In marcia verso l’election day/4. Le Marche: il laboratorio Pd-M5s non è mai nato, il centrodestra vede la vittoria

In marcia verso l’election day/4. Le Marche: il laboratorio Pd-M5s non è mai nato, il centrodestra vede la vittoria

22 Agosto 2020 0 Di Ettore Maria Colombo

In marcia verso l’election day/4. Il laboratorio marchigiano tra Pd e M5s non è mai nato.
Il centrodestra è davanti in tutti i sondaggi e può vincere una regione ormai ex ‘rossa’

marche

Prosegue il giro delle regioni al voto il prossimo 20 e 21 settembre. Dopo la prima puntata, dedicata al Veneto, la seconda dedicata alla Liguria, la terza dedicata alla Toscana, quest’oggi affrontiamo il capitolo delle elezioni nelle Marche. Le ultime due regioni, Campania e Puglia, le affronteremo invece non subito ma in due puntate dal 25 agosto in poi. 

 

E Crimi sbatté la porta: “Non c’è alcuna alleanza strutturale”

vito crimi

Vito Crimi

La cosa curiosa è che, per una volta, il reggente dei 5Stelle, il senatore Vito Crimi, ha detto una parola che detta legge. Tra Pd e M5s non c’è “alcuna alleanza strutturale” (“Non l’abbiamo fatta con la Lega, non la facciamo oggi”), spiegava, l’altro giorno, con dovizia di particolari, in un’intervista al Corsera. E neppure nuovi accordi sono in vista, anzi: è il Pd che deve aver preso lucciole per lanterne. “La questione è chiusa da tempo”, sentenzia Crimi: in Puglia e nelle Marcheabbiamo fatto un’opposizione ferma e un’alleanza è infattibile”. Il reggente – l’uomo che il mai troppo compianto Massimo Bordin definì, con preveggenza sapiente, “un gerarca minore”, arriva persino a dire che “se perdono i candidati del Pd è un problema loro”.

maurizio mangialardi

Maurizio Mangialardi

Il che è, in effetti, pure vero: la corsa di Mangialardi nelle Marche e del governatore uscente Emiliano in Puglia è a rischio e il Pd teme di sommare due sconfitte brucianti che, sommate a quelle in Liguria e Veneto, vedrebbero lo score del match  Regionali finire 4 a 2 per il centrodestra, con la certezza (neppure troppa) di vincere le regionali solo in Toscana e Campania. Solo che, a quel punto, la richiesta – che alcuni, da Orfini a Nardella, già avanzano – di un congresso in cui ridiscutere linea politica e organigrammi si farebbe più pressante e asfissiante, da parte delle minoranze, contro Zingaretti ese ciò accadesse, e anche al governo potrebbero derivarne nuovi, pericolosi, scossoni.

 

Lo schiaffo al Pd e quello, in controluce, dato a Conte

crimi conte

Crimi e Conte

Ma lo schiaffo al Pd – che l’intervista di Crimi la prende malissimo (segue scambio di messaggini irati tra Zingaretti e Di Maio, con il primo che accusa l’altro di ‘doppiogiochismo’ e il secondo che si offende parecchio) – derivato dalle parole di Crimi si somma a quello che Crimi dà a Conte, che solo il giorno prima si era speso che stringere l’alleanza Pd-M5s ove possibile, cioè soprattutto in Puglia – terra di nascita del premier e dove, fino al voto, farà diverse visite, proprio in chiave elettorale – e nelle Marche, ex feudo ‘rosso’. “Non si tratta di sprecare un’occasione perché non c’è, altrimenti l’avremmo colta al volo” dice Crimi al povero Conte. Ora, è vero che, anche qui, sul punto tecnico, ha ragione Crimi: l’alleanza con i dem (cioè la soluzione di confluire sui loro nomi, accettando una sorta di ticket), i due candidati sui territori (Laricchia in Puglia e Mercorelli nelle Marche) l’hanno sdegnosamente rifiutata al grido di ‘nessuno ci compra’, spalleggiati dai parlamentari colà eletti.

