“Dio salvi la Ue!”. La Brexit è un rompicapo. Quanti parlamentari avrà l’Italia e quando se ne andranno gli inglesi?

“Dio salvi la Ue!”. La Brexit è un rompicapo. Quanti parlamentari avrà l’Italia e quando se ne andranno gli inglesi?

22 Maggio 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

LA BREXIT? “Quien sabe?”. Una (bislacca) premessa…

 

Brexit

Brexir e la Ue

 

Quanti europarlamentari eleggerà l’Italia, il prossimo 26 maggio, alle elezioni europee? Saranno 73 o 76? E per quanto tempo gli europarlamentari britannici, alle prese con la Brexit, faranno parte dell’Assemblea di Strasburgo? La risposta a entrambe queste due domande è “dipende”, anche se, ad oggi, gli europarlamentari italiani saranno 73 (e i ‘restanti’ tre verranno eletti ma ‘non’ proclamati) e gli inglesi resteranno nel Parlamento Ue fino al 31 ottobre, ma se la Brexit dovesse avere luogo (è un ipotesi in campo) entro il 30 giugno (lo si saprà solo al Consiglio europeo convocato ad hocper il 20/21 giugno), quando si insedierà il nuovo Parlamento europeo, allora gli europarlamentari inglesi, pur se regolarmente eletti, ‘non’ si insedieranno…

 

Bob Dylan

Bob Dylan

 

Certo che nella ‘pazza, pazza’ Europa attuale, non vi sono grandi certezze, su nulla, e la risposta ‘turbina nel vento’, per dirla con Bob Dylan. Per capire cosa sta succedendo, occorre procedere con ordine. Partiamo dal ‘caso Italia’ che, come sempre, ci interessa di più, ma con l’avvertenza che le due vicende – numero degli europarlamentari italiani e presenza, o meno, degli europarlamentari britannici – si intersecano inesorabilmente. Il 26 maggio, come si diceva, i cittadini italiani sono chiamati a scegliere i propri rappresentanti all’interno del Parlamento europeo con un sistema elettorale proporzionale che ogni Paese adatta alle sue esigenze (per dire, in Italia si vota con le preferenze, in molti dei grandi Paesi Ue su liste bloccate): nessuna vera omogeneità tra i 28 Stati.

 

Solo il sistema di voto (proporzionale) vale per tutti

 

voto proporzionale

voto proporzionale

 

Il sistema di voto italiano ricalca molto quello in uso nella Prima Repubblica: è perfettamente proporzionale, vede la presenza delle preferenze (da una a tre), prevede una soglia di sbarramento nazionale abbastanza alta, e fissata al 4% dei voti validi, ma se presi sul territorio nazionale, e anche l’obbligo dell’alternanza di genere nell’uso delle preferenze (chi dà due preferenze deve scegliere un uomo e una donna, chi tre tra due uomini e una donna o due donne e un uomo, se si votano due o tre candidati dello stesso genere, il voto è valido, ma la preferenza buona è la prima). Anche negli altri Paesi della Ue vige un sistema di tipo proporzionale, ma tutto il resto cambia, a seconda di ognuno.

 

Quanti parlamentari italiani andranno a Bruxelles?

 

L’odio di Kassovitz

L’odio di Kassovitz

Fin qui, diceva il protagonista del film L’odio di Kassovitz, mentre precipitava dall’ultimo piano a terra, “tutto bene”. Ma quanti europarlamentari italiani andranno a Bruxelles? Con la ‘Brexit sì’ diventavano, magicamente, da 73 – la quota riservata all’Italia in base a tutti i trattati precedenti – ben 76 (tre in più), con la ‘Brexit no’ restano quanti erano (73), cioè lo stesso numero di deputati che eleggono gli inglesi. E, al momento, come si sa, è ‘Brexit no’: gli inglesi restano, anche se per poco (qualche mese), il tempo per complicarsi la vita loro e, soprattutto, complicarla alla Ue. Dunque, i parlamentari italiani eleggibili sono ‘solo’ 73 con tre eletti che, pur eletti, non verranno, per ora, ‘proclamati’, ma resteranno in una sorta di ‘limbo’ in attesa che gli inglesi tolgano l’incomodo.

