Renzi fa la sua “proposta indecente”. Un ‘governissimo’ per “salvare i conti”. L’M5S abbocca, Zingaretti furibondo

Renzi fa la sua “proposta indecente”. Un ‘governissimo’ per “salvare i conti”. L’M5S abbocca, Zingaretti furibondo

11 Agosto 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

Matteo Renzi, con un’intervista rilasciata oggi al Corriere della Sera e a firma di Maria Teresa Meli, propone un ‘governissimo’ da fare “con chi ci sta” per “salvare il Paese da Salvini”. M5S e molti peones di tutti i partiti pronti a raccogliere il ‘grido di dolore’. e la linea ‘anti-Salvini’ Zingaretti, furibondo, si oppone. 

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Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Bisogna offrire a Mattarella un’alternativa alle urne” è il mantra, il tam tam, che agita da giorni i parlamentari dem.

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Matteo Renzi tra la folla

E così, oggi, tramite intervista al Corriere della Sera, l’ex leader ed ex premier del Pd, Matteo Renzi, vuole dare una risposta al ‘grido da dolore’ che “da più parti gli giunge”: avanza da parte di tutti i leader e leaderini dei 5Stelle, da Di Maio a Di Battista, da Casaleggio a Beppe Grillo, dilaga tra le anime perse della Sinistra-Sinistra come tra quelle di Forza Italia, che un altro seggio elettorale lo vedrebbero, in caso di voto anticipato, col binocolo, fino ai peones di ogni partito che vivono nel terrore causa la minaccia delle urne avanzata, come si sa, dal leader della Lega Salvini.

 

Renzi lancia il “governo istituzionale di garanzia” anti-Salvini

Matteo Renzi

Matteo Renzi

Serve – dice oggi Renzi al Corriere della Sera – un governo di responsabilità nazionale” (formula che riecheggia la ‘solidarietà nazionale‘ del triennio 1976-1979, cioè i governi a guida Andreotti che si basavano sui voti della Dc e degli altri partiti laici e sull’astensione ‘attiva’ del Pci, ndr.) o, meglio, “un governo istituzionale di garanzia” che, guidato da una personalità terza (un costituzionalista di fama, per dire, ndr.) – questa almeno sarebbe l’idea dei renziani e di Renzi – affronti le principali emergenze del Paese.

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Lo statista della Dc, Giulio Andreotti

Sia economiche (la legge di Stabilità da scrivere, le clausole di salvaguardia da disinnescare, etc.) che istituzionali (il taglio del numero dei parlamentari, ma soprattutto una nuova legge elettorale a base proporzionale che col taglio dei parlamentari faccia quadrato, e poco importa che quella riforma il Pd non solo non l’ha mai votata, ma l’ha contrastata, in Parlamento…).

Salvini e Renzi in aula

Salvini e Renzi in aula

Il fine, esplicito, di Renzi è di ‘traghettare’ il Paese a una fase politica che torni a essere ‘normale’, quando – in un futuro non meglio precisato (mesi? Anni? Non si sa…) – sarà, finalmente, giusto tornare a votare. Renzi, che rifiuta l’accusa di “inciucio” con i grillini e di “pensare solo alle poltrone”, come sibilano dal Nazareno, punta tutti i suoi obici contro “Capitan Fracassa” (Salvini) che “vuole pieni poteri e che vuole anche restare al Viminale per gestire lui le elezioni. Dobbiamo impedirlo”. 

Le urne elettorali

Le urne elettorali

Renzi e tutti i suoi vogliono impedire a Salvini le urne, ma anche – è il sottotesto implicito – impedire a Zingaretti, che le urne, invece, le persegue, in una sorta di ‘patto’ tacito con Salvini, di comporre, forte dei numeri negli organismi interni del Pd, le liste elettorali, ‘sterminando’ i renziani.

 

Ma quanti sono i renziani pronti a seguirlo? Parecchi…

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Un primo piano di Matteo Renzi

Ma, una volta metabilizzato “il più grande spettacolo dopo il Bing-Bang” – e cioè “vedere Renzi che vuole fare un ‘governissimo’ con l’M5S che, fino a oggi, considerava il suo peggior nemico, oltre che con tutti gli Scilipoti e i Razzi di turno” – come dicono, indignati, gli zingarettiani, bisognerà capire ‘quanti’ parlamentari dem saranno disposti a seguire Renzi su questa strada, faticosa e impervia. 

