Voci dal Transatlantico. Maggioranza in pezzi, veleni nel Pd e nel Csm. Risale il rischio urne anticipate

Voci dal Transatlantico. Maggioranza in pezzi, veleni nel Pd e nel Csm. Risale il rischio urne anticipate

14 Giugno 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

Elezioni a settembre? Bisogna sempre stare pronti, sempre allerta”, dice – con un piccolo di proverbiale perfidia, un sentimento che gli è assai congeniale – il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, a margine di un evento che più ‘neutro’ e meno ‘politico’ del mondo non si poteva trovare, gli Italian Paralympic Awards 2019 del Comitato italiano paralimpico.

Italian Paralympic Awards 2019

Italian Paralympic Awards 2019

Giorgetti ‘fiuta’ le urne, Franceschini è convinto: si vota

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Giancarlo Giorgetti (Lega), sottosegretario alla presidenza del Consiglio

Ora, è vero che la Politica italiana è una bestia strana e i giornali amano coltivare un genere, il cosiddetto ‘retroscena’ – genere che i giornali di tutto il resto del Mondo disdegnano, in quanto si auto-alimenta di voci (spesso o per lo più) anonime, di elucubrazioni e di supposizioni eteree – ma certo è che, ieri, mentre l’aula di Montecitorio votava, senza fare una piega – lato della maggioranza gialloverde – il decreto ‘Sblocca cantieri’, l’aria che si respirava era proprio questa. Non aria mefitica di rimpasto di governo, stile ‘tutto va bene, madama la Marchesa’, ma aria frizzante di elezioni anticipate. Quando? A settembre, appunto.

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L’ex ministro e big del Pd, Dario Franceschini

A un certo punto, per dire, ieri si palesa, nel pieno del Transatlantico di Montecitorio, una vecchia volpe del Pd, l’ex ministro Dario Franceschini, e tutti i cronisti gli si fanno sotto, chiedono lumi.

Luigi Marattin

Luigi Marattin

Lui spiega, ragiona, argomenta e – nonostante il deputato (renzianissimo e ferrarese come lui) Luigi Marattin lo provochi apertamente (“Il giorno che i giornalisti smetteranno di chiedere consigli a Franceschini, sarà finalmente nata la Terza Repubblica!”, al che uno gli risponde “Vabbé, mica stiamo parlando con De Mita…”) – illustra la sua tesi. “Salvini non può andare avanti, con questi 5Stelle e questo Di Maio. Il rimpasto, come vedete, non si fa. Salvini sta solo cercando il pretesto giusto. Vuole rompere e andare al voto. Ha tempo fino a metà luglio, per farlo, dopo non più, ma credo proprio ci porterà a votare”. Per di più, Franceschini sfoglia anche il calendario: “A metà settembre no, non si può votare, è troppo presto. Votare il 15 settembre vorrebbe dire che le liste elettorali vanno chiuse entro il 15 agosto e non è possibile fare la campagna elettorale sotto gli ombrelloni. Credo – conclude – che si voterà tra la fine di settembre, tipo il 29, e il 7 ottobre”.

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Matteo Salvini, ministro dell’Interno e vicepremier

Poi Franceschini si allontana dai cronisti e solo a un suo amico spiega: “Vedi cosa sta accadendo sul caso Csm? La magistratura italiana è in pezzi e anche il Quirinale, che per fortuna ha reagito benissimo, subisce schizzi di fango. Salvini teme i giudici, ma l’occasione per colpire è ora perché il Pd è azzoppato, il Colle pure, l’M5S è a terra. Vedrai che trova un pretesto e ci porta tutti a votare”.

Il caso Csm e il caso Lotti guastano l’aria dentro il Pd

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Nicola Zingaretti, neo-segretario del Pd

In effetti, mancava solo la ‘tempesta Csm’ e il ‘caso Lotti’ a mettere ansia, paura e tormenti dentro casa dem, dove la ‘voglia’ – specie nell’inner circle del segretario Zingaretti né va dimenticato che Franceschini è, dal neo-leader dem, molto ascoltato – di andare a votare, al fine di liberarsi di una classe dirigente e di gruppi parlamentari ancora ‘prigionieri’ del renzismo ma che, con nuove liste elettorali da compilare, sarebbero – oggettivamente, del resto, si fa così in ogni partito: l’ultimo che vince e prende possesso di casa, usa la ramazza e scaccia tutti quelli che c’erano prima di lui (anche Renzi, l’ultima volta, lo ha fatto) – letteralmente spazzate via, cancellate dal tratto di penna.

