Di Maio se ne va, ma forse poi torna. Tutte le spaccature dei 5Stelle

Di Maio se ne va, ma forse poi torna. Tutte le spaccature dei 5Stelle

24 Gennaio 2020 0 Di Ettore Maria Colombo

Di Maio lascia la guida del Movimento con un durissimo j’accuse contro “i pugnalatori”. Ora parte la lotta per la successione. Patuanelli in pole contro il ritorno di Di Maio in ticket con una donna o la nascita di un Direttorio dei big

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Il logo elettorale dell’M5S

 

Pubblico qui un articolo che fa il punto sulla crisi dell’M5S dopo le dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico e che riassume anche gli ultimi giorni di tormentato dibattito all’interno dei 5Stelle. 

Di Maio si slaccia la cravatta: la sua leadership finisce così

Di Maio cravatta

Di Maio si slaccia la cravatta: la sua leadership finisce così

 

Alla fine, con un gesto teatrale e un sorriso triste sulle labbra, si allenta il nodo della cravatta, se la toglie e resta con la giacca e la camicia bianca aperta (su faccia imberbe), ricordando che Gianroberto Casaleggio (Beppe Grillo lo cita un paio di volte ma sempre e solo di sfuggita) gli regalò un libro, L’elogio della cravatta, incuriosito dal fatto che “io la portavo sempre”: “ora la portate anche voi – dice ai suoi colleghi, come a dire vi siete imborghesiti, “ma allora la portavo solo io, per me ha sempre rappresentato un modo per onorare le istituzioni della Repubblica”.

elogio della cravatta

L’elogio della cravatta

Luigi Di Maio – che si è sempre sentito ‘istituzionale’: vicepresidente della Camera prima, vicepremier e super-ministro poi – si dimette da capo politico del Movimento (e, anche, da capo delegazione al governo), incarico che passerà almeno fino agli Stati generali che si terranno, forse a Torino, dal 13 al 15 marzo, a Vito Crimi, in qualità di membro anziano del triumvirato che governa il comitato di garanzia (oltre a lui composto da Roberta Lombardi e Giancarlo Cancelleri) in diretta tv e diretta Facebook sui vari siti e blog a Cinque Stelle alle sei ‘de la tarde’ di un freddo pomeriggio romano.

 

Al Tempio di Adriano occhi lucidi e molta ipocrisia

Di Maio Crimi

Di Maio e Crimi, il saluto

Lo fa in una splendida location, il Tempio di Adriano, che si trova nella centralissima piazza di Pietra, pieno come un uovo di ministri, parlamentari e dirigenti del Movimento, oltre che, ovviamente, di giornalisti, fotografi e cameraman, evento convocato, in teoria, per illustrare al mondo i nomi e la struttura dei facilitatori che guideranno il Team del futuro (per la cronaca saranno 204: sei nazionali, con compiti organizzativi, 12 tematici, sempre nazionali, e 90 regionali).

tutti piangono

Tutti piangono o hanno i lucciconi agli occhi

Tutti piangono o hanno i lucciconi agli occhi (tranne i giornalisti), alla fine, ma all’inizio tutti sorridevano (o ridevano proprio) ed erano vestiti a festa o con le grisaglie d’ordinanza come se fossero stati convocati a un matrimonio e non a un funerale. Quello del loro capo. Tutti, ovviamente, applaudono e tributano l’onore delle armi all’amico Luigi ma non vedevano l’ora di liberarsene, e molti in sala ridacchiano o sussurrano che il collega appena due fila in là “è il primo pugnalatore, sepolcri imbiancati”.

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Foto LaPresse – Guglielmo Mangiapane – 24/09/16 Palermo ITA
Nella foto: Beppe Grillo e Davide Casaleggio

Solo Beppe Grillo non si vede (e non parlerà neppure dopo) mentre Davide Casaleggio non si fa vedere in sala, ma è a Roma dalla sera prima: ha seguito tutti i mal di pancia di ‘Luigino’ e alla fine anche lui lo ha convinto a quel passo indietro che ahi voglia Di Maio a dire “ero pronto da un mese” ci sono voluti Grillo e quasi l’intero gruppo parlamentare a convincerlo che “ora anche basta, Luigi…”.

