Renzi dà “i tre giorni” a Conte: si va verso il rimpasto e un Conte ter, ma il premier non si fida

Renzi dà “i tre giorni” a Conte: si va verso il rimpasto e un Conte ter, ma il premier non si fida

5 Gennaio 2021 0 Di Ettore Maria Colombo

Renzi dà “i tre giorni” a Conte: si va verso il rimpasto e/o un Conte ter, ma il premier ancora non si fida. Il ‘né né’ del Pd non aiuta…

3 giorni del condor

“I tre giorni del Condor”: niente è come sembra, tutto è come appare

Renziani in estasi: “Matteo a Conte gli ha dato i tre giorni…”

renzi conte 3 giorni

Renzi da i 3 giorni a Conte

In pratica, Matteo a Conte gli ha dato ‘i tre giorni’, come alle donne di servizio. O china il capo e acconsente a tutte le nostre richieste, e lo fa anche molto rapidamente, tanto pure Pd e M5s non vedono l’ora di ridimensionarlo e avere più posti al governo, oppure Giuseppi può salutare palazzo Chigi per sempre. A meno che non gli torni l’ubbia di venirci a sfidare in Parlamento. Così ci divertiamo!”. I colonnelli renziani sono euforici. Pensano di aver vinto. Come ama dire uno di loro che pratica – con scarsi profitti – la nobile arte del tennis, “game, set, match” (gioco, set, partita). Come dice Renzi: “abbiamo messo in campo (sottinteso del pluralia majestatis: io, che sono Napoleone, ndr.) un capolavoro di strategia-tattica politica”. Una sorta di ‘Tre Giorni del Condor‘ alla Le Carré.

La traduzione renziana dell’accordo: “Vinciamo noi su tutto”

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“Vinciamo noi su tutto”

Il capolavoro, in ogni caso, agli occhi di Renzi e dei suoi, si dovrebbe materializzare in un vertice di maggioranza con tutti i leader ad officiarlo e battezzarlo e dovrebbe tenersi da qui a pochissimi giorni. In ogni caso, e ovviamente, ‘prima’ che arrivi quel cdm fatidico del 6 gennaio che, agli occhi di Renzi, aveva già preso le sembianze della ‘cronaca di una morte annunciata’, cioè dell’annuncio in stereofonia del ritiro della delegazione di Iv dal governo e dell’apertura formale della crisi di governo, relativa sfiducia da votare nelle Camere, consultazioni, ipotesi di nuovi governi, etc.

La sostanza politica dell’operazione, vista con gli occhi di Renzi, è di una banalità disarmante: il Recovery Plan va riscritto da cima a fondo, dando più spazio agli investimenti strutturali, la delega sui servizi segreti va sottratta a Conte, il ministero delle Infrastrutture deve diventare ‘nostro’ (di Iv), anche a costo di scorporarne una branchia e dimezzarlo, facendo nascere il dicastero ‘Grandi Opere’ (sic), Pd e M5s devono ottenere i loro posti e la loro ‘giusta mercede’, ma soprattutto tutti devono assistere alla scena di un Conte che, ostaggio dei partiti, china la testa e accetta di fare la parte – da Barone rampante che era – di triste Visconte dimezzato.

Il leader di Iv non andrà al governo: “Non cerco una poltrona”

poltrona Renzi non la vuole

Il leader di Iv non andrà al governo: “Non cerco una poltrona”

