Le mosse del ‘gatto’ Zingaretti. Nuova sede, tanti giovani e donne in Segreteria, la ricerca di  alleanze “2.0”

Le mosse del ‘gatto’ Zingaretti. Nuova sede, tanti giovani e donne in Segreteria, la ricerca di alleanze “2.0”

11 Marzo 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

Le mosse del ‘gatto’ Zingaretti. Nuova sede, tanti giovani e donne nella nuova Segreteria e la ricerca delle alleanze

 

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Goffredo Bettini, europarlamentare del Pd

 

Nuova sede – con tanto di ‘addio’ al Nazareno, un ‘luogo’ che al Pd non ha portato neppure tanta fortuna e che, oggettivamente, costa troppo – nuove alleanze (“2.0”, dice, anche se ancora non si capisce, esattamente, quali siano), nuova Segreteria, zeppa di giovani donne per nuovi organismi dirigenti. La ‘rivoluzione’ si preannuncia forte. Sono queste le prime mosse del ‘nuovo corso’ che il neo segretario del Pd, Nicola Zingaretti – uno che, dice oggi l’europarlamentare Goffredo Bettini, suo padre politico, “è come un gatto prudente, di una prudenza forse eccessiva” – ha deciso di imprimere al partito di cui, dal 3 marzo scorso, è balzato alla guida. Analizziamole una per una.

Basta col Nazareno. Il Pd cerca una nuova sede, ma non sarà Botteghe Oscure…

 

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La storica sede del Pci in via delle Botteghe Oscure

 

“La nuova casa dei democratici” – dice Nicola Zingaretti ospite da Fabio Fazio, domenica sera, a “Che tempo che fa” (Rai1) – dovrà avere una libreria al pianterreno, un open space visibile dall’esterno, e deve essere popolata di giovani intenti a lavorare su ‘forum tematici’”.

 

Peppino Caldarola

Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità

 

Insomma, una mezza – vera – rivoluzione. Sui social, ovviamente, si sprecano le ironie. “Un luogo simile e già pronto all’uso già c’è – nota Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità – e si chiama Botteghe Oscure…”. In effetti, nella omonima via, dove per quasi 50 anni ha ‘abitato’ il Pci, in una sede famosa, anche, per i suoi misteri (i telefoni sotto controllo, il ‘filo diretto’ con Mosca, le stanze per i funzionari, etc.), oggi langue, desolato, un busto di Antonio Gramsci, nell’ampio ingresso, dentro una struttura semi-abbandonata dove, sempre al pianterreno, aveva sede la storica libreria del Pci, “Rinascita” (dal nome dell’omonima rivista mensile fondata, sempre nel 1944, da Palmiro Togliatti). Insomma, sarebbe un luogo perfetto, ma il nuovo Pd di Zingaretti non andrà di certo lì.

 

Palmiro Togliatti

Palmiro Togliatti

Troppi ricordi, quel luogo, e troppe accuse di voler rifare il Pci, magari in sedicesimi’, arriverebbe a un segretario accusato di voler rifare la Ditta. Molto più probabile che il nuovo Pd cerchi, invece, la sua nuova sede in una periferia romana, anche se ‘mediana’, cioè non troppo lontana, ma neppure vicina, dal centro. Scartato il quartiere di San Lorenzo, storicamente e tradizionalmente ‘rosso’, ma ormai non più e ridotto a luogo di movida giovanile notturna (spaccio di droga compreso), anche se proprio alla Dogana – Ex Scalo di San Lorenzo Zingaretti ha tenuto la sua prima iniziativa pubblica, a settembre del 2018, per lanciare la sua corsa alle primarie (si chiamava “Piazza Grande“), sembra che i suoi uomini stiano cercando una nuova – e dignitosa, oltre che ampia – collocazione della nuova sede del Pd in tre quartieri: Ostiense, quartiere noto per essere diventato un po’ fighetto’ (lì, per dire, c’è il Gasometro), oppure vicino alla stazione Tiburtina, zona in parte (ma solo in parte) tornata a vita nuova, e in una zona a cavallo tra la stazione Termini, tornata a vita nuova, e l’Università degli Studi ‘La Sapienza‘, ma la scelta più gettonata e probabile resta quella di Ostiense.  

