Pd, inizia il ‘regno’ di Zingaretti: “Cambiare tutto, un nuovo partito”. Nomi e organigrammi

Pd, inizia il ‘regno’ di Zingaretti: “Cambiare tutto, un nuovo partito”. Nomi e organigrammi

17 Marzo 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

Il Pd di Zingaretti sarà un “nuovo partito” o un “partito nuovo”? Nomi e organigrammi del nuovo Pd

 

Aldo Moro

Cita Antonio Gramsci ‘ma anche’ Aldo Moro e, soprattutto, i giovani ecologisti europei di “Friday for future” mentre suda, letteralmente, una camicia intera e incassa tutte le nomine e le proposte che ha avanzato all’Assemblea nazionale.

 

Fridays for future

Greta e Fridays for future

 

Dice che “serve un nuovo Pd”, il neo-segretario, Nicola Zingaretti, e che “deve cambiare tutto, a cominciare dallo statuto per impedire la salvinizzazione del Paese”, ma che il partito che è stato chiamato a guidare “non è una bad company” e che “ora dobbiamo metterci di nuovo in cammino”.

 

ZIngaretti

Zingaretti, segretario del Pd

 

È un vero e proprio grido di battaglia quello che il neo-segretario del Pd, Nicola Zingaretti, lancia dal palco dell’Assemblea del Pd riunita all’hotel Ergife di Roma, dove è stato proclamato ufficialmente segretario dopo la vittoria alle primarie del 3 marzo scorso. Paolo Gentiloni viene eletto presidente del partito (tecnicamente, per Statuto, è in realtà presidente dell’Assemblea nazionale) a larghissima maggioranza, con soli 86 astenuti e nessun voto contrario.

 

Gentiloni Zingaretti

Gentiloni e Zingaretti

Per Gentiloni, neo-presidente del Pd, “l’obiettivo è tornare a vincere”. La maggioranza di Zingaretti in Assemblea è straripante

 

Una candidatura, quella dell’ex premier, su cui c’è stata la convergenza anche di parte dei renziani, come annunciato prima dell’inizio dei lavori da Maria Elena Boschi, che saluta calorosamente Zingaretti al suo arrivo, e dall’area che fa capo a Lorenzo Guerini e Luca Lotti. “L’obiettivo è tornare a vincere” dice Gentiloni. Subito dopo si procede alla nomina dei due vicepresidenti dell’assemblea, cariche da sempre appannaggio delle minoranze sconfitte al ‘ballottaggio’ delle primarie, e che da oggi sono diventate Anna Ascani (mozione Giachetti) Deborah Serracchiani (mozione Martina). Luigi Zanda viene, invece, eletto tesoriere, a sua volta, con zero voti contrari e 83 astenuti.

 

Maria Elena Boschi

Maria Elena Boschi, nel suo ufficio da deputato Pd a Roma

 

È partita dunque “l’era zingarettiana” del Pd, davanti a un’Assemblea affollatissima, forse la più partecipata di sempre, con oltre 2.000 persone tra delegati e ospiti, che rispecchia i valori in campo alle primarie: le truppe del neo-segretario straripano, in netto vantaggio (con il 66%) sulla ex maggioranza renziana, ormai ridotta al lumicino (34% sommando le mozioni Martina e Giachetti).

 

Gianni Dal Moro

Il Senatore Gianni Dal Moro

 

I numeri definitivi in seno all’Assemblea nazionale

 

In camicia azzurra e cravatta blu, Zingaretti viene proclamato segretario da parte del presidente della Commissione Congresso, Gianni Dal Moro, dopo la prammatica lettura dei risultati definitivi delle primarie, che sono questi. Su 1.582.083 votanti (l’affluenza più bassa nella storia delle primarie dem), Zingaretti ha ottenuto 1.035.955, pari al 66%, Martina 345.318 voti, pari al 22%, Giachetti 188.355 voti pari al 12%. I componenti dell’Assemblea (cioè i mille di nomina elettiva, contestualmente alle primarie) sono così suddivisi: 119 membri dalle liste collegate a Giachetti, 228 per l’area Martina, 653 delegati per Zingaretti. Numeri che, in realtà, sono più alti perché la stessa Assemblea, per Statuto, ‘lievita’ di parecchio con la nomina dei membri di diritto.

