Inizia “l’ora più buia”. Lockdown totale in tutt’Italia fino al 3 aprile. Il pressing di Governatori e sindacati:”chiudere tutto”
22 Marzo 2020 1 Di Ettore Maria ColomboQuesto blocco di testo, molto lungo e quindi di faticosa lettura, è composto da due articoli: il primo si occupa e ricostruisce la diretta Facebook che ha tenuto ieri notte il premier Conte; il secondo esamina la giornata politica, con annesse polemiche, che l’ha preceduta sempre ieri.
Sommario
1) Fino al 3 aprile sarà davvero “l’ora più buia”. Ferme tutte le attività produttive non essenziali. Conte decide la serrata totale. Il “fermiamo tutto” del governo arriva a notte fonda, in diretta Facebook e dopo il forte pressing di governatori, sindaci, opposizioni, sindacati
“Chiuderemo ogni attività produttiva non essenziale fino al 3 aprile. Negozi di alimentari e farmacie resteranno aperti. E’ la sfida più difficile dal dopoguerra. Uniti ce la faremo”. Questo il succo del messaggio – il sostanziale lockdown dell’Italia per 15 giorni interi: da domani, lunedì 23 marzo, fino a venerdì 3 aprile – che il premier, Giuseppe Conte, consegna agli italiani a notte fonda, alle 23.15, quando persino gli insonni stanno per andarsene a letto. Sui canali Rai va in onda una replica di Fiorello e qualche film dozzinale, sui canali Mediaset Fim ‘d’animazione, spazzatura o talk show demenziali, solo Skytg24 e Rainews24 vigilano, as usual.
Ecco qui da scaricare :Il vademecum aggiornato su cosa è vietato e cosa no
Bozza del dpcm Def da scaricare: DPCM 22marzo 2020
La diretta Facebook del premier con polemica annessa
Il premier non parla, però, davanti alle telecamere di una tv, ma in diretta live su Facebook, diretta che, naturalmente, tutti riprendono e rilanciano (Iv, manco è finita la diretta, e fa già polemica, con Luciano Nobili, perché Conte “non ha usato una TV di stato, ma un’azienda privata americana”…): la location è il suo studio, al secondo piano di palazzo Chigi, con le bandiere dietro, la scrivania di lavoro ufficiale, l’eleganza delle occasioni migliori, lo sguardo corrucciato e un po’ stanco di Conte.
Del resto, è davvero arrivata l’ora più buia, come disse Winston Churchill in un celebre discorso, quando il suo Paese stava per essere invaso dal ‘morbo’ delle divisioni di Hitler, nell’estate del 1940.
Ora il nemico è invisibile, ma altrettanto pericoloso. E l’ora più buia, quella che nessuno pensava che sarebbe mai arrivata, almeno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi, in un Paese come l’Italia, è giunta tra noi. Una decisione simile, quella di ‘chiudere’ totalmente il nostro Paese, dal dopoguerra ad oggi, non era mai stata presa neppure durante gli anni di piombo, la strategia della tensione, le stragi di mafia: l’Italia chiuderà tutte le fabbriche che non producono generi di prima necessità, come cibo o farmaci. Il Paese che di solito vive, ama, e produce, entra così in letargo.
“L’ora più buia” anche per l’Italia è arrivata davvero
Conte lo sa, ne sente il peso, e, al termine di una giornata tremenda, sul fronte dell’emergenza sanitaria (793 morti in più rispetto al giorno precedente, 4321 nuovi casi di persone contagiate solo ieri), decide di parlare alla Nazione per annunciare misure, se possibile, ancora più drastiche delle tante (drastiche) misure già prese. Tecnicamente, lo strumento sarà quello ormai classico del dpcm: entrerà in vigore oggi, domenica 22 marzo, e durerà fino al 3 aprile, quando l’incubo dovrebbe finire, la vita normale tornare a scorrere normale, i cittadini a sciamare per le strade, i negozi e ristoranti a riaprire, etc.
Ma siamo sicuri che sarà così? Il virus è impalpabile e inattaccabile, non si tratta di un’armata di panzer divisionen: possiamo provare a contenerlo, a frenarlo, ma non equivale a sconfiggerlo.
La data del 3 aprile potrebbe essere una previsione ottimistica
Il 3 aprile, dunque, potrebbe non essere la data in cui scriveremo la parola ‘fine’ a questa brutta storia, potrebbe volerci molto più tempo, forse fino a maggio (del resto, le scuole di ogni ordine e grado non riapriranno che dopo l’estate e anche tutte le elezioni slitteranno all’autunno). Un tempo lungo, forse eccessivo, per la pazienza degli italiani. Ma è inutile pensare a quello che accadrà domani, meglio concentrarsi sulle parole di Conte e sul loro reale significato e poi dare conto di una giornata che, in ogni caso, è stata altrettanto drammatica, e dura, quanto il suo epilogo serale.