 

parlamento

 

Infatti, le liste elettorali sono state fatte, dai partiti, su 76 nomi e che, quando, il 22 marzo, è stato emanato il DpR che recepiva, come ogni volta, le disposizioni elettorali europee (identico dal 1979, cioè dalla prima volta in cui si votò per laUe), eravamo in fase di ‘Brexit sì’ e quindi il numero di parlamentari italiani doveva essere 76. Del resto, palazzo Chigi e Quirinale non sono chiromanti: si sono ‘fidati’ della decisione iniziale del Consiglio Ue del 28 giugno 2018, che fissava tempi e modalità della Brexit, e non potevano immaginare che gli inglesi ci avevano mezzo ripensato, che le trattative sarebbero andate per le lunghe e che, alla GB, sarebbero state concesse proroghe su proroghe (al 29 marzo, poi al 30 giugno, poi al 30 ottobre…).

 

Morale: è ‘sbagliato’ anche il decreto ufficiale di Mattarella…

 

Sergio Mattarella

Sergio Mattarella

 

Peraltro, la decisione di assegnare un numero maggiore di eletti ad alcuni Paesi – tra cui il nostro – era stata presa dal Consiglio europeo e dal Parlamento europeo. Insomma, sembrava una cosa seria, ecco. E così, con tanto di DPR (decreto del Presidente della Repubblica), pubblicato in Gazzetta Ufficiale, si era provveduto alla ‘redistribuzione’ dei tre seggi in più.

Nel decreto l’Italia assegnava i ‘suoi’ tre seggi in più alle tre circoscrizioni elettorali più popolose per passare dai precedenti 73 rappresentanti a 76: Nord Est (Veneto, Trentino Alto-Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna), Italia centrale (Toscana, Umbria, Marche e Lazio), Italia meridionale (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria). 

La suddivisione degli eurodeputati nel DpR del 22/02/2019

Area del Paese Popolazione Eletti ora in carica Eletti a maggio
ITALIA CENTRALE 11.600.675 14 15
ITALIA INSULARE 6.642.266 8 8
ITALIA MERIDIONALE 13.977.431 17 18
ITALIA NORD OCCIDENTALE 15.765.567 20 20
ITALIA NORD ORIENTALE 11.447.805 14 1

 

“Un enigma avvolto nel mistero”: a ottobre piovono ricorsi

 

Winston Churchill

 

Winston Churchill, prime minister inglese, definiva l’Urss di Stalin“un enigma avvolto in un mistero”. Lo anche la Brexit, a quanto pare. Infatti, dal 31 ottobre – ma, ripetiamo, potrebbe accadere anche che la GB si sfili dalla Ue ‘prima’ che il Parlamento europeo si insedi, cioè entro il 30 giugno: lo si saprà solo al Consiglio europeo del 20/21 giugno – si sfiorerà il paradosso, in una sorta di personaggi pirandelliani che si rincorrono o di commedia di Jonesco o dramma di Beckett che non finisce mai, in scena e fuori.

 

Samuel Beckett

 

Il 31 ottobre, infatti, i 76 eurodeputati inglesi, volenti o nolenti, se ne andranno (non si sa se cantando Good save the Queen o uscendo in mesto silenzio dall’aula di Strasburgo) e qualcuno dovrà pur sostituirli. La politica non ammette vuoti e si dovrà trovare una soluzione post quem (cioè post voto del 26 maggio) per ristabilire il numero totale di europarlamentari che sembra diventato una pallina impazzita di un flipper folle: prima fissato a 751 seggi (con la Gb), poi sceso a 701 (senza la Gb), poi risalito a 751 (con la Gb ancora in transito) e che, tra qualche mese, tornerà a 701 (col the end della GB)… Vi è venuto il mal di testa? Anche a noi, possiamo giurarlo.

 

Appena la GB esce, ci sarà l’integrazione degli eletti…

 

Uscita della GB

Uscita della GB

 

Cosa succederà, dunque? Si terranno elezioni supplettive? Si integreranno gli eletti dei vari Paesi con i primi dei non eletti di quegli stessi Paesi, a seconda dei seggi disponibili? La seconda. Prendiamo il caso dell’Italia. Ne aveva 73, era salita a 76, poi è ridiscesa a 73, a ottobre ritornerà a 76… Insomma, ci saranno tre eurodeputati ‘non’ proclamati, ma eletti, che dovranno aspettare, pazientemente, il loro turno.

Ma come, è il problema, verranno ‘pescati’? Il problema ulteriore è che i seggi del sistema elettorale europeo in uso in Italia non possono ‘splittare’ da una circoscrizione all’altra. Il Rosatellum, invece, lo prevede, lo ‘splittamento’, ed è molto meglio così: i recinti delle circoscrizioni sono, cioè, ‘valicabili’ e i non eletti di una circoscrizione possono essere recuperati da un’altra.