 

La Fontana Di Trevi

La Fontana di Trevi – Roma – Italy

 

In ogni caso, verrà abbandonata la sede ‘storica’ dei Dem, il cui nome deriva dal fatto che si tratta di una parte del palazzo del Collegio Nazareno, nel centro storico di Roma, vicino a piazza di Spagna, o meglio alla ‘giusta distanza’ tra questa e la Fontana di Trevi, e a due passi i palazzi del Potere (palazzo Chigi, palazzo Montecitorio, palazzo Madama) tutti racchiusi uno accanto all’altro. Un simbolo forte, il Nazareno, divenuto negli anni, dopo la sua fondazione, nel 2007, sinonimo di Pd, che vi approdò, in realtà, solo dal 2009, dopo la defatigante e ancor più negativa esperienza del Loft, la prima sede del Pd di epoca Veltroni, che si trovava vicino ai Fori Imperiali con relativa bella vista. 

 

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Il primo leader e fondatore del Pd Walter Veltroni

 

Troppo grande, con un atrio strano (c’era, fin quando è stata in vita, la tv del partito, You Dem), angolato, un primo piano che non esiste e un ascensore che porta direttamente al secondo, dove si trovavano le stanze di quelli che ‘contavano’: segretario (Renzi ci è sempre venuto pochissimo, detestava palazzo, abitanti e stanze), tesoriere, responsabile Organizzazione, ufficio stampa, etc.

E, soprattutto, troppo cara. L’affitto, siglato quando Luigi Lusi era tesoriere della Margherita, costa la bellezza di 6mila euro l’anno, pur se per ben 3400 metri quadri, ed era di durante quindicennale. Scade, dunque, tra poco, il 30 giugno, e i soldi da sborsare sono davvero troppi per mantenerlo. Senza dire del piccolo contenzioso che nacque tra Margherita e Pd sulla sede: infatti, si trattava di un sub-affitto della Margherita al Pd e, a distanza regolare, gli esecutori della prima, per quanto il partito non esistesse più dal 2009, scoppiava la ‘guerra del cacciavite’: la targa della Margherita prima era scomparsa, poi riapparsa, poi di nuovo scomparsa, all’ingresso, accanto a quella del Pd.

 

fedele confalonieri

Fedele Confalonieri

 

Bunker sotto assedio quando, al partito, si tenevano le riunioni della Direzione, che si sono sempre tenute nell’ampio salone del terzo piano, e le minoranze facevano ‘guerriglia da vietcong’ a Renzi, con i giornalisti che bivaccavano, con tanto di fotografi e cameraman, all’esterno, in una via angusta (Renzi, quelle riunioni, iniziò a farle ‘aperte’, poi passò allo ‘streming‘, che non è la stessa cosa, poi divennero chiuse, come erano sempre state in precedenza, dai tempi del Pci fino al Pds-Ds-Pd), una terrazza mozzafiato che dà sui più bei tetti di Roma, il ‘vero’ Collegio del Nazareno al piano di fianco, poco dopo gli uffici di Mediaset e quelli personali di Fedele Confalonieri, il Nazareno – nonostante lo abbiano usato e vissuto sia Veltroni (che poco) che Franceschini e, soprattutto, Bersani (per 5 anni), è sempre stato identificato – a torto – con il centro del potere del renzismo e del suo ‘giglio magico’. A torto perché quando Renzi voleva vedere i suoi fedelissimi lo faceva altrove, tra ristoranti e hotel. 

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Matteo Renzi e Silvio Berlusconi ai tempi del patto del Nazareno

 

Certo è che il ‘luogo’ (e sede) simbolo del Pd è legato, ormai in maniera indissolubile, all’altrettanto famoso “Patto del Nazareno”, il controverso e poco durevole accordo tra Matteo Renzi Silvio Berlusconi, siglato il 18 gennaio 2014, per dare il via libera alle riforme costituzionali (testimoni dell’accordo Gianni Letta, che accompagnò Berlusconi, e Lorenzo Guerini, accanto a Renzi).

 

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Il conduttore di “Che tempo che fa” Fabio Fazio

 

“Vorrei cambiare la sede nazionale del Pd, spostarla da via del Nazareno – annuncia, ora, Zingaretti intervistato da Fabio Fazio. Non l’avevo ancora mai detto. Vorrei costruire delle sedi con dei co-working delle idee per ragazzi e ragazze, che ci dicano anche ‘state sbagliando, dobbiamo cambiare posizione’. Dobbiamo sbaraccare e ricostruire, aprire una nuova e bella sede con una libreria al piano terra, tra le altre cose”. Un cambiamento non solo fisico, ma di filosofia politica, nelle intenzioni di ‘Zinga’. “Spalancherò porte e finestre per costruire una forma partito completamente diversa”, assicura il nuovo leader dem, “le sedi devono essere aperte, se dobbiamo tornare dalle persone dobbiamo dare dei segnali chiari. Non bisogna sempre dire venite, dobbiamo andare noi da loro. Non dobbiamo essere presuntuosi, avere la puzza sotto al naso”, insiste Zingaretti pensando alle future alleanze, “2.0 per creare un’alternativa e mandare a casa la destra peggiore di sempre”.