L’asfissiante pressing sul premier di parti sociali ed enti locali
Conte prende questa ennesima, durissima, decisione solo dopo aver ascoltato, per tutto il giorno, sindacati e imprenditori, associazioni e imprese: in buona sostanza, solo dopo il fortissimo pressing che ha dovuto subire da parte di governatori e sindaci, opposizioni di centrodestra (Salvini) e opposizione dentro il governo, quella di Italia Viva, nella riunione dei capo-delegazione dei partiti di maggioranza. Lui, personalmente, era scettico e preoccupato da giorni di fronte alla prospettiva di decidere un lockdwn integrale, ma i numeri, nudi e crudi, e la pressione delle parti sociali (soprattutto i sindacati e piccole imprese gli hanno chiesto lo stop di tutte le attività industriali non strategiche) lo hanno convinto alla stretta finale.
Stretta di cui il ministro alla Salute, Roberto Speranza, era già convinto da tempo, come dimostra la sua ‘stringente’ ordinanza del 21 marzo. Ma erano troppe, ormai, le Regioni del Nord (tutte quelle a guida leghista: Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, etc.) che avevano deciso per ‘serrate’ autoctone assai drastiche. Ieri, ci si sono messi anche i comuni: non solo quelli della provincia di Bergamo, città martoriata dal coronavirus, ma anche quelli di molte altre città, sindaci democrat compresi.
Per non dire delle pressioni del sindacato, Cgil in testa: la settimana scorsa si era discusso delle misure sulla sicurezza sul lavoro, ora invece la situazione è ancora più preoccupante. Da qui la richiesta firmata da tutti i sindacati: “Chiediamo di valutare misure ancor più rigorose, la sospensione di attività non essenziali in questa fase per il nostro Paese” perché, avverte il leader della Cgil Maurizio Landini, “la paura della gente si può trasformare in rabbia”.
Confindustria, invece, non era propensa alla serrata, anzi: chiedeva di assicurare alle imprese tutta la liquidità di cui hanno bisogno per superare la fase transitoria, in caso di chiusura volontaria o meno, attraverso un fondo di garanzia che riguardi piccole, medie e grandi aziende. Ma la serrata sul piano economico arriverà presto e saranno altri dolori.
Il bollettino di guerra che arriva dal fronte sanitario
D’altronde, i dati del bollettino sanitario sono drammatici. Un bollettino di guerra che il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, sciorina ogni giorno, a metà pomeriggio, un ‘appuntamento con la Morte’ ormai imperdibile per tutti.
Sono 793 in un giorno le vittime di coronavirus, di cui 546 nella sola regione Lombardia, e i decessi totali sono 4825. Crescono le persone guarite (+943, 6072 in totale), ma crescono anche i contagiati delle ultime 24 ore (+4321), un dato che porta il totale dei casi positivi, in Italia, a 42.681, mentre i ricoverati con sintomi sono in tutto 17.708, in terapia intensiva 2.857, in isolamento domiciliare 22.116.
E’ diretta contro il diffondersi del contagio da coronavirus, dunque, l’ulteriore stretta. Le resistenze di Conte erano legate soprattutto alla necessità di assicurare al Paese continuità economica, di ‘rallentarlo’ – come chiedevano gli imprenditori – ma non di ‘fermarlo’ – come invece chiedevano i sindacati, ma sono tutte ragioni che vengono meno, nell’animo del premier, proprio dopo il bollettino di guerra in cui si annovera l’altro ennesimo record di vittime.
E così, dopo aver visto uscire le ordinanze ‘autoctone’ e iper-restrittive di Lombardia e Piemonte, ecco che arriva la decisione del presidente del Consiglio, “una decisione non facile” presa insieme ai ministri e ai capi delegazione delle forze maggioranza e dopo l’incontro con le parti sociali.
Il discorso di Conte: “Mantenete la calma, ce la faremo”
Ecco, dunque, maturare nel corso della giornata, il discorso della sera, in diretta Facebook, da parte di Giuseppe Conte. “Questa è la sfida più difficile dal dopoguerra” premette. Poi arriva l’annuncio: “Chiuderemo tutte le attività produttive non cruciali, ma resteranno aperti supermercati, alimentari, farmacie e parafarmacie e i servizi essenziali saranno garantiti”. Infine, la raccomandazione che dà i brividi perché ricorda le scene dei film catastrofisti di Hollywood: “Invito tutti a mantenere la calma, non correte ad accaparramenti”.
La formula è quella del dpcm, già molto criticata
Il dpcm (lo strumento tecnico della ‘serrata’ del Paese che molti costituzionalisti, da Cassese a Clementi vogliono limitare perché strumenti ‘sporchi’ e di dubbia costituzionalità) verrà pubblicato oggi, ma intanto il premier ne anticipa i contenuti scegliendo il mezzo della diretta su Facebook a tarda sera, anche perché sa che tutte le tv e le reti, debitamente preallertate, lo daranno in diretta.
“Chiuderemo sull’intero territorio nazionale ogni attività produttiva che non sia essenziale”, è l’annuncio di Conte. “Lasciamo acceso il motore del Paese, ma lo rallentiamo”, la premessa (in realtà, oggi più che mai, il Paese è fermo). “Mai come ora – la conclusione – la nostra comunità deve stringersi più forte, come una catena, a protezione del bene più importante, la salute. Se dovesse cedere anche un solo anello di questa catena la barriera di protezione verrebbe meno” dice Conte e nel dirlo sembra un protagonista del “Signore degli Anelli” di Tolkien: l’anello della vita e quello del Potere non possono cadere in mani nemiche, è il concetto del premier-Gandalf.
