“E per ultimo venne il Colle…”. La crisi di governo è nei fatti. La parola sta per passare a Mattarella. Tutti gli scenari

“E per ultimo venne il Colle…”. La crisi di governo è nei fatti. La parola sta per passare a Mattarella. Tutti gli scenari

9 Gennaio 2021 0 Di Ettore Maria Colombo

“E per ultimo venne il Colle”… La crisi di governo è ormai conclamata. Ancora pochi giorni e sarà formale. A quel punto la parola la prenderà Mattarella e deciderà lui come finirà.

Mandrake lothar

Intanto, Renzi-Mandrake combatte contro i Lothar

Intanto, Renzi-Mandrake combatte contro i Lothar. Pd-M5s-LeU, per una volta uniti, tentati dal voto anticipato. Bruciata l’ipotesi rimpasto, anche il Conte ter si fa difficile. Tutte le ipotesi e gli scenari possibili della crisi di governo in corso

 

L’uomo del Colle, ancora tace, preoccupato ma vigile

Il capo dello Stato Sergio Mattarella

Il capo dello Stato Sergio Mattarella

Al Quirinale, sono già iniziate le ‘grandi manovre’. Tutto è pronto per aprire lo studio della Vetrata, dove si tengono le consultazioni formali, quando si apre una crisi di governo, e i cronisti di quel Palazzo, meglio noti come ‘quirinalisti’, sono già stati tutti allertati: il cerimoniale prepara, in silenzio e con discrezione, tutto quanto serva all’uopo perché, finalmente, Mattarella sta per prendere la parola.

Napolitano

Giorgio Napolitano

Certo, Mattarella è lontano anni luce – e lo ha dimostrato in tutti questi anni – dal ‘modello interventista’ e ‘politicista’ del suo predecessore, Giorgio Napolitano, ma è sempre più spazientito da partiti e leader che hanno finto di applaudire ma hanno già tradito la sua accorata, contenuta nel suo penultimo messaggio presidenziale, quello del Capodanno 2020, e cioè la richiesta di essere e farsi “costruttori, non distruttori” del fragile tessuto sanitario, economico e sociale del Paese. Il presidente è particolarmente avvilito perché rischia di veder passare l’ultimo anno del suo settennato, il 2021 nel peggiore dei modi: il suo mandato scadrà il 3 febbraio 2022 (e la sola cosa certa è che rifiuterà di farsi rieleggere) mentre il semestre bianco, gli ultimi sei mesi del suo mandato, quando il Presidente non può più sciogliere le Camere, neppure volendo, inizia invece il 3 agosto 2021. Da quel giorno in poi, possono nascere tutti i governi che la fantasia politica può immaginare, ma in ogni caso a votare non ci si potrebbe andare fino all’elezione e proclamazione del nuovo inquilino del Colle (febbraio 2022), quando però, a quel punto, mancherà appena un anno alla fine naturale della legislatura, che scade, come si sa, a fine febbraio del 2023 (si è votato nel 2018).

Tra semestre bianco e fine mandato, le angosce del Colle

Il Colle è preoccupato perché vede affondare il Paese, non solo la sua classe politica, sotto i colpi di una crisi politica ed economica, oltre che pandemica, devastante

Il Colle è preoccupato perché vede affondare il Paese, non solo la sua classe politica, sotto i colpi di una crisi politica ed economica, oltre che pandemica, devastante

Il Colle è preoccupato perché vede affondare il Paese, non solo la sua classe politica, sotto i colpi di una crisi politica ed economica, oltre che pandemica, devastante. E se continua a essere recalcitrante, potrebbe anche rassegnarsi all’idea di dover sciogliere le Camere e mandare il Paese alle urne anche se non vorrebbe farlo affatto e proprio mentre tutti dovrebbero prodigarsi in sforzi unitari per stemperare le tensioni politiche, non certo per acuirle. ‘Sporcare’ questi ultimi due anni di una legislatura così faticosamente nata (chi non ricorda i mesi passati e bruciati nelle trattative per far nascere il governo Conte uno? Solo la pazienza e l’abilità di Mattarella permisero a Lega e M5s di chiudere la partita, grazie alla ‘minaccia’ del governo tecnico guidato da Cottarelli che avrebbe riportato al voto) e così faticosamente continuata (chi può dimenticare la folle estate del Papeete e dei ‘pieni poteri’ di Salvini e la sua sicumera nel chiedere, pensando di ottenerle, le elezioni e la nascita del Conte due, governo nato solo grazie alla ‘fretta’ che il Colle mise ai contraenti del patto, Pd e M5s?), per Mattarella sarebbe, oltre che un ‘delitto’ politico, una sconfitta personale, ma tant’è. La Storia va avanti da sé.