Io? – la chiosa dell’ex premier – Mi hanno offerto un ministero, molti ne hanno parlato (Esteri o Difesa perché, pare, un giorno Renzi ambirebbe al ruolo di Alto rappresentante della Politica estera della Ue, ndr., mah…), ma non posso certo far vedere alla gente che ho dato vita a una mezza crisi di governo per ottenere una poltrona in più. No, io resterò fuori dal governo, almeno da questo Conte ter così traballante. Domani, poi, in un’altra fase, si vedrà”. Eh già perché Renzi già pensa al futuro, quello prossimo. Tra pochi mesi, il 3 agosto, inizierà il semestre bianco, cioè gli ultimi sei mesi di mandato presidenziale in cui il Capo dello Stato non potrà sciogliere le Camere neppure volendo. A quel punto, passare da un Conte ter a un governo Draghi (o Cartabia o Severino o Cottarelli, etc, ma in subordine), sarà un gioco da ragazzi. Renzi darà a Conte il benservito e allora sì che sarà arrivato il momento di entrare dalla porta principale del Quirinale per giurare in qualità di ministro, non certo ora, dovendo sedere al tavolo di Chigi con Conte.

I fattori che hanno aiutato il ‘disgelo’ della crisi in corso

disgelo

I fattori che hanno aiutato il ‘disgelo’ della crisi in corso

Ma cosa ha sbloccato una trattativa, quella sul governo, tra le forze di maggioranza che, fino a domenica, sembrava essere finita dritta dritta sui binari della crisi aperta e dello scontro frontale da consumarsi nelle aule del Parlamento?

Alcuni cambiamenti sostanziali al Recovery Plan, il cui arrivo a Palazzo Chigi non a caso slitta di 24 ore, innanzitutto: sono loro ad aprire ufficiosamente la trattativa nel governo per dar vita ad un Conte-ter o a un ‘Conte-bis  due’ (la fantasia della nostra classe politica è notevole…) ampiamente “destrutturato” e poi con vigore “ristrutturato”. Certo, restano ancora, le trattative, imbrigliate nei veti incrociati e nelle tensioni non solo tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi, ma anche tra le stesse forze di maggioranza. Infine, il ‘massiccio lavoro’ dei ‘pontieri’, in particolare due: i ministri Dario Franceschini, per la parte dem, e Stefano Patuanelli, per quella M5s, mentre in Iv la parte del ‘poliziotto buono’ la interpreta, ormai da anni, la Boschi. I tre si sono sentiti per tutta domenica, stilando una pre-intesa, un pre-accordo che dovrà essere però formalizzato.

Il blitzkrieg. Le tappe necessarie per dare vita a un Conte ter

BLITZKRIEG

Guerra lampo

Certo è che la strada resta in salita. Se accordo sarà, però, è certo che il Conte-ter nascerà in maniera rapida, un vero blitzkrieg, da lanciare a cavallo tra l’Epifania e il 9 gennaio. Le tappe sarebbero queste: prima il via al Piano di Ripresa e Resilienza con un Cdm da tenersi tra il 7 e l’8 gennaio a cui seguirebbe subito il rimpasto con breve, ma informale, passaggio al Colle. Ma il rischio di una crisi è tutt’altro che evitato. Dopo giorni di silenzio a parlare sono i vari leader. Il primo a suonare il gong è stato, come da copione, Renzi. Poco dopo è la capodelegazione Iv Teresa Bellanova a chiarire: “Il problema non è cambiare qualche ministro, ora Conte ha l’onere di presentare un programma che sia la sintesi della maggioranza”. Questa volta, i partner di maggioranza non restano muti, il che aveva alimentato i peggiori incubi del premier (“Perché non mi difendono?”), ma aiutano, più che Conte, l’accordo con Iv per il Conte ter. Due sole cose sono certe: Conte non cercherà la prova di forza dei numeri in Parlamento (perché quei numeri non li ha: i Responsabili pronti a seguirlo sono troppo pochi e male in arnese) e non si andrà a votare, a urne anticipate. Non lo vuole Iv, ma non lo vogliono neppure Pd e M5s: perderebbero, in un colpo solo, maggioranza politica, maggiore rappresentanza parlamentare (ridotta di molto), possibilità di eleggersi un nuovo Capo dello Stato, etc.

