Speciale Primarie Pd/3. Chi è Roberto Giachetti, da dove viene, chi lo sostiene e un’intervista

Speciale Primarie Pd/3. Chi è Roberto Giachetti, da dove viene, chi lo sostiene e un’intervista

2 Marzo 2019 2 Di Ettore Maria Colombo

Inizio con la stessa, identica, introduzione allo ‘speciale Primarie‘ che ho iniziato ieri con un ritratto e un’intervista a Nicola Zingaretti, il candidato da battere alle primarie del 3 marzo 2019 (la trovate qui: Speciale primarie Pd/1. Chi è Nicola Zingaretti, da dove viene, chi lo appoggia e un’intervista ). Qui, invece, si parlava di Maurizio Martina: 

Speciale primarie Pd/2. Chi è Maurizio Martina, da dove viene, chi lo appoggia e un’intervista . E, ora, di Giachetti.

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I candidati alle Primarie del Pd 2019

Una breve introduzione generale. Le primarie del Pd

 

Domenica prossima, 3 marzo, si terranno in tutt’Italia (principalmente nei 7000 circoli del Pd, ma anche in gazebo messi nelle varie città per l’occasione) le primarie. Vuol dire che potranno parteciparvi, oltre agli iscritti, anche i semplici elettori e simpatizzanti del Pd e del centrosinistra a patto di versare un piccolo obolo (5 euro) e sottoscrivere la ‘Carta degli intenti’ del Pd, come si è sempre fatto. Il nuovo segretario, in realtà, non verrà proclamato immediatamente, cioè la sera stessa del voto, ma dovrà attendere la convocazione della nuova Assemblea nazionale (1000 delegati la platea) che decreterà l’elezione del nuovo leader del Pd, come prevede lo Statuto dem (si tratta, cioè, di un’elezione ‘indiretta’, come quella del presidente Usa, e non di un ‘elezione diretta’). Quindi, il vero obiettivo di ogni candidato non è avere più voti popolari degli altri ma più ‘Grandi elettori‘ (i delegati in Assemblea): la maggioranza di sicurezza è fissata, dunque, a 501 delegati, ma questa cifra non corrisponde al 51% dei voti assoluti. Per un complicato meccanismo di calcolo che riguarda l’elezione dei delegati in Assemblea, infatti, solo chi si assicura il 53-54% dei voti reali ha la certezza di avere, in Assemblea nazionale, la maggioranza assoluta dei delegati (501 su 1000).

Pertanto, se uno dei candidati finirà sotto o poco sopra del 50% dei voti reali nei gazebo il voto dell’Assemblea nazionale diventerà dirimente, nel senso che potrebbe verificarsi di tutto, lì dentro.

Ma su questo e su altri aspetti delle primarie (storia, numeri, regolamento, modalità di elezione, poteri, etc.) torneremo più avanti, cioè nei prossimi giorni. Presentiamo, invece, qui, in tre diversi articoli, i tre candidati che si contendono l’investitura a segretario del Pd del futuro. Partiamo, per ordine di grandezza, dal candidato che ha preso più voti nel primo step delle primarie democratiche (il voto nei circoli), che è diventato ufficiale lo scorso 3 febbraio, quando sono stati resi noti i risultati definitivi del voto nei circoli che si sono tenuti per l’intero mese di gennaio, e cioè Nicola Zingaretti. Oggi sarà il turno di Maurizio Martina, segretario uscente, e ora, stasera, di Roberto Giachetti.

Da tenere a mente, in ogni caso, che uno dei problemi principali delle primarie di domenica sarà di certo la partecipazione. L’asticella è fissata, da tutti, a un milione di voti, per non sfigurare: se  i votanti fossero di meno, l‘affluenza verrebbe indicata come un flop, dal milione in su un successo.

