Arsenico e vecchi pizzini. Il caso Lotti terremota il Pd. Renziani furibondi sull’orlo della scissione

Arsenico e vecchi pizzini. Il caso Lotti terremota il Pd. Renziani furibondi sull’orlo della scissione

15 Giugno 2019 1 Di Ettore Maria Colombo

I fatti. Lotti, coinvolto nel caso Csm, si autosospende dal Pd

 

Caos procure, Luca Lotti si autosospende dal Pd

Caos procure, Luca Lotti si autosospende dal Pd

 

Luca Lotti si auto-sospende dal Pd e tra i dem scoppia la guerra. Il deputato fiorentino, cui prima Luigi Zanda e poi Carlo Calenda, chiedono, di fatto e co violenza inusitata, le dimissioni dal Pd, scrive al segretario, Nicola Zingaretti: “I fatti sono chiari. Tu li conosci meglio di altri anche perché te ne ho parlato in modo franco nei nostri numerosi incontri. Ma io non partecipo al festival dell’ipocrisia. L’interesse della mia comunità, il Pd, viene prima della mia legittima amarezza.

 

Zanda Calenda

Luigi Zanda e poi Carlo Calenda, chiedono, le dimissioni dal Pd di Lotti

 

“Ti comunico la mia autosospensione dal Pd – dice Lotti – fino a quando questa vicenda non sarà chiarita. Lo faccio non perché qualche moralista senza morale oggi ha chiesto un mio passo indietro, ma per il rispetto per il Pd e per la verità”, scrive. Ma perché Lotti reagisce in tale modo?

 

Luigi Zanda la tocca piano: Lotti lasci il Pd, rispondere duri 

 

Lotti e Zanda

Lotti e Zanda

 

Perché Luigi Zanda, oggi tesoriere dem, avanti ieri capogruppo del Pd al Senato, rilascia al Corriere della Sera un’intervista – pesantissima – in cui chiede a Lotti di “valutare attentamente se è il caso di lasciare il Pd, finché non sarà tutto chiarito”. Zanda, molto vicino a Gentiloni, oggi presidente dem e cui è molto legato affonda il coltello nella viva carne di Lotti: “Dalle intercettazioni emergerebbe il modo sguaiato in cui alcuni magistrati e Lotti si riferiscono a Ermini (vicepresidente del Csm, ndr.) Forse proprio perché il vice-presidente Ermini sta facendo il suo dovere con rigore e, cosa rara, con molta modestia”. Zanda conclude così un ragionamento che è più che altro una chiamata di correo: “Dobbiamo stare molto attenti perché qui si rischia di mettere in gioco il ruolo costituzionale del Csm e l’autonomia della magistratura. Non venga in mente a nessuno di strumentalizzare per provare a minarle. L’opposizione del Pd raggiungerebbe un livello inusitato”. Parole pesantissime, oltre che un avviso di sfratto a Lotti, che si traducono così, come se fossimo ai tempi del terrorismo: il Pd ‘reagirà’, dice Zanda, ‘in modo inusitato’, dunque anche contro pezzi di ‘altro’ Pd. 

 

Come e dove nasce il caso Csm che poi diventa caso Lotti

 

Si dimette il giudice Corrado Cartoni

Si dimette il giudice Corrado Cartoni

 

E così, nel giorno in cui si dimette anche Corrado Cartoni, di Magistratura Indipendente, altro togato del Csm coinvolto a sua volta nella riunione che avrebbe avuto proprio con Luca Palamara e Luca Lotti al fine di pilotare le nomine del nuovo procuratore capo di Roma, il successore di Pignatone, il caso Csm diventa il caso Lotti e travolge il Pd. Tutto è partito dal fatto che il procuratore generale della CassazioneRiccardo Fuzio, nell’atto di incolpazione a carico di cinque togati del Csm, riferendosi a Lotti – indagato a Roma da oltre un anno per il caso Consip – scrive: “Si è determinato l’oggettivo risultato che la volontà di un imputato abbia contribuito alla scelta del futuro dirigente dell’ufficio di procura deputato a sostenere l’accusa nei suoi confronti”. Nelle intercettazioni si sente l’ex ministro che – a proposito di Ermini – dice: “Qualche messaggio gli va dato forte”. Intercettazioni tutte da provare, ovvio, in sede di giudizio, quando sarà. 

 

Palamara Ferri e Lotti

Lotti parlava con Luca Palamara, Cosimo Ferri e consiglieri del Csm del nuovo procuratore di Roma

 

Queste le parole che sarebbero state scambiate durante una riunione, a cena, del 9 maggio scorso in cui Lotti parlava con Luca Palamara, Cosimo Ferri e consiglieri del Csm del nuovo procuratore di Roma che avrebbe dovuto prendere il posto di Pignatone e che, secondo l’accusa, Lotti e Ferri volevano ‘pilotare’. 