Pd e M5s correranno uniti, alle Regionali, solo in Liguria, più in due singoli comuni (Pomigliano d’Arco in Campania e il grosso centro di Faenza in Emilia-Romagna) che non fanno primavera.

 

Di Maio prova a metterci una pezza, ma è una finta…

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Di Maio prova a metterci una pezza, ma è una finta

Il diktat di Crimi, dunque, regge, ma Di Maio prova lo stesso a metterci una pezza a colori e, sempre nella giornata dell’altro ieri, prova a riaprire una porticina, quella delle alleanze, anche se è appena stato chiuso un portone (infatti, non si faranno): “Mancano poche ore alla presentazione delle liste e ritengo sia opportuno investire ogni energia per trovare degli accordi laddove sia possibile” dice il ministro degli Esteri. “L’ascolto dei territori resta la priorità. Il presidente Conte ha espresso un concetto più che legittimo. E’ un bene confrontarsi e provarci dove le condizioni lo consentono”.

La verità, però, è che Di Maio, in realtà, fa il pesce in barile: sa che gli accordi, ormai, non si faranno, non si capisce se li ha provati a cercare davvero anche lui (pare di no, il Pd infatti è livido con lui), ma dà una ‘carezza’ a Conte, dopo lo schiaffo di Crimi, causa rischio di un incidente diplomatico con il premier, e soprattutto cerca di non irritare troppo il Pd che su di lui aveva fatto affidamento per chiudere gli accordi locali.

 

Il Pd giocherà la carta del ‘voto utile’ a danno dei 5Stelle

pd boccia zingaretti

Zingaretti e Boccia

Pd che, a questo punto, prova a mettere su la ‘faccia feroce’ e annuncia, con Zingaretti, che “solo i nostri candidati sono l’argine alla vittoria delle destre”. L’appello al ‘voto utile’ ricorda quello del Pci ai danni del Psi. Basterà? Già Boccia ha minacciato il voto disgiunto. Il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, che molto si è speso per l’accordo nelle Marche, ci va giù duro anche lui: “Siamo stanchi. Non possiamo reggere da soli le sorti del governo. Ci appelliamo agli elettori del M5s che hanno votato il sì alle alleanze”.

sindaco pesaro ricci

Il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci

Insomma, tranne che in Liguria, dove il candidato della ‘strana alleanza’ Pd-M5s è molto debole, in tutte le altre regioni si va, tra dem e stellati, a la guerre comme a la guerre. Il Pd deve, se non vincere, almeno pareggiare i conti con il centrodestra (3 a 3) e non può perdere un voto. La campagna sarà, dunque, giocata dai dem all’insegna del voto utile, il che presuppone che quello dato ai candidati M5s è un voto ‘inutile’. Al di là del fatto che è abbastanza vero (nessuno dei loro candidati ha chanches), non è certo un buon viatico per un alleanza che, almeno nel Pd, già ritenevano fosse strutturale e ‘organica’. Da questo punto di vista, poco contano anche le uniche due intese alle comunali già ricordate (Pomigliano e Faenza). Pd e M5s, alle Regionali, si faranno guerra e concorrenza e, se i candidati dem dovessero perdere per una manciata di voti il confronto con quelli del centrodestra, la sagra delle recriminazioni, tra i due alleati al governo, partirebbe subito.

La situazione, nelle Marche, in realtà è già compromessa

Luca Ceriscioli

Luca Ceriscioli

Chi lo avrebbe mai detto, ai marchigiani, che la loro terra (un milione e mezzo di abitanti, un capoluogo, Ancona, che ne conta appena 100 mila, 5 province e 227 comuni) sarebbe potuto risultare ‘decisiva’ per un esito elettorale. Eppure, così è, almeno agli occhi del centrosinistra.