Al Senato, su 51 senatori, i renziani dicono di essere “almeno 40” mentre al Nazareno (oggi casa di Zingaretti) ne contano appena “una ventina”. Alla Camera, su 111 deputati, i renziani sono circa ottanta, ma potrebbero perdere pezzi alcuni pezzi, anche pregiati, a favore di Zingaretti, pronto a ricompensarli con lo scranno garantito anche per il futuro. Il capogruppo dem al Senato, Marcucci, è perinde ac cadaver con Renzi, invece quello alla Camera, Delrio, si barcamena (un po’ Zinga, un po’ no), ma ha anche detto, in un’intervista, che “non si può consegnare a Salvini la successione a Mattarella, se si votasse subito, visto che godrebbe di una maggioranza blindata da qui al 2022″. 

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Il capogruppo alla Camera del Pd, Graziano Delrio

Un governissimo, però, potrebbe contare sull’intera massa dei parlamentari pentastellati, su una quarantina di azzurri (20 alla Camera e 20 al Senato), sul gruppo Misto (27+15) e – incredibile! – su parlamentari di LeU (14 deputati e 7 senatori), fino a ieri nemici acerrimi del renzismo, ma che oggi – nota, da burlone, l’ex Rottamatore – mi mandano messaggini dicendomi “ci puoi salvare solo tu…”.

Dario Franceschini

Dario Franceschini

Ma anche un big dem come Dario Franceschini (il quale starebbe per compiere l’ennesima giravolta della sua carriera politica: da Veltroni a Bersani, da Bersani a Renzi, da Renzi a Zingaretti, ora di nuovo Renzi), oltre che, ovviamente, l’area di Lotti-Guerini, e quella di Orfini, sarebbero della partita.

Il Nazareno la prende malissimo: “E’ il governo dei morenti”

Roma palazzo del bufalo 03 largo del nazareno

Largo del Nazareno, ove ha sede il PD

 

Ovviamente, la notizia della mossa di Renzi è già arrivata, in via preventiva, al Nazareno, dove non la prendono bene, anzi malissimo: “Renzi vuole guidare, con Grillo, Fico, Bersani e Berlusconi, il partito dei morenti contro il partito dei viventi, noi e Salvini”. Dal Nazareno la risposta ufficiale è glaciale: “Solo 15 giorni fa la Direzione ha votato all’unanimità contro ogni alleanza col M5s”, ricorda la vicesegretaria Paola De Micheli, rispetto a una Direzione dove erano i renziani ad accusare di inciucio Zingaretti e, durante la quale, passò l’ordine del giorno Calenda: “Mai con i 5Stelle!“.

Nicola Zingaretti

Nicola Zingaretti

Anche Gentiloni e Calenda sono contrari, a tale prospettiva, a, se si arrivasse allo showdown, “i renziani dovrebbero uscire dal gruppo del Pd e andare nel Misto perché, in base al nuovo regolamento del Senato, non hanno un simbolo regolarmente depositato alle elezioni e quello del Pd è in mano nostra”, dicono gli Zingaretti boys. Una rottura epocale che segnerebbe, di fatto, la fine del Pd

 

Nel frattempo, il primo tempo della crisi si aprirà al Senato

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Intanto, come si sa, il primo tempo della crisi politica si aprirà lunedì prossimo, 12 agosto, in quel del Senato: la conferenza dei capigruppo dovrà decidere – a maggioranza se manca l’unanimità – se convocare i senatori il 14 agosto, come chiede Salvini (ma ci sarebbe un’oggettiva difficoltà a mettere in moto la macchina parlamentare) o, come preferiscono – non senza malizia, cioè per allungare i tempi – Pd, M5s e gruppo Misto, la settimana successiva, che si apre il 19 agosto.

salvini mozione sfiducia

La mozione di sfiducia anche per Salvini

La seduta dovrebbe iniziare con le comunicazioni del premier Giuseppe Conte e con l’M5s che potrebbe presentare una risoluzione a suo sostegno, mentre la Lega chiede che si voti prima la sua mozione di sfiducia al premier (che, però, potrebbe slittare di più giorni, fino a 20, prima di essere calendarizzata…) e il Pd che, ancora prima, chiede si voti la propria, di mozione di sfiducia a Salvini.

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Dario Parrini, capogruppo del Pd in Commissione Affari costituzionali del Senato

Mozione che, in realtà, è già stata calendarizzata alla Camera, per il 9 settembre, ma che è stata depositata anche al Senato, primo firmatario il renzianissimo Dario Parrini, il quale sostiene che la mozione di sfiducia demva discussa per prima di quella a Conte perché è arrivata per prima”.

