Referendum e leggi elettorali/2. La decisione della Consulta sul Calderolum può cambiare corso alla legislatura

Referendum e leggi elettorali/2. La decisione della Consulta sul Calderolum può cambiare corso alla legislatura

15 Gennaio 2020 0 Di Ettore Maria Colombo

Sommario

Referendum e Leggi elettorali

 

Proprio oggi che il cosiddetto Germanicum (il sistema proporzionale con soglia di sbarramento nazionale al 5%, qui l’articolo di ieri pubblicato su questo blog che lo illustra: Leggi elettorali e referendum/1. Il Germanicum pensato da Pd e M5S per fermare Salvini), avanzato come proposta dalla maggioranza parlamentare che regge il governo (Pd-M5S-LeU-Iv) inizia il suo iter nella commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati, la Corte costituzionale è chiamata a una decisione molto importante. E cioè se ammettere (si chiama, appunto, giudizio di ammissibilità) il referendum avanzato da otto regioni a guida centrodestra (l’alternativa erano 500 mila elettori ma ci sarebbe voluto troppo tempo per raccogliere le forme) studiato e ideato dal mago dei sistemi elettorali della Lega, Roberto Calderoli.

Il referendum va nella direzione esattamente opposta a quella del sistema ‘alla tedesca’ (detto, appunto, Germanicum), ossia propone di trasformare il sistema elettorale italiano in un sistema maggioritario secco basato tutto sui collegi uninominali, come è in Gran Bretagna, dove non vi è alcun recupero proporzionale e vale la logica del “primo prende tutto”.

 

Il referendum Calderoli è un maggioritario secco all’inglese

Referendum Calderoli

Referendum Calderoli

Dal punto di vista tecnico, entrambi i sistemi proposti – il Germanicum e l’Anglicum – incidono sulla stessa legge elettorale vigente, quella attuale, il Rosatellum: il primo vuole cancellare i collegi uninominali maggioritari (presenti per il 36%) e trasformarli tutti in collegi plurinominali proporzionali, il secondo vuole fare esattamente l’inverso: cancellare l’intera parte proporzionale del Rosatellum (che agisce per il 64%) e trasformarla tutta in collegi uninominali maggioritari. Solo che, avendo le attuali forze di governo la maggioranza dei seggi nell’attuale Parlamento, Pd-M5S-LeU-Iv hanno deciso di agire per via parlamentare, depositando e incardinando, a tamburo battente, il Germanicum, la Lega (principale forza di opposizione, supportata da FdI e FI, dal punto di vista politico) ha deciso di agire, essendo diventata opposizione, e minoranza, nell’attuale Parlamento, per via referendaria.

 

Il triplice vaglio che subisce un referendum abrogativo

referendum abrogativo

Ma se una legge deve essere approvata dai due rami del Parlamento in forma identica, per diventare tale (e, per le leggi elettorali, a differenza di quelle costituzionali, basta la maggioranza semplice di ognuna delle due assemblee e non quella qualificata, come per le riforme costituzionali, ma neppure quella assoluta, cioè il 50,1% delle due Camere), un referendum abrogativo subisce un doppio, anzi triplice, vaglio. Prima va controllato dalla Corte di Cassazione, che si limita a un esame formale (verifica se le firme raccolte sono effettivamente tali: possono chiedere un referendum 500 mila elettori, cinque consigli regionali o un quinto dei parlamentari). Poi passa alla Corte costituzionale, che entra nel merito (decide, cioè, se il referendum è ammissibile in base al dettato costituzionale). Infine subisce l’ultimo e definitivo vaglio, quello degli elettori, che non solo devono votare sì, se vogliono approvarlo, ma devono anche andare a votare in misura del 50,1% del corpo elettorale, altrimenti il referendum abrogativo non è valido, cioè è come nullo, anche se, per ipotesi, i sì all’abrogazione vincono sui no.