Nel Pd, stufi di Conte, hanno persino fatto il tifo per Renzi…

Tifo per renzi

Nel Pd, stufi di Conte, hanno persino fatto il tifo per Renzi…

La verità è che il Pd – non solo la truppa parlamentare e i loro capigruppo, che hanno più volte manifestato fastidio e insoddisfazione, ma anche il Nazareno – è stufo marcio di Conte: dei suoi piani, di come gestisce le cose, delle sue manie di grandezza, della sua incapacità manifesta a risolvere i problemi. Renzi ha fatto da ariete di sfondamento, il Pd si è trovato la porta già aperta, e sfondata, e ne ha approfittato, mollando Conte al suo destino, a meno che non voglia mettere la testa sul ceppo, come pure sta per fare, chinandosi al volere dei partiti.

Non a caso, dopo giorni di glaciale silenzio verso Conte, subissato dalle cannoneggiate di Italia Viva e lasciato solo, Zingaretti decide di riunire la segreteria del suo partito per fare il punto della situazione, e dopo che dirigenti di primo piano come Goffredo Bettini e Luigi Zanda avevano esplicitato i loro dubbi e preoccupazioni sul governo. Dubbi che nascevano, certo, dalle bordate di Italia Viva, ma che non trascuravano nemmeno l’immobilismo mostrato dal presidente del Consiglio. E così, al termine della riunione dell’esecutivo dem, Zingaretti decide di mettere ai voti la nota con cui i dem si dicono “convinti che al Paese vada evitata una crisi dagli sviluppi davvero imprevedibili”. Che non si tratti di un assist a Conte appare chiaro dal riferimento alla reiterata richiesta dem di dare nuovo slancio all’azione del governo: “Sono mesi che il Pd chiede apertamente e lavora per un rilancio dell’azione di governo, in sintonia con tutti gli alleati”. Requiem per Conte.

Ai 5Stelle interessa solo che non si torni a votare anzitempo

m5s

Ai 5Stelle interessa solo che non si torni a votare anzitempo

Diversa, ovviamente, la visuale dei 5Stelle, a lungo, però, a loro volta, fin troppo silenti, rispetto ai ripetuti attacchi di Renzi e dei renziani a Conte, a partire dallo stesso Di Maio. I 5Stelle, in ogni caso, vivono – e sopravvivono, nelle aule parlamentari – solo con il sacro terrore di dover andare al voto. Altro che ‘lista Conte’ o Conte leader del Movimento. Innanzitutto, cambiare il tetto dei due mandati sarebbe una battaglia ardua, se non impossibile, con Dibba e Casaleggio contrarissimi. Inoltre, il taglio del numero dei parlamentari e i sondaggi catastrofici già fanno presagire la disfatta, stile cavalleria polacca contro i carri armati tedeschi, dei grillini nelle urne. Pur di non votare, voteranno qualsiasi governo. figurarsi un Conte ter in cui cristallizzare le loro postazioni.

In ogni caso, per onor di firma, Vito Crimi e Alfonso Bonafede avvertono Renzi che “Una crisi in piena pandemia è incomprensibile”, ricordano la disponibilità del Movimento al dialogo, ma non su tutto. Sul Mes, spiega una fonte di primo piano pentastellata, i gruppi ad esempio non reggerebbero. E al momento, il sì ad una parte del fondo salva-Stati – possibile terreno d’intesa che il Pd ha lanciato dentro la maggioranza – appare ancora lontano nonostante il forte pressing degli alleati sul Movimento.

LeU, stavolta, potrebbe perdere potere e visibilità

Leu logo

Logo LeU

Chi ha solo da perderci, da un Conte ter, è LeU, perché non guadagnerebbe un gallone in più, manco da sottosegretario, e perché grazie a Speranza, nel Conte due, conta dieci volte il suo peso reale nelle urne e in Parlamento, ma essendo dei realisti dentro LeU sono consapevoli che la ‘bella favola’ (un ministro e leader di partito dal forte impatto emotivo e mediatico) non poteva durare per sempre. Quando si voterà, si capirà se LeU (o almeno la sua parte più ‘governista’, perché quella legata a SI si sta trasformando in una Rete della Sinistra socialista, ecologista, femminista e pacifista) sarà riuscito a capitalizzare i tanti vantaggi accumulati ora.