 

Chi è Roberto Giachetti. Prima di tutto è un ‘giachettiano’

 

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Il “trio” in corsa per le primarie PD

 

“Facevo politica da prima di Matteo Renzi, continuerò a farla dopo”. Roberto Giachetti si arrabbia sempre un po’, quando viene definito ‘turborenziano’. In effetti, Giachetti c’era davvero, ‘prima’ di Renzi e ci sarà anche ‘dopo’. Nel Pd o fuori, se il Pd diventerà ‘altro’ da quello che lui vuole, si vedrà, ma di sicuro ci sarà ancora. Né l’aspetto giovanile e descamisado di Giachetti non deve ingannare.

Classe 1961 (insomma, non più certo un ragazzino, ormai), romanissimo, Giachetti inizia a fare politica da giovane, anzi da giovanissimo, nei movimenti studenteschi e, a 18 anni, nel Partito Radicale, partito di cui conserva ancora oggi gelosamente la tessera. In sostanza, Giachetti è il solo candidato alle primarie del Pd che ha ben due tessere in tasca: quella del Pd e quella, appunto, dei Radicali.

Cresciuto in via Dandolo, tra Monteverde Trastevere, da ragazzo aveva come vicino di casa l’ex sindaco Giancarlo Argan, comunista doc e raffinato critico d’arte. Suo padre, liberale, era stato Provveditore alle Opere pubbliche, la madre, cattolica, capo del personale degli Ospedali Riuniti.

Si separarono quando Roberto ha quattro anni, nel 1965. “Quando ci fu la campagna del divorzio io sapevo di cosa si parlava. E sono diventato radicale”. Non si è laureato e, ammette lui stesso, ho un diploma scientificoma con un voto basso, 39/60”.

La militanza nel Partito radicale, mai dismessa, e nei Verdi

 

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il leader radicale Marco Pannella appena dimesso dall’ospedale dopo l’ennesimo sciopero della fame mentre fuma l’immancabile sigaro Toscano.

 

Le ossa se le fa dentro l’emittente storica dei Radicali italiani, Radio radicale, dal 1989 entra in attività politica. Il suo mentore e il suo punto di riferimento è Marco Pannella. Ma Giachetti, pur restando sempre radicale ‘nell’animo’, nei primi anni ’90 Prima aderisce ai Verdi, grazie ai quali viene eletto consigliere circoscrizionale a Roma. Il vero ‘salto’ politico, però, arriva grazie a un altro ex radicale, Francesco Rutelli. Diventato sindaco di Roma, dopo aver battuto, in una sfida al fulmicotone, Gianfranco Fini alle elezioni comunali del 1993, è lui che lo ‘pesca’ nei Verdi, partito che lascerà nel 1999 per aderire ai ‘Democratici’, poi all’Asinello e, infine, alla Margherita.

 

Giachetti e i ‘Rutelli boys’ alla guida di Roma

 

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Piazza San Giovanni a Roma durante una manifestazione

 

Intanto, dal 1993 e fino al 2001, Giachetti diventa prima capo della segreteria politica e poi capo gabinetto del sindaco di Roma e uno dei principali “Rutelli boys” insieme ad altri nomi che, presto, faranno strada: Paolo Gentiloni, Michele Anzaldi, Filippo Sensi, tutti diventati ‘renziani’, anche se molti, poi, se ne sono assai pentiti.

La lunga esperienza dentro la ‘macchina’ amministrativa romana lo aiuta per farsi le ossa, e non solo in politica. Nel 2001 diventa uno dei fondatori della Margherita, partito del quale assume il ruolo di segretario romano. Approda anche, per la prima volta, in Parlamento, e diventa deputato.

Una carriera, quella di deputato, che – nonostante le apparenze – vede Giachetti essere diventato, ormai, un ‘veterano’ del Parlamento e in particolare della Camera, di cui conosce ogni anfratto e, a livello regolamentare, ogni trucco. Candidato a deputato alle elezioni politiche del 1996, nelle liste dell’Ulivo, viene eletto per la prima volta nel 2001 (XIV legislatura) nelle liste della Margherita.