 

La differenza tra referendum abrogativo e confermativo

referendum

In questo, salta subito all’occhio la differenza con il referendum costituzionale confermativo che non abbisogna di quorum per essere valido. E proprio un tale referendum verrà indetto, tra aprile e maggio, non appena la Corte di Cassazione avrà validato le firme e il governo avrà stabilito la data (entro 60 giorni dalla decisione di questa Corte), per far decidere agli elettori se il taglio dei parlamentari votato da entrambi i rami del Parlamento a maggioranza assoluta (obbligatoria) che impone di ridurre il loro numero da 945 a 600 (400 deputati e 200 senatori in luogo di 645 e 315) deve diventare, o meno, legge dello Stato. Anche questo referendum, che è stato proposto, come era legittimo fare, da un quinto dei senatori (alla fine, hanno firmato in 71, supportati dalla Fondazione Einaudi e dal partito radicale), dovrà presto essere indetto, dal governo, entro 60 giorni dalla convalida delle firme (atto formale) in Cassazione.

La stranezza, pur se perfettamente legittima, perché così vuole la legge, è che, ove venissero sciolte le Camere e si tenessero elezioni politiche anticipate, il referendum abrogativo ‘slitta’ di un anno dalla data delle politiche mentre il referendum confermativo si tiene in ogni caso.

 

Il corto circuito politico se passa il referendum della Lega

corto circuito

Il corto circuito politico se passa il referendum della Lega

Ma tornando al referendum ‘leghista’ ideato da Calderoli, il tema è tutto ‘politico’ e non solo ‘tecnico’, come vedremo. Ove venisse ammesso, la situazione sarebbe questa. Da un lato ci sarebbe il Parlamento che, sulla spinta dell’attuale maggioranza di governo, sta lavorando a un sistema elettorale proporzionale (non ‘puro’) che abroga l’attuale legge elettorale (il Rosatellum) e, dall’altro, dovrebbe essere indetto un referendum abrogativo iper-maggioritario che, sempre abrogando il Rosatellum, va nella direzione esattamente opposta. Si creerebbe, dunque, di fatto, un corto circuito tra la volontà della maggioranza delle Camere e la volontà del popolo italiano che, fino ad ora, quando si è trattato di votare per leggi che introducevano sistemi con un forte impianto maggioritario hanno sempre votato a favore, sia quando i referendum maggioritari hanno raggiunto il quorum (i referendum Segni che abolirono il proporzionale della Prima Repubblica, nel 1991 e 1993) sia quando non l’hanno raggiunto (l’altro referendum Segni del 1999).

 

La decisione della Consulta sarà politica, non solo tecnica

Palazzo della Consulta Roma scaled

Palazzo della Consulta in Roma

La decisione della Corte, dunque, non è solo ‘tecnica’, ma anche politica. C’è chi dice che il Parlamento non potrebbe non tenere conto di un referendum che vuole introdurre, se venisse approvato, un sistema maggioritario secco, obbligandolo, in aggiunta, a cambiare in corso d’opera l’impianto stesso, fortemente proporzionale, della legge che sta votando (il Germanicum). D’altra parte, il Parlamento potrebbe votare lo stesso la ‘sua’ legge elettorale (a maggioranza semplice, con i voti di Pd-M5S-LeU-Iv), dicono altri, sostanzialmente ‘fregandosene’ dell’eventuale referendum che vuole introdurre un maggioritario secco, ma creando un corto circuito politico e istituzionale grave. Infine, Calderoli e la Lega potrebbero ‘attaccare’ una nuova richiesta di referendum contro la nuova legge elettorale perché – così dicono i costituzionalisti – non soddisfatti della nuova legge che non soddisfa l’intento referendario. La decisione della Corte, dunque, sarà anche molto politica.

 

Le diverse posizioni dei costituzionalisti e dei partiti

Avvocato Felice Besostri

L’avvocato Felice Besostri

E così, mentre i costituzionalisti delle due diverse parti in causa (quelli del referendum leghista sono rappresentati da Giovanni Guzzetta, quelli contrari dall’avvocato Felice Besostri, lo stesso che presentò ricorso contro il Porcellum, l’ex giudice della Consulta, Cassese, dice che è fuor di dubbio inammissibile, Calderoli gli risponde che non lo è) si sfidano sulla basi di ragioni ‘tecniche’ e ‘giuridiche’, sempre come ‘mossa’ politica, negli ultimi due giorni, sono scesi in campo i leader dei diversi partiti politici attuali, chi per difendere le ragioni del proporzionale chi dell’eventuale sistema maggioritario.