 

Giusepe Gargani

Giusepe Gargani

 

E non è finita qui. Anni fa, un eurodeputato di FI, Giuseppe Gargani, fece ricorso alla Consulta e lo vinse perché – allora vigente il Porcellum, che non prevedeva lo ‘split’ e risalendo indietro anche il Testo unico della legge elettorale cui si fa sempre riferimento, in Italia, quello del 1957 – il suo seggio era ‘saltato’ proprio a causa dello splittamento. Solo che, ora, il Porcellum non c’è più, ma c’è il Rosatellum, che prevede di poter ‘splittare’ tra le circoscrizioni, quindi il problema di eletti che ‘avanzano’ si riproporrà. E c’è già chi, come l’avvocato Felice Besostri, autore di diversi ricorsi che portarono la ‘demolizione’ del Porcellum (operata, ovviamente, dalla Consulta), annuncia ricorsi.

 

L'avvocato Felice Besostri

L’avvocato Felice Besostri

 

Inoltre, la soglia di sbarramento (4%) toglie seggi alle forze più piccole che non la superano per darne, in più, a quelle più grandi che l’hanno superata e che, in proporzione ai loro voti, si vedono attribuire dei seggi in più, quelli dei partiti piccoli che hanno mancato il quorum. Esempio: se La Sinistra o Più Europa superano il 4% tolgono seggi a Lega, M5S e Pd, se non ci riescono questi ne hanno in più.  Nelle tre circoscrizioni in cui verrebbero restituiti 3 seggi (NordEst, Centro e Sud) che spettano in più all’Italia, non appena la GB uscirà dalla Ue, potrebbe essere ‘ri-eletto’ un deputato che è rimasto fuori, per un soffio, il 26 maggio…

Subentreranno, dunque, tutti i primi dei non eletti nei Paesi che hanno diritto alla quota parte di quei seggi, quelli che si è deciso di redistribuire, come per l’Italia? Sì, sembra la soluzione più sensata…

 

Il comunicato stampa ufficiale della Corte di Cassazione 

 

Stefano_Ceccanti_Pd

Stefano Ceccanti, deputato e costituzionalista del Pd

Su segnalazione del professor Stefano Ceccanti, esperto di diritto costituzionale e oggi deputati del Pd, riportiamo il comunicato stampa ufficiale della Corte di Cassazione che prova a ‘tagliare la testa al toro’, spiegando, cioè, ‘come’ verranno ripescati i tre eletti, ma per ora ‘non’ proclamati, che subentreranno – in merito ai seggi assegnati all’Italia – appena i deputati inglesi se ne andranno.

In buona sostanza, il riparto dei primi dei non eletti sarà nazionale, e non su base circoscrizionale, e i partiti maggiori avranno buon gioco ad eleggere i tre eurodeputati in più, ma bisognerà vedere – in base al calcolo dei resti e dei quozienti – se questi arrideranno ai candidati delle tre circoscrizioni indicate in prima battuta o se, invece, arriveranno da altre circoscrizioni elettorali (Quien sabe?!). 

COMUNICATO STAMPA“Elezioni europee: numero dei componenti del Parlamento europeo spettanti all’Italia. Conseguenze della Brexit”.

“In conseguenza dell’annunciato recesso del Regno Unito dall’Unione Europea, il numero dei componenti del Parlamento europeo spettanti all’Italia, con la decisione del Consiglio Europeo 2018/937, è stato aumentato da 73 a 76.

Il giorno 26 maggio 2019 si voterà, pertanto, per l’elezione di 76 parlamentari europei, soltanto 73 dei quali, però, si insedieranno subito, in quanto i restanti 3, ai sensi della suddetta decisione, potranno farlo solo dopo che il recesso del Regno Unito sarà divenuto giuridicamente efficace. Considerato che l’assegnazione dei seggi avviene innanzitutto su base nazionale con il criterio dei quozienti interi e dei più alti resti, l’Ufficio Elettorale Nazionale della Corte di cassazione comunica che, in assenza di ulteriori disposizioni normative regolatrici della fattispecie, al fine di individuare i tre parlamentari che si insedieranno in un secondo momento, adotterà i seguenti criteri:

a) individuazione delle tre liste che a livello nazionale hanno ottenuto seggi con i minori resti utilizzati o, in mancanza, con i minori resti non utilizzati; b) sottrazione ad ognuna di dette tre liste di un seggio, individuato nell’ambito delle tre circoscrizioni cui è stato assegnato un seggio supplementare per effetto dell’aumento dei parlamentari da 73 a 76.