 

Assemblea pd

Assemblea del Pd

 

Fanno parte dell’Assemblea, infatti, gli ex segretari (quattro, ad oggi, quelli rimasti nel Pd: Veltroni, Franceschini, Renzi, Martina), i segretari dei partiti fondatori (due: Fassino e sempre Franceschini), gli ex premier (sarebbero tre: Renzi, Gentiloni ed Enrico Letta, che però non ha ancora ripreso la tessera), gli ex ministri (tanti), i titolari di cariche istituzionali (presidenti di commissione, nessuno, i due vicepresidenti di Camera e Senato, Rosato e Rossomando) e di quelle interne al partito (commissione di Garanzia e commissione Congresso). Più, ancora, i 20 segretari regionali, i 300 delegati regionali, i 100 delegati dai gruppi parlamentari (60 per la Camera dei deputati, 30 per il senato e 10 per l’Europarlamento), quelli delle mozioni non ammesse alle primarie. In tutto, la platea di delegati sarà, dunque, per essere composta da 1.130 – o, forse, se entreranno anche i sindaci – da 1190 membri. Piccola curiosità: i componenti eletti direttamente dalle primarie dentro l’Assemblea sono 451 donne e 549 uomini.

 

L’intervento del neo-segretario: “Bisogna cambiare tutto”

 

Assemblea pd

Assemblea del Pd

 

Poi tocca a lui, al nuovo segretario: fa un lungo intervento, di circa un’ora e un quarto, la camicia che si fa subito fradicia, in cui tocca tutti i punti principali del suo programma per “un nuovo Pd”.

Vuole un Pd che torna tra la gente, aperto, che valorizzi territori e giovani e che sia il baricentro di un nuovo campo largo del centrosinistra. Nicola Zingaretti. “Cambiare tutto, cambiare tutti noi” per tornare a vincere e battere la destra di Matteo Salvini, nella scommessa di un nuovo bipolarismo con il ridimensionamento dei 5 Stelle. L’unità interna è un bene prezioso, per Zingaretti, e un lavoro che inizia subito perché le prime sfide sono alle porte: le amministrative e le europee del 26 maggio.

E non solo. Zingaretti vede vicine anche le elezioni politiche perché “Il governo non regge”. Un lungo discorso, a tutto campo, il suo, davanti all’assemblea nazionale dem. Una riunione affollata, la più affollata nella storia dem, con circa 2000 persone in platea tra delegati, ospiti e invitati.

“Serve un nuovo Pd, che non è una bad company”

 

“Serve un nuovo partito, il nuovo Pd, che non è una bad company. L’organizzazione dovrà cambiare, forse dovrà cambiare tutto, penso anche a un nuovo Statuto, da scrivere insieme, e dovremo crederci tutti perché tutti saremo chiamati a dare il nostro contributo”, è il suo proposito. “Tornino ad essere i nostri circoli i luoghi dove gli altri fanno associazionismo. No a filiere di potere che restringono il nostro rapporto con la realtà sociale del Paese. Troppo spesso alla ricchezza positiva del confronto tra territori si è sostituita la freddezza dei terminali correntizi”. “Credo in un partito aperto e pluralista – incalza la platea Zingaretti – aperto al civismo e al volontariato, basta con il correntismo esasperato che ha lasciato fuori troppe persone. Ci serve un Pd forte ma anche una rete di corpi intermedi. Dobbiamo costruire un campo democratico largo più allargato e inclusivo, senza settarismi. Potranno farne parte anche forze diverse, forze civiche ma anche di orientamento liberale, persino nobilmente conservatrici che sono ugualmente lontane da Salvini”.

 

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Greta Thunberg

 

Insiste sul movimento ambientalista lanciato dalla giovane svedese Greta Thunberg: “Spalanchiamo le porte del nostro partito a questa nuova generazione, ai ragazzi come Greta”. Chiede anche più attenzione anche alle donne, il neo segretario: “Abbiamo bisogno di un protagonismo delle donne, già da domani e nelle prossime settimane avvierò le procedure per ricostituire la Conferenza nazionale delle donne democratiche”. E critica la conferenza sulla famiglia organizzata dalla Lega a Verona, a cui parteciperà anche Matteo Salvini, ricevendo la prima standing ovation dalla sala.