 

Tutte le accuse interne che hanno fatto crollare Di Maio

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Tutte le accuse interne che hanno fatto crollare Di Maio

Troppi poteri per un uomo solo, e così giovane: capo politico (a partire da novembre del 2017, meno di tre anni), capo delegazione, prima ministro doppio e vicepremier, ora solo ministro di un dicastero unico, ma dopo aver tenuto la nascita del governo Conte a bagnomaria quasi un mese proprio perché voleva rifare il vicepremier. Troppe sconfitte subite, dopo l’unica vittoria conquistata (le Politiche del 2018 col mitico, e ora irraggiungibile, 33%): le Europee del 2019, tutte le elezioni regionali seguite alle Politiche, domenica quelle in Emilia e Calabria, dove i sondaggi parlano di percentuali ben sotto il 10%, la continua emorragia di parlamentari usciti o espulsi (31 a oggi, 13 solo negli ultimi due mesi, forse altri in arrivo), le continue lite e tensioni interne, la ribellione dei gruppi parlamentari medesimi che – così si diceva – erano pronti a sfiduciarlo già a partire dalla prossima settimana.

 

Grillo non lo ama più da tempo: vuole una ‘Cosa’ con il Pd

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Beppe Grillo

La mancanza di fiducia da parte di Beppe Grillo – l’altro giorno basito e “avvilito” dal gesto di Di Maio che ha ritenuto troppo frettoloso (“Perché non ha aspettato lunedì?” avrebbe chiesto ai suoi e anche all’ex capo politico) – è conclamata: Grillo non lo ‘copre’ più ormai da tempo, in pratica dalla nascita del governo Conte II, formalmente dal novembre 2019, quando spese le sue ultime parole pubbliche a favore di ‘Luigino’ (“il mio ragazzo speciale” lo chiama, come fosse un down).

svolta a sinistra

Grillo che ha deciso, da tempo, che il Movimento deve ‘svoltare a sinistra’

Lo stesso Grillo che ha deciso, da tempo, che il Movimento deve ‘svoltare a sinistra’ e dare vita a una ‘Cosa’ giallorosa di stampo ambientalista e lavorista, di sicuro progressista. Ergo, Grillo – e non solo lui, anche molti degli attuali ministri e il grosso del gruppo parlamentare – vogliono un’alleanza con il Pd sempre più stretta, forse una fusione in un nuovo contenitore. Grillo ne ha già parlato con il sindaco di Milano, Beppe Sala, che nutre ambizioni da leader del Pd: se si perde l’Emilia e tocca dimettersi anche a Zingaretti il progetto potrebbe davvero prendere quota.

 

Gli scontri con i ministri, i parlamentari e con Casaleggio jr

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Il capogruppo dell’M5S al Senato Stefano Patuanelli

Troppe, per Di Maio, le accuse interne contro una leadership “solitaria”, di “uno che non ascolta nessuno”, e a favore di una leadership “collegiale”, di un “Direttorio”, che arrivava da anime storiche del Movimento (Roberto Fico, Roberta Lombardi) come da quasi tutti i ministri (Stefano Patuanelli in testa), gli stessi che vogliono imprimere la ‘svolta a sinistra’, l’alleanza col Pd, all’M5S, anche se Grillo vorrebbe, invece, un primus inter pares, un capo riconosciuto, magari contorniato da un Direttorio.

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I ministri silurati Grillo, Toninelli e Trenta

Troppo pochi gli amici e i fedelissimi che erano rimasti. Dopo essersi alienato tutti gli ex ministri del governo gialloverde non riconfermati (Toninelli, Grillo, Trenta), dopo lo smarcamento dell’ala progressista (Patuanelli e D’Incà), dopo il raffreddamento dei rapporti persino con due ormai ex fedelissimi come Bonafede e Fraccaro, a ‘Gigino’ erano rimasti solo Buffagni, Spadafora, Castelli.

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Davide Casaleggio, a capo della “Casaleggio&Associati”

E un rapporto privilegiato con Davide Casaleggio, che ha continuato a sostenerlo fino all’ultimo, specie nella sua (testardamente perseguita, ma in solitaria) scelta politica di non volere essere “né di destra né di sinistra” (scelta che a Casaleggio jr ricorda la diffidenza anti-sistema del padre) e di voler continuare a porre l’M5S come “ago della bilancia” della politica italiana (ma per esserlo anche Craxi, che lo fu, aveva bisogno della certezza di avere almeno il 15% dei voti, una certezza numerica che il Movimento non ha più).