 

Lotti contrattacca e ricorda a Zanda le sue ‘sedute spiritiche’

 

Aldo Moro

Aldo Moro

 

Intanto, Lotti – difeso a spada tratta, come vedremo dopo, solo dai renzianissimi – prende carta e penna e contrattacca: “Caro segretario, apprendo che la mia vicenda imbarazzerebbe i vertici del Pd. Il responsabile legale del partito (cioè Zanda, appunto, in quanto tesoriere, ndr.) mi chiede esplicitamente di andarmene per aver incontrato alcuni magistrati. Fa quasi sorridere che tale richiesta arrivi da un senatore di lungo corso già coinvolto – a cominciare da una celebre seduta spiritica (il riferimento è a quella che si tenne, durante il rapimento e poi l’uccisione di Aldo Moro, e che coinvolse Romano Prodi e altri esponenti della Dc, ndr.) – in pagine buie della storia del Paese”. Zanda, a quell’epoca, era il portavoce del ministro dell’Interno, Francesco Cossiga, ed ebbe parte alla seduta spiritica che avrebbe individuato il covo in cui le Br detenevano Moro prigioniero, anche se con uno scambio di indirizzo non di poco conto: invece di via Gradoli, a Roma, le ricerche del Viminale e delle Forze di Polizia si ‘concentrarono’ infatti, inutilmente, sul paese laziale di… Gradoli.

 

Romano Prodi

Nella foto: Romano Prodi
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Chiude, si fa per dire, la giornata, proprio Zingaretti: “Ringrazio Lotti per un gesto non scontato di sensibilità verso la politica, le istituzioni e il Pd. Sono consapevole della sua difficoltà umana, ma questa scelta di consentirà di chiarire e tutelare al meglio la sua posizione nella vicenda”.

In attesa che Lotti ‘chiarisca’ la sua conclusione, però, sta andando a pezzi in via definitiva il Pd.

 

Il Pd è una polveriera, solo che ormai è già esplosa…

 

Massimo Cacciari

Cacciari chiede di allontanare Lotti

 

Il Pd è una polveriera, e pure già esplosa. Il ‘caso Lotti’ ha fatto saltare quel poco di unità interna che era stata, faticosamente, ritrovata, dopo l’elezione di Zingaretti. Il quale, dopo l’attacco ad alzo zero di Zanda e la autosospensione di Lotti, lo ringrazia per “il nobile gesto”. Ma a molti non basta. Carlo Calenda e Massimo Cacciari chiedono a Zingaretti, in sostanza, di ‘cacciare’ Lotti dal partito. Come già avevano fatto, peraltro, lo scrittore, ed ex senatore dem, Gianfranco Carofiglio, e l’attuale europarlamentare dem, capolista nella circoscrizione Sud, Franco Ruberti, ex procuratore antimafia. 

 

Lotti e Zingaretti

Lotti e Zingaretti

 

Il Transatlantico di Montecitorio, da almeno due giorni, almeno sul lato del Pd è una cloaca massima, ricolma di miasmi mefitici e dall’aria irrespirabile. Basti ascoltare i vari commenti di ieri, per quanto coperti da un rigoroso anonimato, altrimenti – specie su vicende così – nessuno parla. 

“Beh, maddai, anche Zanda (Luigi, ex capogruppo del Pd al Senato, oggi tesoriere del Pd, anti-renziano doc, ndr.) parlava con i giudici del Csm per le nomine dei politici (i membri ‘laici’, ndr.) dentro il Csm!” dice un deputato dem. E via così, o anche peggio, contro Orlando e pure Zingaretti, di cui si ricorda, con malizia, che è indagato presso la procura di Roma per finanziamento illecito. 

 

“Così fan tutte” di Mozart

“Così fan tutte” di Mozart

 

Più che “l’imbarazzo” del Pd, che pure regna sovrano, nel Transatlantico di Montecitorio, sul caso Lotti, tra i deputati dem (i quali, va detto, sono per la maggior parte eletti in base a liste elettorali compilate da Renzi) circola un altro, poco nobile, sentimento. Quello che, per dirla con Wolfang Amedeus Mozart, risponde al titolo di una sua celebre opera e aria, “Così fan tutte”.

Insomma, Lotti, “forse”, sarà colpevole di “qualcosa”, ma insomma “siamo uomini di mondo” – per dirla, invece, con il profano Totò – e, quindi, “di cosa ci si stupisce, oggi?”.