I nodi del contendere: Recovery Plan e delega sui servizi

recovery Plan

Recovery Plan

In ogni caso, la situazione è ancora molto confusa, magmatica e tutto potrebbe tornare in discussione in pochissime ore. Tradizionalmente, quando la tensione si alza l’accordo viene subito dopo, ma i giochi restano apertissimi. Sul Recovery lo stralcio della Fondazione sulla Cybersecurity e le modifiche ai saldi nel testo (con maggiore spazio agli investimenti, come chiede Iv, e con un occhio più attento ai dossier cari ai Dem) in Iv viene considerato un inizio, e poco di più. Solo la cessione della delega ai Servizi che, forse, sbloccherebbe davvero l’impasse. Una mossa su cui Conte sembra quasi essersi convinto, ormai. Vero è che ha davvero accarezzato l’idea del ritorno alle urne e della sfida a Renzi in Parlamento, ma ora si sta mostrando ‘responsabile’ lui, come dicono i suoi.

La vigilanza del Colle sulla delicata casella del Viminale

Viminale

Il Viminale

La casella Servizi rientrerebbe nel rimpasto per il Conte-ter, che vede nel Viminale il suo nodo. Un ministero sul quale la vigilanza del Colle, per statuto, resta alta. Al Quirinale, spiegano fonti parlamentari, potrebbero anche accettare un corposo rimpasto – con conseguente nuova fiducia delle Camere al Conte ter ma senza passare per una crisi – ma più problematico sarebbe inserire un leader politico al posto di Luciana Lamorgese, figura tecnica di garanzia vicina al Colle. Non è un dato di poco conto. Il titolare del Viminale sarebbe pronto, da buon servitore dello Stato (è un prefetto), a farsi da parte, anche se probabilmente servirebbe una chiamata dal Quirinale e l’esplicitazione da parte delle forze politiche che la Lamorgese non verrebbe sostituita per inefficienza o incapacità. Il triangolo delle Bermuda che vedrebbe Renzi alla Farnesina e Luigi Di Maio all’Interno sembra, però, così, morire sul nascere. Più probabile che sia la Difesa ad andare a Iv, con conseguente spostamento di Lorenzo Guerini – figura assai apprezzata al Colle e ritenuta di garanzia – al Viminale, ma è solo l’inizio.

Il gran ballo del rimpasto. Parte, come al solito, il toto-nomi

Gran ballo Ottocentesco

Il gran ballo dei toto nomi

Il famoso rimpasto, dunque, quello che Conte, per mesi, neppure voleva sentir nominare e che ora potrebbe cambiare volto e fisionomia all’intero suo governo al punto da stravolgerlo, potrebbe e potrà essere più o meno corposo. La parola è semplice da pronunciare ma l’operazione politicamente è sempre complicata, dagli esiti imprevedibili. L’indicazione che ministri e dirigenti più esperti stanno consigliando a Conte è quella dell’operazione ‘chirurgica’, cioè mirata: poche caselle da cambiare in fretta. In questa operazione, secondo indiscrezioni, tutto ruota intorno al ministero degli Interni. Se Conte venisse incontro a Iv, che chiede un maggior riconoscimento, potrebbe concedere il ministero della Difesa al coordinatore di Italia Viva Ettore Rosato. Ma questo sarebbe possibile solo se all’attuale ministro della Difesa Lorenzo Guerini, molto apprezzato nel Pd e da Conte, oltre che dal Colle, potesse essere garantito una promozione agli Interni. In realtà però i più maliziosi sospettano che Renzi voglia entrare lui stesso al governo puntando dritto alla Farnesina, ministero ora occupato dall’ex capo M5S, e già ministro del Lavoro e dello Sviluppo, Luigi Di Maio che lo lascerebbe solo a patto di occupare un’altra funzione di rilievo, al ministero degli Interni o come vicepremier. Il ritorno della figura dei vicepremier, già presente nel Conte I con Di Maio e Salvini, rischia però di complicare le trattative.