Giancarlo Giorgetti

Giancarlo Giorgetti

Salvini e Giorgetti, eminenza grigia della Lega, hanno anche detto di essere disponibili e pronti a discutere, in Parlamento, della reintroduzione del vecchio Mattarellum per opporsi all’attuale ‘operazione Germanicum’ messa in campo dall’attuale maggioranza.

 

Salvini ora lancia il Mattarellum, una mossa molto abile

Mattarella_Salvini

Il presidente della Repubblica Mattarella e il vicepremier Salvini

Mossa abile. Il sistema che porta il nome dell’attuale Capo dello Stato e scritto nel 1993 (in vigore, in Italia, nelle elezioni politiche del 1994, 1996, 2001) è un sistema di base maggioritario, basato sui collegi uninominali, per il 75%, ma che prevede anche un discreto recupero proporzionale, per il 25%. Insomma, il messaggio della Lega è da un lato chiedere, per via referendaria, un maggioritario secco e, dall’altro, dichiararsi disponibili a discutere la reintroduzione di un sistema maggioritario ma temperato che è stato, a lungo, la ‘bandiera’ del Pd e che, cosa non di poco conto, porta la firma del Capo dello Stato. Ma la decisione finale spetterà, appunto, alla Consulta, che si riunirà oggi pomeriggio, 15 gennaio, dalle ore 16, ma la cui decisione potrebbe slittare, causa mole di lavoro e complessità del quesito da affrontare, al giorno successivo.

 

La composizione della Consulta e le ‘tendenze’ dei giudici

Marta Cartabia

La presidente della Consulta Marta Cartabia

L’attuale Consulta è presieduta, per la prima volta nella sua storia, da una donna, Marta Cartabia, ed è composta, per Costituzione, da 15 giudici: quattro nominati dal Presidente della Repubblica, oltre alla Cartabia, che sono Giuliano Amato (ex premier), Daria De Petris, Francesco Viganò, Nicolò Zanon; uno nominato dalla Corte dei Conti (Aldo Carosi, uno dei due vicepresidenti); tre nominati dalla Corte di Cassazione (Mario Rosario Novelli, l’altro vicepresidente, Giovanni Amoroso, Stefano Petitti); uno nominato dal Consiglio di Stato (Giancarlo Coraggio); cinque nominati dalle Camere (Luca Antonini, indicato dalla Lega; Augusto Barbera, Pd; Franco Modugno, M5S; Giulio Prosperetti, area centrista; Silvia Sciarra, area Pd). Ma è proprio nell’atmosfera seriosa, rarefatta e intrisa di codici ed ermellini della Consulta, che si fronteggiano, si giocano e si intrecciano i destini politici della legislatura.

Cartabia Mattarella

Il Presidente della repubblica e la Presidente della Consulta

Per quanto è dato sapere, gli schieramenti sarebbero questi: Barbera (di area Pd ma maggioritarista convinto), Antonini (di area Lega e vicino a Cl) pure, più diversi altri giudici convinti che il referendum della Lega sia ammissibile. Nel fronte dei contrari, capeggiato da Giuliano Amato (storico proporzionalista) ci sarebbero i due giudici di area 5Stelle (Modugno), centrista (Prosperetti) e Pd (Sciarra), più altri, in un testa a testa che, ad oggi, mentre scriviamo, non è dato conoscere chi, alla fine, prevarrà, ma che vede la Corte spaccata, in pratica, quasi a metà. Decisivo potrebbe essere il voto della presidente Cartabia, la quale, a sua volta, non è certo ‘insensibile’ agli eventuali umori e venti del Colle.

 

La possibile ‘moral suasion’ di Mattarella e i suoi dubbi

Mattarella

Il presidente della Repubblica Mattarella Sergio

Ma cosa pensa, sul punto, Mattarella? Difficile da dirsi, ovviamente. Sul Colle si ragiona sempre in modo sistemico e mai in base alle convenienze politiche del momento. La stabilità della legislatura e la sua evoluzione ‘ordinata’ (dunque a favore dell’attuale maggioranza di governo) è di certo considerata, da sempre, un ‘valore’, ma anche la libera possibilità che il corpo elettorale possa esprimersi.