 

La nuova segreteria: molte donne, qualche ritorno e tanti giovani

 

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L’ex capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda

 

Ma se il tema delle ‘alleanze’, come vedremo dopo, è la parte più difficile dei compiti attuali e futuri del segretario, la nuova segreteria, invece, l’ha quasi tutta già decisa. E anche in questo caso le novità saranno molte, e di rilievo. Il nuovo tesoriere, membro della Segreteria di default, sarà, come si sa, l’ex capogruppo al Senato, Luigi Zanda, che ha già detto che “il tesoro non c’è”, facendo cioè subito capire quanto sarà arduo il suo compito: far quadrare i conti dei dem.

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Paola de Micheli, coordinatrice della mozione Zingaretti

 

Per la vicesegreteria sono in ballo tre donne. In pole position c’è Paola De Micheli, già coordinatrice della campagna elettorale di Zingaretti, ex commissaria al terremoto nelle Marche durante il governo Gentiloni e, soprattutto, ex lettiana. Due, dunque, i suoi atout: donna e moderata. La De Micheli potrebbe essere affiancata da un’altra donna, Stefania Gasperini, 43enne, assessora a Carpi e presidente del Pd di Modena (e, in ogni caso, entrerà in Segreteria). La terza è Marina Sereni, ex vicepresidente della Camera ed ex parlamentare, umbra e di area politica ‘fassiniana’: anche lei, di sicuro, entrerà nella nuova Segreteria.

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L’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando (Pd)

Tra gli altri innesti, due ‘recuperi’ importanti. Quello di Andrea Martella, ex deputato ed ex coordinatore della mozione Orlando (Dems), escluso dalle liste alle Politiche da Renzi all’ultimo minuto (Martella non gliel’hai mai perdonata). E quello di Enzo Amendola, napoletano, ex enfant prodige della Sinistra giovanile, proprio come Zingaretti, un tempo vicino a D’Alema e di recente a Marco Minniti, che ha ricoperto, nei governi Letta e Gentiloni, il ruolo di sottosegretario agli Esteri e che proprio quel ruolo – nella nuova segreteria del Pd – andrebbe a ricoprire.

 

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Giuseppe, Peppe Provenzano

 

Un posto ci sarà anche per Peppe Provenzano, siciliano, altro sostenitore della mozione Orlando, studioso del welfare e del Mezzogiorno, vicedirettore dello Svimez, che dovrebbe seguire tali temi anche nella Segreteria, anche se parla del ritorno di un altro (ex) ‘fassiniano’, l’ex ministro al Welfare Cesare Damiano, torinese, ex cigiellino, riformista, ritiratosi dalle primarie per sostenere Zingaretti.

 

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Le fasce tricolori dei sindaci di centrosinistra

 

Un altro ruolo chiave è senz’altro quello degli Enti locali, dove però potrebbe trovare un posto al sole (del Pd) anche il giovanissimo sindaco di Ravenna, Michele De Pascale. Oppure lo farà Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, per lungo tempo renziano, poi tra i principali fautori della candidatura di Minniti e che, alla fine, ha scelto di appoggiare Zingaretti, o una donna, la sindaca di Ancona Valeria Mancinelli. In tutto, in ogni caso, la Segreteria avrà circa 15-20 membri. Un’altra soluzione, quella adombrata oggi da Maria Teresa Meli sulle colonne del Corriere della Sera, prevede l’ingresso in Segreteria di tutti i segretari regionali del Pd, un modo per, tra gli altri, spuntare le ali alle correnti

 

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Nicola Zingaretti, governatore del Lazio e segretario del Pd

 

Ma la vera novità, nel regno di Zingaretti, saranno i ‘giovani’, tutti, o quasi, rigorosamente ‘under 40’ e che saranno scelti, quasi tutti, non nella ‘giovanile’ del Pd, i Giovani dem, ma fuori. Molti di loro verranno promossi a capo dei Forum tematici e di vari Dipartimenti del partito perché Zingaretti li ha già potuti testare negli incontri “una birra per conoscersi” organizzati durante le primarie.