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Bettino Craxi, storico leader del Psi

Ma anche con Casaleggio jr, ultimamente, erano iniziati scontri e frizioni sul tema delle restituzioni (i 300 euro al mese a Rousseau) che Di Maio voleva trasformare in forfait nell’ultimo tentativo di riprendersi le simpatie dei suoi eletti che, ormai, rispondono a tutti tranne che al ‘capo politico’.

 

Ma Di Maio sogna di tornare, forse in ticket con l’Appendino

Appendino Di Maio

Appendino e Di Maio

E così, dopo averci pensato per un po’, tra mezzi annunci e mezze smentite, dopo aver sognato di ‘rilanciarsi’, dopo il voto alle regionali, condividendo il suo potere con altri (forse un Direttorio, forse un ticket con Chiara Appendino), dopo aver detto ai suoi “agli Stati generali mi ripresento, gli attivisti della base mi voteranno, ho in mente un progetto, potrei lanciare un ticket con l’Appendino o con Di Battista” e, soprattutto, dopo aver cercato di non mollare almeno la presa sul governo (dovrà passare la mano anche nella carica di capodelegazione: Patuanelli e D’Incà i ministri in pole), stanco di fare da parafulmine a tutti i guai del Movimento, ha deciso per il grande gesto, il beu geste, e si è dimesso.

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Conte e Di Maio

Ma se in pubblico dice “non cambia niente, si governa fino al 2023, il governo reggerà”, sa che Conte è più debole, ora, pregusta la sconfitta del centrosinistra alle Regionali, nota che Salvini non lo attacca direttamente, ma se la prende solo con Beppe Grillo, ‘reo’ di aver voluto l’intesa col Pd, e pensa di poter portare, agli Stati generali, una proposta di rilancio del Movimento e, magari in ticket con l’Appendino (che lo ricopre di elogi: “Lavoreremo ancora insieme”), di potersi ripresentare alle future votazioni su Rousseau che decideranno dopo gli Stati generali i nuovi assetti del M5S.

 

Gli inutili e mielosi interventi prima dello show di Di Maio

emilio carelli

Emilio Carelli

La relazione di Di Maio, introdotta dal responsabile comunicazione, Emilio Carelli, che prova a dare pathos e trilling a una giornata dall’esito già scritto dalla mattina, quando per ore Di Maio si era chiuso a palazzo Chigi con ministri e vertici del partito, poi seguito da interventi assai poco memorabili di tre donne (Taverna, Floridia, Sabatini), è lunghissima, tocca l’intero scibile umano, rivendica tutto (compresi gli errori), parla di “40 leggi fatte per i cittadini” (ci vorrebbe il fact checking ma a naso sono molte di meno) e, continuamente, si rivolge al Paese, cioè agli elettori, non agli attivisti del Movimento, tantomeno ai suoi dirigenti, ma gli riesce anche bene.

Casalino

Rocco Casalino

Il pathos c’è, l’eloquio anche. Alla fine, appunto, quando ringrazia lo staff comunicazione (ieri c’era anche Rocco Casalino, ormai passato con Conte), la sua famiglia, la fidanzata Virginia e tutti i suoi colleghi scorrono, con gli applausi, calde lacrime e vigorosi abbracci ma molte lacrime sono di coccodrillo, molti abbracci finti. 

 

Un discorso ‘castrista’ e le durissime accuse ai “pugnalatori”

pugnalato spalle

Di Maio pugnalato alle spalle

Abbondano, quando inizia a parlare per un discorso interminabile di stile castrista che supera le due ore, le stilettate e gli attacchi ai suoi nemici interni ed esterni, anche se evita accuratamente di fare nomi e cognomi. Parla dei tanti detrattori, che, dalle retrovie lo hanno “pugnalato alle spalle”, del fatto, come ripete più volte, “i peggiori nemici sono quelli che lavorano al nostro interno non per il gruppo ma per la loro visibilità”, rivendica di aver protetto i 5Stelle da “trappole e approfittatori”. E’ davvero pesante il suo j’accuse (stile Veltroni): “Il fuoco amico grida vendetta. C’è chi ha giocato al tutti contro tutti. Basta pugnalate alle spalle. Chiedo un po’ di pudore”. Tesse le lodi del premier Giuseppe Conte (“E’ la più alta espressione dei cittadini che non hanno mai fatto politica e si fanno Stato”), che ha avvertito però solo domenica sera, prova a rassicurare dicendo e ripetendo che “Io non ci penso per nulla a mollare, per quanto mi riguarda si chiude solo una fase”.

