“Un amalgama mal riuscito”. Nel Pd stanno venendo al pettine nodi che risalgono alla sua nascita

“Un amalgama mal riuscito”. Nel Pd stanno venendo al pettine nodi che risalgono alla sua nascita

17 Giugno 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

Calenda insorge: “Siamo al giardino d’infanzia!”

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L’ex ministro Carlo Calenda

 

Carlo Calenda ha molti difetti e pochi pregi. Tra questi ultimi c’è, di sicuro, il dono della schiettezza. Sono due giorni che i suoi post (nel caso di oggi era un video, in realtà, postato su tutti i suoi social) fanno rumore, dentro un Pd terremotato dal ‘caso Lotti’ quanto dal ‘caso Segreteria’. Il secondo ‘caso’, quello di oggi, è il più fresco, in quanto a oggetto di polemica e in quanto a post di Calenda. 

Il quale, appunto, scrive: “Siamo al giorno della marmotta, siamo a dove era il Pd prima del 4 marzo, ricominciando daccapo con divisioni assurde non sulle politiche, sui cui fondamentali siamo d’accordo, ma sulle cavolate. Ci sono due eventi che hanno determinato questa implosione: il caso Luca Lotti sul cui comportamento io sono stato chiaro e ho reputato inaccettabile perché non aveva alcuna delega per occuparsi del Csm e il caso della segreteria (quella nuova appena nominata da Zingaretti, ndr.) che non ha funzionato e che, evidentemente, è stato un colpo mancato”.

Calenda definisce, con intelligente perfidia, il Pd “un kindergarten (letteralmente vuol dire “giardino d’infanzia”, ma l’espressione si usava solo nelle famiglie benestanti come la sua, ndr.), un asilo”. “Ora – continua l’europarlamentare neo-eletto nelle liste del Pd e a capo del movimento “Siamo europei” (movimento/partito) – Paolo Gentiloni (che del Pd è il presidente, ndr.) chiami tutte le componenti, facciano il sacrosanto favore di sedersi e costruire un governo ombra tosto, allargato a persone fuori del Pd e un programma”. Al di là del fatto che il ‘governo ombra’ provò a farlo il Pds di Achille Occhetto e non è che l’idea ebbe, poi, tanta fortuna, resta il punto: quello di Calenda è una vera ‘chiamata alle armi’ alle varie componenti dem affinché le armi, dato lo scontro, siano deposte. 

Nel primo post, quello di ieri, Calenda non era stato meno tenero: “Facciamola finita con questo cazzeggio. E quando vince Renzi lo sabotano da sinistra e quando vince Zingaretti si incazzano gli altri. Che palle, ‘sto partito. Ma andiamo a fare opposizione! Basta. Zingaretti senta Renzi, Giachetti, Martina, etc. e troviamo una soluzione”, dice – anzi, quasi ‘prega’ gli altri – l’ex ministro. Ora, al di là del fatto che, a Calenda, le ‘cene per farli conoscere’, di solito riescono malissimo, come quella che avrebbe dovuto organizzare per mettere intorno a un tavolo Renzi e Minniti (nessuno dei commensali se la sentì di accettare l’invito) ha pure ragione, ma è la ragione del neofita che del Pd non conosce le nuances. Un partito, il Pd, ormai, a rischio scissione conclamata

Matteo Renzi tace, ma è gonfio di ira, per la messa al bando del ‘suo’ Luca (Lotti), e pensa solo a costruire i suoi ‘Comitati civici’, da tempo in mano alle amorevoli cure di Ivan Scalfarotto, Sandro Gozi ed Ettore Rosato (tutti e tre ancora, formalmente, dentro il Pd, ma con le valigie pronte).

La possibilità che i destini si separino, tra zingarettiani e renziani (ex e pasdaran) si fa ogni giorno che passa più concreta. Domani, la Direzione dem, già convocata, sarà una vera resa dei conti

Ma la base democrat è in pieno fermento e ribolle (un articolo da leggere): “Mentre voi litigate Salvini si mangia l’Italia“.

