994.

La sua palestra è stata, dunque, la Sinistra giovanile, organizzazione politica giovanile dei Ds.

 

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L’ex segretario dei Ds Piero Fassino

 

Nel 2002 diventa segretario regionale della Sinistra giovanile ed entra a far parte della segreteria nazionale della stessa Sg, in qualità di responsabile ‘Lavoro’. Diventa sia segretario comunale che provinciale della federazione dei Democratici di Sinistra a Bergamo. E nel 2006 diventa segretario regionale della Lombardia dei Ds, un anno prima della nascita del Pd, partito nel quale Martina mantiene lo stesso incarico a partire dal 2007, segretario regionale del Pd lombardo, incarico confermato nel 2009. Sempre nel 2009 viene nominato responsabile nazionale Agricoltura nella nuova Segreteria del Pd di Bersani, ascesa al partito che Martina appoggia.

Nel 2010 viene eletto consigliere della Regione Lombardia con 12.792 preferenze, incarico riconfermato alle elezioni del 2015 con 7.944 preferenze. È primo firmatario della legge n. 21 del 13 dicembre 2011, approvata dal Consiglio regionale della Lombardia, che prevede l’abolizione dei vitalizi, il taglio delle indennità e la riduzione del trattamento di fine mandato per gli eletti.

 

Il salto alla ribalta nazionale: sottosegretario e poi ministro

 

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L’ex ministro all’Agricoltura e segretario del Pd Maurizio Martina

Il 2 maggio 2013 arriva il salto alla ribalta nazionale: viene nominato sottosegretario alle Politiche agricole, agroalimentari e forestali nel governo Letta. Con Renzi una nuova promozione: dal 22 febbraio 2014 è ministro alle Politiche agricole, agroalimentari e forestali del governo Renzi.  

Dal I luglio 2014 assume la carica di Presidente di turno del Consiglio europeo dei Ministri dell’Agricoltura e della Pesca nell’ambito del semestre di presidenza italiana.

Il 12 dicembre 2016  viene confermato ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali anche nel governo Gentiloni. Nel corso del suo incarico di ministro elabora e approva diversi provvedimenti in favore dell’occupazione giovanile in agricoltura, della semplificazione burocratica per le imprese, del ricambio generazionale e della competitività e internazionalizzazione delle imprese. Inoltre, durante il suo mandato, viene approvata la Politica agricola comune (Pac), in vigore dal I gennaio 2015.

Va molto fiero della sua legge, la prima, contro il capolarato, ma anche della partita dell’Expo. 

  

Da vicesegretario a segretario reggente, infine le primarie

 

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L’ex segretario del Pd Pierluigi Bersani

 

Fassiniano con Fassino, ultimo segretario dei Ds, veltroniano con Veltroni, che lo coopta al vertice del Pd, bersaniano con Bersani (cui arriva tramite i buoni uffici di Filippo Penati, ex dominus del partito in Lombardia), alle primarie del 2013 Martina si schiera con Gianni Cuperlo, che perde il congresso contro la prima segreteria di Renzi, ed ecco che Martina compie un salto carpiato con avvitamento. A giugno del 2015 si fa promotore della nascita di una nuova corrente all’interno del partito, Sinistra è cambiamento, formata da esponenti e sostenitori del governo Renzi posizionati però più a sinistra, e quindi non renziani, che toglie spazio alla storica sinistra interna.

Così, anche se è stato Pierluigi Bersani (allora ancora nel Pd) a indicarlo come ministro delle Politiche agricole (l’uomo giusto al posto giusto, in effetti, data la sua storica passione per il mondo dell’agricoltura), a 40 anni si trova al centro della scena proprio nel periodo più difficile per il Pd.

Nel 2017, il 7 maggio, dopo la sconfitta al referendum, diventa vicesegretario del partito con Renzi segretario, che lo sceglie per coprirsi a sinistra, dopo la scissione di Mdp che vede la vecchia sinistra interna (Sinistra riformista) rompere con il partito a guida Renzi, e Martina lo fa.

Tesse anche i rapporti politici con Emma Bonino, che ha fondato ‘+Europa’ e con altri partiti minori e scioglie i dubbi di Beppe Sala a candidarsi sindaco di Milano.