Tangentopoli_Mani_Pulite

Tangentopoli – i protagonisti del pool “Mani Pulite”

Mattarella può dimenticare che la legge che lui firmò, il Mattarellum, sarebbe stata impossibile a realizzarsi, nel Parlamento sconvolto dalle inchieste di Tangentopoli e a maggioranza proporzionalista (l’asse era quello Dc-Psi) se non vi fossero stati, prima, le due ondate referendarie che videro il popolo italiano votare massicciamente a favore dei due referendum Segni che proprio al maggioritario puntava.

 

Il rischio del doppio referendum e dell’ingolfo costituzionale

doppio referendum

Doppio Referendum

D’altro canto, il combinato disposto del rischio del ‘doppio referendum’ (quello costituzionale confermativo sul taglio dei parlamentari e quello abrogativo per il maggioritario) potrebbe creare un doppio problema di difficile soluzione. Logica – e sondaggi – vogliono che gli italiani voteranno prima per dire sì al taglio dei parlamentari e poi per dire sì all’introduzione di un sistema maggioritario all’inglese, ma confliggendo con un Parlamento che, nel frattempo, sta e/o vuole varare l’introduzione di un sistema proporzionale e che lo sta facendo con l’attuale numero dei parlamentari. Insomma, il Parlamento potrebbe entrare in conflitto con il corpo elettorale, provocando un corto circuito istituzionale.

 

L’altro problema. Il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari e il rischio di un Parlamento delegittimato

taglio dei parlamentari

Referendum sul taglio dei parlamentari

E questo per tacere dell’altro problema, quello derivante dalla possibilità che vengano sciolte le Camere e si andasse a elezioni anticipate. Se, infatti, ciò avvenisse ‘prima’ dello svolgimento del referendum costituzionale, gli elettori andrebbero a votare per il numero pieno dei parlamentari (945) e, poco dopo, andrebbero a votare per il loro taglio. Il Parlamento ne uscirebbe, di fatto, legittimato e screditato (se, si intende, risultasse eletto ‘prima’ del referendum). D’altro canto, sciogliere le Camere entro la primavera potrebbe essere, a quel punto, la mossa ‘auto-suicida’ dell’attuale maggioranza di governo che otterrebbe, così, di far slittare, di un anno, il referendum abrogativo leghista, provocando un voto con il nuovo sistema elettorale (il Germanicum), sistema utile a ‘tagliare le unghie’ a Salvini, o – se proprio non ci riesce – con l’attuale sistema elettorale (il Rosatellum) che più proporzionale che maggioritario.

 

La possibilità che nasca un ‘governo ponte’ per una indizione ordinata dei due referendum

governo provetta

Rischiamo un “governo in provetta”

Come si vede, un busillis non di facile soluzione per nessuno, sia per la Consulta oggi che per il Capo dello Stato che, al limite, potrebbe operare anche una scelta ‘estrema’: far nascere un ‘governo ponte’, di tipo istituzionale, che garantisca lo svolgimento dei due referendum (quello confermativo sul taglio dei parlamentari e quello abrogativo che vuole introdurre il sistema istituzionale), evitando di ‘screditare’ e ‘delegittimare’ di fatto un Parlamento eletto con il ‘vecchio’ numero di parlamentare e di rimandare la decisione di un nuovo sistema elettorale alle nuove Camere. Una scelta, però, che Mattarella non prenderebbe a cuor leggero: vorrebbe dire un altro governo nato ‘in provetta’ e anche rimandare le elezioni di molti mesi, forse di un anno.

 

La questione tecnica dell’ammissibilità del referendum 

consulta

Dal punto di vista tecnico, però, la decisione che dovrà prendere la Consulta riguarda, oggi, l’ammissibilità e la costituzionalità del referendum proposto dalla Lega.

Il motivo della possibile bocciatura del referendum leghista sta nella sua – presunta o reale – immediata applicabilità. Il principio da cui, quando tratta di sistemi elettorali, la Corte non deflette mai è che, in Italia, si deve sempre, in ogni momento, poter andare a votare, cioè sciogliere le Camere.