 

 

Dopo il ‘caso Lotti’, scoppia il caso ‘nuova Segreteria’

 

Il caso Lotti fa superare nel PD il livello di guardia

Il caso Lotti fa superare nel PD il livello di guardia

 

Certo è che la polemica interna, nel Pd, ha superato ampiamente il livello di guardia. In teoria, il dibattito verte sul “rapporto tra politica e giustizia”, ma in pratica è su Lotti, auto-sospesosi dal partito, dopo le rivelazioni sul ‘caso Csm’ e pesantemente attaccato da esponenti di rilievo del Pd di Zingaretti(vedi alla voce: Luigi Zanda) e da intellettuali esterni al Pd, ma molto legati ad esso (il filosofo Massimo Cacciari, l’ex pm Gianfranco Carofiglio, manca solo, all’appello, Saviano…).

renziani partono lancia in resta contro Zingaretti e la “caccia alle streghe” che sarebbe partita, dentro il partito, attaccando “l’insopportabile giustizialismo del nuovo Pd di Zingaretti”. Questo è anche quanto emerge dall’assise nazionale dei pasdaran, la mozione “Sempre Avanti!” di Giachetti e Ascani che si è tenuta, per due giorni, ad Assisi, tra i fuochi d’artificio, e che si è chiusa ieri. 

 

“Scelte provocatorie, sembra il Pds” dicono i renziani

 

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Roberto Giachetti

 

Ma, da due giorni, a far rumore sono anche gli ‘scazzi’ interni al Pd sul nuovo organigramma. “Scelte provocatorie”, quelle della nuova Segreteria, le bollano i renziani, ormai tutti uniti e, cioè, privi di sostanziali differenze tra ‘moderati’ e ‘pasdaran’. Infatti, anche dentro Base riformista, stanno ormai prendendo, a malincuore, consapevolezza, di finire ‘schiacciati’ sulle posizioni oltranziste di Giachetti&co. “Il nuovo Pd non esiste, sembra il Pds di Occhetto” tuonano i renziani, Andrea Marcucci in testa, mentre Sandro Gozi, molto vicino a Renzi, e coordinatore dei Comitati civici, spiega che “bisogna costruire qualcosa di più ampio, oltre il Pd”, e Casini incita Renzi a fare esattamente questo, come aveva già annunciato, in tempi non sospetti, con un’intervista. Martedì, in Direzione nazionale dem, se ne vedranno delle belle. I renziani, di fatto, si preparano ad andarsene? La domanda resta aperta, e Zingaretti prova a correre i ripari: dopo aver fatto nomine che i renziani giudicano “provocatorie” (il coordinatore dell’intera segreteria, epurato da Renzi alle Politiche 2018, Andrea Martella, gli ex LeU Peppe Provenzano e Marco Furfaro, il responsabile Riforme istituzionali, Andrea De Giorgis, di cui oggi i renziani ricordano il suo ‘impegno’ contro, e non certo a favore, del referendum costituzionale del 2015, anche se, alla fine, De Giorgis non aderì alla scissione di Mdp), il segretario dice che “troverà il modo di coinvolgere le minoranze nella gestione del partito”. 

Si parla di ‘aperture‘ sulle nomine dei responsabili dei vari Dipartimenti – i quali, però, già dai tempi del Pci, mai nulla hanno davvero contato… – e di altre mosse che il segretario avanzerà in Direzione. 

 

La ‘maledizione’ del Pd, “un amalgama mal riuscito” (D’Alema)

 

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L’ex segretario ed ex premier del Pds-Ds, Massimo D’Alema

 

I renziani, acidi, ricordano a Zingaretti, in merito alla composizione della nuova Segreteria, che “sembra il Pds di Achille Occhetto” (il quale, peraltro, fece scrivere il programma del Pds al filosofo liberal Michele Salvati) e che subì una pesantissima scissione a sinistra, quella di Rifondazione comunista, o “i Ds di Fassino e D’Alema” (i quali, però, per dire, si batterono a lungo e aspramente contro la Cgil di Sergio Cofferati e anche contro la ‘stagione dei girotondi‘, nel “biennio rossiccio” del 2000-2001) e, ovviamente, “la ‘Ditta’ di Bersani” (il quale, però, aprì ai moderati e ai centristi).