Marco Olivetti, ordinario di diritto costituzionale alla Lumsa di Roma

Marco Olivetti, ordinario di diritto costituzionale alla Lumsa di Roma

Rispetto a quella della Lega di sicuro, ma – come spiega ogni buon costituzionalista che si rispetti (noi abbiamo consultato Marco Olivetti, ordinario di diritto costituzionale alla Lumsa di Roma), “le comunicazioni del premier, sia per galateo istituzionale che per valore in sé, sono preminenti e vanno discusse prima. Una volta, poi, che si verificasse la sfiducia al presidente del Consiglio, o che questi si dimettesse in modo autonomo, dopo il dibattito, e anche senza per forza aspettare l’esito del voto, tutte le altre mozioni verso il governo (da quella di sfiducia della Lega a quella individuale contro Salvini) decadrebbero perché sarebbero di fatto inglobate dalla sfiducia al premier o dalle sue dimissioni”. Morale, Parrini ha torto (il Pd ipotizza che, nel caso, Salvini si dimetterebbe prima).

I voti del Pd potrebbero risultare decisivi, per Conte…

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La bandiera del Pd

Ma se voto dovrà essere, al Senato, allora diventano fondamentali i numeri e il peso dei vari gruppi. E, guarda caso, il destino del governo potrebbe anche essere appeso ai 51 senatori del Pd. La Lega da sola, infatti, non ha la forza numerica di mandare a casa Conte e il suo esecutivo. Ai 58 voti leghisti, per sperare di incassare il risultato, devono necessariamente aggiungersene molti altri voti, a partire dai 62 senatori di Forza Italia e dai 18 di FdI, per un totale di 138 voti. Voti che, però, potrebbero non bastare se ai 107 senatori di M5s si aggiungessero ad esempio i 51 – o parte di essi – senatori del Pd, per un totale di 158 voti, quasi la maggioranza assoluta contro la sfiducia a Conte.

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La facciata principale di Palazzo Madama, a Roma, sede del Senato

Non ci sarebbe storia, per contro, se i 51 senatori dem si andassero a sommare ai voti di Lega e centrodestra, per un totale di 189 voti di sfiducia a Conte. In ballo, poi, ci sono gli 8 voti dei senatori delle Autonomie e, soprattutto, i 15 voti del gruppo Misto di cui fanno parte 5 ex M5s (Nugnes, De Falco, Martelli, De Bonis e Buccarella), i due senatori del Maie Cario e Merlo, e  sette senatori di Leu.

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Pietro Grasso, il leader di LeU

Se poi, come chiedono Pietro Grasso e Loredana De Petris, le opposizioni non dovessero partecipare al voto sulla sfiducia, i numeri parlano chiaro: la Lega con i suoi 58 senatori non avrebbe alcuna possibilità da sola di mettere la parola fine sul governo e la mozione di sfiducia potrebbe essere respinta dai 107 voti dei 5 stelle.

Dunque, ai leghisti, per blindare l’esito del voto, servirebbero almeno una decina di voti aggiuntivi. O, ancora, che alcune forze politiche delle opposizioni – se proprio non volessero schierarsi apertamente al fianco della Lega nel voto di sfiducia – decidessero almeno di non partecipare al voto o di astenersi. Se, invece, tutte le forze di opposizione, che si dicono pronte ad andare a nuove elezioni, votassero compatte per la sfiducia, e n la Lega, per il governo non ci sarebbe nulla da fare: si superano 200 voti contro l’esecutivo Conte

Conte prepara il suo discorso, Pd e M5S le loro mosse

Giuseppe Conte

Giuseppe Conte

Certo è che, al Senato, si annuncia battaglia a colpi di diritto costituzionale, precedenti e norme regolamentari. Il tutto nel silenzio di Palazzo Chigi, da dove si attendono di capire le mosse di Conte, che sta scrivendo il suo discorso. Non si sa se deciderà davvero di farsi sfiduciare o dopo aver parlato andrà direttamente a dimettersi al Quirinale. Se, come appare probabile, Conte rifiuterà di restare a gestire gli affari correnti da premier dimissionario (e facendo così decadere anche Salvini dal Viminale), potrebbe aprirsi la strada a un governo di garanzia che traghetti il Paese al voto anticipato e che, però, ‘duri’ assai più di quei due mesi cui pensa Salvini per andare al voto.

 

Il governissimo “per non far aumentare l’Iva” piace a molti…

aumento iva

Probabile aumento dell’IVA

Infatti, è proprio in questo varco e lasso di tempo – quello che passerà tra le dimissioni di Conte e le consultazioni al Colle – che ci si proverebbe a inserirsi per dar vita piuttosto a un esecutivo di transizione. L’emergenza sarebbe quella di mettere in sicurezza i conti e la spinta potrebbe arrivare lunedì da una eventuale tempesta sui mercati. I fautori del governo di transizione potrebbero far leva sulla volontà del presidente Mattarella di garantire la tenuta dei conti, proponendo di non andare al voto senza una manovra che eviti l’aumento dell’Iva.