Quel poco che non è chiuso, ma invece resta ‘aperto’
“Continueranno a rimanere aperte farmacie e parafarmacie – dice il premier – Assicureremo i servizi bancari, postali, assicurativi, finanziari, tutti i servizi pubblici essenziali, ad esempio i trasporti. Resteranno aperte tutte le attività funzionali”, assicura il premier che invita soprattutto alla calma rispetto alle corse agli acquisti. Ovvero niente file ai supermercati che “non sarebbero giustificate”. “Continueranno a rimanere aperti tutti i negozi di generi alimentari e di prima necessità. Non abbiamo previsto nessuna restrizione sugli orari di apertura”, sottolinea il presidente del Consiglio a causa delle polemiche sollevate da chi – governatori in testa -vuole decurtare quegli orari.
Riguardo alle altre attività non essenziali “consentiremo solo lo svolgimento di lavoro in modalità smart working”, come dire che tre quarti degli italiani, abituati ad andare ‘in ufficio’ dovranno rivoluzionare le loro (cattive abitudini) e senza dire che, in Italia, la banda larga o non c’è o fa schifo. E le stesse parole utilizzate dal premier sono il segno della preoccupazione dell’esecutivo: “E’ la crisi più difficile che il Paese sta vivendo dal dopoguerra. Lascerà un segno indelebile in noi anche quando tutto questo sarà finito. Quelle che piangiamo sono persone. Le misure fin qui adottate richiedono tempo prima che possano dispiegare i loro effetti. Ma dobbiamo continuare a rispettare le regole. Non abbiamo alternative” e quindi “in questo momento dobbiamo resistere perché solo in questo modo potremo tutelare le persone che amiamo”.
Lo sguardo è in avanti (“Non rinunciamo alla speranza e al futuro. Uniti ce la faremo”) ma per ora l’Italia deve fare “un altro passo indietro: stiamo rinunciando alle abitudini più care, ma lo facciamo perché amiamo l’Italia”. Pesa “la morte di tanti concittadini, un dolore che ogni giorno che si rinnova”. La consapevolezza è che “siamo in emergenza economica“, ma – assicura il premier – “lo Stato c’è ed è qui, interverrà con misure straordinarie per ripartire quanto prima”. Insomma, risuona il kenneydiano ‘nessuno resterà indietro’? Si vedrà, nei prossimi mesi.
L’opposizione esulta: “Conte fa ciò che chiedevamo da tempo!”
La decisione assunta dal governo soddisfa le forze di opposizione, da giorni schierate per un’ulteriore restrizione dei movimenti e delle attività dei cittadini, che infatti rivendicano la giustezza delle loro richieste e non mancano di sottolineare la tardività con cui si mosso il governo. “Si è perso troppo tempo” è il commento unanime di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia.
La maggioranza si schiera al fianco del presidente del Consiglio, e plaude la decisione assunta: “Serve unità”, predica il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando. “Una misura necessaria”, osserva Luigi Di Maio. Voce fuori dal coro – tanto per cambiare -è invece quella di Italia viva, che critica il premier per aver scelto di parlare al Paese via facebook, e non con i canali istituzionali. “Finalmente, dopo troppi giorni persi, ci hanno ascoltato sulla chiusura delle fabbriche! Bene, ora andiamo avanti con le altre richieste: mascherine e protezioni per tutti, anno bianco di pace fiscale per imprese e lavoratori per tutto il 2020, sveglia all’Europa e riapertura del Parlamento”, dice Renzi.
Le posizioni di Fratelli d’Italia, FI, LeU e altri ancora…
“La politica dei piccoli passi applicata alla pandemia coronavirus. Ennesimo annuncio di Conte ennesimo decreto in cui si chiude tutto, ma anche no. Tempo, risorse e credibilità persi solo per non dare ragione a chi, come Fratelli d’Italia, proponeva di chiudere tutto due settimane fa” attacca invece Giorgia Meloni.
“Lo stop a tutte le attività produttive che non siano strettamente necessarie è un passo in avanti verso la chiusura totale che Forza Italia chiede da settimane. Meglio tardi che mai! Conte si è mosso in ritardo, ma non è il momento delle polemiche” si unisce al coro Forza Italia con la capogruppo Mariastella Gelmini.
Parla, invece, di “sacrificio necessario” il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri (Pd).
Sempre dal fronte dem, “Il Pd sostiene le ulteriori misure del Governo che, per quanto drastiche, sono state assunte per combattere la diffusione del contagio“, dice il numero 2 del Nazareno Andrea Orlando, e aggiunge: “Ringraziamo i lavoratori che garantiranno i servizi essenziali a partire da quelli sanitari. Chiediamo a tutti i cittadini il piu’ scrupoloso rispetto delle misure adottate. E’ il momento dell’unità contro un pericoloso nemico comune da sconfiggere“.
Per Leu “bene cosi’, presidente Conte. Adesso tutta Italia, tutti noi, dobbiamo impegnarci ancora di più per bloccare il contagio“, dichiara Nicola Fratoianni.
Anche il Movimento 5 stelle con Luigi Di Maio parla di “misura necessaria” perché la “priorità del governo è una sola: tutelare la salute di ogni singolo cittadino. Non molliamo e non abbassiamo la guardia”.