 

“siamo uomini di mondo” - per dirla, alla Totò

“siamo uomini di mondo” – per dirla, alla Totò

 

Ecco, di nulla, o quasi, ci si stupisce. Almeno in un Pd dove, a microfoni aperti, non vuole proprio parlare nessuno – ma nessuno – del caso che ha investito in pieno l’ex sottosegretario di Renzi alla presidenza del Consiglio, ex ministro allo Sport del governo Gentiloni, oggi deputato ‘semplice’ dei dem, ma anche coordinatore nazionale, insieme a Lorenzo Guerini, della nuova area dem “Base riformista” che raggruppa il grosso delle truppe parlamentari attuali, tutte ex renziane.

 

Zingaretti affronta tra reticenze e imbarazzi il caso Lotti

 

Ma imbarazzi, dubbi amletici, psicosi da fortino assediato si vivono pure nel nuovo Pd di Zingaretti.

 

Zingaretti affronta tra reticenze e imbarazzi il caso Lotti

Zingaretti affronta tra reticenze e imbarazzi il caso Lotti

 

Tanto per dirne una, l’altro ieri, arriva solo alle 19 de la tarde – dopo che il caso che riguarda Lotti e le sue intercettazioni è esploso, su tutti i giornali, dal primo mattino, e molto dopo la puntuta difesa che Lotti fa del suo operato su Facebook, difesa rilanciata dai pasdaran renziani Morani, Rotta, etc. – la nota stampa del segretario dem. Una nota assai prudente. “Il Pd – puntualizza Zingaretti – non si occupa di nomine magistrati né si dedica a organizzare maggioranze nel Csm. Di fronte all’indagine relativa al Csm, se emergeranno rilievi penali, mi atterrò sempre al principio garantista e di civiltà giuridica per cui prevale la presunzione di innocenza fino alle sentenze definitive. L’oggetto delle indagini non sono le frequentazioni, ma il merito, si faccia piena luce”. Poi, la nota si fa quasi dolente (“loffia”, secondo alcuni): “Agli esponenti politici del Pd protagonisti di quanto è emerso non viene contestato alcun reato. Per questo, ogni processo sommario celebrato sulla base di spezzoni di intercettazioni va respinto. Ma il mio Pd non ha mai dato mandato a nessuno di occuparsi degli assetti degli uffici giudiziari, non si occupa di nomine di magistrati, non dà consigli o si dedica a organizzare maggioranze nel Csm”.

 

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L’ex ministro e big del Pd, Dario Franceschini

 

Ma subito le parole del segretario fanno infuriare Lotti (“Grazie, ma io non faccio nomine e nel ‘suo’ Pd ci sono anch’io”) e i renzianissimi si scatenano: Morani, Rotta, Malpezzi, Parrini difendono Lotti come una perfetta falange macedone. Fine? No. Dario Franceschini, uno che ne ha viste tante, spiega a un amico: “Qui viene giù tutto, Salvini sta per mollare Di Maio al suo destino, preparatevi che a settembre si vota”. Zingaretti ci spera: in questo modo, i parlamentari dem saranno ‘cambiati’.

Poi, si arriva a ieri. Un uno-due impressionante: parole di fuoco di Zanda, autosospensione di Lotti, ‘grazie’ di Zingaretti e, alla fine, scoppio della mina che fa ‘brillare’ il Pd tra renziani ed anti-renziani. 

 

Il retroscena. Quando Renzi separò i suoi destini dai renziani 

 

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Matteo Renzi, ex premier ed ex leader del Pd

 

Per capire cosa accade, però, bisogna fare non uno, ma due passi indietro. Ai giorni in cui Matteo Renzi decide, davanti a un Zingaretti lanciatissimo nella corsa alla segreteria del Pd, dopo le sue dimissioni, durante l’inverno del 2018, , di opporgli una candidatura ‘forte’, quella di Marco Minniti. Il quale, però, gli chiede un impegno solenne: “Mi devi garantire che tu e i tuoi non uscirete mai dal Pd. Pubblicamente”. Renzi, quell’impegno, non lo prende e Minniti si ritira dalla corsa fino al punto che oggi appoggia Zingaretti. Il resto è storia. Per Zingaretti vincere il congresso è bere un bicchiere d’acqua, la candidatura di Martina non riesce mai a decollare, nasce debole e muore vaga, quella di Giachetti è una pura candidatura di testimonianza e orgoglio del renzismo militante ma non allarga il campo, lo respinge. 