 

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L’ex segretario del Pd Pierluigi Bersani

 

I nomi più gettonati – e per nulla noti al grande pubblico, ma che Zinga vuol portare alla ribalta – sono questi. Brendo Benifei, che ha 33 anni, è il più giovane europarlamentare italiano a Bruxelles. Poi ci sono i rappresentanti della rete studentesca “Rigenerazione Italia”, nata un anno fa, come Tommaso Giachetti, Federico Castorina e Shady Alizadeh, giovane attivista di Andria.

 

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Shady Alizadeh

 

Ancora Andrea Pacella (34 anni), ex tesoriere dei Giovani democratici, Lorenzo Sciarretta (22 anni) che presiede il Consiglio dei Giovani del II Municipio di Roma, Valerio Carocci, leader del movimento che ha tenuto aperto, come spazio occupato, il Cinema “America” a Roma, l’ambientalista di Bolzano Daniela Di Lucrezia, il ‘ragazzo’ Giovanni Crisanti, uno dei più giovani eletti nella nuova Assemblea nazionale (ha 20 anni) e Claudia Petrillo, area movimenti Lgbt, di Latina.

 

Alessio Pascucci sindaco di Cerveteri

Alessio Pascucci, sindaco di Cerveteri

 

Un ‘meno’ giovane è Alessio Pascucci, sindaco di Cerveteri, per qualche tempo vicino a Mdp e oggi ai ‘civici’ che hanno fondato, con il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, il movimento Italia Bene in comune: potrebbe figurare tra i candidati dem alle elezioni Europee.

 

Altri due organi cruciali: la Direzione e l’Assemblea Nazionale

 

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Matteo Renzi parla a un’assemblea del Pd

 

Anche in Direzione nazionale – che, a differenza della Segreteria, non è di stretta emanazione del Segretario, ma viene eletta dall’Assemblea nazionale e conta 120 membri – l’età media verrà sensibilmente abbassata e vi entreranno diversi ‘under 40’. Tra questi, oltre ai già citati Benifei, Pacelli e Crisanti si troverà posto per Luca Fantini, segretario dei Gd del Lazio, per Irene Zappalà, consigliere comunale a Nova Milanese, per la triestina Caterina Conti, che già sedeva nel gruppo dei ‘Millennials’ della Direzione (vi facevano parte, ma senza diritto di voto) targata Renzi, e per Roberto Grandi, segretario del Pd di Londra e animatore dei comitati per Zingaretti in Gran Bretagna.

 

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Giachetti, Martina e Zingaretti. Il “trio” in corsa per le primarie PD

 

Per quanto riguarda l’Assemblea nazionale del 17 marzo, la prima dopo le primarie del 3 marzo, i giochi sono già fatti. Zingaretti vi entrerà con la percentuale ottenuta alle primarie (66% dei consensi), il che vuol dire 666 delegati contro i 220 di Martina (23%) e i 120 di Giachetti (13%), cioè con una maggioranza schiacciante perché neanche alleati i due possono batterlo.

 

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Il futuro presidente del Pd Paolo Gentiloni

 

Il primo compito della nuova Assemblea (mille i delegati, eletti direttamente con le primarie su liste bloccate) sarà la nomina del nuovo presidente del partito. Si sa già che sarà l’ex premier Paolo Gentiloni e tutti, comprese le minoranze, lo voteranno. Poi verranno nominati due vicepresidenti, di solito appannaggio delle minoranze e, infine, verrà nominata la Direzione (120 i suoi membri).

I nodi di numero e nomi dei parlamentari da infilare in Assemblea

 

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L’emiciclo di Montecitorio

 

Il vero nodo ancora da sciogliere riguarda il numero dei parlamentari del Pd che faranno parte dell’Assemblea nazionale. Di solito, per Statuto, è stabilito a ‘quota 100’ (30 senatori e 70 deputati), ma durante la scorsa settimana sono state molte le frizioni (nei gruppi parlamentari i renziani, almeno sulla carta, sono ancora la maggioranza) sul numero e sui nomi da mandare in Assemblea, a causa del bilancino tra le correnti.

