Zingaretti apre a sinistra ma non sfonda al centro. E Berlusconi va ‘a caccia’ di renziani
1 Aprile 2019 0 Di Ettore Maria ColomboSommario
Berlusconi vuole prendersi i ‘moderati’ in fuga dal Pd
“Ci prenderemo i voti dei moderati delusi dal nuovo Pd”. Una frase così esplicita Silvio Berlusconi non l’aveva mai detta. Volersi ‘andare a cercare’ i voti de ‘comunisti’ e i loro ‘epigoni’ (“il Pci-Pds-Ds-Pd” come lo chiamava sempre per ribadirne la continuità ideologica e politica con le lontane origini ‘cominterniste’) che erano sempre e solo stati un avversario da battere e, potendo, da debellare dalla faccia della Terra, per il Cavaliere, non certo un ‘mercato elettorale’ appetibile e nel quale incunearsi. Ma ‘i tempi cambiano’ e il quadro politico è in costante, continua, evoluzione, quindi ‘ci sta’ anche che il leader di Forza Italia provi a rimettere in piedi il suo partito cercando di pescare non ‘a destra’, ma ‘a sinistra’. Certo, Forza Italia è in difficoltà e si gioca, alle Europee, la battaglia della vita – o, meglio, della propria sopravvivenza – e, come si sa, in politica, come in amore, “tutto è lecito”, ma la mossa berlusconiana fa una certa impressione.
Il manuale del forzista Palmieri: come ‘rubare’ i voti renziani al Pd
Berlusconi che vuole rubare voti ai dem è, dunque, quella che si dice una notizia. “Siamo – scrive il Cavaliere nella presentazione del vademecum azzurro per la campagna elettorale messo a punto da Forza Italia in vista del 26 maggio – l’unico partito di riferimento di tutti coloro che sanno che il ‘nuovo’ Pd non è altro che il vecchio Pd della sinistra che ritorna una volta esaurita la parentesi renziana”. La nuova strategia forzista “acchiappa-consensi” nel bacino del centrosinistra è spiegata poi, per filo e per segno, in una sorta di “manuale” ad uso e consumo di deputati e senatori ideato e redatto dal deputato Antonio Palmieri, responsabile web del partito e consegnato a tutti via social. “Dobbiamo mobilitare il nostro tradizionale elettorato di riferimento – è l’invito contenuto nel punto 8 del documento – e recuperare gli elettori che un anno fa si sono astenuti per dispetto. Inoltre, queste elezioni europee ci rendono interessanti per molti elettori che alle ultime elezioni hanno votato centrosinistra”. Ed ecco la motivazione: “Esaurita la parentesi renziana, il Pd è tornato a essere un partito di pura sinistra e questo ‘libera’ molti elettori moderati”.
Renziani in allarme: “Berlusconi ha capito tutto”…
Naturalmente, non è affatto detto che ciò che il Cavaliere auspica possa o debba avvenire, anzi. Ma il primo commento a caldo di un renziano doc è significativo: “Berlusconi non è mai stato uno scemo, anzi: ha un gran fiuto. Sa che molti di noi si sentono a disagio. Se Matteo non si muove e non fa nascere un suo partito, alcuni dei nostri potrebbero finire per votare proprio per Forza Italia. Del resto, in politica, a ogni vuoto corrisponde un pieno…”. Insomma, il ‘dilemma del prigioniero’, per Renzi e i suoi, potrebbe essere questo: se restano, e non fanno la scissione, si ritrovano in un partito, quello di Zingaretti, tutto spostato ‘a sinistra’, molto old fashion e dove ritorna ‘la Ditta’ (e in cui, inoltre, per loro, i ‘posti’, cioè le candidature, saranno sempre meno); ma se se ne vanno, praticando una scissione a freddo, quando le elezioni europee saranno già state consumate e, forse, si starà aprendo a forza la strada per le elezioni politiche, potrebbero trovare lo spazio politico, quello del ‘centro’, già occupato da una Forza Italia che rinasce dalle sue ceneri, magari proprio che grazie ai voti di renziani in libera uscita.