 

La profezia: “Il governo Lega-M5S non durerà a lungo…”

 

 

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I simboli elettorali di Lega e M5S ‘in combo’

 

 

Per quanto riguarda l’attuale esecutivo Lega-M5S, per Zingaretti il momento di tornare al voto “non è lontano perché il governo non potrà reggere a lungo a questo show confuso dell’antipolitica, è destinato a sfarinarsi e a dividersi”. Per questo motivo occorre farsi trovare pronti con “un’altra ipotesi di governo”. “Un Paese non si governa con i ‘ni’. Questa è la colpa di chi a al governo da nove mesi – spiega – Questo immobilismo che genere un insopportabile costo dell’incertezza. L’Italia così galleggia malamente con la prospettiva di affondare presto se non accade qualcosa”.

“Anche in Parlamento – incalza – noi dobbiamo fare un passo in avanti e propongo una fase di rafforzamento, di collaborazione, dando vita a un coordinamento di tutti i gruppi parlamentari di opposizione” come primo passo di “un possibile nuovo campo di centrosinistra nella battaglia sui temi dell’oggi”. Serve “un campo più largo per rispondere alla Lega che è il vero dominus del governo. Ora è possibile e a noi ora dobbiamo muoverci, insieme, mettendo in campo una nuova fase e per farlo dobbiamo voltare pagina” perché “Non è in gioco solo il governo ma le fondamenta irrinunciabili della nostra comunità politica”, continua. “Il Paese è bloccato e sta decadendo. Il Pil è fermo e nel prossimo autunno ci sarà bisogno di una manovra di miliardi di euro e sarà drammatica”.

“Dobbiamo rimettere al centro la persona umana – continua Zingaretti che qui si fa persino lirico – come hanno fatto le ragazze e i ragazzi scesi in piazza per il clima. Serve più riformismo per affrontare il futuro. Dobbiamo rimettere al centro la giustizia sociale, perché la lotta alla povertà è la condizione per stare meglio tutti”. Altro obiettivo è “ricostruire una classe dirigente italiana. Mettiamoci alle spalle le contese sugli equilibri interni, avviamo una dialettica nuova tra le componenti. Non dobbiamo più neppure lambire una politica lontana dalla vita”.

 

Quattro i pilastri del nuovo Pd di Zingaretti

 

Il primo sono “le infrastrutture materiali per un’Italia più sicura e più rispettosa dell’ambiente, una svolta green. Il secondo è “un grande piano per rilanciare innovazione e sapere e superare il digital divide”. Il terzo è l’infrastruttura della conoscenza: “Investire sulla scuola e sull’istruzione pubblica come architrave di un’ampia operazione di crescita culturale”. Il quarto è il welfare e la sanità, ma “la vera priorità di questa epoca è il lavoro, in tutto il Paese, specie al Sud”.

Quanto alle prossime elezioni europee, Zingaretti conferma che la collocazione del Pd sarà nel gruppo dei socialisti e democratici, il Pse, “grazie alla scelta di Matteo Renzi, che ha sciolto (quando era segretario, ndr.) il nodo della nostra collocazione”. 

 

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Romano Prodi, ex premier e fondatore dell’Ulivo

Il traguardo delle Europee: un fronte largo “da Tsipras a Macron”

 

E aggiunge: “Vi propongo la nostra prima iniziativa. Facciamo nostro e rilanciamo l’appello lanciato da Romano Prodi di fare del 21 marzo una giornata per la nuova Europa, esponendo sui balconi la bandiera europea”. Propone un fronte europeista che vada da Tsipras a Macron e, per parlare delle minutaglie di casa nostra, anche dopo il no di +Europa (come pure dei Verdi-Italia in Comune di Pizzarotti) afferma che il suo progetto resta quello “di una lista ampia e unitaria per le Europee”.

“Voglio andare avanti e andremo avanti, il movimento d’opinione sul manifesto di Calenda diventi un compagno di viaggio per le elezioni di maggio, la nostra lista sarà aperta e innovativa, con le migliori energie europeiste per difendere e rifondare l’Europa. Ringrazio Pisapia per aver deciso di darci una mano”, dice Zingaretti, che però dovrà trovare un’altra collocazione, come capolista, probabilmente nel NordEst, a Calenda, visto che Pisapia s’è già aggiudicato quella di capofila al NordOvest.