Renziani contro Zingaretti e viceversa: è guerra di veleni

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Il ministro allo Sport Luca Lotti (foto LaPresse)

Infatti, la reazione dei renziani ancora superstiti, di fronte al ‘ciclone’ che sta investendo, via intercettazioni dove la m., più che il fango, gira col ventilatore, il ‘povero’ (sic) Luca Lotti, è come quello di una mandria di cinghiali.

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L’ex capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda

“Beh, maddai, anche Zanda (Luigi, ex capogruppo del Pd al Senato, oggi tesoriere del Pd, anti-renziano doc, ndr.) parlava con i giudici del Csm per le nomine dei politici (i membri ‘laici’, ndr.) dentro il Csm!” dice un deputato dem. “E scusa, perché, forse, Andrea Orlando (ex guardasigilli nei governi Renzi e Gentiloni, anti-renziano di ferro, oggi vicesegretario del Pd di Zingarettindr.) non chiamava i membri del Csm per brigare, fare e disfare?” dice un altro.

Transatlantico di Montecitorio

Il Transatlantico di Montecitorio

Più che “l’imbarazzo” del Pd, che pure regna sovrano, nel Transatlantico di Montecitorio, sul caso Lotti, tra i deputati dem (i quali, va ricordato, sono per la maggior parte stati eletti in base a liste elettorali compilate da Renzi) circola un altro – assai poco nobile – sentimento. Quello che, per dirla con Wolfang Amadeus Mozart, risponde al titolo di una delle sue opere più note, il “Così fan tutte”.

Insomma, Lotti, “forse”, sarà colpevole di “qualcosa”, ma insomma “siamo uomini di mondo” – per dirla, invece, con il profano Totò – e, quindi, “di cosa ci si stupisce, oggi?”.

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L’ex leader del Pd Matteo Renzi

Ecco, di nulla, o quasi. Almeno in un Pd dove, a microfoni aperti, non vuole proprio parlare nessuno – ma nessuno – del caso che ha investito in pieno l’ex sottosegretario di Renzi alla presidenza del Consiglio, ex ministro allo Sport del governo Gentiloni, oggi deputato ‘semplice’ dem, ma coordinatore nazionale, insieme a Lorenzo Guerini, dell’area dem “Base riformista” che raggruppa il grosso delle truppe parlamentari ex renziane (Guerini che, per inciso, è pure presidente del Copasir).

Zingaretti difende a metà Lotti, Lotti attacca Zingaretti…

Zingaretti VS Lotti e viceversa

Zingaretti VS Lotti e viceversa

Dopodiché, certo, imbarazzi, dubbi amletici e psicosi da fortino assediato si vivono pure nel nuovo Pd di Zingaretti che prima di decidere ‘come’ gestire la bomba a orologeria scoppiata su Lotti ha passato settimane di tormenti, senza, però, riuscire a prendere una posizione chiara che sia una.

Tanto per dirne una, arriva solo alle 19 de la tarde – dopo che il caso che riguarda Lotti e le sue intercettazioni è esploso, su tutti i giornali, dal primo mattino, e molto dopo la puntuta difesa che Lottifa del suo operato su Facebook, difesa subito rilanciata da tutti i pasdaran del renzismo – la nota stampa del segretario dem. Una nota assai prudente. “Il Pd – puntualizza Zingaretti – non si occupa di nomine magistrati né si dedica a organizzare maggioranze nel Csm. Di fronte all’indagine relativa al Csm, se emergeranno rilievi penali, mi atterrò sempre al principio garantista e di civiltà giuridica per cui prevale la presunzione di innocenza fino alle sentenze definitive. L’oggetto delle indagini non sono le frequentazioni, ma il merito, si faccia piena luce”. Poi, la nota si fa quasi dolente (“loffia”, secondo alcuni): “Agli esponenti politici del Pd protagonisti di quanto è emerso non viene contestato alcun reato. Per questo, ogni processo sommario celebrato sulla base di spezzoni di intercettazioni va respinto. Ma il mio Pd non ha mai dato mandato a nessuno di occuparsi degli assetti degli uffici giudiziari, non si occupa di nomine di magistrati, non dà consigli né si dedica a organizzare maggioranze nel Csm”.