Da allora in poi sarà sempre rieletto in Parlamento, sia nel 2006 (XV legislatura), sempre con la Margherita, che nel 2008 (XVI legislatura), nelle liste del Pd, cui aderisce sin dalla sua nascita. Nel frattempo, ‘abbandona’ Rutelli al suo destino (l’ex sindaco di Roma esce, praticamente da subito, dal Pdper fondare la piccola Api) e diventa veltroniano. Del primo segretario del Pd, Walter Veltroni, infatti, Giachetti condivide, del resto, tutto, a partire dalla famosa “vocazione maggioritaria” del Pd.

Vicepresidente della Camera e ‘mago’ dei regolamenti

 

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L’Aula della Camera dei Deputati in occasione di una cerimonia ufficiale

 

Nella XV e XVI legislatura, nuovamente rieletto sempre per nella fila del Pd, Giachetti viene promosso a segretario d’aula per il proprio gruppo parlamentare proprio perché è considerato “il mago dei regolamenti”.

Di nuovo eletto parlamentare nelle fila del Pd nel 2013, arriva quello che, in fondo, è il coronamento di un sogno: il 21 marzo 2013, Giachetti viene eletto vicepresidente della Camera dei Deputati in quota Pd con 253 preferenze per tutta la XVII legislatura. Nel dicembre del 2015, però, lascia il prestigioso incarico nella Camera dei Deputati in dissenso con l’allora presidente, Laura Boldrini.

Nella XVIII legislatura, dove presiede la seduta inaugurale in quanto ne risultava il più giovane ex vicepresidente, viene rieletto, sempre nelle fila del Pd, ma solo dopo una forte polemica sulla sua ricandidatura: Giachetti, con ben cinque mandati alle spalle, aveva superato il limite previsto dallo Statuto del Pd (quattro). Chiede a Renzi la deroga, ma sub judice della richiesta di ricandidare in un collegio uninominale praticamente impossibile da vincere, a Roma, per “correre sulle sue gambe”, ma quel collegio – nel gioco della ripartizione tra il Pd e i suoi alleati minori – viene assegnato a un esponente di ‘+Europa’ e Giachetti finisce catapultato in un collegio ‘blindato’ in Toscana perché Renzi lo vuole in lista. Nonostante le sue proteste, accetta.

 

La candidatura a sindaco di Roma contro la Raggi

 

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Roberto Giachetti, candidato alle primarie del Pd

 

Ma, nel frattempo, Giachetti continua a coltivare la sua prima, vera, passione, quella per la sua città, Roma. Dopo il fallimento e la caduta della giunta Marino, infatti, il 15 gennaio 2016 Giachetti si candida alle primarie del Pd per scegliere il nuovo candidato sindaco in vista delle elezioni comunali, su invito diretto dell’allora premier, e segretario del Pd, Matteo Renzi.

Tra i suoi sfidanti ci sono l’ex assessore al’urbanistica della giunta Veltroni, appoggiato dalla minoranza dem, Roberto Morassut, l’ex senatore dell’IdV, e poi membro della direzione regionale del Pd del Lazio, Stefano Pedica, e altri tre candidati ‘minori’.

Il 6 marzo 2016, con 47 317 voti, Giachetti vince le primarie con il 64,1% (27.968) dei voti seguito da Morassut con il 28,2% (12.281), da Rossi col 3% (1.320), su una base totale di 43.607 voti validi (e 2.866 bianche).

Giachetti, quindi, si presenta a una sfida, quella per fare il sindaco di Roma, che appare subito improba. Ha come avversari la candidata dei 5Stelle, Virgina Raggi, e quella del centrodestra, e leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. La candidatura di Giachetti è sostenuta, oltre che dal Pd, dai verdi, dall’Idv, dai Radicali, dal Psi e alcune liste civiche. Ottiene il 24,87% di votial primo turno del 5 giugno 2016 e va al ballottaggio, dove raccoglie quasi il 33% dei voti, sconfitto dalla candidata dell’M5S, Raggi.Un risultato modesto, ma dignitoso, dato il 67% di contrari.