I due possibili nuovi vicepremier e le ministre che ‘ballano’

di maio M5S

Luigi Di Maio

Infatti, con Di Maio vicepremier, il Pd dovrebbe rivendicare un pari grado per un suo esponente (in pole c’è il vicesegretario Orlando), se non per il leader Zingaretti. Nei toto-nomi che circolano da mesi, sono messe in discussione anche le ministre Lucia Azzolina, Paola De Micheli e Nunzia Catalfo ma, proprio per evitare un esecutivo completamente nuovo, sia M5S sia Pd fanno scudo alle loro ministre. Così come per Matteo Renzi sono intoccabili le sue ministre Teresa Bellanova e Elena Bonetti a meno che lui stesso non decida di ritirarle dall’esecutivo per aprire la crisi. Infine, a essere oggetto di grande tensione non è un ministero, ma una delega, quella ai Servizi, che per legge va affidato a un ministro senza portafoglio o a un sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Conte l’ha tenuta per sé per mesi ma davanti all’irrigidirsi della situazione e dei veti incrociati sembra essersi convinto che è meglio cederla. I nomi che circolano sono quelli dei dem Emanuele Fiano e Michele Bordo, ma non si esclude la terza opzione, quella della cessione, da parte di Conte, ad una personalità terza e di fiducia del premier. Non certo, per capirci, il capo del Dis, Vecchione, suo uomo di fiducia, che Iv (e il Pd) giudicano ‘di parte’.

Il premier, però, non si fida di Renzi: non vuole dimettersi

Conte stato emergenza

GIUSEPPE CONTE

Il problema, per, è anche un altro. I rapporti umani e personali tra Conte e Renzi che ghiacciano a zero gradi. I due non si parlano e non si fidano l’uno dell’altro. Per Renzi, Conte deve mettere sul tavolo le sue carte e ‘dichiarare’ quale posta è disponibile a mettere in gioco, altrimenti, “le chiacchiere stanno a zero”, come usa dire.

Ma, d’altra parte, come filtra dalla presidenza del Consiglio, Conte non si fida di una ‘crisi pilotata’, la stessa che lo vorrebbe dimissionario con la lista del nuovo governo in tasca da presentare a Mattarella e ritornare, in brevissimo tempo, alla guida dell’esecutivo giallo-rosso.

L’ostacolo al Conte ter, dunque, è Conte stesso perché l’avvocato del Popolo non si fida. Di Renzi, di alleati di governo che gli si sono rivelati per quel che sono (infidi) e di una ‘crisi pilotata’ (rilancio dell’azione di governo ma da fare con Conte il lead sulla base di un documento che il mentore di Zingaretti, Bettini, ha proposto a Conte e Renzi) che, se deve passare per le forche caudine delle dimissioni, Conte recalcitra ad aprire perché teme che, una volta passata la mano, Renzi metta il veto sul suo nome e il povero avvocato del popolo ritorni da dove è venuto, la bella, istruita, colta e raffinata, ma povera di potere reale, città di Firenze. Quella di Dante, Petrarca e Boccaccio, in cui Machiavelli era consigliere del Principe, non principe.

 

NB: questo articolo è stato pubblicato sul sito di TISCALI.IT il 5 gennaio 2021


APPENDICE/ARCHIVIO AL PEZZO DI GIORNATA

 

Pubblico qui, in appendice, gli articoli usciti in questi ultimi tre giorni, dal 2 al 4 gennaio, ma solo sul Quotidiano Nazionale (Giorno–Nazione–Resto del Carlino) in merito alla crisi di governo

 

1) “Caos pandemia, Conte appeso a un filo, ma si tratta”

(dal Quotidiano Nazionale, 4 gennaio 2021)