Luigi Marattin

Luigi Marattin

E’ la linea della responsabilità che, annunciata in via primigenia dal deputato molto vicino a Renzi, Luigi Marattin (“La nostra priorità è evitare l’aumento dell’Iva. Per evitarlo siamo disposti a parlare con tutti, ma con questo obiettivo per poi tornare alle elezioni”), dentro il Pd potrebbe essere rilanciata, oltre che da Renzi, da Dario Franceschini (il solito…), Lorenzo Guerini, Matteo Orfini e una considerevole truppa di parlamentari.

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L’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia

Oltre a questi, è venuto allo scoperto l’ex-sindaco di Milano ed attuale eurodeputato del Pd, Giuliano Pisapia, che in un’intervista rilasciata ha dichiarato già da ieri di desiderare un esecutivo “che deve rimanere in carica solo pochi mesi per lavorare su due o tre punti qualificanti”. Proprio come Renzi…

 

I 5Stelle ci pensano seriamente e ‘cercano’ i renziani…

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Il logo del Movimento 5Stelle

Se poi solo vi aderissero i Cinque stelle, magari in nome della necessità di condurre in porto il taglio del numero dei parlamentari, già nascerebbe una nuova Mega-maggioranza, ma la prospettiva eccita gli animi, oltre che della sinistra-sinistra (Mdp-Leu), di diversi forzisti e di chi, come il deputato di +Europa Alessandro Fusacchia, è convinto che non si debbano lasciar dettare i tempi della crisi e del voto a Salvini ma “offrire a Mattarella un’alternativa“.

Il deputato di +Europa Alessandro Fusacchia

Il deputato di +Europa Alessandro Fusacchia

Dal M5s, formalmente, dicono no a ogni ipotesi di accordo con Renzi, nemico pubblico del Movimento per tanti anni, forse secondo solo a Salvini, ma lunedì – guarda caso – raccoglieranno le firme per convocare la Camera per il taglio dei parlamentari, atto che rinvierebbe il voto di almeno sei mesi. E ci sarebbero contatti in corso tra i pentastellati, soprattutto quelli vicini a Roberto Fico, e i dem, nella versione di Franceschi, già ‘fregato’ una volta.

Beppe Grillo e Roberto Fico

Beppe Grillo e Roberto Fico

Dal canto suo, Grillo avrebbe aperto, si spiega, alla possibilità di un terzo mandato per chi ha iniziato questa legislatura, per evitare che tornino a casa tutti i ministri.

 

Ma un governissimo sarebbe la fine certificata del Pd

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Paolo Gentiloni e Nicola Zingaretti

Inoltre, anche tra i parlamentari è forte il timore di non essere rieletti: di un’ipotesi di governo di transizione si potrebbe parlare proprio nell‘assemblea di lunedì del M5S. Dal Nazareno, però, ricordano che solo quindici giorni fa la direzione dem ha votato all’unanimità contro ogni alleanza col M5s: Nicola Zingaretti e Paolo Gentiloni sono contrari a un’idea del genere che, come ammette qualche renziano, avrebbe un “costo politico molto alto” e rischia di lacerare il Pd per sempre.

Renzi e Zingaretti

Renzi e Zingaretti

Altro che scissione. Ne sarebbe la sua fine. “E’ incomprensibile come Renzi possa passare dai pop corn e dal #senzadime al #tipregoconme rivolto ai Cinque stelle: è chiaro che sta cercando di prendere tempo per creare un suo partito” dice un parlamentare vicino a Zingaretti. Se ne parlerà probabilmente sempre lunedì nell’assemblea al Senato dei senatori dem, anche se Renzi non ci sarà.

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Carlo Calenda, leader di “Siamo Europei”, europarlamentare del Pd

C’è chi ragiona, invece, già del futuro, cioè del voto anticipato, pensando a Carlo Calenda o a Paolo Gentiloni possibili candidati premier, se – come pare – Zingaretti resterà solo segretario, anche se si farebbe di certo eleggere, provocando la crisi della regione Lazio, che presiede, parlamentare.

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Matteo Renzi

E anche di possibili primarie che vedano in campo Renzi il segretario non vuole sentire parlare, Prima, però, potrebbe svolgersi un‘altra partita, quella che Renzi vuole condurre in prima persona per dare vita a un governissimo che non mandi a casa Salvini ma né altri né lui: alla fine, come l’amore, il posto conta.


Nb: Questo articolo è uscito sul sito di notizie Tiscali.it l’11 agosto 2019.