Infine, Italia viva stigmatizza la scelta di Conte di parlare via Facebook: “Per un messaggio alla nazione in una fase così delicata, sorprende che Conte non utilizzi gli strumenti istituzionali come la sala stampa di palazzo Chigi, preferendo tenere tutta Italia (compresa la Rai) incollata alla sua pagina Facebook personale” osservano Luciano Nobili e Marco Di Maio, deputati di Iv. Il fuoco della polemica, dunque, continua e continuerà a covare sotto la cenere della morbo, ma per ora, nel Paese, nessuno se ne accorge.
NB/1: L’articolo è stato scritto in forma originale per il sito di notizie Tiscali.ti il 22 marzo 2020
2) La Politica getta la sua ‘mascherina’. Torna il tutti contro tutti (e soprattutto il tutti contro Boccia) mentre il Parlamento è chiuso. Sindaci e governatori premono sul governo: “bisogna chiudere tutto”. La Lombardia fa da sola e fa “come in Cina”.
La Politica è tornata ai suoi normali ‘battibecchi’? No…
Polemiche sulle parole ironiche del ministro Boccia sulle mascherine e il loro uso. Salvini che si appella a Mattarella. Renzi e Calenda (ve lo ricordate Calenda? Esiste anche lui) che, giusto per non farsi notare, attaccano senza pietà Boccia – responsabile, in effetti, di una gaffe sgraziata – come se fossero forze politiche che stanno all’opposizione. Dem e M5S che fanno a gara con la Lega per chi chiede le misure più ‘severe’ nella direzione del ‘fermiamo tutto’. Sindaci e governatori in ‘rivolta’ contro lo Stato centrale perché vorrebbero adottare misure severe, “come in Cina”. Polemiche sul Parlamento chiuso da riaprire ‘subito’ perché “anche noi parlamentari dobbiamo stare in prima linea, come i medici”, dicono Renzi e Salvini, che si intrecciano a quelle di limitare le libertà personali.
Mentre la Politica sembra riappropriarsi, per un giorno, del suo – insopportabile – cicaleccio quotidiano, dei suoi sempiterni battibecchi tra maggioranza e opposizione come pure dentro la stessa maggioranza di governo, in realtà tracima nella richiesta di misure sempre più restrittive e securitarie che farebbero impallidire i fan di Casa Pound. Insomma, non è una Politica da tempi ‘normali’, ma una Politica che sembra aver perso il lume della ragione, senza dire del fatto che, di tempi ‘normali’, in Italia non si vede l’ombra, e non certo perché nascosta dallo scintillante sole che ieri splendeva sul Paese e che copriva morti e ammalati. Di ieri sera la notizia che un agente della scorta di Conte è risultato positivo al tampone mentre, per sua (e nostra?) fortuna, il premier è risultato negativo, e dunque è sano.
Conte finisce sotto pressione di sindacati, governatori e sindaci
Il quale premier, dopo essere stato contattato via mail dai segretari Cgil, Cisl e Uil, ha convocato una videoconferenza nel pomeriggio con i rappresentanti dei lavoratori e delle imprese. I sindacati chiedono “misure ancor più rigorose” nella sospensione delle attività “non essenziali” mentre la Lombardia chiedeva lo stop ‘a tutto’ e, nella serata di ieri, ha deciso lo stop fino al 15 aprile.
Il Governo, per ora, morde il freno e valuta il da farsi. Sul tavolo c’è sia la possibilità di intervenire con un nuovo Dpcm, sia di aspettare mercoledì prossimo, quando scadrà quello attualmente vigore, per valutare i risultati ottenuti, ma i Governatori non tolgono il piede dell’acceleratore, come si capisce dalla mossa ‘ultimativa’ decisa da Fontana.
Anche il Governatore del Veneto, Luca Zaia, polemizza con il governo: non vuole ritirare l’ordinanza che limita le attività all’aria aperta e impone la chiusura, per domenica, di supermercati e alimentari: anzi, studia misure per limitare il via vai di chi va a fare la spesa senza averne reale necessità. Chiedono invece che supermercati e alimentari tornino agli orari normali, per evitare le code, Giuseppe Sala e Virginia Raggi, i due sindaci di Milano e Roma, alle prese con lunghe file che affaticano da giorni le loro città.
Infine, sul governo piomba anche la richiesta di ‘più soldi’ da parte dell’Anci, richiesta pressante che arriva anche da Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia e viene prontamente condivisa da Giorgio Gori, primo cittadino di Bergamo.
La involontaria gaffe di Boccia solleva un polverone di polemiche
Ma la polemica che si porta via la giornata riguarda il ministro alle Autonomie, il dem pugliese Francesco Boccia. “Queste sono le mascherine che utilizziamo normalmente per non toglierle agli operatori” sono le sue parole, pronunciate a microfoni spenti prima della conferenza con il Commissario all’emergenza sanitaria Angelo Borrelli. Poche parole che però sono bastate a scatenare infuocate, surreali polemiche. Quella di Boccia, che voleva essere una risposta alla domanda di un operatore, è stata interpretata come ironia, complice forse il sorriso di Borrelli che gli sedeva a fianco.