Mentre a Roma piove come durante il Diluvio universale, la sola cosa certa, tra le tanti voci che si accavallano impazzite (un colloquio diretto tra Conte e Renzi, che non c’è stato; Conte pronto che già oggi sale al Colle per le dimissioni), è che, tra governo e maggioranza, non c’è accordo su nulla. Neppure sulle misure emergenziali, e urgenti, da prendere. Tanto che c’è chi dice che non servirà neppure attendere il 7 gennaio, il giorno in cui la crisi di governo da strisciante dovrebbe diventare formale con il cdm in cui si dovrebbe consumare lo ‘strappo’ di Iv e il loro ritiro dal governo, ma che già oggi, quando il ministro Gualtieri presenterà la nuova bozza del Recovery Plan, potrebbe avvenire il patatrac. Ma non è così: lo scontro finale oggi non ci sarà. Anzi, in realtà, il lavoro dei ‘pontieri’ (i ministri Patuanelli e Franceschini) in queste ore si sta intensificando proprio per riportare alla ragione i due ‘duellanti’. Un lavoro che viene detto “massiccio” e cui guarda con speranza il Colle.

Eppure, ieri sera, lo scontro, tra i capodelegazione di maggioranza, mentre il governo e le Regioni litigavano sulle ‘fasce’, le scuole e molto altro, è stato davvero duro. La capodelegazione di Iv, Teresa Bellanova, ha definito “insufficienti e poco chiari” piano vaccini e parametri Rt. Le parole di fine serata della capogruppo alla Camera, Boschi (“Noi non vogliamo la crisi, dipende da Conte”), da questo punto di vista, suonano appena poco più suadenti, ma potrebbero preludere a un’intervista soft di Renzi oggi in cui il leader di Iv si gode il suo “capolavoro politico” ma apre alla possibilità di una ‘pace’, ma alle sue condizioni.

Dal 7, però, può succedere di tutto. La sola ipotesi esclusa – o, meglio, tramontata nel volgere di pochi giorni – è quella di una prova di forza di Conte che va in Parlamento, specie al Senato, a cercarsi i voti dei Responsabili 4.0 (Italia 2023 si chiamava l’operazione) per sostituire i renziani mancanti. Operazione morta sul nascere, non solo perché, più di dieci, non ne ha trovati (i totiani si sono sfilati, l’Udc pure, etc.), ma soprattutto perché il Colle, e di risulta anche Pd e M5s, non credono alla capacità di andare avanti del governicchio. Resta l’ipotesi di un Conte ter in cui, in pratica, il premier fa un passo indietro su quasi tutto lo scibile umano, Pd e M5s ci guadagnano due vicepremier, Iv un ministro di peso e, con una nuova fiducia, tutti si evitano una crisi formale. Una vittoria per Renzi e una vittoria di Pirro, per Conte. In subordine, si parla di governi Franceschini o Guerini sempre con la maggioranza attuale (scenari improbabili), ma prendono quota anche altre due strade. La prima è un governo Cartabia (ex presidente della Consulta) per un governo, più che istituzionale, ‘del Presidente’, e tecnico, con l’obiettivo du mettere in sicurezza il Recovery Plan e il piano vaccini (altro nome, meno gettonato, Paola Severino). L’altro è un ‘governissimo’, ovviamente a guida Mario Draghi, che avrebbe finalmente dato il suo assenso a guidare un governo di ‘ricostruzione nazionale’ e dunque politico, che porti a termine la legislatura con il sostegno di tutti i partiti. Un’ipotesi, fino a ieri, osteggiata a destra, da FdI, oggi meno, mentre Lega è possibilista e FI entusiasta.