 

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Assemblea Nazionale del Pd

Il ‘lodo Franceschini’ (nominare in Assemblea tutti i 174 eletti dal Pd in questa legislatura), al fine di evitare ‘la conta’, non è passato e solo l’assemblea dei gruppi di oggi  dirimerà in modo definitivo la questione. Il punto è sensibile perché i parlamentari, in Assemblea, votano tutti gli atti di indirizzo politico del Segretario, tranne la sua – pure prevista dallo Statuto – destituzione o sfiducia, compito che spetta solo ai mille delegati eletti nelle primarie.

Il problema delle alleanze per Zingaretti è di difficile soluzione

 

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Benedetto Della Vedova, neosegretario di ‘+Europa’

 

Infine, appunto, il tema delle alleanze in vista delle Europee: per ora, Zingaretti ha ricevuto solo porte in faccia pur se sbattute in modo gentile. ‘Più Europa’ del segretario Benedetto Della Vedova – che oggi Zingaretti vedrà in un incontro – correrà in solitaria, cercando di superare la difficile asticella del 4% dei voti, la soglia di sbarramento prevista per le prossime elezioni, e altri incontri tra ‘Zinga’ e ‘+Europa’, dopo quelli già avuti, non serviranno a nulla, se non a una reciproca cortesia.

 

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Italia Bene in Comune di Pizzarotti

 

Anche da parte di Italia Bene in Comune di Pizzarotti, che si è alleato con i Verdi, per ora la risposta è stato un ‘no’, seppur cortese, e tale dovrebbe restare anche in futuro.

 

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Roberto Speranza alla presentazione del simbolo del Movimento democratico e progressista (Mdp)

 

Un segnale da non disprezzare è, invece, la notizia che l’ex deputata del Pd, Elisa Simoni, poi transitata in Mdp-LeU e candidata da questi, senza successo, alle ultime Politiche, ha deciso di riprendere la tessera del partito perché – spiega lei ora – “due anni fa tanti dei nostri erano usciti e io li avevo seguiti con la presunzione di riprenderli. Ma molti avevano preferito andare direttamente con i 5 Stelle. Ora li ho rivisti in fila alle primarie e ho deciso di tornare anch’io con loro”. Un segnale che potrebbe rivelarsi ‘anticipatorio’ di un flusso di militanti, oggi in Mdp, che hanno già votato, molto probabilmente, in massa alle primarie e che, oggi, puntano a rientrare nel Pd piuttosto che continuare a tenere in piedi un ‘partitino’ come Mdp, peraltro scissosi da LeU.

 

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Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema alla Camera

 

Zingaretti, che vede con favore questi ‘rientri’, non può riprendersi – almeno non subito – gli scissionisti, quelli che Giachetti definisce, con disprezzo, “scappati di casa”, perché – soprattutto nei loro nomi più simbolici (Speranza, Bersani, D’Alema, ma anche Epifani, Errani) – aprirebbe un fronte interno di polemica e, forse, di rottura, con Renzi e i suoi che già oggi stanno, a fatica, nel Pd.

 

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L’ex ministro Carlo Calenda

 

Gli unici spiragli alla nascita di un ‘listone’ con il Pd arrivano dall’ex ministro Carlo Calenda, promotore dell’appello ‘Siamo Europei’ (200 mila le firme raccolte) che ha già pubblicato, su Twitter, un simbolo del suo ‘partito’, e che potrebbe giocarsi la sua partita personale con una candidatura nelle liste del Pd (probabile il Centro), sempre che Zingaretti accetti il ‘tandem’ tra i due simboli.

 

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Il logo delle #EUElections2019

 

Ma per Zingaretti, che ha davanti a sé anche la sfida delle regionali in Basilicata, il 24 marzo, dove il centrodestra (Salvini e Berlusconi in testa) cerca il colpaccio, e che, il 26 maggio, si troverà – nelle urne elettorali – anche la sfida per il futuro governatore del Piemonte (Chiamparino corre per una riconferma, ma il centrodestra è molto agguerrito), saranno le elezioni europee la prova del nove.

 

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Il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti (Pd)

 

Senza un risultato ‘accettabile’ (stimabile al 18-20%) che indichi che il Pd è una ‘reale’ alternativa all’attuale governo e maggioranza che lo sostiene, a poco varranno le ‘uscite’ – mediatiche, ma anche di sostanza politica – di Zinga. Insomma, cambiare sede al Pd e mettere nella nuova Segreteria sono, di certo, un bel segnale mandato al cuore degli elettori di sinistra, ma potrebbero non bastare.

 


NB: Questo articolo è stato pubblicato l’11 marzo 2019 in esclusiva per questo blog.