Gli zingarettiani, dopo aver morso il freno e mangiato polvere per anni (“Pane e cicoria” avrebbe detto Francesco Rutelli che, però, all’epoca ce l’aveva con Romano Prodi, leader dell’Ulivo, che lo aveva, con malcelato disprezzo, definito ‘nu bello guaglione’), non vedevano l’ora di rendere pan per focaccia “a quelli della Margherita” (partito da cui proveniva Rutelli, ma anche Renzi e tutti i suoi), per non dire del PPI che fu, il partito di Castagnetti, Marini, Franceschini e di … Sergio Mattarella.

 

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Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella

 

Divisioni e rancori che si perdono nella notte dei tempi e che hanno visto, negli anni Novanta, ma anche negli anni Duemila, la filiera del Pci-Pds-Ds e quella del PPI-Asinello-Margherita guardarsi in cagnesco e farsi una guerra sorda. Pezzi di partito diversi e distanti che non si sono mai fusi.

Volendola mettere sul piano ‘nobile’, socialdemocrazia contro liberaldemocrazia, blairismo contro reducismo di sinistra, ‘rifondazione’ della Sinistra o ‘rifondazione’ del centrosinistra, etc. etc. etc. Volendola mettere sul piano pratico, invece, veltroniani contro dalemiani, popolari contro ulivisti, renziani contro zingarettiani, Giovani turchi contro orlandiani e cuperliani, franceschiniani contro fassiniani, e giù giù, via via, pe’ li rami di un numero di ‘correnti’ o ‘aree’ del Pci-Pds-Ds-Pd di cui, francamente, si è perso il conto, ma che non hanno mai davvero smesso di farsi una lunga guerra. 

E così, la maledizione di D’Alema (“Il Pd è un amalgama mal riuscito”) diventa una profezia che si auto-avvera. Certo, D’Alema è ‘sempre lui’: quello dell’insofferenza malcelata per Prodi e Veltroni (“due flaccidi imbroglioni”, copyright sempre di D’Alema), quello che disprezzava ‘la società civile‘ (“Come se noi politici fossimo la ‘società incivile’…”), quello che odiava (e odia) i giornalisti (“Siete, come diceva Stalin, e aveva ragione, ‘iene dattilografe'”), quello che fece una guerra asfissiante al suo ‘gemello diverso’ (stile, oggi, Salvini e Di Maio), Walter Veltroni, a partire dal Pci, passando per il Pds e i Ds, per arrivare fino al Pd (Veltroni ne diventa il primo segretario e D’Alema fonda la prima corrente organizzata, ‘Red’, un prodotto di scissione, tanto che i due li chiamavano “I Duellanti” come nel famoso film di Ridley Scott (tratto da un bellissimo racconto di Joseph Conrad) in cui due ufficiali dell’esercito napoleonico si sfidano a duello lungo vent’anni su tutti i campi di battaglia, ma non ricordano più, alla fine, più per cosa. 

"I Duellanti" nel famoso film di Ridley Scott

“I Duellanti” nel famoso film di Ridley Scott

 

Ecco, negli ultimi anni, dalla contrapposizione tra ‘dalemiani‘ e ‘veltroniani‘, si è passati all’odio profondo e sordo degli ex comunisti causato dalla calata degli hykos (il popolo indoeuropeo che, spuntato chissà da dove, travolse l’antico regno degli Achei), cioè i renziani del ‘giglio magico’.

 

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L’ex segretario dei Ds Piero Fassino

 

I quali “barbari” renziani si sarebbero appropriati di un partito, il Pd, e di un luogo, il Nazareno (sede del Pd dopo il ‘Loft’ di veltroniana memoria e il ‘Botteghino’ dei Ds di Fassino, lontani anni luce, ovviamente, dal ‘Bottegone’, sede del Pci) con un’operazione politicamente legittima (Renzi, in fondo, ha vinto per ben due volte le primarie, nel Pd, con percentuali schiaccianti) ma che “gli altri” (gli eredi, appunto, pur se alla lontana, della tradizione post-comunista) hanno vissuto come una vera e propria “usurpazione”. Come ha dimostrato la scissione di Mdp (Speranza-Bersani-D’Alema) i quali, guarda caso, hanno deciso di ‘tornare a casa’ solo quando, appunto, Renzi è stato disarcionato e, nel Pd, ha vinto Zingaretti. Il Pd, insomma, è quello che è: un partito mai nato.