A tal fine, qualora le tre liste abbiano ottenuto seggi in ognuna delle tre circoscrizioni così individuate, si sottrarrà un seggio per circoscrizione cominciando da quella in cui lo stesso è stato ottenuto, da una qualsiasi delle tre liste, con il decimale più basso o, in mancanza, con la minore parte decimale del quoziente di attribuzione non utilizzato.

Ove una o più liste non abbiano ottenuto seggi in tutte e tre le circoscrizioni, si comincerà dalla lista o dalle liste che ne hanno avuti in una sola o in due delle tre circoscrizioni interessate dall’aumento dei seggi.
Nel caso in cui a seguito dell’applicazione dei criteri di cui sopra, rimanessero ancora dei seggi da individuare, essi saranno ricercati nelle circoscrizioni in cui le liste interessate abbiano comunque ottenuto seggi”.

 

Il guaio del ‘post-eletti Brexit’ lo avranno tutti i Paesi

Conseguenze per la brexit non solo per l'Italia

Conseguenze per la brexit non solo per l’Italia

 

Ma il problema non è e non sarà ‘solo’ italiano. Ad eleggere più parlamentari, in caso di Brexit sì, sarebbe stata, ovviamente, non solo l’Italia, ma molti altri Stati. A guadagnare più rappresentanti, in ogni caso, ci sono Spagna e Francia, con 5 seggi in più. Subito dopo Paesi Bassi e Italia, con tre europarlamentari in più. Insomma, anche per decidere ‘cosa’ fare, negli altri Paesi della Ue, quando sarà ‘solo’ a 27 sarà un bel ‘casino’ politico, giuridico, elettorale ed aritmetico. Soluzioni poche e assai confuse. Ma ora tocca trasferirsi a Strasburgo, sede del Parlamento Ue, e a Londra.

Ma quando se ne vanno questi benedetti inglesi?!

 

Ma quando se ne vanno questi benedetti inglesi?!

Ma quando se ne vanno questi benedetti inglesi?!

 

Se l’accordo di ritiro del Regno Unito dalla Ue, già bocciato tre volte dalla Camera dei Comuni, venisse approvato tra il 23 maggio e il 30 giugno (ma lo si saprà, appunto, solo al Consiglio europeo del 21/22), allora i 73 europarlamentari eletti nel Regno Unito non si insedierebbero neppure (il Parlamento Ue si insedia il 2 luglio). A questo punto verrebbe convocata una Assemblea legislativa in mini-plenaria ad hoc che, nel formare l’ottava legislatura del Parlamento, ratificherà l’accordo di ritiro.

Quando e se i britannici usciranno dalla Ue, con o senza accordo, certo è che i 73 seggi del Regno Unito verranno in parte redistribuiti e in parte messi nel ‘freezer’, in attesa di distribuirli ancora nuovi Stati membri:il numero complessivo dei seggi nell’Aula scenderà così a 705 seggi.

 

Stati Membri UE

Stati Membri UE

 

Se la Brexit avverrà, invece, dopo il 2 luglio, data di inizio della nona legislatura del Parlamento europeo, l’accordo di ritiro della GB dall’Unione verrà ratificato dal prossimo Parlamento, che sarà, in quel caso, nel pieno delle sue funzioni. I seggi ex britannici non accantonati, nel Parlamento Europeo verranno redistribuiti così: 5 alla Francia (che va a 79), 3 all’Italia (76), 5 alla Spagna (59), uno ciascuno a Polonia e Romania (52 e 33), 3 all’Olanda (29), uno ciascuno ancora a Svezia (21), Austria (19), Danimarca (14), Slovacchia (14), Finlandia (14), Croazia (12) ed Estonia (7), due all’Irlanda (13). Restano come sono oggi, invece, i seggi di Germania (96), Belgio, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria e Portogallo (21), Bulgaria (17), Lituania (11), Lettonia (8), Slovenia (8), Cipro, Malta e Lussemburgo (6).

 

Ma quanti sono ‘sti’ seggi del Parlamento europeo?!

 

trattato lisbona

Trattato di Lisbona

 

Attualmente il Parlamento europeo conta 751 seggi, numero massimo imposto dal Trattato di Lisbona (2014), che lo aveva alzato rispetto al I e al II trattato di Nizza (2007 e 2009), seguendo il criterio del voto ponderato, nel rapporto tra la popolazione residente, gli aventi diritto al voto e il peso di ogni Stato: questo il criterio scelto per stabilire il numero dei parlamentari (la Gran Bretagna, per dire, in questi anni, è scesa da 78 parlamentari a 73, l’Italia è salita da 70 a 73).