Casaleggio e Rosseau

Casaleggio e Rosseau

Prova a rassicurare anche sulla sua successione che, rivela lui stesso, verrà decisa dopo e non prima gli Stati generali del Movimento di metà marzo: “Lì discuteremo sul cosa, subito passeremo al chi”, anche perché ci vorrà comunque un voto su Rousseau per sancire il nuovo capo/capi politici come quello che lo vide trionfare anche perché era l’unico.

 

La rivendicazione del passato suona come un auto-epitaffio

epitaffio

La rivendicazione del passato suona come un auto-epitaffio

Ma se il discorso suona come un guanto di sfida per vedere chi saprà davvero fare meglio di lui, suona anche come quasi un testamento politico, una sorta di auto-epitaffio. Di Maio ricorda le tante leggi portate a casa, gli obiettivi da raggiungere, le lotte vinte, dal taglio dei parlamentari (e qui offre un’altra notizia: il referendum si farà a maggio), al reddito di cittadinanza fino alla prescrizione, avvertendo che “scenderemo in piazza se proveranno a cancellarli”. Frase che suona anche come anche un avvertimento ai suoi: non vi azzardate a fare accordi al ribasso col Pd sui quei temi. Affronta in modo problematico solo il tema delle infrastrutture: rivendica il ritiro delle concessioni ai Benetton, ma per il resto dice che “vanno fatte se servono”.

oggi si chiude unera

Di Maio, oggi si chiude un’era

L’ormai ex capo politico invita ad andare avanti e guardare agli Stati Generali come un momento di rifondazione: “oggi si chiude un’era. Ed è per l’importanza di questo momento che ho iniziato a scrivere questo documento un mese fa”, come a dire che era da tanto che meditava questa mossa e che non è l’alzata di testa di un momento, magari per ‘fuggire’, come lo accusano, davanti al voto delle regionali.

 

Di Maio cerca una collocazione centrista: pro-Nato e pro-Ue

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La Farnesina

Poi parla più che da ministro degli Esteri che da capo politico: parla di collocazione atlantica, e nella Nato, dell’Italia, del ruolo in Europa, al fianco dell’attuale sua commissione, del ruolo italiano nel Mediterraneo, etc, ma soprattutto cita più volte il 2023 come data di traguardo, cioè la fine naturale della legislatura, per ribadire che il sostegno e il lavoro del governo devono andare avanti (Conte, ovviamente, che lo detesta, lo ringrazia commosso).

Giotto Il bacio di Giuda

Il Bacio di Giuda di Giotto

“La storia ci dice che alcuni la nostra fiducia l’hanno tradita ma per uno che ci ha tradito almeno dieci quella fiducia l’hanno ripagata” chiude Di Maio stile novello Gesù Cristo tradito da uno degli apostoli, ma sono chiare, e nette, le stilettate contro gli abbandoni più recenti e più clamorosi: quella di Paragone, contro cui Di Maio rivendica la fedeltà atlantica e alla Ue, quella dell’ex ministro Fioramonti, che declassa a “caso di psichiatria” (“se ne vanno dall’M5S, passano nel Misto, però dicono che sosterranno il governo”) e, in generale, quella dei tanti abbandoni di singoli peones, specie gli eletti nei collegi uninominali, bollati come “nominati dall’alto che tradiscono il vincolo di mandato”.

Il bing bang del Movimento inizia da oggi. Crimi reggente

vito crimi m5s

La reggenza di Vito Crimi, uomo della vecchia guardia

Ma cosa succederà, ora, dentro il Movimento? Sarà, da oggi, una sorta di ‘big bang’ o di ‘punto zero’ per tutti. La reggenza di Vito Crimi, uomo della vecchia guardia, vicino al Garante Beppe Grillo ma anche a Casaleggio, in qualche modo rassicura lo stato maggiore del Movimento, ma il rischio è che, da qui agli Stati Generali, si generi un tutti contro tutti che la presenza di Di Maio concentrava su di sé come un vero e proprio parafulmine al contrario.