Certo è che il Colle vede – preoccupato, preoccupatissimo – che la crisi di governo prende forma e s’ingrossa, come un fiume in tumultuosa piena, ogni giorno di più e che sta per scattare quel livello di tracimazione in cui gli argini verranno rotti e l’acqua di piena della crisi travolgerà, se non il Paese, quantomeno la sua classe politica davanti a un’opinione pubblica che prenderà gli ‘abitanti’ dei Palazzi per dei pazzi. Perché fare la crisi adesso tale significato ha. Mattarella lo sa: ecco perché è angosciato, avvilito, triste, ma anche pronto, come sempre, a farsi coraggio e prendere il toro per le corna, affrontando una crisi così brutta, sporca.

Pochi giorni e scatta lo “Zitti tutti, parla Mattarella!”

Zitti tutti parla Mattarella

“Zitti tutti, parla Mattarella!”

Certo, il presidente della Repubblica osserva ancora silente la partita, tutta in mano ai partiti della maggioranza. Ma se, vista con gli occhi del Quirinale, la preoccupazione per una crisi che va in scena mentre nel Paese i dati del contagio tornano a salire e nel Mondo succede quello che succede, va anche detto che questi due giorni del fine settimana saranno gli ultimi che il Colle passerà in silenzio. Il Capo dello Stato punta a ‘ricevere’, al più presto, una visita del presidente del Consiglio che lo relazioni su quanto sta avvenendo, sotto i suoi occhi, in queste drammatiche ore, e che gli faccia capire i reali margini di manovra ancora esistenti, se ci sono, per evitare che la crisi precipiti. E non sono esclusi colloqui, pur se riservati e informali, con alcuni dei protagonisti della crisi (Zingaretti, Di Maio, persino lo stesso Renzi, forse…) per avere il polso dei fatti.

Il Colle invocava i ‘costruttori’, ma erano ‘distruttori’…

costruire

Il Colle invocava i ‘costruttori’, ma erano ‘distruttori’…

Subito dopo, però, il Colle, dopo aver pazientemente atteso che tutti i protagonisti politici si posizionassero e dicessero la loro, non potrà far altro che accelerare e nell’intervenire. Perché, come ha detto nel discorso di Capodanno, “l’Italia non può perdere tempo, anzi: deve accelerare, deve correre” per non perdere “occasioni storiche” (Recovery Plan da ottenere da parte della Ue, G20 da tenere, e proprio in Italia, piano vaccinale da disporre, economia italiana da rimettere in moto, come scuola, etc.). Da qui era scaturito l’appello a farsi ‘costruttori’, non certo ‘distruttori’, appello che tutti han fatto finta di appoggiare (ieri, buon ultimo, Nicola Zingaretti ha ribadito che “Non è il tempo delle barricate, ma come ha indicato Mattarella – quello dei costruttori, della collaborazione, della coesione”) ma che tutti hanno, in queste settimane, apertamente tradito. Salvini e Meloni, che chiudono a ogni ipotesi di governo ‘istituzionale’ sotto ogni forma, spoglia e veste. I 5Stelle che – sul Mes come su altre opere che servono al Paese (Tav, Tap, etc.) – si mettono sempre di traverso. Il Pd, che un giorno dice una cosa e un giorno ne fa un’altra. Conte, che oscilla tra le sfide rodomontiche e scollacciate come quel ‘ci vediamo in Parlamento ’, guanto di sfida a Renzi, e ovviamente Renzi che la crisi di governo la sta provocando.