Il ministro Boccia indossava una delle mascherine distribuite dalla Protezione civile, quelle che hanno fatto infuriare qualche giorno fa l’assessore alla Sanità lombarda Gallera, e che si presentano come una unica fascia da appuntare alle orecchie. Da qui è partito un fuoco di fila che ha visto esponenti dell’opposizione ma anche della maggioranza ‘mordere’ Boccia ai calcagni come se fosse un ‘untore’.
“Dalli all’untore!”. Renzi, Salvini e altri scatenati contro Boccia
Uno dei più duri è Matteo Renzi che dedica alla vicenda ben due video, uno su Facebook e un secondo su Instagram, dal contenuto simile, ma dai toni diversi. Se nel primo il leader di Italia Viva appare più compassato, nel secondo quando ha visto che la polemica si è ‘montata’ da sola e forse memore degli scontri al fulmicotone con Boccia, quando questi stava nella minoranza e Renzi era segretario – alza la voce e quasi grida dicendo che “fare ironia sulle mascherine è assurdo, un atteggiamento indegno delle nostre istituzioni. A maggior ragione dopo ciò che sta accadendo sulle mascherine dalla Lombardia alla Sicilia e dopo le giuste proteste di Fontana e Musumeci”.
Anche Carlo Calenda, su Twitter, non usa mezzi termini: “Boccia ha dimostrato di non avere le qualità per ricoprire un ruolo istituzionale in questo momento. Non esiste sulla faccia della terra che un Ministro si metta a fare pagliacciate durante una pandemia nella sede della protezione civile. Conte dovrebbe chiedere le dimissioni”, sottolinea Calenda che già da ministro dello Sviluppo Economico ingaggiò un lungo duello con Boccia e con Michele Emiliano, governatore pugliese molto vicino al ministro, sul caso Ilva. Di tenore identico a quelli di Renzi e Calenda gli attacchi provenienti dalla Lega e Forza Italia.
La replica del ministro Boccia che però solo mezzo Pd difende…
Il ministro Boccia comunque, non si fa pregare e risponde così a chi gli dà del pagliaccio: “Penso che in questo momento gli italiani abbiano bisogno di risposte e non di sterili polemiche. La mascherina che ho indossato durante la conferenza stampa è del tipo che indosso quotidianamente e che indossano i miei collaboratori. Inutile e indegno lo sciacallaggio che leggo sui social su una cosa che facciamo ogni giorno dalla mattina alla sera. Borrelli sorrideva perché, dopo il primo click, c’erano già le prime dieci domande di medici volontari. Ma nemmeno in un momento così si riescono ad evitare polemiche inutili?”. Al fianco del ministro si schiera solo il suo partito, il Pd, e alcuni – non tutti – ministri del governo, mentre al Nazareno si sottolinea che “Boccia sta facendo un importantissimo lavoro in queste settimane di coordinamento delle iniziative e delle misure che si stanno prendendo con le Regioni, e ha spiegato quello che è successo. Basta perdere tempo con polemiche strumentali, non se lo può permettere nessuno”.
Ma le polemiche non si spengono e Boccia resta sulla graticola per tutto il giorno, attaccato da tutti e difeso da quasi nessuno. Del resto, non è proprio il giorno giusto, per scherzare, date le nuove cifre di morti e ammalati che sforna, alla conferenza stampa quotidiana, proprio Borrelli.
Il Covid19 non si ferma mai: anzi, ogni giorno è peggio
Infatti, non sembra finire mai, l’emergenza Covid19 in Italia mentre anche il Resto del Mondo inizia a piegarsi e a rischiare di soccombere sotto i colpi di una pandemia davvero globale quanto letale. Mai così tanti morti, ieri. Sono 793 in un giorno le vittime di coronavirus, di cui 546 nella sola regione Lombardia e i decessi totali sono 4825. Crescono le persone guarite (+943, 6072 in totale), ma crescono anche i contagiati delle ultime 24 ore (+4321), un dato che porta il totale dei casi positivi, in Italia, a 42681, mentre i ricoverati con sintomi sono in tutto 17.708, in terapia intensiva 2.857, in isolamento domiciliare 22.116. Le cifre le snocciola, con la sua aria mesta e funerea, il commissario straordinario per l’emergenza Angelo Borrelli.
Continua a essere drammatico, in particolare, il bilancio della regione più colpita, la Lombardia: in sole 24 ore ci sono stati 546 morti e 3251 casi di positività in più, mentre i decessi sono 3095 e i positivi, al momento, sono 25515. Non a caso, gli appelli a ‘chiudere tutto’ arrivano da qui. Come spiega il presidente dell’Iss Brusaferro, “è tassativo il rispetto delle misure prese dal Governo, è un segnale forte per dire che non abbiamo ancora preso sufficientemente sul serio il pericolo. Ci sono ancora situazioni dove con la scusa di fare due passi si fanno assembramenti. Le scappatoie danneggiano noi stessi e i nostri cari e le persone più fragili sono gli anziani (la media dei morti è di 80 anni, ndr.). Servono meccanismi di rispetto sistematico delle misure o non potremo allentare la diffusione del virus”.