 

L”in bocca al lupo’ di Renzi, ma gli ex renziani sono già divisi

 

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L’ex premier e leader del Pd, Matteo Renzi

 

Proprio Matteo Renzi, assente invece per “motivi privati”, come aveva fatto sapere, manda un augurio al neo-segretario su Facebook: “Oggi Nicola Zingaretti inizia il suo lavoro come segretario nazionale del Pd. Un abbraccio a lui e a tutta la squadra che lavorerà con lui. L’Italia si aspetta dal Pd una risposta allo sfascio di Salvini e Di Maio, non più polemiche interne. Avanti tutta! Buon lavoro, Nicola”. Insomma, da Renzi, per ora nessun attacco né scomunica. La fondazione di un suo movimento, o partito personale, per ora, resta un sogno nel cassetto. 

 

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Roberto Giachetti, candidato alle primarie del Pd

 

Invece, il candidato di minoranza, sconfitto alle primarie, e renziano di ferro, Roberto Giachetti, che ha dato indicazione ai suoi di non votare neppure Paolo Gentiloni alla presidenza del partito, continua con il suo ‘tiro al bersaglio’ ai bersaniani che hanno lasciato il Pd: “Saremo una minoranza leale, non faremo guerra a questa dirigenza, come hanno fatto quelli di prima, ma chiedo a Zingaretti di non cambiare lo Statuto nel punto del doppio incarico del segretario che è anche candidato premier”. In ogni caso, Giachetti, pur annunciando che sarà “leale”, rifiuta incarichi in segreteria. “Siamo un gruppetto di 120 persone, ci dovrete sopportare, chiedo scusa per il disturbo”.

 

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Maurizio Martina, candidato alle primarie del Pd

 

“Questo è un partito, non una ‘baracca’ – sottolinea invece Maurizio Martina, che chiede di portare avanti la proposta di un salario minimo e non lasciarlo ai 5Stelle – Siamo pronti a dare una mano, saremo una minoranza, non un’opposizione. Vogliamo dare il senso del riformismo radicale che abbiamo messo nella nostra mozione”. E aggiunge che “il mio avversario è questa destra, non è in questa sala, il Pd se vuol essere grande deve essere plurale”. E ‘fonti’ della mozione Martina fanno sapere che, data l’apertura del segretario a un vicesegretario espressione delle minoranza, “non vi saranno nomi fatti da correnti o sottocorrenti” (ce l’ha con Lotti e Guerini, ndr.) ma dell’intera area”. 

 

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Il futuro presidente del Pd, ed ex premier, Paolo Gentiloni

 

La verità è che i renziani si sono, drammaticamente, divisi e spaccati. L’area Martina ha votato per Gentiloni presidente, l’area che fa capo a Giachetti no, ha preferito astenersi perché “non è stata una scelta super partes”, ma  la Boschi, che alle primarie ha votato Giachetti, ha votato Gentiloni

La mozione Martina è già implosa: braccio di ferro sul numero dei posti in Direzione tra Martina-Richetti-Delrio e il duo Guerini-Lotti

 

I numeri, nell’elezione dei nuovi vertici dem, non sono mai un dettaglio: nel momento di votare per Gentiloni e Zanda si sono astenuti rispettivamente 86 e 83 delegati, tutti di area renziana, il che vuol dire che neanche tutti gli esponenti dell’area Giachetti si sono astenuti in modo compatto.

La componente interna più riferibile all’ex Rottamatore, quella dell’area Giachetti, tuttavia, è rappresentata da 120 componenti, il che fa capire che nemmeno tutti i ‘ giachettiani’ hanno seguito la linea dell’astensione per presidente e tesoriere, mentre l’area Martina, in questo caso, ha tenuto, votando compattamente a favore di Gentiloni e Zanda. A interventi ancora in corso e dopo l’apertura del segretario Zingaretti per un vicesegretario “indicato da chi non ha vinto il congresso”, in platea si è scatenata la caccia per conquistare la poltrona di numero due del partito. Tra i nomi, quelli che circolano appartengono tutti all’area Lotti-Guerini e sono quelli di Simona MalpezziAlessia Morani e, incredibilmente, dello stesso Luca Lotti. “Ancora non c’è nessun accordo”, frenano, però, dall’area Martina. In ogni caso, sarà un vicesegretario ‘di garanzia’ che si affiancherà a quello di fede zingarettiana, Paola De Micheli. Ma per nominare la Segreteria, di competenza del segretario, c’è ancora tempo. Poi, però, ieri, parte la trattativa, che va in corso per ore, davvero estenuante, sulla composizione dei membri della Direzione.