Ogni legge elettorale deve essere, cioè, auto-applicativa e, di conseguenza, anche ogni referendum che vuol cambiarla per introdurne una nuova. Ma c’è un ‘ma’. Ogni legge elettorale affida, una volta scritta e votata dal Parlamento, una ‘delega’ (cioè una legge delega) al governo che, in un termine tassativo di 60 giorni, deve definire i nuovi collegi elettorali sulla base della nuova legge entrata in vigore e in base al ricalcolo, sui numeri Istat, della popolazione che viene compresa in ogni collegio e in ogni circoscrizione. La Corte, cioè, non permette vuoti legislativi tanto che, quando ha bocciato ben due sistemi elettorali (il Porcellum di Calderoli e l’Italicum di Renzi) li ha sostituiti con due sistemi di risulta (il Consultellum uno e poi il due) proprio perché un sistema elettorale deve essere sempre disponibile.

La domanda che si farà oggi la Corte, dal punto di vista tecnico è: il referendum leghista è auto-applicativo?

Una volta, cioè, abrogati i collegi proporzionali e sostituiti con quelli maggioritari, come chiede il referendum Calderoli, chi andrà a occupare i seggi lasciati vuoti? I vincitori nei collegi, dice Calderoli. Ma per definire i collegi serve la legge delega e il referendum Calderoli non la prevede. Ma nessuno può prevedere, in teoria, che il governo la eserciti e, dunque, la legge elettorale resterebbe senza i collegi.

La soluzione creativa di Calderoli: usare la legge delega conseguente alla riforma del taglio dei parlamentari

 

Calderoli, ovviamente, ha trovato la (sua) soluzione: mentre la Lega era al governo con i 5Stelle, ha infatti fatto approvare, di sottecchi, una leggina (la numero 51/2019) che permetteva di applicare subito, anche al taglio dei parlamentari, la definizione dei nuovi collegi, semplicemente dividendo in frazioni il numero vecchio dei parlamentari (945) per il numero nuovo (600, cioè -36,5%).

 

taglio parlamentari

Taglio dei parlamentari

La soluzione ideata, per Calderoli, è facile: quella delega viene ‘estesa’ alla nuova legge che esce dal referendum e usata per disegnare i collegi. L’argomento contrario è che non si può ‘estendere’ una delega pensata per un oggetto specifico (la riforma del taglio dei parlamentari) e con un termine tassativo (60 giorni) ad libitum, cioè all’infinito. Entrambi gli argomenti tecnici hanno la loro validità. Cosa deciderà la Corte, per quale tesi propenderà oggi non si sa.

 

Senza referendum sul taglio dei parlamentari, il quesito di Calderoli sarebbe stato sicuramente dichiarato inammissibile

inammissibile

Ma qui entra in gioco proprio la richiesta (ottenuta) di referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. Se il taglio dei parlamentari fosse diventato subito effettivo, la delega sarebbe scattata subito, diventando immediatamente operativa dal giorno dell’entrata in vigore della legge n. 240/2019 che decreta il taglio del numero dei parlamentari. Quindi, in due mesi, a far data il 12 gennaio (termine ultimo per chiedere il referendum confermativo) e fino al 12 aprile, il governo avrebbe ‘esaurito’ la delega, adattando al taglio richiesto dei parlamentari i nuovi collegi elettorali. A quel punto, il referendum abrogativo di Calderoli, per quanto relativo solo alla legge elettorale, sarebbe arrivato fuori tempo massimo: il referendum elettorale non avrebbe potuto ‘resuscitare’ una delega nata, vissuta e già morta. Ergo, la Consulta avrebbe, su questa base, quasi sicuramente decretato l’inammissibilità del referendum di Calderoli perché, pur contendendo una delega per riscrivere i collegi riferiti al numero dei parlamentari già tagliati, non poteva ‘resuscitare’ una delega che era già nata e già morta.

 

Ma il referendum costituzionale si terrà e quello abrogativo torna in gioco

corte di cassazione

Corte di Cassazione

Ma il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari, si terrà e, in ogni caso, verrà indetto e celebrato entro mesi.

Quando? Il governo ha un mese di tempo per riunirsi e indire il referendum a far data dall’ordinanza della Corte di Cassazione che lo ammette (quindi, dal 12 gennaio, entro il 12 marzo), poi deve farlo celebrare in una domenica compresa tra il 50 esimo e il 70 esimo giorno successivo al decreto di indizione (da metà aprile a giugno). Dopo la conclusione del referendum, se positiva, avranno luogo la proclamazione del risultato, la pubblicazione della legge costituzionale e l’entrata in vigore della legge stessa. Da quel giorno in poi, i cittadini eleggeranno 600 eletti. In caso di esito negativo, il taglio dei parlamentari salta e, come se niente fosse successo, i parlamentari restano 945. Ma, in caso di esito positivo come negativo del referendum, le nuove norme non possono applicarsi prima che siano decorsi 60 giorni dalla loro entrata in vigore: è la famosa legge delega n. 51/2019 che serve a ridisegnare i collegi.