 

Ma ora è tempo, nel Pd, che tutti i nodi vengano al pettine…

 

Nodi al pettine, scissione PD?

Nodi al pettine, scissione PD?

 

Oggi, però, complice il ‘caso Csm’ e, soprattutto, il ‘caso Lotti’, tutti i nodi vengono al pettine e il Pd si dimostra per quello che, in realtà, è da molti anni: un partito terremotato, diviso, intriso di odi, rivalità e vendette (alcune ataviche), dove tutti, maggioranza e minoranza, si marcano a uomo.

Archiviata – si fa per dire – la questione Lotti con la difesa appassionata e per nulla d’ufficio – di tutti, ma proprio tutti – i renziani di ogni grado, appartenenza e lombi di renzismo, la polemica – ad alzo zero, tanto per cambiare – si è spostata sulla ‘fisiognomica’ della nuova segreteria dem.

 L’occasione per dar fuoco alle polveri è la convention nazionale della mozione “Sempre Avanti”, guidata da Roberto Giachetti e Anna Ascani che ha chiuso i suoi lavori ad Assisi coi fuochi d’artificio. Vi convergono, per dire, anche alcuni esponenti del renzismo che, in teoria, non ne fanno parte. Il deputato Ettore Rosato, oggi impegnato a costruire i Comitati civici di Renzi, prima usa l’ironia (“Scelta legittima di Zingaretti, la Segreteria, costruita a immagine del Pd che vuole”), poi affonda: “Se partiamo dal principio che la politica richiede leadership, dico che di leadership in giro se ne vedono tante, ma di quelle che muovono il Paese ne ho vista una sola” (e qui intende, ovviamente, la leadership del convitato di pietra dell’assise medesima, e cioè Matteo Renzi).

 

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L’ex ministro alle Riforme Maria Elena Boschi

 

L’ex ministro Maria Elena Boschi, invece, incredibilmente frena (c’è chi dice perché detesta Lotti, ma malignità): “Dentro il Pd ci sono tante anime che speriamo possano essere ascoltate e valorizzate. Il nostro segretario ora è Zingaretti, rispettiamone il lavoro, ma ci aspettiamo proposte nuove”.

 

I renziani pasdaran preparano davvero le valigie?

 

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Luigi Zanda, tesoriere del Pd

 

La tocca piano, da par suo, la Ascani: “Ci dipingono come il passato e fa ridere. Fa molto ridere. Zanda è il futuro e io e gente di 30/40 anni come me il passato. Le comiche. Chi pensa di superare il passato recente recuperando il passato remoto è un pazzo. A noi tocca recuperare la spinta (Renzi,ndr.). Il problema della rottamazione è averla proclamata, ma poi non averla fatta”. Chiude, però, Giachetti, in versione stranamente soft: “E’ stato frainteso il senso di un post ironico su Instagram in cui prendevamo le distanze sulle nomine della segreteria. Da parte nostra non c’è stata nessuna irritazione per l’esclusione perché frutto di una scelta consapevole”.

 

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Nicola Zingaretti, segretario del Pd

 

Ma il problema, ovviamente, non è un post su Instagram, ma quella che, nel Pci, si chiamava “la linea politica”. Il renzianissimo capogruppo dem al Senato, Andrea Marcucci ha parlato di “deriva identitaria” (cioè, appunto, risalente al vecchio Pci-Pds-Ds), Alessia Morani del “più potente esercizio di bullismo correntizio dalla nascita del Pd”. Già, peccato che Renzi, quando disse ai suoi renzianissimi ‘andiamo a comandare’, fece esattamente come Zingaretti, se non molto peggio.

 

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Matteo Renzi tra la folla

 

La verità è che il Pd è un partito già finito perché, forse, mai nato. Prima o poi le strade di Zingaretti da un lato e di Renzi e i suoi dall’altro si divideranno. Con matematica certezza alle future Politiche, forse pure prima. Anche perché se, oggi, il grosso delle truppe parlamentari è fedele – ancora? – a Renzi, domani – quando Zingaretti compilerà le nuove liste per le Politiche – non lo sarà più.

 


 

L’articolo è frutto della rielaborazione di due articoli usciti il 17 giugno 2019, su QN e su Tiscali.it .