Battaglia di Waterloo

Raffigurazione La battaglia di Waterloo

La ‘battaglia’, dunque, inizierà oggi e durerà fino a marzo quando esploderà. Si tratterà, infatti, e per la prima volta nella storia dell’M5S, di una ‘vera’ battaglia congressuale, con tanto di mozioni contrapposte sul piano politico e programmatico e un partito, potenzialmente, scalabile. Dal punto di vista formale, per Statuto, entro trenta giorni dall’incarico al reggente, si dovrebbero aprire le votazioni sulla piattaforma Rousseau per decidere il nuovo capo politico del Movimento.

piattaforma Rousseau

Votazioni sulla piattaforma Rousseau

Votazioni che si dovrebbero tenere dunque tra fine marzo e fine aprile, corredate dalle proposte (cioè dall’eventuale ‘programma’ dei diversi candidati), ma si troverà un escamotage per prolungare la reggenza di Crimi perché prima si dovranno tenere gli Stati generali. Come dice Di Maio, “prima decidiamo il cosa, poi il chi”.

 

Le tre linee: andare da soli, con la Lega o alleati del Pd

Alessandro Di Battista

Alessandro Di Battista

Il tema, però, non è solo ‘chi’ guiderà il Movimento ma ‘dove’ andrà il Movimento. Ed è qui che si concentra il grande scontro interno in corso ormai da mesi, da quando è nato il governo con il Pd, tra chi preme per un’alleanza semi-organica con i dem e chi, come pensa proprio Di Maio, vuole un Movimento alternativo al centrodestra come al centrosinistra. Una linea, quest’ultima, che vede da tempo in trincea Alessandro Di Battista, il cui futuro è tutto da decifrare. Al ritorno dall’Iran, ‘Dibba’ potrebbe decidere di metterci la faccia e correre per la leadership in proprio oppure di allearsi con Di Maio (ieri il suo staff ha smentito che nelle parole del ministro si celassero attacchi a Dibba) contro la svolta ‘progressista’ cui lavorano i ministri Patuanelli e D’Uva, la Lombardi e la Taverna e molti altri big del Movimento, a partire dal presidente Fico e dai suoi.

 

Le spaccature dentro i gruppi parlamentari e quelle tra i big

toninelli

Toninelli

Il gruppo parlamentare – che ha chiesto un’assemblea congiunta con il ‘reggitore’ del partito Crimi e l’organizzatore degli Stati generali Toninelli per la prossima settimana per fare il punto – è spaccato: l’area vasta (i parlamentari vicini a Dessì, una trentina, gli ortodossi di Fico e Gallo, la Carla Ruocco, la Taverna e la Lombardi) che vuole un direttorio e non un capo singolo sta alla finestra e aspetta di vedere che succede, ma non intende mollare sulla necessità di una gestione ben più ‘collegiale’.

Salvini

Il leader della Lega Matteo Salvini

L’idea sarebbe un organismo in cui far confluire tutti i big (Fico, Di Battista, la Taverna, la Lombardi, l’Appendino), ma serve una modifica allo Statuto e serve farla votare, prima o poi, su Rousseau. Crimi è molto criticato e malvisto perché considerato troppo vicino a Casaleggio jr. I fedelissimi di Di Maio, invece, sognano già la rivincita e i suoi oppositori malignano che faccia il doppio gioco con Salvini in attesa che il Pd perda l’Emilia e si corra al voto.

 

Le ‘non scelte’ delle regionali e lo scontro sulla Campania

elezioni regionali emilia romagna

Elezioni Emilia Calabria

E se le regionali in Emilia e Calabria hanno visto la corsa in solitaria del Movimento (Di Maio era contrario ma perché non voleva neppure che l’M5S si presentasse, molti altri volevano una scelta di campo netta al fianco dei candidati di centrosinistra), alle regionali della primavera il problema si ripropone. E si potrebbe finire a macchia di leopardo: in Veneto D’Incà preme per l’accordo con il centrosinistra, nelle Marche Toninelli ha già annunciato la corsa da soli, in Liguria si litiga, la Toscana per ora non è pervenuta, ma in Campania si rischia una forte, ennesima, spaccatura.

Roberto Fico

Roberto Fico

I due big locali, Di Maio e Fico, divergono nettamente, ma tra gli eletti campani, sostenuti dal presidente della Camera, a prevalere sembra sia stata l’apertura al Pd. Un documento potrebbe certificarla presto, sempre che il Pd rinunci a De Luca, attuale governatore, e si vada verso una figura terza. Di Maio ora ha deciso di chiudere le campagne elettorali in Emilia e Calabria al fianco dei due candidati governatori che non hanno alcuna possibilità di vincere e anche poche chanches di eleggere una discreta pattuglia di consiglieri, ma quasi pregusta la probabile sconfitta del centrosinistra.