 

I due referendum, dunque, risultano molto intrecciati tra loro

intrecciare

I due referendum, dunque, risultano molto intrecciati tra loro

Ed è qui che, magicamente, i due referendum, quello confermativo sul taglio dei parlamentari e quello abrogativo sulla legge elettorale, s’intrecciano in maniera indissolubile. Infatti, con la richiesta di referendum confermativo ormai già scattata, la delega per ridisegnare i collegi elettorali entra ‘in sonno’, cioè non parte né si esaurisce. Calderoli e i proponenti del referendum elettorale maggioritario hanno buon gioco a sostenere, davanti alla Consulta, le loro ragioni: non si crea alcun vuoto legislativo perché, con il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari ancora da celebrare, la delega al governo sui collegi non scatta. Calderoli, cioè, è come se dicesse alla Corte: io ho la nuova legge elettorale e ho i collegi (grazie alla delega ‘in sonno’), quindi la mia richiesta di referendum è legittima. In caso contrario, cioè senza le firme necessarie raccolte per ottenere il referendum confermativo sul taglio degli scranni, la Corte invece avrebbe sicuramente detto a Calderoli: la delega è già scattata e, per quando arriverà il tuo referendum, è già esaurita, non puoi resuscitarla e io non posso approvare una richiesta di referendum elettorale non auto-applicativa perché senza delega non ci sono i collegi.

 

Ma alla fine con quale sistema elettorale si voterà in Italia? Rosatellum, Germanicum o Calderolum? Non è dato saperlo

elezioni

Con quale sistema elettorale si voterà in Italia? Rosatellum, Germanicum o Calderolum?

E dunque, a prescindere dal numero di parlamentari (945 se resterà il vecchio numero o 600 se verrà ‘confermato’ il nuovo) con quale legge elettorale si voterà in Italia? Se le Camere non approvassero alcuna riforma elettorale, si voterebbe con la legge attuale, il Rosatellum, che, dati i sondaggi, favorisce il centrodestra. Se le Camere faranno in tempo, prima dello scioglimento (naturale o anticipato), a introdurre una nuova legge elettorale si voterà con quella, quindi, dati gli attuali rapporti di forza, con il Germanicum. Una legge che, per il suo impianto e la sua filosofia, punta a isolare Salvini e la Lega sia prima del voto (non prevede né incentiva le coalizioni né leader di coalizioni) sia dopo il voto (la Lega, pur con un buon risultato, farebbe fatica a trovare alleati per governare o dovrebbe comunque cedere loro molto potere): un vero ‘cordone sanitario’ anti-Salvini.

salvini matteo

‘cordone sanitario’ anti-Salvini

Ma se le Camere venissero sciolte prima del referendum sul taglio dei parlamentari e prima che la nuova legge elettorale venga approvata, si voterebbe con il vecchio Rosatellum (che aiuta le coalizioni e partiti forti a livello territoriale come la Lega) e con il vecchio numero di parlamentari. A maggior ragione, infine, se si celebrasse il referendum maggioritario voluto dalla Lega e vincessero i sì, la vittoria della Lega, con un tale sistema elettorale, sarebbe certa e larga. In quel caso, Salvini potrebbe anche permettersi il lusso di aspettare che la legislatura finisca in modo naturale. In caso contrario, cioè ove il referendum Calderoli non venga ammesso, Salvini dovrà far di tutto per andare al voto al più presto, entro pochi mesi, in modo di votare con il vecchio numero di parlamentari (che garantisce più posti) e con l’attuale legge elettorale a lui più favorevole. Al contrario, andare a votare con il nuovo numero di poltrone e con la nuova legge elettorale di impianto proporzionale, aiuta non solo la vita della legislatura, ma anche quella del governo e della maggioranza che puntano a isolare Salvini.

 


NB: Questo articolo è stato scritto in forma originale per questo blog il 15 gennaio 2020