 

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Il logo della Convenzione nazionale del Pd

 

Alle elezioni politiche del 2018 Martina viene eletto alla Camera dei Deputati nella circoscrizione Lombardia 3. Dal 12 marzo 2018 diventa il segretario reggente del Pd, dopo le dimissioni di Matteo Renzi e, il giorno dopo, si dimette dalla carica di ministro dell’Agricoltura con Paolo Gentiloni che assume l’interim del dicastero in un governo ormai agli sgoccioli e in carica solo per l’ordinaria amministrazione fino alla nascita del governo Conte.

Il 7 luglio viene eletto dall’Assemblea Nazionale del Pd a segretario del partito ma il 17 novembre formalizza le sue dimissioni da segretario in vista del congresso proclamato per il gennaio 2019.

Il 22 novembre annuncia la sua candidatura alla segreteria nazionale del Pd per il congresso di gennaio-marzo. Pochi giorni dopo annuncia un ticket con Matteo Richetti, ex renziano. 

Nel voto tra gli iscritti al partito che si è tenuto a gennaio 2019 Martina raccoglie 67.749 preferenze, pari al 36,10%,e va alle primarie aperte del 3 marzo successivo.

 

Una segreteria breve e i conflittuali rapporti con Renzi

 

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I due ex premier Matteo Renzi e Paolo Gentiloni

 

Una segreteria breve (la più breve nella storia del Pd) e di transizione nata nell’Assemblea dei mille delegati dem del 7 luglio, ma Martina compone una segreteria che sa essere transeunte e precaria, ma la riempie con le anime di tutte le correnti, da Gianni Cuperlo a Matteo Ricci Teresa Bellanova. Cerca, dopo la sconfitta alle politiche, un primo riscatto per il suo partito e, insomma, ‘si sbatte’ parecchio. Organizza la prima riunione della sua nuova segreteria nella periferia romana di Tor Bella Monaca. Poi va a Scampia, a Napoli e allo Zen, a Palermo. Martina c’era davanti alla Nave Diciotti e c’era ai funerali delle vittime di Ponte Morandi a Genova, dove si è preso anche i fischi o all’Ilva di Taranto dove trova la diffidenza di molti.

Quando ha preso le redini come vicesegretario reggente il Pd era nell’angolo, pesantemente sconfitto alle politiche del 4 marzo dello scorso anno e Renzi si era appena dimesso.

I rapporti tra i due, Renzi Martina, sono sempre stati, però, conflittuali. Con Renzi, e la sua ombra, Martina ha dovuto fare sempre i conti. Uno dei bocconi amari che ha dovuto digerire è stato lo stop ai suoi sforzi di confrontarsi con i 5Stelle, stop imposto dal segretario, già allora ex, ma sempre in grado di dare le carte nel partito. Ma Martina è stato anche uno dei più duri, nel Pd, a chiedere le immediate dimissioni di Renzi dopo la sconfitta del 4 marzo e ha proporsi come nuovo segretario reggente.

Il gruppo dirigente, sbandato e depresso, vede in lui il solo punto di mediazione, dopo la sconfitta, e lui ci prende gusto ritardando di qualche mese la convocazione del congresso che gli altri concorrenti (Zingaretti prima e Giachetti poi) volevano che si tenesse al più presto.

Poi, ricalcando le orme di Dario Franceschini nel 2009, dopo le dimissioni di Veltroni, che alla fine perse il confronto con Bersani, si candida a succedere a se stesso e l’operazione gli riesce.  

Ora si dice che Martina, se sconfitto, sia pronto a un nuovo salto carpiato: entrare nella nuova segreteria di Zingaretti. Entrambi smentiscono sdegnati, ma solo il futuro dirà se andrà così.

 

Ecumenico, sobrio e pacato: il ‘carattere’ di Martina

 

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Nicola Zingaretti e Maurizio Martina

 

Maurizio Martina è sposato con Mara Testi e la coppia ha due figli. Tra le curiosità c’è il tifo per l’Atalanta.Riservato, come è nel carattere dei bergamaschi, ha l’orgoglio della sua terra: “Da noi Ermanno Olmi ha girato l’Albero degli zoccoli”, ricorda. Ama la Cascina San Carlo, dove è nato e dove abitano ancora i suoi, che gli hanno inculcato il senso della fatica, del lavoro e dell’impegno.