La lettera dei sindaci bergamaschi: “Fermiamo tutto”
E proprio “Fermiamoci davvero” è il messaggio che il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, il presidente della Provincia di Bergamo, la più colpita dall’epidemia, in rappresentanza dei 243 sindaci della zona, Gianfranco Gafforelli, e i rappresentanti bergamaschi di tutti i partiti (dal Pd alla Lega) hanno mandato a Conte e Fontana.
Una lettera-appello per chiedere un intervento “maggiormente coercitivo”. “Chiediamo – scrivono i primi cittadini – un intervento restrittivo e doveroso che potrà aiutare a vincere questa guerra”. Parole dure, pesanti, e a loro modo ‘brutte’: interventi ‘restrittivi’ “doverosi”, “vincere la guerra”, “fermare tutto”, già, ma a quale prezzo? Quello di sacrificare le libertà personali e costituzionali? Si, anche. La richiesta – mai vista prima, in duecento anni di storia patria – è di enti locali che chiedono al governo centrale una ‘stretta’ in senso repressivo e limitativo dei diritti, non del governo che, in altri tempi, la prendeva tra le proteste.
Salvini invoca, di nuovo, l’intervento “urgente” di Mattarella
Il centrodestra, ovviamente, davanti a richieste ‘securitarie’ di questo genere, esulta di gioia perché le sente nelle sue corde. Da Salvini alla Meloni ai forzisti è tutto un giocare di spalla e di sponda con i governatori del Nord e i sindaci.
Matteo Salvini, in particolare, in evidente difficoltà nei sondaggi, prende subito la palla al balzo. Solo due giorni fa aveva assicurato toni collaborativi dopo la telefonata ricevuta da Sergio Mattarella – il quale gli aveva chiesto, di fatto, di tenere un atteggiamento ‘responsabile’ verso il governo e sul ‘dl Cura Italia’, senza fare ostruzionismo – ma il richiamo del Colle, quello all’unità tra maggioranza e opposizione in un momento così drammatico per il Paese, per Salvini è diventato presto carta straccia. Il leader della Lega torna a affondare i colpi nei confronti del governo e si rivolge proprio al Capo dello Stato: “Ci rivolgiamo a lei perché altri non ci ascoltano”, è l’esordio in un video su Fb dall’evidente intento polemico. E dato che la richiesta di una stretta, almeno in Lombardia, arriva da tutta la destra, Salvini rilancia e chiede una chiusura totale di tutte le attività non vitali, una linea condivisa con molti governatori, in particolare quello della Lombardia, Fontana, con il quale si schierano tutti i parlamentari eletti con il centrodestra (Lega, FdI, Noi con l’Italia, Udc, Cambiamo).
M5S si accoda al centrodestra: “Misure più restrittive”
Poi, non contento, il leader leghista chiede di dotare di mascherine tutto il personale sanitario e le forze dell’ordine. E, ancora, reclama la pace fiscale per un intero anno (per “tranquillizzare tutti gli imprenditori e i lavoratori che sono chiusi a casa responsabilmente: moratoria fiscale, sospensione di tutte le tasse locali e statali per tutto il 2020”), come se davvero si trattasse di misura fattibile. Infine, chiede la riapertura del Parlamento e, poi, torna a un suo vecchio cavallo di battaglia, la polemica con la Ue: Salvini cioè chiede a Mattarella di “svegliare l’Europa”.
Ma se sulla linea di Salvini si allinea l’intero centrodestra, la novità è che, sul fronte di un inasprimento delle misure, i 5Stelle aprono come se fossero ancora i tempi del governo gialloverde: “Rispetto all’adozione di ulteriori misure restrittive, in particolare per le aree maggiormente colpite dal Coronavirus, non solo c’è piena disponibilità, ma un orientamento assolutamente favorevole”, dicono dal M5S. E il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano aggiunge: “Mappare gli spostamenti? Tutto, se si tratta di misure temporanee”.
Il Pd, per ora, tace, almeno a livello nazionale, ma molti sindaci (non solo Giorgio Gori di Bergamo) e governatori, da Bonaccini (Emilia-Romagna) a De Luca (Campania), da Ceriscioli (Marche) a Emiliano (Puglia), la pensano allo stesso modo: chiedono urgentemente misure “più restrittive” e alcuni di “far intervenire l’Esercito” con buona pace dei diritti individuali come della Costituzione.
La Lombardia ‘fa da sola’: chiuso tutto fino al 15 aprile
In ogni caso, dopo i dati drammatici di ieri, la Lombardia ha deciso di disporre misure più restrittive contro il coronavirus: di fatto, ‘fa da sola’, a dispetto del governo, che, per ora, ha deciso lo stop totale solo fino al 25 marzo. In Lombardia, invece, viene decretato fino al 15 aprile il fermo delle attività nei cantieri edili e il divieto di praticare sport e attività motorie svolte all’aperto, anche di singoli. Stop anche a studi professionali e uffici pubblici.
L’ordinanza della Regione mantiene aperte solo le edicole, le farmacie, le parafarmacie e i supermercati, sempre con la garanzia del rispetto della distanza di almeno un metro.