2) “Conte al bivio, caccia ai ‘Responsabili’, ma i numeri non ci sono. La crisi appare inevitabile”

(dal Quotidiano Nazionale del 3 gennaio 2021)

La crisi di governo, da strisciante, si fa sempre più concreta. Ormai, le uscite di Renzi, che annunciano la sfida all’Ok Korral non si contano più (solo per stare a ieri due: “Al Colle va portata l’intesa su un nuovo governo” e “Se Conte perde la sfida in Parlamento ho varie soluzioni pronte”), come pure la ventilata, da giorni, ‘prova di forza’ di Conte. Al cdm del 7 gennaio, la presentazione del Recovery plan da parte di Gualtieri dovrebbe fare da innesco formale alla crisi. Da lì in poi, però, può succedere di tutto. Gli scenari sono tanti: alcuni plausibili, altri fantasiosi. Il là sarà il ritiro della delegazione di Iv dal governo. A quel punto, Conte dovrà salire al Colle, unico arbitro di ogni crisi di governo. Conte potrebbe chiedere quella prova di forza che cerca con tigna, ma che Pd e M5s gli sconsigliano caldamente. Sia perché “una maggioranza raccogliticcia non può durare che qualche mese” sospirano dal Nazareno (e Franceschini è d’accordo), sia perché il Colle non vede affatto di buon occhio l’operazione, sia perché, se Conte la perde, il suo nome è bruciato. Andare in Parlamento e chiedere la fiducia su di sé, infatti, comporta il rischio di ‘finire sotto’ e, dunque, di non poter più essere re-incaricato premier. Altro che Conte 2 bis o Conte ter, di cui si è parlato fino a ieri, soluzione che il Pd ancora caldeggia, sotto forma di (finto) ‘mega-rimpastone’: Renzi alla Difesa, Guerini agli Interni, Orlando e Di Maio vicepremier, etc. Con Conte affossato, si realizzerebbe il ‘sogno’ di Renzi: offrire a un dem (Zingaretti, Franceschini, Orlando a scelta) o a un 5Stelle (Di Maio) la guida di un nuovo governo, o dare vita a un ‘governo di tutti’, e così archiviare per sempre l’era Conte. Pd e 5Stelle (afoni o preda di un balbettìo imbarazzante) ci staranno o, una volta apertasi la crisi formale, preferiranno restare, perinde ac cadaver, al fianco di Conte, fino al punto di chiedere elezioni anticipate? E quando, poi? A marzo col Rosatellum per veder trionfare, dati i sondaggi, il centrodestra, ancora in probabile piena pandemia, o a maggio, con il Germanicum, per cercare almeno di ‘pareggiare’, ma arrivandoci con un governicchio estivo? E Mattarella permetterebbe un tale esito, senza neppure provare a formare un governo di salute pubblica che traghetti il Paese almeno alla fine del suo settennato? Domande che, per ora, sono tutte senza risposta. E se Conte, in Parlamento, la sfida dei numeri che Renzi ritiene abbia fatto “un errore madornale” a chiedere, invece la vincesse? Tutto dipende dalla riuscita dell’operazione ‘Responsabili 4.0’, sotto le spoglie del gruppo Italia 2023 animato da personaggi come lady Mastella, Tabacci, etc. Peraltro, non solo al Senato (18), ma anche alla Camera (30) i numeri dei renziani, sempre che restino tutti compatti (ma pare che solo due, Comincini e Vono, tradirebbero…), sono corposi. Senza di loro Conte non ha una maggioranza. Peraltro, i tre senatori totiani di Idea-Cambiamo e i tre Udc smentiscono recisamente di voler fare il salto della quaglia. Una decina di transfughi ex grillini ed ex azzurri raccattati nel Misto non bastano a far tornare i conti e portare Conte a livello di sicurezza, fissata a quota 168 (il quorum è a 161). E il centrodestra? Attende gli eventi, diviso al suo interno.