 

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Una bandiera del Pd

 

La guerra sui numeri in Direzione. Torna in scena il ‘solito’ Pd…

 

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Lorenzo Guerini, ex vicesegretario del Pd, oggi presidente del Copasir

 

A questo punto, finiti i discorsi ‘alati’ e le dichiarazioni programmatiche, il Pd torna ad appassionarsi alla sua ‘materia’ preferita da sempre: cariche, incarichi, organigrammi, bilancini tra le correnti.

Tutti gli occhi, prima ancora che sula Segreteria, che verrà nominata in un secondo momento, sono puntati sulla Direzione nazionale, la cui nomina spetta all’Assemblea, e che è il vero organo politico del Pd. Quello, per capirsi, dove si fanno (e si votano) le liste per le competizioni elettorali.

E qui va spiegato il meccanismo. I membri elettivi della Direzione sono 120. A questi si aggiungono, però, 50 membri di diritto previsti per Statuto: quattro componenti eletti dalla circoscrizione estero, il segretario, l’ufficio di presidenza dell’assemblea (il presidente e i due vice), il tesoriere, il segretario giovanile, i segretari regionali, i presidenti dei gruppi parlamentari ed europei, i vicesegretari e 20 personalità ‘esterne’ che vengono nominate direttamente dal segretario.

Il parlamentino, dunque, in totale sarà composto da circa 200 membri, così suddivisi: 130 membri della maggioranza zingarettiana, 58 della mozione Martina, 16 della mozione Giachetti. Nella mozione Martina, ecco l’ennesima divisione: la componente che fa capo allo stesso Martina sarà rappresentata da 32 membri (che comprendono anche i membri delle sotto-componenti di Orfini, 4, di Richetti, due, di Delrio, uno), mentre la componente ex renziana di Lotti e Guerini sarà rappresentata da 26 membri. I renziani, dunque, sono riusciti a frazionarsi non solo tra due mozioni (Martina e Giachetti), ma anche all’interno della mozione Martina, dove sono, in tutto, 58.

 

Tutti i nomi della Direzione e il ‘bilancino’ delle correnti

 

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Matteo Renzi parla davanti alla Direzione del Pd

Come primo voto, l’Assemblea del Pd approva la lista dei 120 nomi dei componenti elettivi della Direzione, atto che passa con soli 6 astenuti. Tra questi, compaiono Francesco Boccia, Carlo Calenda, Monica Cirinnà, Cesare Damiano, Paola De Micheli, Michela De Biase, Marianna Madia, Pierfrancesco Maiorino, Andrea Martella, Marco Minniti, Andrea Orlando, Roberta Pinotti, Barbara Pollastrini, Marina Sereni, Sandra Zampa, Matteo Mauri, Tommaso Nannicini, Matteo Richetti, Alessia Morani, Francesco Verducci, Alessia Rotta, Dario Parrini, Beppe Fioroni, Ivan Scalfarotto, Maria Elena Boschi. A questi nomi bisogna aggiungere i 50 membri di diritto e i 20 nomi, comunicati in Assemblea, scelti direttamente dal segretario. Tra questi vi sono Ermete Realacci, il sindaco di Ravenna Michele De Pascale, Peppe Provenzano, Sergio Lo Giudice, Marco Furfaro – segretario dell’associazione Futura, l’economista e vice presidente dell’Emilia Romagna, Elisabetta Gualmini.

In totale, dunque, nella nuova Direzione, gli ‘zingarettiani‘ risultano essere 78 su 120, al netto dei membri di diritto, grazie ai quali ‘salgono’ a 130 membri. Mentre sui 20 nomi scelti dal segretario, Zingaretti ne ha ceduti ben sei ai ‘martiniani‘, scegliendone così solo 14 di sua stretta indicazione. 

Invece, finisce 32 a 26 la ‘sfida’ interna alla mozione Martina per i delegati da eleggere in Direzione. Trentadue sono gli uomini vicini all’area Lotti-Guerini che approderanno nell’organismo dem (Paita, Prestipino, Morani, Tartaglione, Rotta, Bonomo, Bini, Sudano, Critelli, Alfieri, De Luca, Moscardelli, D’Alfonso, Irto, Stefano, De Filippo, Parrini, Barberis, Guerini, Marcucci, Dal Moro, Faraone, Polese, Vattuone, Huber, Timpano, Annunziata, Bocci, Facciolla, Graziano, Bonafè, Nardella), mentre ventisette sono quelli di area Martina (Mauri, Nannicini Richetti, Verducci, Bettin, Marciano, Fioroni, Lubatti, Gribaudo, Grippo, Tajani, Campana, Manzi, Brenda Barnini, Pini, Cerasani, De Maria, Delrio, Martina, Orfini, Valente, Zunino, Calvano, La Carra, Bocci Marini, Serracchiani). Il totale della mozione  Martina è quindi di 58 membri in Direzione: 32 elettivi più 26 di diritto. Restano, invece, solo 16 i membri in Direzione della mozione Giachetti, che non ha accettato alcun compromesso. 