 

La Gran Bretagna doveva fare ‘ciao-ciao’ alla Ue

La Gran Bretagna doveva fare ‘ciao-ciao’ alla Ue

 

Per le nuove elezioni europee il numero era stato portato a 705 (cioè, ben 46 seggi in meno) perché, appunto, la Gran Bretagna doveva fare ‘ciao-ciao’ alla Ue, ma ora è stato riportato alla cifra iniziale, 751 seggi. Infatti, come si sa, gli inglesi – contorti di loro – hanno deciso che prima ci pensavano (e volevano uscire), poi ci ripensavano (e non volevano più uscire), poi sì, va bene, volevano uscire, ma solo alle loro condizioni… Una manfrina e un gioco al rimpiattino che ha sfiancato, oltre che il popolo di sua Maestà, anche i negoziatori della Ue.

 

Hard Brexit o soft Brexit? Già che ci sono, gli inglesi votano…

 

Elezioni Europee nel Regno Unito

Elezioni Europee nel Regno Unito

 

Ma, a poche settimane dal voto, ecco la svolta: la GB uscirà dall’Unione, ma non subito, come doveva, il 29 marzo, ma con comodo, a ottobre. Morale, convocazione delle elezioni pure in Gran Bretagna (nobile e monarchica ‘unione’, va ricordato, di Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord) e preparazione delle urne per giovedì 23 maggio (gli inglesi, speciali anche in questo, non votano mai la domenica, come tutti i Paesi normali, ma in giorni feriali).

 

La data limite per l’uscita del Regno Unito dall'Ue, è la notte di halloween

La data limite per l’uscita del Regno Unito dall’Ue, è la notte di halloween

 

Infatti, la data limite per l’uscita del Regno Unito dall’Ue è stata spostata prima dal 29 marzo 2019 al 12 aprile e poi, notizia di un mese fa, al 31 ottobre prossimo (la notte di Halloween, sic), a prescindere che si tratti di una hard Brexit o di una soft Brexit (nulla di eroico, ma molto di rischioso, soprattutto per il futuro dei cittadini inglesi).

 

Una seduta del Parlamento Europeo

Una seduta del Parlamento Europeo

 

Morale, il Parlamento Europeo all’inizio – ma non alla fine, cioè tra altri 5 anni – della sua nona legislatura avrà 751 membri, proprio come li ha oggi. E la Gran Bretagna, in qualità di Stato membro a tutti gli effetti, sia pure intenzionato a lasciare l’Ue (sic), parteciperà alle elezioni europee del 26 maggio, mandando ‘regolarmente’ – si fa per dire – a Strasburgo i suoi 73 eurodeputati.

Dice: e chi se ne frega? Entrano e poi escono! Eh, no! Per dire, la maggioranza che si dovrà formare dentro il Parlamento Ue con 751 membri ‘sale’ a 399 seggi, mentre, se i membri scendono a 701, crolla a 353. Per le grandi famiglie dei partiti europei (PPE, PSE, Alde, ECR, GUE. Sovranisti), che dovranno formare un – difficilissimo, allo stato – nuovo governo della Ue non è affare da poco.

 

Come avevano lavorato Consiglio e commissione Ue

 

elezioni europee

 

Le nuove regole sulla composizione del Parlamento europeo erano state formalmente approvate dai leader europei durante il vertice Ue del 28-29 giugno 2018. Il ritiro – che allora sembrava ‘effettivo’ – del Regno Unito e alcuni cambiamenti, resisi necessari, nel numero dei seggi assegnati a ciascun Paese – che in alcuni casi aumentano, lievemente, le loro unità – prevedeva di redistribuire, sui 751 seggi totali, i 73 seggi assegnati al Regno Unito( lo stesso numero dell’Italia) solo 27 dei 73 seggi inglesi ad altri Paesi e di tenerne da parte i restanti 46 per le future adesioni di altre nazioni che attendono, pazientemente, alla porta, di entrare nell’Unione europea. Quindi il numero di parlamentari totali eletti per la prossima legislatura doveva essere, appunto, di 705 seggi.

 

Il principio della “proporzionalità regressiva”

 

Strasburgo: i deputati del Parlamento europee

Strasburgo: i deputati del Parlamento europee

 

La redistribuzione dei seggi approvata dal Consiglio Ue, e ratificata dal vecchio Parlamento, assicurava, peraltro, che nessun Paese avrebbe avuto un numero minore rispetto all’attuale, ma alcuni Paesi acquisivano da uno a cinque seggi in più. La proposta era stata fatta secondo il principio della “proporzionalità regressiva”: significa che, se da una parte i Paesi con una popolazione maggiore hanno diritto a più deputati di quelli con una popolazione minore, il numero di cittadini rappresentati da un eletto è maggiore per i Paesi più grandi. Un principio – discutibile  – ma che serve ad assicurare che i Paesi con meno abitanti abbiano una presenza dentro il Parlamento.