“Una decisione – spiega il presidente della regione, Attilio Fontana, ormai più famoso, a livello nazionale, europeo e mondiale di Salvini, che sta iniziando a provarne invidia – dettata dal serrato confronto con le nostre autorità sanitarie che ci impongono di agire nel minor tempo possibile. La situazione non migliora anzi, continua a peggiorare. Non so più come dirlo: solo con l’estrema limitazione dei contatti interpersonali possiamo cercare di invertire la tendenza”.
Il grido di dolore di Decaro: “comuni a rischio collasso”
Non che i governatori, ma anche e soprattutto i sindaci, ancora oggi molti di matrice dem, non chiedano altro, cioè cose sensate, oltre che tante limitazioni a diritti dei cittadini.
I sindaci, ad esempio, denunciano anche una situazione economica sempre più difficile, fragile e precarie per le loro, già esangui, casse comunali. “La tenuta funzionale e organizzativa dei Comuni, sul piano operativo e, soprattutto, sul piano finanziario, è messa a dura prova dall’emergenza coronavirus. Maggiori oneri, entrate ridotte, avranno un impatto sui nostri bilanci, approvati e in corso di approvazione. Un quadro che, non vi nascondo, allarma me e i miei colleghi: il Paese rischia il collasso dei comuni, l’unica istituzione di prossimità sul territorio nazionale” è il grido di dolore che lancia il sindaco di Bari, nonché soprattutto presidente dell’Anci, Antonio Decaro, mettendolo per iscritto in una lettera al premier Conte e al ministro dell’Economia: “il decreto ‘Cura Italia’ non contiene quel che è indispensabile ai Comuni, settore in crisi, al pari dei settori economici più esposti alle conseguenze dell’emergenza. Vediamo diminuire già in queste settimane il nostro ‘fatturato’. Ci serve liquidità: lo Stato anticipi il pagamento del Fsc (fondo di solidarietà comunale) e altre spettanze pagandole subito e per intero” (seguono altre proposte sulle risorse). Infine, Decaro rivolge al governo un appello accorato: “Credetemi, la mia non è una rivendicazione corporativa ma un grido di allarme perché la crisi dei Comuni è già in atto e va arginata subito: non farlo esporrebbe l’intero Paese a rischi ancora maggiori in questo drammatico momento”.
Vedremo come risponderà il Mef e il governo quando, essendo il dl ‘Cura Italia’ già stato emesso e bollinato, arriverà nelle Camere per il suo consueto iter parlamentare, suscettibile di modifiche.
Per Fico e Casellati “il Parlamento è aperto” ma è vero?
Ecco, appunto, quando e come arriverà il dl ‘Cura Italia’, in Parlamento, e come? Il Parlamento – ad oggi deserto, e non solo perché chiuso come in ogni week-end ‘normale’, ma perché gli onorevoli deputati e senatori si guardano bene dal metterci piede per paura di finire contagiati – “resta aperto” ripetono a ogni pié sospinto i due presidenti, Roberto Fico e Elisabetta Casellati.
Fico lo ha fatto in diversi interventi e interviste, ieri anche la presidente di palazzo Madama è tornata sul punto: “Nessuna limitazione all’attività legislativa, nessuna restrizione a quelle che sono le prerogative parlamentari” afferma “con forza” Casellati. Non è da meno Fico: “Le Camere sono e devono restare centrali, ma soprattutto devono lavorare per dare risposte alle persone. Chi parla di Parlamento chiuso è confuso o distratto: non abbiamo mai chiuso e non chiuderemo”.
L’agenda parlamentare: audizione di Gualtieri e inizio dell’iter del dl ‘Cura Italia’ che partirà dalla Camera
Ma stanno davvero così le cose? Mica tanto. In piena emergenza coronavirus, Camera e Senato stanno facendo i conti con le forti restrizioni imposte dal governo alla circolazione, che vale per tutti i cittadini, tema cui si aggiunge la paura di nuovi contagi che ha ‘contagiato’ i parlamentari.
Le Camere faticano a riavviare la loro attività consueta. Niente sedute né riunioni ci sono state in questa settimana, quella che si chiude. La prossima settimana l’Aula della Camera sarà impegnata mercoledì con il primo question time dell’era coronavirus (in forma ampliata) e da lunedì 23 marzo prenderà il via l’esame del ‘decretone ‘Cura Italia’ in commissione Bilancio della Camera, con l’audizione del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, in agenda martedì 24. Quanti deputati saranno presenti?
La verità è che, nelle due Camere, non ci va, in pratica, più nessuno dei suoi abituali frequentatori: pochi, pochissimi, persino i commessi, sospesi tutti i servizi, latitano persino i giornalisti, figurarsi i parlamentari. Hanno tutti una fifa blu di prendersi il coronavirus, ecco il punto.
Renzi e Salvini protestano: “Riaprite il Parlamento!”
Ecco perché sia Matteo Renzi che Matteo Salvini hanno facile e buon gioco a protestare e a stracciarsi le vesti dicendo che “il Parlamento deve riaprire i battenti, è la loro accusa. Il primo, via diretta Facebook, denuncia che “non è pensabile che il Parlamento stia a casa alla finestra a guardare. Qui non si va avanti a decreti e ordinanze senza che la casa della democrazia possa riunirsi”. Per il leader di Italia viva “è fondamentale che il Parlamento recuperi il proprio ruolo, perché non ci riuniamo nemmeno. In tempi di guerra vera come questa, il Parlamento è una delle istituzioni che deve rimanere aperta. La democrazia non chiude mai”.