3) “Mattarella contro il teatrino dei partiti: “Non è il tempo di cercare vantaggi personali”

(dal Quotidiano Nazionale del 2 gennaio 2021)

Se – come ha detto nel suo discorso di Capodanno il Capo dello Stato, Sergio Mattarella – “questo è il tempo dei costruttori” (sottinteso sottaciuto: e non dei rottamatori…), “e non di coltivare illusori vantaggi di parte”, è ‘naturale’ che un’intera classe politica, quella italiana, si precipiti a commentare il discorso del Capo dello Stato in un amen. Le luci della splendida location scelta quest’anno dallo staff del Quirinale neppure si spengono, e giù tutti i leader a chiosare il discorso al grido “Sono d’accordo, Presidente!”. Parole farisaiche arrivano dai destinatari delle ‘bacchettate’ distribuite da Mattarella: Renzi (primo imputato, siede a capotavola) e Conte (pure finito sotto la sferza del Colle), Salvini e Meloni (che questo presidente non amano), da Berlusconi (con cui i rapporti sono invece ottimi) al M5s. Mattarella ha distribuito torti e ragioni a tutti, a chi morde il freno per aprire improvvide crisi di governo (Renzi) e a chi poteva fare di più, e non lo ha fatto (Conte, ma non solo). Il discorso di Mattarella, il penultimo del suo settennato, come ha ricordato, spiegando di essere entrato nel suo ultimo anno ‘presidenziale’ (sottolineatura tesa a chiarire a tutti che non ha alcuna intenzione di farsi rieleggere), in realtà aveva altro target, gli italiani: verteva sull’importanza del vaccinarsi, sul ringraziamento a chi opera nella sanità, sul dolore per le vittime, sulla solidarietà e la coesione nazionale che la fase richiede. Gli italiani lo hanno capito, i big di maggioranza e opposizione fingono di averlo fatto.

Eppure, quelli che al Colle non amano chiamare ‘moniti’, ma “severi richiami” o “forti stimoli” sono arrivati uguale. Nell’ordine, i messaggi recapitati dal Colle sono stati tre. Uno, aprire una crisi di governo adesso è un gesto da irresponsabili. La gente non capirebbe una crisi in piena pandemia, senza dire che si corre il rischio di precipitare verso il baratro delle urne anticipate. Vedi alla voce: Renzi. Due, il Recovery Plan è un’occasione storica, che la Ue ci offre su un piatto d’argento. Sprecarlo è una follia. “Servono interventi strutturali, la politica dei ristori e dei soldi a pioggia (leggi: ultime manovre e legge di Bilancio, ndr.) ha il fiato corto. Si cambi ciò che va cambiato” è il monito del Colle. Vedi alla voce: Conte e suo governo. Tre, i ‘non’ “costruttori”, quelli cui non va mai bene nulla, di ciò che fa il governo, non siedono solo in maggioranza, si annidano pure nelle fila dell’opposizione. Atteggiamenti incomprensibili. Vedi alle voci: Salvini&Meloni.

Il problema è che la crisi di governo corre, imperturbabile, verso il suo show down, nonostante i ‘moniti’ presidenziali. A bollire, in particolare, è il quadro del Senato. Nei renziani serpeggia il dubbio che tre ‘totiani’ (sottogruppo ‘Cambiamo-Idea’) passino armi e bagagli tra i Responsabili di ‘Italia 2023’ pronti a sostenere un Conte bis senza Iv, tanto che – dicono – “Toti ormai ha rotto con il centrodestra e non critica più Conte e su nessun fronte”. Ma i totiani replicano sdegnati: “Noi restiamo all’opposizione”. Iv sa che cederà qualche pezzo dei suoi 18 senatori a Conte, ma Renzi è convinto – come confida a un senatore azzurro – che “se il premier mi sfida, al Senato la sfida la perde. Credo che la crisi finirà con un Conte ter, Di Maio e Orlando, che ambisce al Viminale, come vicepremier, la riscrittura del Recovery Plan e la delega ai servizi ad altri. Poi, quando si apre il semestre bianco, può accadere tutto”. Il perché è chiaro: da quel giorno in poi, non si vota più. Conte, invece, e dietro di lui Pd e M5s ancora minacciano e agitano lo spauracchio delle urne anticipate, ma a maggio, dopo aver cambiato la legge elettorale provando a vivacchiare, fino ad allora, grazie ai neo-Responsabili.