 

Le battaglie per i diritti civili e gli scioperi della fame

 

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Un immagine dei terroristi delle Br dietro le sbarre durante il processo Moro ter (ottobre 1988)

 

Ma di Giachetti quasi tutti ricordano anche molto altro. Da parlamentare si batte per alcuni temi che da sempre lo appassionano, come i diritti umani e civili, le carceri e i diritti dei detenuti, l’ambiente, tutte campagne per le quali mette in atto più volte lo sciopero della fame, arma tipica e storica della sua antica militanza e fede radicale.

Tra i suoi scioperi della fame più ‘famosi’ si ricordano quello fatto nel 2002 con Marco Pannella per sollecitare il Parlamento ad eleggere due giudici della Consulta, il cui posto era vacante da tempo, e così ripristinare il plenum; nel 2004 per sollecitare la calendarizzazione della legge sul conflitto di interessi di Berlusconi (il “ddl Frattini”); nel 2007 affinché i dirigenti del Pd indichino una data certa per lo svolgimento dell’Assemblea costituente del partito; nel 2008 per ottenere le primarie a Roma; nel 2012 in segno di protesta contro le aule del Parlamento per la mancata approvazione di una nuova legge elettorale in sostituzione del cosiddetto Porcellum di Calderoli; nell’ottobre 2013, a distanza di quattro mesi dalla bocciatura che il suo stesso partito fa della cosiddetta “mozione Giachetti”, con la quale si chiedeva l’abolizione del Porcellum e il ritorno immediato al Mattarellum, per sostenere ancora la causa della legge elettorale; di nuovo per il plenum della Corte Costituzionale nel 2015; infine, nel 2018, per ottenere al più presto il congresso del Pd.

 

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Il presidente del Csm David Ermini e il Capo dello Stato Sergio Mattarella

 

Tra le altre sue polemiche con esponenti del suo partito, si ricorda quella del 2014 dove, in dissenso dal Pd, si dichiara e vota a favore della responsabilità civile dei magistrati. Del resto, Giachetti ha firmato anche la proposta di legge dell’Unione delle Camere penali per la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e quella giudicante.

Nel marzo 2015 invita l’intera minoranza del Pd, che si trovava in dissenso rispetto alle scelte della segreteria Renzi, a uscire dal Pd, rinnova l’invito a tornare alle urne. E spesso si lancia, specie durante i lavori della Direzione, in attacchi kamikaze contro la minoranza interna o a difesa di Renzi che gli valgono, appunto, la definizione di pasdaran.

 

La candidatura, in extremis, a segretario del Pd

 

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Roberto Giachetti, candidato alla segreteria del Pd

 

Rieletto in Parlamento alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 nel collegio uninominale di Toscana 3, il 12 dicembre 2018, praticamente in extremis, Giachetti si candida alla segreteria del Pd per il congresso di gennaio-marzo, con il supporto di Anna Ascani, che candida a vicesegretaria, per rivendicare l’attività di governo degli anni 2014-2018, cioè dei governi Renzi e Gentiloni, e per rilanciare l’attività riformatrice del partito, ma anche perché il fronte dei renziani ‘duri e puri’ è rimasto del tutto scoperto, in vista del congresso: il ‘corpaccione’ degli ex renziani converge su Martina, ma i ‘turborenziani’ come lui, dopo il ritiro della candidatura di Minniti, non si sentono più a loro agio, nel Pd.

Nel voto tra gli iscritti che si è tenuto nel mese di gennaio ottiene 20.887 voti, pari all’11,13%, ed è terzo alle primarie aperte del 3 marzo.