Consiglio di Stato

Giudici del Consiglio di Stato

Apriti cielo. Le parole del segretario non bastano a nessuno: gli anti-renziani le giudicano “loffie, spaventate, inutili”. I renziani diventano velenosi come serpenti a sonagli e c’è pure chi ricorda un particolare dimenticato a molti dei più: “Anche Zingaretti è indagato, dalla procura di Roma, per finanziamento illecito ai partiti, in una brutta storia che riguarda l’imprenditore vicino a Lega e alla mafia Arata e, guarda caso, giudici del consiglio di Stato che vendevano/compravano sentenze”.

Veleni anonimi, si capisce, ma che servono a far capire che il livello di guardia, nel ‘nuovo’ Pd, è già stato superato. Del resto, le parole del segretario fanno imbestialire come un riccio lo stesso Lotti che replica a stretto giro (“Grazie, ma non faccio nomine e nel ‘suo’ Pd ci sono anch’io”), poi i pasdaran del renzismo, quelli da ‘ultima ridotta di Salò’, si scatenano stile squadrismo fascista: difendono Lotti e bastonano Zingaretti le varie Morani, Rotta, Malpezzi, Bini, Parrini come una perfetta falange macedone. Fine? No. Si torna alle parole di Franceschini, quelle sul voto anticipato, in cui proprio Zingaretti crede e spera: i deputati dem van ‘cambiati’, in modo profondo e selettivo.

M5S sconfitto da Lega e resto del Mondo su Radio radicale

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Il Logo di Radio Radicale

Ma, naturalmente, non è nella ‘disponibilità’ del Pd il voto anticipato, ma solo in quelle di Salvini (e, ovvio, del Colle dove, però, le urne verrebbe concesse a spron battente). Quindi, è in casa della Lega che bisogna guardare meglio. I segnali, per Di Maio e i 5Stelle, sono a dir poco negativi, per non dire inquietanti. Con un voto frutto del ‘genio’ di Roberto Giachetti, coadiuvato da Filippo Sensi, entrambi deputati dem (il primo renzianissmo, il secondo, invece, ex renziano e oggi gentiloniano), Radio radicale è stata salvata (altri tre milioni, per l’anno 2019, di finanziamento), ma a caro prezzo e a danno di Di Maio.

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Filippo Sensi, già portavoce di Renzi e Gentiloni a Palazzo Chigi, oggi deputato del Pd

 

I pentastellati si sono ritrovati, poverini, soli soletti, nel voto in commissione Bilancio e, nonostante il parere contrario della viceministra al Mef, Laura Castelli (M5S), all’emendamento Giachetti la Lega ha votato insieme a tutte le opposizioni (Pd, FI, FdI, LeU, etc.), mandando – di fatto – il governo ‘sotto’ (tecnicamente, di fatto, la Lega ha votato contro se stessa).

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Il vicepremier dei 5Stelle Luigi Di Maio

Certo, si può dire che si è trattato di un voto “per la libertà e la democrazia”, per una “voce libera dell’informazione”. Quella, appunto, di Radio radicale. Peccato che Di Maio si sia infuriato assai, ne abbia chiesto conto a Salvini, il quale, però, non si è neppure peritato di uno straccio di risposta, tranne un “tranquillo, Giggino, vedrai che chiariremo tutto”.

Rai: tra Lega e 5Stelle è impasse totale e guerra a bassa intensità

Il cavallo morente simbolo della Rai in Viale Mazzini

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse – Il cavallo morente simbolo della Rai in Viale Mazzini

Amen. Dice, “è stato un incidente, un caso singolo”. Già, sarà. Guarda caso, però, Lega e M5S non trovano la quadra  sulla Rai – cuore dell’informazione pubblica, oltre che centro di infinito potere, per peso, ascolti, prebende – e sullo scontro che vede affrontarsi come due cavalieri erranti su ronzini ronzinanti il presidente (Marcello Foa, imposto dalla Lega) contro l’ad (Fabio Salini, M5S).

Marcello Foa

Marcello Foa

Non riuscendo a trovare un accordo sul doppio incarico che dovrebbe ricoprire proprio Foa (presidente della Rai e pure presidente di Raicom), incarico e presidente sostenuto dalla Lega ma molto osteggiato dai 5Stelle, i due partiti sono stati ‘costretti’ a far mancare il numero legale, dentro la commissione di Vigilanza Rai, altrimenti il voto sarebbe finito con una nuova, dolorosa, spaccatura interna. Il presidente della commissione di Vigilanza, il forzista Barachini, dice la verità nuda e cruda: “L’impossibilità di tenere la seduta certifica lo scontro all’interno della maggioranza”.