Certo è che non è un caso se proprio Matteo Renzi, in una delle sue ultime uscite pubbliche, ha detto che le elezioni “non si vincono stringendo patti a sinistra o con i 5Stelle, ma al centro, nell’elettorato moderato spaventato dalla Lega e deluso da FI”. Guarda caso, se non le stesse parole, un ragionamento molto simile a quello di Berlusconi.
Mdp alza il prezzo dell’accordo, ma gli mancano i di nomi ‘di area’
La ‘colpa’ di una diaspora dei renziani e, in generale, dei voti dei moderati, a lungo considerati come acquisiti, dentro il Pd (nel partito del 18% no di certo, ma in quello del 40% di sicuro sì) sarebbe, of course, del nuovo corso impresso da Zingaretti al Pd. Ma stanno davvero così le cose? Certo, viste in modo speculare, anche per Zingaretti le difficoltà potrebbero solo che aumentare.
L’apertura a Mdp-Articolo 1 c’è stata e, di fatto, il corpo del partito Democrat l’ha già digerita. La cosa paradossale è che ora sono quelli di Mdp (ridotti, nei sondaggi, a percentuali infinitesimali, intorno all’1%) che cercano di alzare il prezzo dell’accordo. “Non può trattarsi di una annessione” – dicono ora dalle parti di Speranza, in testa il napoletano Arturo Scotto – e in ogni caso quello che conta per Mdp è il ‘progetto’ politico. Se il nuovo contenitore del Pd guarda a sinistra bene, ma se si prefigura un’operazione neo-centrista, dove contano solo i neocentristi e liberal alla Calenda, noi non ci stiamo, è il succo del ragionamento. Allora meglio che ognuno torni a battere per la sua strada.
Naturalmente, c’è anche un problema di posti. I tre uscenti di Mdp all’Europarlamento (Paolucci, Rosati e Zanonato) vorrebbero ricandidarsi in almeno due casi su tre (solo Zanonato ha fatto un passo indietro), ma Zingaretti ha risposto picche (gli uscenti di Mdp i renziani li vivrebbero come un pugno nell’occhio e alzerebbero i toni polemici). In casa di Mdp, questo rifiuto, non lo hanno preso bene. Inoltre, i nomi di area che Zingaretti ha chiesto a Mdp, per le candidature, ancora non ci sono.
La segreteria uscente della Cgil, Susanna Camusso, ha declinato l’invito a candidarsi e così pure ha fatto il vice-segretario della Cgil, il riformista Vincenzo Colla, nome indicato, in modo interessato, dall’attuale segretario, Maurizio Landini, che non vede l’ora di liberarsene. Entrambi potevano rappresentare nomi di bandiera per Mdp, ma non se ne farà nulla e altri nomi forti non ce ne sono.
L’equivoco ‘mediatico’ sulla candidatura del medico Bartolo
Infine, un mysunderstunding creato, più che altro, dai giornali, ha portato a credere che il medico-eroe di Lampedusa, Pietro Bartolo, potesse essere ‘il’ nome di Mdp da candidare come capolista al Sud o nelle Isole. Ma Bartolo, proprio dai dirigenti nazionali di Mdp, anche se ai tempi della nascita di LeU, di cui fu uno dei principali sponsor del giro società civile, è rimasto molto scottato: gli era stato garantito un posto da capolista e un collegio blindato, alle scorse Politiche, e invece risultava, alla fine, in un collegio precario e non sicuro. Lui scelse di mollare, non candidarsi. Oggi, Bartolo è ‘in quota’ Demos (Democrazia Solidale), il gruppo di cattolici romani che fa capo alla Comunità di Sant’Egidio, e sarà molto probabilmente candidato a nome di questi nella lista del Pd, non in quota Mdp. Ergo, il problema si ripropone tra il Pd e Mdp e solo un nuovo, definitivo e chiarificatore, incontro tra Zingaretti e Speranza che si terrà la prossima settimana, potrà sciogliere nodi e termini della prossima alleanza. Senza dire di un ultimo particolare non di poco conto: Bersani e D’Alema (ma pure Errani ed Epifani), i big di Mdp, hanno già deciso di fare un passo di lato: sono già deputati (tranne D’Alema) e non si candideranno, alle Europee, ma vogliono essere e sentirsi liberi di fare campagna elettorale per la lista unitaria Pd-Pse e non vogliono accettare di essere tenuti ‘nascosti’ come se di loro ci si vergognasse. Un altro problema in più, per il nuovo Pd di Zingaretti.