 

Agli Stati generali si detteranno solo le regole del gioco

Le regole del gioco

Agli Stati generali si detteranno solo le regole del gioco

Agli Stati Generali – che verranno coordinati dall’ex ministro Danilo Toninelli, oltre che dal reggente Crimi – l’ardua sentenza? No, lì si detteranno solo le regole del gioco. Non ci sarà nessuna elezione diretta in quella sede. Anche perché c’è un altro bivio che attanaglia il futuro del M5S: se la leadership debba essere collegiale o singola (nel primo caso bisognerebbe anche cambiare tutto lo Statuto). Con la prima opzione sostenuta dagli ortodossi, Fico in testa (“comitato eletto dagli iscritti di gestione con la fiducia del garante” è la loro proposta), la seconda per cui preme invece Grillo e con Di Maio che punterebbe a rilanciarsi in un ticket con Chiara Appendino (“il tandem del futuro”) e che molti danno per certo come ‘revenant’.

Matteo Renzi

Matteo Renzi

Potrebbe, però, scoppiare già allora la contrapposizione tra Di Maio, capofila dei ‘terzaforzisti’, e il ministro Patuanelli, capofila di chi vuole un’alleanza organica con il Pd. Lui, Patuanelli, gode della stima dei parlamentari ma è debole nella base e anche molto impegnato a fare il ministro, senza dire che è il migliore candidato per fare il capodelegazione dell’M5S al governo, altra carica che Di Maio ha dovuto mollare. Di Maio assicura che “non farò come Renzi”, ma molti danno per certo un suo ritorno in grande stile, agli Stati generali, sicuro che gli altri non si mostreranno capaci di reggere le sorti del Movimento e che tanto lì non si vota.

 

Per la successione meglio un capo singolo o un Direttorio?

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Dibba e Di Maio

Infatti, mancano le regole anche solo per gli Stati generali, figurarsi per l’elezione del successore di Di Maio. A mala pena ora c’è il membro anziano del comitato di garanzia, Crimi, che dovrà confermare i facilitatori e che, forse, sarà affiancato da altri esponenti dell’M5S prima di marzo, molto probabilmente i sei referenti nazionali del Team. Se lo Statuto resta quello attuale, in pole per la successione resta, in ogni caso, Stefano Patuanelli, ministro allo Sviluppo, ma chanches potrebbero avere altre due donne, Taverna e Lombardi, entrambe romanissime, o Appendino, ma potrebbe lanciarsi anche ‘Dibba’, che per ora tace.

 

La delusione di Beppe Grillo e la vicinanza di Casaleggio

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Beppe Grillo è “stufo” e scarica Di Maio, 5Stelle nel pallone

E Grillo? Ha accolto l’addio di Di Maio nel silenzio assoluto, sintomo di freddezza come di preoccupazione, ma poi ha fatto trapelare tutta la sua contrarietà al suo gesto. I rapporti tra il Garante e Di Maio si sono deteriorati da tempo, ma Grillo non ha mai abdicato da due convinzioni: la leadership unica è meglio di quella collegiale ma, finora, un nuovo Di Maio, nonostante tutti i suoi difetti ma con la sua capacità di leadership, non si intravede all’orizzonte. Casaleggio jr, invece, resta schierato con Di Maio e i suoi ricordano che la nuova Associazione ‘Movimento 5Stelle’, fondata il 20 dicembre 2017 nello studio di un notaio, vede solo due titolari (Di Maio e Casaleggio) e un garante (Grillo): solo a loro spetta la titolarità di nome e simbolo.

 

Tante, forse troppe, le domande nell’M5S che restano aperte

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Il flop dell’M5S

Si resta, dunque, ai blocchi di partenza: sovranisti (Dibba e Paragone, anche se espulso) contro progressisti (Patuanelli, D’Incà, Spadafora), spinte per un nuovo capo ‘singolo’ (Grillo e Casaleggio) e controspinte per un ‘Direttorio’ (Fico, gli ortodossi, quasi tutti i parlamentari e i ministri, Taverna, Lombardi, Ruocco), linea politica di ‘alleanza progressista’ con il Pd o linea da ‘terza forza’ (Di Maio), ‘contiani’ (tutti i ministri e tutti i parlamentari, anche gli ex) contro ‘anti-contiani’ (Di Maio, i sovranisti, molti attivisti), congresso con mozioni agli Stati generali o subito dopo? Tante domande che, nel Movimento, restano tutte aperte.

 


 

NB: l’articolo è stato scritto per il sito di Notizie Tiscalinews.it e pubblicato il 24 gennaio 2020