La sua nostalgia è per quando, da giovanissimo, a teatro, interpretava la parte di uno degli uomini della scorta di Giovanni Falcone e per l’inizio della sua militanza, quando rimetteva su la sezione. Non a parole, ma manualmente: “Posso dire di sapere lavorare il cartongesso. E’ un’arte”.

Martina, del resto, è così: ecumenico e pacato. Del resto, nel bergamasco, dove è nato e cresciuto, lo avevano soprannominato “il democristiano comunista”. Noto per l’atteggiamento moderato e schivo, ma anche di passioni, ha fama di essere un dirigente serio, cocciuto, testardo. Veste in modo classico e mette la cravatta, a volte rossa.

Le doti del trascinatore non gli appartengono, anche se nell’ultima Assemblea nazionale del partito – quella in cui sono stati proclamati i risultati del congresso del Pd, quello nei circoli, dove ha preso il 35,1% di consensi, piazzandosi secondo – alza il tono della voce, con i suoi supporter che lo applaudivano quasi meravigliati.

 

Chi appoggia Martina: pochi, ma buoni, e tutti ex renziani

 

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Il capogruppo alla Camera del Pd, Graziano Delrio

 

Forse per anche per il suo carattere, il feeling con Graziano Delrio, l’ex ministro delle Infrastrutture, oggi capogruppo del Pd alla Camera, un cattolico dossettiano a tutto tondo e, un tempo, assai amico di Renzi, è stato immediato. La candidatura alla segreteria del mite Maurizio ha avuto in Delrio il grande sponsor, in un’operazione politica il cui obiettivo è stato quello di valorizzare la squadra dei quarantenni, nel nome del ricambio generazionale, che gli ha portato in dote anche l’appoggio dei Giovani Turchi, capitanati da Matteo Orfini, che si sono staccati da Renzi e che non avevano affatto gradito la candidatura di Minniti.

Martina, in fondo, si è candidato a dispetto ‘dei santi’. Nessuno dei big (Prodi, Veltroni, Enrico Letta, Gentiloni) sta con lui, ma tutti con Zingaretti. E i renziani puri e duri non lo amano perché lo ritengono, di fatto, un ‘traditore’, che non ha voluto ritirarsi dalla corsa né davanti alla nascita (poi abortita) della candidatura di Minniti, né tantomeno, davanti a quella del turborenziano Giachetti.

Del resto, Martina non ha mollato neppure all’inizio della gara, quando Dario Franceschini prova a dissuaderlo dalla sfida con Nicola Zingaretti per non dividere un fronte che giudicava affine.

Martina è andato avanti, forte delle tante iniziative da lui promosse, a partire dalla buona riuscita della manifestazione di piazza del Popolo del 30 settembre 2018. Nel frattempo è arrivato anche l’appoggio di Matteo Richetti, l’eretico renziano a cui affida il ruolo di suo vice. Richetti, in realtà, molto di recente, si è lasciato andare a poco lusinghieri giudizi nei confronti di Martina ritenendolo troppo morbido con i capibastone dem che lo appoggio e in un audio ‘rubato’ lo ha mandato ‘affa’.
Il ticket, al di là delle reciproche assicurazioni di prammatica, è difficile che si ricomponga, ma la mission della proposta di Martina resta sempre la stessa:‘cambiare ma senza rotture’.

Con Martina sta il grosso della pattuglia degli ex renziani, al netto dei turborenziani (Ascani, Nobili, Boschi) che appoggiano Giachetti. Il ‘corpaccione’ ex renziano che si è diviso, in un convegno a Salsomaggiore, tra chi annunciava di potersene andare, un domani, dal Pd (Renzi Giachetti) e chi faceva capire che sarebbe rimasto ‘comunque’ nel Pd sta con lui e gli ha portato in doto delle truppe sui territori. L’ex coordinatore della segreteria Renzi, Lorenzo Guerini, l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio ed ex braccio destro di Renzi, Luca Lotti, come altri esponenti dem renziani (Antonello Giacomelli) sono con lui. Così pure alcuni governatori, specie nelle regioni del Sud.