 

Il sistema dello ‘SpitizenKandidaten’

 

Spitzenkandidaten

 

Il paradosso – uno dei tanti! – è che, ad oggi, non c’è una formula precisa per determinare il numero di parlamentari per ogni Paese dell’Ue, ma solo le regole generali stabilite dall’articolo 14 del Trattato sull’Unione: la decisione deve essere presa, e sarà presa, dai capi di stato e di governo prima di ogni elezione del Parlamento

In un’altra relazione, approvata il 7 febbraio 2018, gli eurodeputati hanno ribadito anche il loro sostegno al sistema dei candidati, chiamato “Spitzenkandidaten”, introdotto per la prima nel 2014 con neologismo tedesco (guarda caso, quando si tratta di decidere ‘un Capo’…).

 

Elezioni 2019: il sistema degli “Spitzenkandidaten” non può essere revocato

Elezioni 2019: il sistema degli “Spitzenkandidaten” non può essere revocato

 

Secondo tale sistema i partiti politici europei devono indicare prima delle elezioni europee chi è il candidato o la candidata alla presidenza della Commissione europea. Il sistema assicura un legame fra la scelta della presidenza e le elezioni europee. Gli eurodeputati si sono anche detti pronti a rifiutare il candidato o la candidata alla presidenza che non sia nominato/a attraverso questo sistema, ma si tratta solo di intenzioni: puoi entrare papa, cioè ‘Spintzen’ (Weber per il PPE, Timmermans per il PSE, etc), e uscire cardinale, dal conclave vero, quello dove si decide, nella Ue. Infatti, al di là delle belle parole, alla fine, più del voto del Parlamento Ue, per nominare il presidente della Commissione e i suoi membri, contano i rapporti di forza tra i singoli Stati e i loro capi di governo e di Stato e quelli che si creano, di volta in volta, nel Consiglio Ue.

 

Michel Barnier

 

Insomma, il Parlamento Ue conta più di prima, ma non troppo. Non a caso, il nome più forte che ‘gira’ è quello del ‘negoziatore’ con la Gran Bretagna per la Brexit, il gollista francese Michel Barnier, che non è lo Spitzenkandidat proprio di nessuno…

 

Il sistema di voto – semiuniforme – della Ue a 28 Paesi

 

Costituzione Europea

 

Ogni Paese dell’Unione stabilisce le proprie modalità elettorali ma deve garantire l’uguaglianza di genere e la segretezza del voto. Per le elezioni europee vige il sistema proporzionale. L’età del voto è a 18 anni, salvo in Austria dove si vota a 16 anni. I seggi sono ripartiti in base alla popolazione di ciascuno Stato membro. Le donne rappresentano un po’ più di un terzo dei deputati europei. I deputati europei sono raggruppati per affinità politiche e non per nazionalità. I deputati europei dividono il loro tempo tra le loro circoscrizioni elettorali, Strasburgo – dove il Parlamento europeo si riunisce in seduta plenaria 12 volte all’anno – e Bruxelles, dove partecipano a ulteriori sedute, riunioni, commissione e gruppi politici. Le modalità di esercizio del mandato parlamentare sono fissate dallo Statuto di Nizza del 2009.

 

Inglesi, europeisti riluttanti, ‘costretti’ a votare. May in bilico

 

Theresa May

Theresa May

 

Cosa possiamo aspettarci dal voto nel Regno Unito? Le elezioni che non si dovevano fare alla fine si faranno e saranno una sorta di secondo referendum sulla Brexit. O meglio, su come la Brexit è stata gestita (male) dai principali partiti, a cominciare dai Conservatori, che a tre anni dal referendum nel quale i britannici scelsero l’uscita dall’Unione europea, non sono stati capaci di dare seguito alla volontà degli elettori, allora in maggioranza, pur se lieve, per il Leave contro il Remain. Non sorprende quindi che, secondo i sondaggi, sarà proprio il partito della premier, Theresa May, a pagare il conto più salato, alle Europee. I Tories sono al momento accreditati di una percentuale che oscilla tra il 9% e il 13%, rischiando di uscire dalle urne come il quarto o quinto partito nazionale. 