 

I figli, la passione per la Roma e quella per il Toscano

 

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Roberto Giachetti, candidato alle primarie del Pd

 

Giachetti è divorziato e ha due figli, Giulia, di 26 anni, e Stefano, di 23 anni, avuti dalla giornalista di Radio Radicale Giovanna Reanda. È tifosissimo della Roma, di cui sfodera con orgoglio l’abbonamento (tribuna Tevere). Fuma il sigaro Toscano, di preferenza Toscanelli, sua altra grande passione, ed ha anche scritto un libro sul tema, Sigaro, politica e libertà (Roma, Rubbettino, 2018).

Magro, anzi: magrissimo, eterno sorriso sulla labbra (ma quando si arrabbia le sue urla si sentono forti) e una barba sempre ispida, Giachetti non ama le cravatte perché “soffro di claustrofobia” (nessuno, a Montecitorio, lo ha mai visto con la cravatta regolamentare, neppure da vicepresidente). Ha all’attivo quattro maratone: ha gareggiato in quelle di Roma, Milano, New York e Londra (in quest’ultima ha fatto il suo tempo migliore che è di 4 ore e dieci minuti).

Molto attivo sui social, è seguito da oltre 11 mila persone sul suo profilo Instagram e 76mila persone su Facebook.

Quando gli chiedi un’intervista la sua risposta è un ‘sì’ netto o un garbato e sereno “No, ma ti ringrazio”. Non rilegge le sue parole, ma se lo costringi ti dice ‘se proprio devo’ e, in ogni caso, con lui è sempre “buona la prima”.

Laico vero (un tempo anche anticlericale, e non solo perché radicale, ma per convinzione personale) Giachetti è il solo candidato alla segreteria del Pd che non cerca di accattivarsi il mondo cattolico né, tantomeno, le gerarchie vaticane contro cui ha combattuto epiche battaglie. 

 

Chi sta con Giachetti nel Pd e il suo programma politico

 

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L’ex ministro alle Riforme Maria Elena Boschi

 

“Alle primarie io corro per vincere – dice baldanzoso – e farò più dell’11% preso tra gli iscritti. Il clima che ho trovato è straordinario, sono tornati i giovani, la gente sta aprendo gli occhi sul grillismo. E finalmente ci dà atto del fatto che noi avevamo raddrizzato il Paese: quel lavoro, a differenza degli altri, lo rivendico. Io non mi vergogno”.Intende, ovviamente, Renzi e la stagione del renzismo.

Di fatto, Giachetti si è ritagliato il ruolo di Gian Burrasca. Contro Nicola Zingaretti spara a palle incatenate: “ci vuole fare tornare ai tempi dell’Unione, larghe alleanze con tutti dentro ma poi spunta il Turigliatto di turno e ci frega tutti”. Ma ne ha anche per Maurizio Martina “che si vergogna delle buone cose fatte dai nostri governi”. Niente alleanze con i grillini e porte chiuse a Bersani D’Alema che chiama co perfidia “gli scappati di casa”, i suoi tormentoni.

Non a caso sono schierati con lui, e con la sua compagna di ticket,Anna Ascani, Maria Elena Boschi eSandro Gozi, Ivan Scalfarotto e Luigi Marattin, Luciano Nobili Michele Anzaldi, gli ultimi pasdaran del renzismo. Il resto (e il grosso) dei renziani, infatti, è andato tutto su Martina.

Altri appoggi, nel partito, non ne ha, e tantomeno dei big che se lo coccollano o lo ‘endorsano’, ma lui ne va fiero: “Non ho padrini politici né correnti, combatto a mani nude” – dice – e in effetti la cosa è così vera che non ha neppure un ufficio stampa o lo staff, solo amici che lo aiutano gratis. 

 

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Un primo piano di Matteo Renzi

Di Renzi dice che “A Matteo ho mandato un sms il giorno che hanno arrestato i suoi genitori, per il resto non lo sento mai. Voterà per me? Ah, saperlo”, gigioneggia, ma si sa che Renzi, se mai andrà a votare alle primarie, voterà per lui.