Infatti, date per perse, in modo sicuro, Veneto e Liguria e con la Puglia assai a rischio, le speranze di tenuta del Pd si appigliano proprio qui, tra castelli, quieto vivere e università, non fosse che per il vecchio di mito di ‘zona rossa’, che si porta dietro, in modo improprio, da circa 50 anni. Antica, e soporifera terra dc, dalla Seconda Repubblica in poi, in Regione, ha infatti sempre vinto la sinistra, formato centro-sinistra. Solo che il governatore uscente, Luca Ceriscioli, ha mal gestito un po’ tutto: il terremoto (devastante), la crisi economica, la pandemia, le varie crisi occupazionali. Rigettato dal partito che lo aveva espresso (il Pd, appunto), e alla fine fattosi da parte (non senza molte resistenze), il Pd ha puntato, come spesso fa, sulle virtù salvifiche di un amministratore locale, Maurizio Mangialardi, ex sindaco di Senigallia e presidente dell’Anci regionale. Ma la sua candidatura, costruita dal sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, uomo forte di Zingaretti nelle Marche – stenta a decollare.

 

Il tosto competitor di Mangialardi, il destro Acquaroli

Francesco Acquaroli

Francesco Acquaroli

Il suo competitor, il candidato di FdI, Francesco Acquaroli, nonostante alcuni peccatucci ‘fascisti’ da farsi perdonare (è stato scoperto mentre, in una cena, si brindava al Duce..), non sembrava il candidato migliore per conquistare le miti e moderate Marche. Già cinque anni fa ci aveva provato, e senza successo (arrivò terzo…), ma lui – che è giovane e tosto – si è intestardito e la Meloni pure, portando avanti il suo nome a dispetto delle resistenze della Lega e di una FI spaccata che ha cercato per mesi, ma inutilmente, delle alternative ‘civiche’. Ma proprio Acquaroli è stabilmente in testa a tutti i sondaggi e il suo distacco non è stato minimamente intaccato dalla discesa in campo di Mangialardi. Consigliere regionale, sindaco di Potenza Picena, oggi deputato, Acquaroli è ben radicato nel suo territorio, punta a rinsaldare una ‘dorsale adriatica’ di governatori di destra (Marsilio in Abruzzo, Toma in Molise e, se vince, Fitto nelle Puglie), azzanna il ‘malgoverno’ dem su tutti i temi rimasti aperti e i nodi irrisolti (ricostruzione post-sisma, sanità, trasporti), gode del sostegno incondizionato della Meloni, oggi con il vento in poppa nei sondaggi, e di quello, in scia, più tiepido della Lega (molto forte, nelle Marche) mentre la FI locale è oggi un cumulo di macerie.

 

Il Pd, più che su Mangialardi, puntava sul M5s. Il ‘tira e molla’ 

Gianni Mercorelli e Beppe Grillo

Grillo in compagnia di Gianni Mercorelli

Il Pd ha messo su una coalizione come meglio poteva, copre dal centro alla sinistra (Italia viva-Psi, +Europa-Verdi, centristi locali variamente assortiti, progressisti), con cinque liste contro le otto schierate da Acquaroli (curiosità: i repubblicani, partito storicamente radicato nelle Marche, stanno con lui, oltre all’Udc e a varie liste civiche), ma tanto poco credeva nel suo candidato da aver punto, da settimane, tutto sul ‘tira e molla’ andato avanti con i Cinque Stelle per cercare di convincere al ritiro il loro candidato, Gianni Mercorelli. Il che ha sfibrato il Pd e oscurato il suo ‘campione’.

Francesca Frenquellucci

Francesca Frenquellucci

Il sindaco di Pesaro, Ricci, come si diceva, ci ha provato in tutti i modi. In buona sostanza, l’offerta al candidato M5s era di ritirarsi e scendere in ticket con Mangialardi con offerte (futuribili, in caso di vittoria) del posto da presidente del consiglio regionale o da assessore (più altri assessorati forti), ma l’artefice del ‘laboratorio Pesaro’ (fece scalpore quando Francesca Frenquellucci, eletta con M5s, è entrata in giunta con Ricci) non è riuscito a venire a capo di una triplice ostilità. Quella del candidato Mercorelli, che non ha mai avuto l’intenzione di ritirarsi dopo aver vinto, mesi fa, le ‘regionarie’ interne, quella dei parlamentari pentastellati marchigiani (tutti contrari all’accordo), quella di Vito Crimi (manifesta) e dello stesso Di Maio (occulta). Proprio Ricci, insieme a Zingaretti, si è appellato più volte all’ex capo politico per sbloccare la situazione, ma il ministro degli Esteri non è mai andato al di là di generici appelli all’unità e a provarci ‘ove possibile’, senza mai forzare i suoi.