Il presidente della commissione di Vigilanza, il forzista Barachini

Il presidente della commissione di Vigilanza, il forzista Barachini

Morale, Lega e M5S sembravano, ieri, ai ferri corti su quasi tutto. Solo il voto finale sul dl ‘sblocca cantieri’ ha rimesso insieme cocci che, per tutto il giorno, erano in frantumi.

Ci sarà davvero il rimpasto di governo? Ora se ne dubita…

Salvini ed il rimpasto di Governo

Salvini ed il rimpasto di Governo

Basterà? Dipende. Innanzitutto, ci sarà davvero il rimpasto di governo? Di Maio, stile verginella sdegnata, dalle colonne del Corsera, già di prima mattina, diceva furibondo che “io non chiedo ‘rimpasti’, robe da Prima Repubblica”, anche se – come sanno anche i sassi, a Montecitorio – non vede l’ora di immolare sulla pira accesa dall’alleato Salvini le poltrone della Grillo (Salute) e di Toninelli (Trasporti) che non solo giudica pedine sacrificabili, ma che detesta.

Toninelli ed un chiaro finale di STOP

Toninelli ed un chiaro gesto di STOP

Salvini – che a giocare al gioco delle elementari, quello del ‘ce l’ho più lungo io’, è assai più bravo – risponde perfido: “Perfetto. Io non chiedo niente”. Peccato che, come dice la legge non scritta di ogni governo di ogni ‘Repubblica’, quando un’alleanza di governo è in crisi, se lo fai, il rimpasto, vai avanti, se non lo fai vuol dire che presto cadi.

Salvini vuole spedire Giorgetti in Ue e mettere lì Bongiorno

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La ministra alla Pa Giulia Bongiorno (Lega)

Certo, Salvini. l’altro ieri – nella riunione con tutti i ministri leghisti – ha ribadito la sua intenzione ad andare avanti ma, spiegano i suoi, “Matteo è rimasto solo, ma è irremovibile, non si vuole togliere da questa esperienza, malgrado le perplessità ribaditegli dai nostri che non ne possono più, chi per gli attacchi personali ricevuti, chi per i provvedimenti bloccati”. Oggi il segretario leghista riunirà il consiglio federale a Milano per l’approvazione del bilancio, l’avvio del tesseramento e l’analisi del voto. In via Bellerio, alle voci critiche dei ministri, si aggiungeranno di certo anche quelle dei segretari regionali e dei governatori. Ma è ovvio, nel partito del Capitano, è sempre lui che decide.

Salvini e Berlusconi si sono visti. Ma per dirsi cosa?

Salvini e Berlusconi

Salvini e Berlusconi

Fonti leghiste poi confermano che Salvini abbia incontrato Silvio Berlusconi, giorni fa, come riferito dallo stesso Cavaliere ai suoi, ma smentiscono la possibilità che la vecchia coalizione di centrodestra possa avere un futuro a livello nazionale, come invece Berlusconi sostiene che Salvini gli avrebbe garantito. E le parole di Giorgetti, che minaccia – in chiaro – il voto anticipato? Il leader leghista gli avrebbe chiesto la disponibilità di fare il commissario europeo e lui gliela avrebbe data (l’Italia ha chiesto un commissario economico, all’Industria o alla Concorrenza) perché “di Conte e quelli (i 5Stelle, ndr.) non ne posso più”. Nel caso Giorgetti traslocasse a Bruxelles si avvierebbe una tornata di ‘cambi’ impegnativi nella squadra di Conte.

Il presidente del consiglio Conte e il suo vice Di Maio

Il presidente del consiglio Conte e il suo vice Di Maio

La richiesta che la Lega ha già inoltrato ai 5 Stelle – dicono fonti governative pentastellate – è quella di mettere Giulia Bongiorno, oggi ministro alla Pa, al posto di Giorgetti. Una fedelissima del Capitano, in luogo di un fedelissimo, sempre per ‘controllare’ da presso Conte e pure Di Maio

Infrastrutture e Salute: via Grillo e Toninelli? Ma per chi?