 

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Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca (Fabio Cimaglia / LaPresse)

 

L’appoggio a Martina che fa più discutere è quello del governatore campano, Vincenzo De Luca, ma ci sono anche un gruppo di sindaci sparsi per l’Italia, l’appoggio del governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino, e quello dell’ormai ex governatore della Basilicata, Domenico Pittella, oltre a quello del segretario del Pd siciliano, il renziano Davide Faraone. Non a caso, la mozione Zingaretti ha messo nel mirino e contestato, nel voto tra gli iscritti, proprio quello di queste due regioni: Campania e Sicilia. 

Martina gode anche di ottimi rapporti con i cattolici (Beppe Fioroni, capofila dei cattodem, si è schierato con lui) e di alcuni ministri degli ex governi Renzi Gentiloni.

Tra le persone chiave della campagna e dello staff di Martina ci sono il deputato del Pd lombardo Matteo Mauri, che è da sempre la sua ombra e il suo organizzatore prima della sua corrente e poi della sua mozione, e Caterina Perniconi, la sua portavoce. 

 

Lo slogan “Fianco a fianco” e le proposte politiche di Martina

 

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L’ex ministro Carlo Calenda

 

Lo slogan della sua campagna, “Fianco a fianco”, Martina lo aveva coniato ancora prima di buttarsi nella sfida per le primarie. Ha sempre battuto su un tasto: “Fare squadra”. “Noi Dem dobbiamo essere somma e non divisione”, dice. E, ancora, “No all’uomo solo al comando”. Sarebbe una svolta, ma rispettosa, verso la stagione di Renzi, la sua. Della stagione renziana Martina pensa che “Ci sono state cose molte buone ed errori”. Da dove si riparte? “Da lavoro e scuola”.

Martina sogna, di fatto, un partito dove tutti si vogliono bene (sogno irrealistico), vuole una segreteria ‘unitaria’, piena di “giovani, donne e amministratori locali”, un comitato nazionale ‘aperto’ alle prossime elezioni europee e 10 mila comitati per la ‘nuova’ Europa. Ha firmato il manifesto ‘Siamo Europei’ di Carlo Calenda e, forse, è il candidato più vicino e prossimo ai desiderata di Calenda, tanto che dice: “Serve un listone, non andremo da soli”.

Per Martina, però, il simbolo e il nome del Pd “non si toccano”, anche se è pronto ad ‘aprire’ le liste a personalità e sigle esterne. Poche le sue dichiarazioni sul rapporto con gli scissionisti di LeU e di Mdp, esclude “ogni alleanza” con i 5Stelle (ma i pentastellati proprio lui avevano cercato, durante la crisi di governo, come abbiamo visto), contrario al reddito di cittadinanza, difende l’impianto del Jobs Act e propone un “salario minimo” per i lavoratori oggi esclusi dai contratti nazionali.

Ha, ovviamente, offerto solidarietà a Matteo Renzi per i guai giudiziari della sua famiglia ma, allo stesso tempo, chiede “massimo rispetto per la giustizia e garantismo per tutti”. E’ contrario al dl Sicurezza e alla legge sulla legittima difesa.

L’ultimo affondo contro i suoi due avversari è stata un’apertura: “Se sarò io il segretario, vorrò nella squadra Zingaretti Giachetti”. Insomma, nel puro stile dell’uomo Martina: pacato ed ecumenico.


Intervista a Martina per Qn pubblicata il I marzo 2019 a pagina 6: “Non rinuncio al nostro simbolo. Mai fuori dal Pd, è la mia casa”

 

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Il segretario del Pd Maurizio Martina (foto Ansa)

 

D. Onorevole Martina, chiunque vincerà le primarie dovrà affrontare, subito dopo, le elezioni Europee. Lei ha firmato il manifesto di Calenda e si parla di una lista Verdi-Pizzarotti+Europa. Cosa dovrebbe fare il Pd? Rinunciare a nome e simbolo potrebbe essere una dolorosa necessità? 