Anche Matteo Salvini chiede di “riaprire il Parlamento per portare a Roma proposte, idee e contributi. Ci affidiamo a Mattarella visto che altri non sembrano abbiano voglia o tempo di ascoltarci”, conclude riferendosi alla ‘mancata’ risposta di ieri al telefono da parte del premier Conte.
Voto a distanza, commissione speciale? Le buone idee respinte…
Il guaio – e, a nostro modesto avviso – la vera follia è che, dopo aver escluso iter ‘emergenziali’ e ogni forma di ‘innovazione’ (la commissione speciale, il voto a distanza), sia alla Camera che al Senato l’esame dei decreti per far fronte alla diffusione del contagio seguirà un procedimento ordinario in tempi che di ‘ordinario’ non hanno nulla, anche se, tuttavia, resta ancora da sciogliere il nodo sulle modalità di voto in Aula, quando le due Assemblee saranno chiamate ad esprimersi sugli emendamenti e sul via libera finale al provvedimento. Data infatti per scontata la convocazione dell’Aula nel suo plenum, senza neppure il dimezzamento delle presenze che è stato messo in atto l’ultima volta (il che, non essendo mai stato fatto, vuol dire che si può fare…), si pone il problema di come assicurare nell’emiciclo il rispetto della distanza di almeno un metro con la contemporanea presenza di 315 senatori e 630 deputati (fatte salve le assenze giustificate e quelli in missione).
Le Camere esamineranno il dl ‘Cura Italia’ in modo normale, assicurano i presidenti, ma ci riusciranno in tempi eccezionali?
La questione del ‘come’ assicurare il regolare svolgimento sarà affrontata dalle due rispettive conferenze dei capigruppo: alla Camera la riunione è fissata per martedì pomeriggio 24 marzo, e stavolta si svolgerà con la presenza fisica dei presidenti di gruppo e non più in videoconferenza come pure è stato fatto (altro segno che, volendo, ‘si può fare’…) mentre al Senato i capigruppo si riuniranno mercoledì 25 marzo. “Il Senato non ha mai cessato di lavorare e, anzi, da subito mi sono preoccupata di garantirne l’operatività, certamente con tutte le misure necessarie per la sicurezza sanitaria”, insiste la Casellati che poi spiega: “Oggi abbiamo in prima lettura in Senato ben quattro decreti legge e con i capigruppo stiamo dialogando per capire qual è la forma migliore per organizzare i lavori in Aula e in commissione. Certamente in questo momento alla difficoltà legata all’emergenza si unisce quella di un provvedimento recente (l’ultimo dpcm, ndr.) che prevede una drastica riduzione dei collegamenti e questo condizionerà la circolazione anche dei senatori”.
Le altre ipotesi in campo: il voto ‘a chiamata’ o ‘per delega’
Tra le ipotesi in campo su cui stanno ragionando i presidenti dei due rami del Parlamento e i capigruppo – senza però arrivare a soluzioni drastiche e con il plenum – c’è il voto per alzata di mano (che consente una presenza meno ‘massiccia’ di parlamentari in Aula) o il voto scaglionato (già sperimentato a palazzo Madama in occasione dello scostamento di bilancio), o ancora il voto per ‘chiamata’ nominale, come avviene nelle votazioni sulla fiducia. Ma tali soluzioni, che potrebbero essere valide per il voto finale, non risolverebbero di certo la questione dei diversi voti consecutivi sugli emendamenti, specie se le opposizioni facessero, a dispetto del Colle, ostruzionismo.
Forza Italia, con Francesco Paolo Sisto, propone il “voto per delega al capogruppo, una soluzione che consentirebbe di evitare l’incostituzionale (articolo 72 della Costituzione) e non consentito (articolo 49 del Regolamento) ‘voto online’ (la proposta di Ceccanti e molti altri dem, ndr., tutte proposte e idee facilmente rintracciabili sul sito Internet http://www.stefanoceccanti.it).
“La delega, che deve essere limitata ai casi di epidemia grave e certificata, certifica la volontà del singolo parlamentare e dovrebbe riguardare ciascun emendamento e il voto finale, per cadere nel momento in cui il parlamentare decidesse di presenziare in Aula” conclude il ragionamento Sisto.
FdI pone, invece, anche la questione dei tempi: troppo ristretti quelli concessi (8 minuti a gruppo) per l’audizione di Gualtieri. Inoltre, FdI insiste sul ritorno alla piena attività con Fabio Rampelli, secondo il quale “le modalità per operare in sicurezza e lavorare per l’Italia in un momento tragico ci sono tutte: fateci lavorare”. Già, ‘lavorare’, giusto, quello che i parlamentari dovrebbero fare – e, a volte, onestamente, molti di loro fanno – tutti i giorni, ma che in tempi eccezionali dovrebbe essere consentito fare con più innovativi, strumenti, a partire dallo smartworking, come fanno tanti cittadini ‘normali’ ogni giorno e come continueranno a fare in tempi così difficili e straordinari.
NB/2: Questo articolo è stato scritto in forma originale per questo blog il 22 marzo 2020
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