Sempre nel novero dei membri della Direzione anche i 9 membri della Commissione di garanzia

 

Far quadrare i numeri, nel Pd, è sempre un’impresa ardua…

 

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Maurizio Martina parla all’Assemblea nazionale del Pd

Far quadrare i numeri nel Pd, è sempre un’mpresa ardua. Paolo Gentiloni, nelle vesti di neo presidente del partito, lo ha imparato oggi, al momento di leggere l’elenco dei membri della direzione dem all’assemblea. Già il numero dei membri della Direzione è opinabile (‘circa’ 200 componenti) e l’approssimazione e’ d’obbligo, visto che la composizione della Direzione si allarga e si restringe a seconda degli equilibri interni al partito. Solo i 120 membri indicati dalle componenti, in base alle percentuali prese, in seno all’Assemblea nazionale, al congresso (cioè alle primarie) è fisso. Sul resto, è nebbia fitta. Vi sono i membri di diritto, come abbiamo visto, i 20 membri che, potenzialmente, può nominare il segretario, ma altri ancora possono essere aggiunti dalla stessa Assemblea. Ad ogni elenco corrisponde una trattativa, finalizzata a trovare la quadra tra vincitori e sconfitti alle primarie e relative componenti interne. Dopo lunghi tira e molla, l’accordo politico si chiude, facilitato dallo stesso Zingaretti che cede alle minoranze 6 membri del listino di sua scelta. Ma il risultato è giunto all’ultimo minuto, con l’Assemblea quasi conclusa. Al punto che al termine della riunione, mentre si appresta a dare lettura dei nomi, Gentiloni si accorge che qualcosa non quadra. “Sospendiamo la seduta come si fa alla Camera..“, prova a dire. Ma i 1000 delegati, provenienti da ogni parte d’Italia, e desiderosi di rientrare casa il prima possibile, non approvano.

“Noooo”, e’ il coro che si leva dalla platea. Il presidente deve andare avanti. Inizia a cercare le liste tra i molti fogli che ha davanti. Intanto arrivano al tavolo della presidenza i rappresentanti delle varie componenti. Si fanno i calcoli. Roberto Giachetti e Luciano Nobili da una parte. Matteo Mauri per l’area Martina. Manca Zingaretti. La convulsa trattativa avviene a microfono aperto. “Chiedete a Zingaretti”, consiglia Giachetti. Gentiloni perentorio: “Zingaretti non sa un c…”. Mauri prova a chiamare il consigliere regionale Mario Ciarla, che ha seguito la partita per il neosegretario. “Ma sei tu? Stavo chiamando io…”, arriva Ciarla trafelato. Mauri gli chiede chi debba andare nel listino del segretario, che per agevolare la trattativa ha ceduto alcuni posti che spettavano a lui. “Me devi da’ due giovani e due donne. Nun ce l’hai due amministratori uomini e due donne?”. Mauri ce li ha. Gentiloni chiude: “Scrivili qua, io intanto comincio a leggere l’altra lista”. 

 

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Il futuro presidente del Pd, ed ex premier, Paolo Gentiloni

Gentiloni, finalmente, legge l’elenco delle proposte: “coordinatrice delle donne, presidente della commissione nazionale del congresso, il presidente uscente commissione garanzia, i rappresentanti delle mozione alle primarie, i presidenti di regione iscritti al Pd, i sindaci delle città metropolitane iscritti al Pd, gli ex segretari iscritti al Pd, gli ex presidenti del consiglio iscritti al Pd, i componenti della segreteria, i candidati alle primarie, il presidente della commissione Bicamerale del Copasir, gli invitati permanenti alla commissione di garanzia… Sono cariche dietro alle quali ognuno di voi leggerà delle persone…”, dice  ironico per placare gli sbuffi della sala che vuole solo andare a casa. Ma – per parafrasare la nota battuta di un film – “è la democrazia, bellezza!”.

 


 

NB: Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2019 in forma originale per questo blog