 

L’M5s si è spaccato, ma alla fine l’accordo non si è fatto

movimento 5 stelle boom

M5s perde altri pezzi

Certo, delle fratture interne al Movimento marchigiane si sono verificate: i pentastellati di Jesi hanno chiesto al vertice nazionale di annullare la candidatura di Mercorelli e due consiglieri regionali sono usciti dal M5s, Gianni Maggi e Romina Pergolesi, e hanno dato vita ad una nuova lista ‘Marche Coraggiose’, insieme alla sinistra di Articolo Uno in appoggio a Mangialardi.

Sauro Longhi

Sauro Longhi

Ma la verità è che la sola possibilità di un accordo era di convergere su un candidato davvero civico, l’ex rettore dell’Università Politecnica delle Marche Sauro Longhi, che alla fine però né il Pd né M5s hanno voluto. Senza dire del fatto che, se si fosse chiuso l’accordo tra Pd e M5s, i centristi (da Italia Viva a +Europa) avrebbero rotto con Mangialardi, aprendo problemi nella parte centrale della coalizione. E così, nel Pd sono passati dal grido ‘andiamo a vincere’, se fosse passato il ticket Mangialardi-Mercorelli, al dolente ‘così rischiamo di perdere’ che attanaglia i dem locali e romani.

E persino lo stesso Mercorelli ha buon gioco a ribattere che “Il ticket proposto dal Pd arriva a meno di due giorni dalla presentazione delle candidature per le Regionali, quindi ampiamente fuori tempo massimo. Hanno avuto tre mesi per coinvolgere il Movimento nel programma e sui nomi: farlo solo ora è solo un colpo di coda. Avevamo chiesto una netta discontinuità rispetto alla giunta Ceriscioli e ai soliti noti che il Pd ha rimesso nelle liste e ai programmi”. Tocca ora a Mangialardi portare la croce di una rimonta difficile: riconosce gli errori della giunta Ceriscioli, dem come lui, punta tutto sulla sanità, che è stata “riorganizzata male”, e invoca discontinuità, più che continuità, ma i sondaggi, per ora, gli danno torto. Le Marche il Pd starebbe per perderle, e per la prima volta.  

I sondaggi non hanno dubbi: dicono tutti Acquaroli

Francesco Acquaroli

Francesco Acquaroli

A poco meno di un mese dal voto, infatti, i sondaggi danno un vantaggio piuttosto largo (da 4 a 8 punti percentuali) al candidato del centrodestra Acquaroli. I leader nazionali del centrodestra ci credono e, a ripetizione, scendono nelle Marche ad appoggiare il loro candidato mentre solo Renzi, tra i big del centrosinistra si è finora fatto vedere in regione. Del resto, come si diceva, la gara sembra persa in partenza, per il centrosinistra. Secondo l’istituto Noto, Acquaroli ha il 48% dei consensi contro il 40% di Mangialardi e il 9% di Mercorelli e gli altri istituti confermano la tendenza. Dopo 50 anni, le Marche potrebbero, dunque, svoltare ‘a destra’ e il centrosinistra perdere una delle ultime regioni ‘rosse’, dopo aver già perso l’Umbria e ‘tenuto’ l’Emilia, mentre è in ballo anche la sua riconferma in Toscana. Per il governo, come per l’alleanza Pd-M5s, sarebbero bei dolori.

 

I candidati minori in gara, ma privi di alcuna possibilità

candidati

I candidati minori in gara, ma privi di alcuna possibilità

Tra i candidati minori e privi di ogni chanche vanno segnalati Roberto Mancini, docente dell’università di Macerata e leader di ‘Dipende da noi’, movimento neonato per fare da alternativa al Pd; Fabio Pasquinelli, avvocato osimano e segretario regionale del Pci; Sabrina Banzato, voce marchigiana del movimento ‘Vox Italia’; Mario Canino, docente universitario per ‘Ecologisti Uniti’.

 


 

NB: questo articolo è stato pubblicato il 22 agosto 2020 sulle pagine del sito di notizia Tiscali.it