Zingaretti ‘apre’ a sinistra, ma perde colpi ‘al centro’
D’altra parte, se questi sono i fraintendimenti con la sinistra a sinistra del pd, i problemi non mancano neppure nel tentativo di allargare la parte centrale dello schieramento di centrosinistra a più punte che ha in mente Zingaretti. Al netto del soddisfacente accordo trovato con Carlo Calenda (nome e simbolo del suo movimento, ‘Siamo Europei’, compare nella parte bassa del simbolo elettorale del Pd, mentre a destra, ma ridotto solo a un piccolo quadratino, c’è il logo del Pse), Zingaretti non è, finora, riuscito a mettere insieme tutti quei pezzi sparsi del centrosinistra che, invece, alle elezioni Politiche, erano entrati in coalizione con il Pd per ‘fare massa’ e riuscendo ad attutirne, seppur di poco, il tonfo elettoral: i liberal-democratici, i prodiani-ulivisti, i cattolici-popolari.
+Europa ha detto di no al Pd. La Sinistra-sinistra va per conto suo
Come si sa, Più Europa ha preso la sua strada: si è alleata con il movimento fondato dal sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, ‘Italia in Comune’, e candiderà alle Europee molto probabilmente, come capolista in tutte e cinque le circoscrizioni, Emma Bonino, storico simbolo dei Radicali che ha ancora un suo appeal, specie negli elettori moderati, oltre a diversi nomi di società civile liberald-emocratica. Per il movimento Italia in Comune, invece, ci sarà la candidatura del sindaco di Cerveteri, Alessio Pascucci, molto caratterizzato sui temi dei migranti, peraltro visti da sinistra.
Anche con i cattolici-popolari della Lorenzin non si è sviluppato alcun accordo o interlocuzione di sorta, mentre i propinai della ex lista ‘Insieme’ sono confluiti, via Serse Soverini, deputato bolognese, proprio nel movimento ‘Italia in Comune’ di Pizzarotti.
Per non dire della lista di sinistra-sinistra – un puro coacervo di sigle, certo – cui daranno vita Sinistra Italiana di Fratoianni, il Prc di Acerbo, la ex lista Tsipras e, molto probabilmente, i Verdi: correrà, questa presunta ‘Sinistra Europea’ sotto le insegne del GUE e, soprattutto, del radicalismo di sinistra e post-comunista, fuori dal Pd, ma sono altri voti che possono essere rosicchiati al Pd.
Solo con il piccolo Psi del post-Nencini sono rose e fiori
Solo con il piccolo Psi – si è appena concluso il congresso di Roma in cui, dopo dieci anni, il senatore Riccardo Nencini ha passato la mano ed è stato eletto segretario il giovane Enzo Maraio, 40enne campano che ha riconfermato la volontà di restare nel Pse e di fare l’alleanza col Pd – Zingaretti può dormire sonni tranquilli, ma per essere, anche in questo caso, ‘volgari’, e parlare di posti, si tratterà, anche in questo caso, di trovare un candidato di ‘area Psi’ e di farlo eleggere.
Liste e capolista del Pd: in parte ci sono, in parte ancora no
Morale, Zingaretti ha i suoi bei grattacapi, con le alleanze, e – ovviamente – anche con la costruzione delle liste, specie per quanto riguarda i capolista che, con una legge elettorale proporzionale e che prevede il voto di preferenza, hanno il loro ‘perché’.