E proprio oggi, 23 maggio, giorno in cui la GB va al voto, la May è stata invitata a dimettersi dal suo stesso partito, i Tories, che non vogliono darle più la fiducia. Lei resiste, ma le sue ore sembrano contate. Presto, in GB, si tornerà di nuovo a votare, ma stavolta per le elezioni politiche anticipate

 

Il crollo dei Tories, le difficoltà del Labour

 

Jeremy Corbyn

Jeremy Corbyn

 

Un vero e proprio crollo, dopo quello delle amministrative, del quale però non sembrano beneficiare i Laburisti di Jeremy Corbyn, accreditati di una percentuale che varia dal 15% al 20%, troppo poco per un partito che ha ambizioni di governo. Se i Conservatori della May pagano le incessanti divisioni tra l’ala euroscettica (i Brexiteers) e quella pro-Ue (i Remainers), che hanno portato all’impasse politico del governo May, negli ultimi mesi, il Labour paga soprattutto l’atteggiamento ambiguo sulla Brexit. Da un lato, Corbyn ha sempre sostenuto di voler rispettare il risultato del referendum del 2016, consapevole che in molti collegi l’elettorato laburista si schierò per la Brexit. Dall’altro, non ha voluto rompere del tutto con la componente pro-Ue del partito, pur non spingendosi fino al punto di concedere e chiedere un secondo referendum.

Nigel Farage sta per diventare il vero trionfatore del voto

 

Nigel Farage

Nigel Farage

 

Se Corbyn appare tuttavia solido nella sua leadership, la May rischia invece di cadere subito dopo il voto europeo. A beneficiare di questo caos è il trionfatore delle elezioni europee del 2014 e del referendum del 2016: Nigel Farage. Scomparso per un po’ dai radar, Farage ‘il matto’ è stato letteralmente resuscitato dai ripetuti fallimenti dei Conservatori.

Il suo nuovo Brexit Party – fondato dopo aver abbandonato il suo partito storico, l’Ukip, perché “si era spostato troppo a destra” veleggia in testa ai sondaggi con il 35% dei consensi e potrebbe accaparrarsi una buona fetta dei 73 seggi che spettano al Regno Unito.

 

Dall’Ukip al Brexit Party: scandali e messaggi “basic”

 

Brexit Party ed il suo leader Nigel Farage

Brexit Party ed il suo leader Nigel Farage

 

Il messaggio di Farage è chiaro (anche se avaro di dettagli, ed è proprio sui dettagli che la Brexit è andata finora storta): il risultato del referendum è stato tradito. Farage sembra destinato a raccogliere il voto di quanti, da destra soprattutto, ma anche da sinistra, non accettano che a tre anni dal referendum il Regno Unito faccia ancora parte della Ue, al punto da essere ‘costretta’ a partecipare al voto europeo senza volerlo. Che poi lo strumento per esprimere questo malcontento siano le elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento è uno dei tanti paradossi della Brexit.

 

United Kingdom Independence Party

United Kingdom Independence Party

 

Gli ultimi sondaggi danno il Brexit Party al 34%, mentre Labour e conservatori arrivano insieme solo al 33%. Questo serve per dare un’idea del successo che sta avendo: si tratta di una creazione politica recentissima, nata a gennaio di quest’anno anche se il vero e proprio lancio del partito è avvenuto un mese fa, il 12 aprile. Il gruppo è stato promosso inizialmente dalla portavoce dell’economia dell’UKIPUnited Kingdom Independence Partyndr) ed è già sopravvissuto al suo primo scandalo: nel marzo 2019 la sua figura di riferimento, che era Catherine Blaiklock, si è dimessa per uno scandalo di tweet islamo-fobici. 

 

Catherine Blaiklock

Catherine Blaiklock

 

Chi ha preso le redini del partito è stato proprio Farage. Il Brexit Party conta, ora, 14 europarlamentari che si sono scissi dai 24 membri dell’UKIP. Ma dopo il 23 maggio e l’elezione degli europarlamentari inglesi, quali posizioni prenderanno all’interno del Parlamento europeo? Sicuramente gli europarlamentari del Brexit Party faranno ostruzionismo e anche in maniera forte.

 

Il sistema di voto della Gran Bretagna, i giovani e i sondaggi

 

I Giovani londinesi e la Brexit

I Giovani londinesi e la Brexit

 

Il sistema di voto del Regno Unito prevede che siano i cittadini a iscriversi direttamente nei registri elettorali per poter esprimere la propria preferenza di voto: secondo la stampa locale, più della metà delle persone che voteranno hanno dai 18 ai 34 anni, con un boom di iscrizioni nel sito del governo che si è tenuto a poche ore dalla chiusura dei registri, precisamente il 7 maggio scorso.