 

Achille Occhetto

Achille Occhetto

 

L’area renziana, cioè il grosso del partito, intanto, si era data appuntamento a Salsomaggiore. Riunione in cui Renzi dice “io impegni, sul mio futuro, non ne prendo, voi fate quello che volete”. Insomma, a differenza di Pietro Ingrao, che – al convegno di Arco di Trento del 1991 organizzato dalle diverse minoranze del Pci (cossuttiani, sinistra ex del manifesto e, appunto, ingraiani  che, poi, diedero vita alla scissione di Rifondazione comunista, nel 1992, separandosi per sempre dal Pds di Achille Occhetto – disse “Io preferisco restare nel gorgo”, Renzi nel ‘gorgo’ ha fatto capire subito che non ci vuole restare. 

 

I renziani lealisti sono ‘rimasti nel gorgo’, ma fino a quando?

 

Antonello Giacomelli

Antonello Giacomelli

 

I renziani ammutoliscono, capiscono che il leader può andarsene, prima o poi, dal partito. i destini dei due, Capo e seguaci, incredibilmente e per la prima volta si dividono. Il grosso dell’area, capitanata da Luca Lotti, Lorenzo Guerini e Antonello Giacomelli, prima appoggia, tiepida, Martina, poi sceglie di dar vita a una corrente autonoma, “Base riformista”. I renziani ‘lealisti’ sono dunque pronti a restare nel Pd, anche a costo di dover digerire l’alleanza con “gli scappati di casa” (copyright Giachetti) di Mdp alle Europee, come puntualmente avviene, per non dire dello spostamento  del partito ‘a sinistra’. Bene, ora quel patto – stretto tra Zingaretti con Lotti, Guerini e gli altri – si è, di fatto, rotto, è andato in frantumi.

Colpa del caso Lotti, appunto. Prima la difesa ‘tiepida’ di Zinga del deputato fiorentino, avanti ieri, poi, le parole di Zanda, ieri. Lotti, sconvolto e ferito, si autosospende, i renziani si indignano furibondi. Tutti. Gli giachettiani, renzianissimi, i lottiani e persino i renziani tiepidi. Malpezzi, Morani, Paita, Parrini, gonfiano le agenzie di stampa di comunicati di solidarietà verso il loro ‘campione’.

 

In ballo, dopo Lotti, un dubbio: restare ancora nel Pd o no?

 

“Salvini si è dimostrato, con i suoi, più garantista di Zingaretti”

Salvini e Zingaretti

 

Salvini si è dimostrato, con i suoi, più garantista di Zingaretti” dicono molti pasdaran del renzismo, masticando amaro. I veleni contro Zingaretti (“E’ indagato per finanziamento illecito, ma nessuno ne parla…”), Andrea Orlando e, ovviamente, contro Luigi Zanda (“un vigliacco manovrato da Gentiloni che odia Renzi e Lotti anche più di Enrico Letta”) si sprecano. Sfoghi privati, ovviamente. In pubblico solo difese – ovviamente a testuggine, come una falange oplitica – dell’onore di un “galantuomo”, della sua “generosità”, delle sue “qualità politiche e umane” (Guerini), etc, etc. Ma, anche, un’accusa sottile quanto pesante: “Il Pd non può essere un partito garantista a fasi alterne” (Andrea Marcucci che, ancora oggi, pure renzianissimo, è il capogruppo del Pd al Senato). Frase condita da una velata minaccia: “Il Pd deve aprire una discussione sul rapporto tra politica e giustizia”. Ecco, come sarà la ‘discussione’ e come sfocerà?

 

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Il presidente del Copasir, ed esponente del Pd, Lorenzo Guerini

 

Sarà accesa e animata, ovviamente. Oggi si apre, ad Assisi, l’assemblea nazionale dei ‘turbo-renziani’, l’area Giachetti e Ascani, evento cui parteciperanno anche la Boschi, Rosato e molti altri. pasdaran. Il 5 e 6 luglio, a Chianciano, si terrà l’assemblea nazionale di “Base riformista”, corrente che, però, oggi è come decapitata. Guerini fa il presidente del Copasir, Lotti è ormai fuori gioco. Giacomelli prova a mediare: “La nostra iniziativa va avanti. La scelta di Luca non va immiserita con equilibri interni”. Sarà. I renziani, più che minacciare, ora, scissioni, temono che, quando ci saranno nuove elezioni politiche, Zingaretti li ‘epuri’, cacciandoli dalle liste elettorali. Del resto, Renzi fece la stessa cosa nel 2018, con le minoranze. Il catalogo, dentro un Pd sconvolto dal caso Lotti, è questo. 

 


 

Questo articolo, scritto per il blog, è la fusione, organizzata e commentata, di ben tre articoli usciti sul Quotidiano Nazionale tra il 14 e il 15 giugno 2019.