R. “Io penso che dobbiamo portare il nostro simbolo e le nostre energie dentro il progetto lanciato da Calenda e da tanti sindaci per una lista unitaria europeista. Lavorerò per questo. Se sarò segretario promuoverò subito un comitato nazionale e l’apertura di 10mila comitati locali a partire dai circoli Pd. Serve una grande mobilitazione dei cittadini per la nuova Europa sociale contro chi vuole distruggerla”.

D. Quelli Mdp Giachetti li chiama “gli scappati di casa”. O loro o io, dice. E anche Calenda dice “o io o loro”. Troppi veti incrociati? E come pensate di riunificare la Sinistra?

R. “Ho grande rispetto per tutti. Ma questo lavoro di ricostruzione non deve muoversi dalle sigle e dai vertici ma dal basso, dalla società, dalle persone in carne ed ossa. Io voglio un Pd capace di fare questo lavoro per un nuovo centrosinistra, oltre rancori e nostalgie”.

D. Se lei vince quale la sua prima proposta per rilanciare il Pd?

R. “Subito segreteria unitaria e di rinnovamento. Dentro giovani, competenze e amministratori locali. E rilancio delle nostre proposte a partire dal salario minimo legale per chi non ha contratto e dall’assegno universale per le famiglie con figli”.

D. Se lei perde sarà mai tentato dall’uscire dal Pd? E potrebbe accettare incarichi in un Pd che torna collegiale? 

R.“Io non uscirò mai e poi mai. Questa è la mia casa. Lavorerò sempre per dare una mano a questa comunità politica che è patrimonio della democrazia del Paese contro la destra pericolosa di oggi al governo”.

D. Perché un elettore del Pd dovrebbe votare lei e non altri?

R. “Perché posso garantire l’unità necessaria all’alternativa; propongo un riformismo radicale intransigente nei valori; voglio un Pd che torni ad avere l’ambizione del cambiamento senza rinnegare la nostra esperienza. E i miei avversari non sono Zingaretti o Giachetti, ma Salvini e Di Maio”.

D. Lei a Renzi ha dato solidarietà, ma c’è stato un ‘complotto’ dei giudici? E perché separare le carriere dei magistrati?

R. “Nessun complotto. Massimo rispetto per la magistratura e fiducia nel corso della giustizia. La riflessione che ho fatto sulla separazione delle carriere merita un dibattito oltre i fatti contingenti e sono pronto ad ascoltare tutte le voci”.

D. L’appoggio dei renziani alla sua candidatura è un freno? 

R. “Chi ha lavorato con me alla proposta va ringraziato perché è stato parte di un impegno utile, appassionato e prezioso per il Pd. Io chiedo a tutti di fare passi avanti, non di fare passi indietro. Oltre le vecchie appartenenze”.

D. Molte personalità invitano ad andare a votare alle primarie, da Prodi a Gentiloni a Letta ma voteranno Zingaretti… 

R. “Rispetto ogni opinione, ci mancherebbe. E’ importante che tanti invitino alla massima partecipazione domenica. Ciascuno faccia davvero quello che può per dare una mano perché è il Paese ad averne bisogno”.

D. Il governo M5S-Lega, nonostante le difficoltà dei 5Stelle, è una macchina schiacciasassi. Come fare opposizione? 

R. “Concretamente. A partire dalla questione sociale. Il governo ci sta portando in recessione. Tra poco aumenterà Iva e accise, è crollata la produzione industriale e l’occupazione. Noi dobbiamo garantire agli italiani una alternativa a tutto questo partendo da occupazione, investimenti, equità. Tagliare il costo del lavoro stabile e sbloccare le opere pubbliche sono priorità assolute”.

D. Se il governo cadesse bisognerebbe tornare alle urne o cercare nuove maggioranze, ad esempio con i 5 Stelle?

R. “Per il bene dell’Italia bisogna tornare alle urne. Prima ci andiamo e meglio è perché Lega e 5Stelle ci stanno portando sull’orlo del precipizio”.


 

NB. Questo ritratto di Maurizio Martina è stato scritto in forma originale per questo blog, tranne l’intervista che è uscita sul Quotidiano Nazionale, il I marzo 2019, a pagina 6.