Sicuramente i giovani sono più interessati a queste elezioni europee. Il Regno Unito ha un’affluenza alle urne per questo tipo di elezioni molto bassa, circa il 30%, ed è anche tra i primi Paesi che votano, il 23 maggio, appunto. I leavers, cioè quelli che vogliono la Brexit, hanno trovato un nuovo punto di riferimento che è Farage; il problema è dei remainers, cioè di coloro che vogliono rimanere nell’Unione Europea: chi voteranno? Probabilmente i liberal-democratici, dati in grande spolvero. 

 

Logo Labour

Logo Labour

 

Sia la politica dei conservatori che quella dei laburisti è sotto attacco perché la loro divisione è interna e profonda proprio sulla Brexit. Anche il Labour, che dalla fine degli anni Ottanta rappresenta il partito dell’Europa, in Gran Bretagna, è accusato di aver messo in secondo piano la scelta di rimanere in UE per preservarsi un futuro politico. I remainers voteranno in massa, ma bisogna capire come verranno distribuiti questi voti. E a chi andranno.

 

Anche la tempistica non aiuta la Gran Bretagna…

 

Manifestanti pro Europa fuori del Parlamento britannico a Londra

Manifestanti pro Europa fuori del Parlamento britannico a Londra

 

Poi c’è anche la questione della tempistica: il 2 luglio si insedia il nuovo Parlamento europeo, quindi in teoria il Regno Unito avrebbe tempo eventualmente fino al 1 luglio per trovare un accordo ed evitare l’insediamento degli europarlamentari britannici. Infatti, a partire dal 3 di giugno si dovrebbe iniziare a votare, ma dentro il Parlamento inglese, per la Brexit sì o no e quando: potrebbe essere l’ultimo voto di Theresa May premier che proprio oggi è stata invitata, dai suoi Tories, a dimettersi.

 

Westminster parlamento

Westminster parlamento

 

Si potrebbe replicare, da parte dei ‘mediatori’, che tra giugno e ottobre c’è tutto il tempo per pensare a un nuovo accordo, scritto da un nuovo primo ministro dopo nuove elezioni politiche. In realtà non c’è più tempo: dal 26 luglio fino al 10 settembre il Parlamento britannico sostanzialmente chiude e anche a settembre i lavori sono limitati perché alla fine del mese è previsto il congresso del partito conservatore e, per le tre settimane precedenti, i lavori vengono contenuti. Si tratterebbe, dunque, di sole tre settimane di lavoro effettivo per il nuovo premier che volesse fare una new Brexit.

 

brexit no deal

No Deal

 

Ormai, inoltre, manca la volontà di trovare un accordo, tra Gran Bretagna e Ue: ci sarebbero altre possibilità, ma quelle che emergono maggiormente sono il no deal (uscita senza un accordo) e il no Brexit (ritiro della domanda d’uscita).

 

NO Brexit

NO Brexit

 

In ogni caso, lo scenario politico britannico sta mutando profondamente: in questi pochi anni di governo May, ci sono stati 30 cambi di ministri del governo. Per un Paese che è stato sempre visto come un modello di stabilità politica, questa è una ferita che sarà quasi impossibile da rimarginare. E la ferita ancora più grande, forse, è l’unità stessa del Regno perché la Brexit mette in forte tensione, dopo anni di pace, il confine tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord e fa riesplodere la questione scozzese che sembrava sopita: la Great Britain, con l’Europa, rischia di perdere sé stessa.

 


 

NB: Questo articolo è stato pubblicato in forma originale per questo blog il 22 maggio 2019

 


 

Bibliografia consultata:

Dopo Brexit cambierà il numero dei seggi in Parlamento. I numeri nella nostra infografica.

 Il sito del Parlamento europeo

I deputati della Gran Bretagna a Strasburgo

“Elezioni europee 2019: numero parlamentari per nazione, come cambia con Brexit”
(da “Termometro Politico” del 2 maggio 2019)

Una settimana al voto: cosa succede nell’Europarlamento in caso di Brexit”
Da un articolo di “Today” del 19 maggio 2019
“All’Italia 3 eurodeputati in più. Vanno a Centro, Sud, Nord Est”
(articolo di Aldo Fontanarosa, Repubblica, 26 marzo 2019)

 Europee 2019, il dilemma Regno Unito: votare o no?

(articolo di Antonello Guerrera, Repubblica, marzo 2019)