Al NordOvest e al NordEst, è vero, i giochi sono fatti: ci sarà l’ex sindaco di Milano ed ex leader di Campo progressista, Giuliano Pisapia, nella prima circoscrizione, e Carlo Calenda nella seconda. Dietro Pisapia – causa l’obbligo di alternanza uomo/donna – sarà in lista l’economista Irene Tinagli, ex deputata di Scelta civica, imposta da Calenda, mentre dietro quest’ultimo ci sarà una ‘nativa’ del Pd, la vicepresidente della giunta regionale dell’Emilia-Romagna, Elisabetta Gualmina, studiosa.
Al Centro, dopo l’unica ‘concessione’ al renzismo, con una capolista donna, la renziana Simona Bonafé (già parlamentare europea uscente), ci sarà spazio per due uomini a loro volta uscenti: David Sassoli (romano) e Roberto Gualtieri (milanese), di cui solo il primo è sponsorizzato da Zingaretti. Il problema sono Sud e Isole.
L’europarlamentare uscente Caterina Chinnici, sorella del magistrato ucciso dalla mafia, potrebbe fare da capolista al Sud se non si troverà un nome più altisonante. La Camusso, come abbiamo visto, ha detto di no e anche il direttore dell’Huffington Post, Lucia Annunziata, ha detto, a sua volta, ‘no, grazie’, mentre la suggestione di candidare Roberto Saviano si scontra contro il muro dei ‘no’ eretti dalla scrittore. Pietro Bartolo, in quota ‘Demos’, dovrebbe essere il capolista nelle Isole, seguito a ruota da una donna, Virginia Puzzolo, che ha lavorato per 15 anni all’interno della commissione Ue, ma lista e nomi sono ancora aperti, ma si parla anche della possibilità che, invece, lì ci sia l’ex sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini.
Il 26 maggio Zingaretti dovrà ‘fare i conti’, con o senza l’oste
Una cosa è certa. Che valga, o meno, qualcosa l’appello di Berlusconi ai ‘moderati’ del Pd affinché votino Forza Italia, Zingaretti rischia di trovarsi davanti due grossi problemi: il ‘recupero’ – che indubbiamente ci sarà – dei voti a sinistra (in arrivo da parte del bacino elettorale di Mdp e non solo) potrebbe non bastare a compensare la ‘perdita’ di voti moderati e/o ex renziani al centro, che potrebbero rifugiarsi nell’astensione, spostarsi su Più Europa o, addirittura, finire a rafforzare Forza Italia. Il Pd, cioè, potrebbe mancare, anche se di poco, di superare abbondantemente il 20-21% dei voti e, quindi, di ottenere, seppur ‘in discesa’, il tanto agognato sorpasso sull’M5S. E se, quando si analizzeranno i flussi elettorali, una volta chiuse le urne, il giorno dopo il 26 maggio, ciò dovesse avvenire, i renziani già in subbuglio e pieni di tanti mal di pancia, verso il ‘nuovo corso’ del Pd, potrebbero presentare a Zingaretti un ‘conto’ salato. Un conto, a quel punto sì, preludio di scissione.
NB: Questo articolo è stato pubblicato il forma originale su questo blog il 1 aprile 2019
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Faccio il giornalista. Mi occupo di Politica italiana. Lavoro, regolarmente assunto ex art. 2 CCNLG; per il "Quotidiano Nazionale", testata che raggruppa Il Giorno di Milano - La Nazione di Firenze - Il Resto del Carlino di Bologna. Ma scrivo anche per due siti di notizie: Tiscalinews.it e TheWatcherPost.it. Seguo la Politica dall'interno dei suoi Palazzi principali. Vivo al centro di Roma, frequento il Bar del Fico e di solito vado a lavorare alla Camera dei Deputati o in altri Palazzi della politica. Fumo il sigaro Toscano. Colleziono soldatini, vecchie pipe, segnalibri. Tifo Inter FC. Ho una compagna, ma nessun animale. Sono di Sinistra, per quanto oggi, questo termine, sia fin troppo vasto e generico...