Sabato ha chiuso la campagna con Carlo Calenda a Roma. Ha sottoscritto il suo manifesto, ‘Siamo Europei’, ma il Pse gli sta stretto: vorrebbe aprire un rapporto con Macron e il suo En Marche e con il gruppo dei liberal-democratici. E’ favorevole a un ‘listone’ alle Europee, ma non dice con chi.

 

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Nicola Zingaretti e Maurizio Martina, i due sfidanti alle primarie del Pd

 

Il non detto della sua candidatura è che la ridotta renziana potrebbe farsi – presto – nuovo e diverso partito, se non si trovasse più a suo agio, nel Pd, specie se a vincere sarà Zingaretti e tornasse la ‘Ditta’, cioè gli ‘scappati di casa’ di MdpLeU che Giachetti combatte frontalmente da anni. “Il Pd non è una caserma – ripete lui – e se prenderà una strada che è in contrasto con le mie idee, io toglierò il disturbo, altrimenti, come ai tempi di Bersani, starò serenamente in minoranza. Non rimarrò a bombardare, come hanno fatto loro con Renzi, vittima di una guerra nucleare. Bisogna prendere esempio dalla Lega: lì non fiata nessuno, sono tutti per il segretario”. Un paragone molto forte. 

 

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L’ex premier e leader del Pds-Ds Massimo D’Alema

 

Renziano – o, meglio, forse, giachettiano – su tutto, ma soprattutto su economia (liberale temperato) e diritti civili, ripete che “è sbagliato voler rinunciare a nome e simbolo” del Pd, polemica che ha intessuto specie con Zingaretti (il bersaglio preferito dei suoi strali acuminati), dice ‘no, e poi no’ a ogni alleanza a sinistra (Mdp LeU), ma non disdegna quella con i post-radicali di ‘+Europa’. e altri soggetti, anche se preferisce un po’ di ambiguità, sul tema, ribadendo – sempre – la “vocazione maggioritaria del Pd”. Ribadito il suo “Mai con i 5Stelle” (“Se il Pd si allea con loro me ne vado” è la minaccia), è un oppositore della Lega e dei suoi provvedimenti simbolo, dal dl sicurezza alla legittima difesa, giudica il reddito di cittadinanza “una polpetta avvelenata” dei 5Stelle, difende il Jobs Act e vorrebbe potenziare il Rei (il reddito di inclusione), ma tutta la sua battaglia sta nel rivendicare la stagione renziana e difenderne i frutti, a partire dalla battaglia sul garantismo.

“Se si finisce con il M5S o rientra chi se n’è andato, il Pd non è più casa mia”, ripete come un mantra. Almeno, è un tipo chiaro, forse fin troppo. Giachetti ha tanti difetti, ma non ha paura delle sue idee.  


Intervista a Roberto Giachetti uscita su Quotidiano Nazionale il 2 marzo 2019 a pagina 8:”Il Pd muore se va con i 5Stelle”

 

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Il candidato alle primarie del Pd, Roberto Giachetti

 

D. Roberto Giachetti, non le trova fiacche, queste primarie?

R.“E’ vero, c’è un calo della partecipazione, già riscontrabile nel voto tra gli iscritti. Però segnalo che siamo il solo partito che mobilita centinaia di migliaia di persone. Di Maio è stato votato leader dell’M5S con 37 mila click e Salvini leader della Lega è stato votato da 54 mila persone”.

D. Come deve presentarsi il Pd alle Europee? E alleato a chi?

R. “Per me a nome e simbolo del Pd non si deve rinunciare. Io ho sottoscritto il manifesto di Carlo Calenda, “Siamo europei”. Ma il problema è che tipo di Europa vogliamo. Va bene essere contro i populisti, ma per fare cosa? E se, una volta eletti, gli europarlamentari si dividono in vari gruppi che senso ha? Il Pse oggi è in enorme difficoltà in tutti i Paesi, come si vede in Francia, Germania, Spagna. Serve un’interlocuzione con Macron e con En Marche”.