Governo Conte

Rixi e Siri

Ma rimane il problema alle Infrastrutture, con i due sottosegretari mancanti dopo l’uscita dei leghisti Edoardo Rixi e Armando Siri, mentre il ministro Danilo Toninelli “non vuole lasciare”, dicono sempre le stesse fonti, anche se pare che sia lo stesso Di Maio che vuole cacciarlo via. Le Infrastrutture, in ogni modo, dovrebbero restare ai 5 Stelle, mentre la Salute potrebbe finire nelle mani della Lega, o restare questa nella disponibilità M5S e il Mit – da dove si fa o non si fa la Tav, per dirne una – andare alla Lega. Entrambi i partiti, poi, anche se è impraticabile una sua uscita in un momento economico delicato come questo, continuano a mantenere un faro puntato su Giovanni Tria, giudicato troppo autonomo sia da Salvini che Di Maio, ma soprattutto troppo ‘rigorista’.

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Giovanni Tria, titolare del dicastero dell’Economia

Il titolare del Mef, se poco poco ‘sbaglia’ nell’accontentare i desiderata di entrambi, sulla manovra, prenderà il cappello e se ne andrà, perché “una manovra in deficit non la firmo”.

Ma è la manovra la vera spina nel fianco del governo

Conte e Salvini

Conte e Salvini

Ecco, appunto,  è l’economia la vera spina nel fianco del governo Conte e, soprattutto, in cima ai pensieri di Salvini che si è appena assicurato il via libera al dl Sicurezza bis, il che vuol dire che, sui migranti, la sua linea è quella di tutti.

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Il logo della Commissione europea

Salvini trova illegittimo che possa essere la Commissione europea uscente, a suo giudizio bocciata dal voto europeo, ad avviare la procedura di infrazione per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia, ma il vice-premier leghista non ha alcuna intenzione di sfilarsi dalla “linea condivisa” – cui si sono attenuti, finora – con Conte, Di Maio e Tria. “C’è una linea condivisa e rimarrà quella, anche perché abbiamo argomenti molto solidi sul 2019; mentre sul 2020 si vedrà”, conferma un big governativo leghista. “Tria ha i numeri e li mostrerà alla commissione: non c’è alcuna necessità di fare una manovra correttiva: questa è la linea del governo”, dice Salvini. Solo che questa è l’opinione di Salvini, non di Tria né di Conte che invece con la Ue vogliono trattare fino allo spasimo.

Conte e Tria © ANSA

Conte e Tria © ANSA

Certo, al momento, tutta l’attenzione del governo è concentrata sullo sforzo di evitare la procedura di infrazione con la Ue ed è stata rinviata a più avanti ogni discussione sulle misure da introdurre in manovra, a partire dalla flat taxc he Salvini vuole, su di cui Di Maio nicchia, Conte e Tria temono.

Tria e Salvini

Tria e Salvini

Sia Tria che Salvini hanno smentito le indiscrezioni di stampa in merito a una loro presunta lite sul tema flat tax: “il dibattito sulla flat tax, i mini-bot e la pace fiscale sul contante detenuto in cassette di sicurezza è rinviato a quando cominceremo veramente a parlare di manovra” dicono entrambi all’unisono. Sarà vero? Si vedrà presto. Cioè a partire dalle prossima settimana, al nuovo vertice di maggioranza e di governo che si riunirà. Ma, a metà luglio, ci sarà un Conte 1, un Conte bis o cosa?. 

Salvini stringe patti con Toti e gli dice: “preparati, si vota”

Nello Musumeci

Nello Musumeci

Salvini, per non sbagliarsi, dopo aver stretto un patto con il governatore siciliano, Nello Musumeci, che gli assicura il pieno dei voti, nei collegi uninominali in Sicilia, ne avrebbe stretto un altro con il governatore ligure Toti per creare la ‘terza gamba’ del centrodestra, tagliando fuori FI.

Salvini stringe patti con Toti e gli dice: “preparati, si vota”

Salvini stringe patti con Toti e gli dice: “preparati, si vota”

E avrebbe detto a Toti: “Preparati, che a settembre si vota”. Toti, ovviamente, ha smentito, Salvini fa spallucce. Vuoi vedere che ci ha pigliato, quella vecchia volpe di Dario Franceschini?


Una versione non così ragionata dell’articolo è uscita in parte sul sito di notizie Tiscali.it (la parte crisi di governo) e una parte sulle pagine di Quotidiano Nazionale (parte sul Pd) il 14 giugno 2019.