D. Lei ha detto mai con Mdp che definisce “gli scappati di casa”. Ma il Pd ‘a vocazione maggioritaria’ è un’utopia…

R.“Veramente al 40% il Pd ci è arrivato. Non si può pensare a un ‘ritorno al passato’. Un partito lotta per diventare grande. Il Pd è nato per superare la litigiosità dei governi dell’Unione e si è fondato sulla ‘vocazione maggioritaria’. Siamo stati sconfitti, ma per risorgere serve una proposta politica, non alleanze con un ceto politico, pure logorato. Gente che non si limita a stare fuori dal Pd ma che ha cercato di distruggerlo. I comitati per il No al referendum non li hanno fatti Salvini e Di Maio, ma Speranza e D’Alema. Quella notte loro brindavano mentre i militanti del Pd piangevano. La sfida è parlare al 40% di italiani che si rifugia nell’astensione con una proposta netta e chiara”.

D. I padri nobili fanno appelli per votare alle primarie (Prodi, Veltroni, Letta, Gentiloni) ma votano tutti Zingaretti…

R.“Io mi sono candidato senza padri nobili né padrini politici né l’appoggio di correnti strutturate. I risultati sono arrivati e sarò la sorpresa di queste primarie. Nel Pd c’è un popolo”.

D. Quindi pensa di arrivare buon terzo?

R.“Veramente penso di arrivare primo”.

D. Il tema delle alleanze. Per lei, ‘mai con i 5Stelle’, giusto?

R.“Molti di quelli che hanno votato M5S pensando di spostarlo più a sinistra, oggi si ritrovano con il ceto politico più di destra nella storia del Paese. Quando eravamo al governo abbiamo preso un Italia in ginocchio e l’abbiamo rimessa in piedi. Oggi è di nuovo in ginocchio. Differenze tra M5S e Lega non le vedo, ma vedo, dal decreto sicurezza al decreto corruzione, leggi pessime. E’ assurdo fare accordi con pezzi di populisti per sconfiggere i populisti”.

D. Gli arresti ai domiciliari dei genitori di Renzi cosa dicono?

R.“Innanzitutto che riguardano i suoi genitori e non Renzi. Poi che la giustizia, in Italia, è malata. Lo dico da trent’anni e lo dicevo anche se le vicende giudiziarie riguardavano Berlusconi, Mastella e, più di recente, la sindaca Raggi. Questa è la giustizia che ha portato alla morte Enzo Tortora. Serve una riforma strutturale della giustizia. Vanno separate le carriere dei magistrati e va detto basta all’obbligatorietà dell’azione penale. Per non parlare della situazione nelle carceri, dove un terzo dei detenuti è in attesa di giudizio”.

D. Ma Renzi se ne andrà dal Pd?

R.“Renzi resterà, lo ha detto. La questione non è sul piatto”.

D. Lei, in compenso, minaccia di andarsene…

R.“Non ho mai detto che se perdo me ne vado. Sono stato all’opposizione a lungo, con Bersani, e mi sono sempre adeguato, anche a decisioni che non condividevo. Se però cambiano valori e ideali fondativi del Pd, non resto per sparare contro il quartier generale, ma tolgo il disturbo. E se si va a un accordo con l’M5S, è il Pd che finisce e muore”.

D. Ma allora perché votare per lei?

R.“Perché io e Anna Ascani (la donna in ticket con Giachetti, ndr.), cui se vinco darò il compito di riorganizzare il partito anche perché è una trentenne e una ‘nativa democratica’, siamo gli unici che pensano che il lavoro fatto finora sia da salvaguardare e accrescere. Il Pd è la speranza del Paese”.


NB: Questo articolo è stato scritto in forma originale per questo blog, tranne l’intervista a Giachetti che è stata pubblicata il 2 marzo 2019 a pagina 8 del Quotidiano Nazionale.