Il Pd da un lato teme le urne, dall’altro quasi le invoca

Le urne elettorali

Le urne elettorali

Mattarella era già pronto a intervenire e ad accompagnare la soluzione della crisi nel modo più indolore possibile secondo questo schema: rimpasto, di un certo peso, dimissioni e reincarico a Conte per integrare la squadra, ma senza passare per una crisi formale, con voto di fiducia posto solo alla fine di questo percorso, non certo all’inizio. Il Colle ha sperato a lungo in una ricomposizione del quadro che portasse a un nuovo accordo di governo. L’accelerazione di ieri sera, però, al tavolo del vertice di maggioranza gli ha fatto capire che i margini di manovra per risolvere e sanare la crisi di governo con pochi danni, e limitati, non basta più. Zingaretti e il Pd hanno messo dei paletti chiari (“No a governi tecnici, no a governissimi con la destra”) e ribadito di non temere il voto anticipato. Voto che, pur considerato “un errore”, da parte del segretario dem, vede molti dei suoi suggeritori (Bettini, Orlando, etc.) sperare che diventi una strada effettivamente percorribile, con tanto di ‘tabellina’ sulle date in cui si potrebbe votare già pronta in tasca: tra scioglimento delle Camere, tempo per indire i comizi elettorali, campagna elettorale e voto, si andrebbe alle urne, secondo i calcoli del Pd, a maggio, il che vorrebbe dire avere un nuovo governo – nuovo governo che, nel Pd, sanno bene sarebbe di centrodestra – a giugno. Dall’altra parte, però, anche il Pd teme le urne e non solo perché le ritiene un errore, ma perché sa quanto è difficile e complicato votare in tempi di pandemia tra campagna vaccinale e terza ondata che avanza. Senza dire di quanto fa rilevare un vecchio saggio come Pier Luigi Bersani: è da irresponsabili muoversi verso una crisi di governo e le urne quando c’è una crisi economica e sociale così devastante da affrontare e i cui esiti potrebbero portare o a una ‘gelata’ dell’economia che non si riprende o alla rabbia sociale.

Il giorno clou per intervenire sarà subito dopo il cdm

quirinale colle

Il Colle, Quirinale

Certo è che, se la crisi da strisciante si fa palese, tanto vale metterci una pezza e al più presto. A “mercati chiusi”, avrebbe preferito il Colle, cioè in questi giorni del weekend, ma gli toccherà farlo, molto più probabilmente, “a mercati aperti”, cioè a partire da lunedì 11 gennaio in poi, quando la crisi potrebbe precipitare prima nel governo e poi approdare in Parlamento. Il cdm del redde rationem è slittato all’inizio della prossima settimana: è lì che la crisi sarà formalizzata.

Il Colle attenderà quel giorno – e l’atto formale del ritiro della delegazione di Iv – per ‘scendere in campo’ e cercare di riannodare i fili della matassa. Una cosa è certa: finora hanno ‘parlato’ i partiti, ma se la crisi precipita il boccino passa nelle mani di Mattarella e il solo titolato a parlare e a gestirla diventa lui. Passaggi formali, temporali e politici, compresi. Insomma, sarà Mattarella a dettare i tempi e i modi della crisi, la sua ‘agenda’, non certo i partiti e i loro leader che, fino a ieri ‘pompieri’, oggi sono tutti incendiari.

Renzi-‘Mandrake’ stavolta ha aperto la crisi sul serio

Bersani e D’Alema

Ma è evidente che il più incendiario di tutti è il leader di Iv. “Non sarà Mandrake”, come dice Pierluigi Bersani, legato a Renzi da antica rivalità. Sarà anche “l’uomo più impopolare del Paese che vuole mandare via il più popolare (Conte, ndr., ma poi lo è?)”, come sentenzia Massimo D’Alema, legato a Renzi da antichi rancori che covano nel profondo. Forse sarà anche peggio del golpista ante litteram Catilina, il leader di Iv, come lo bolla con disprezzo Beppe Grillo. Ma certo è che, intorno a Matteo Renzi, ruota e si avvita, ormai da settimane, la ‘crisi-non crisi’ più strisciante e insieme più pericolosa che la storia della Seconda Repubblica italiana ricordi, anche perché nessuna crisi politica, tranne quelle dell’immediato secondo dopoguerra, con le macerie del conflitto ancora fumanti, si è mai svolta durante una pandemia così micidiale, devastante, infinita.

Ma Conte non si è dimostrato un abile ‘costruttore’

conte incendiario

L’altro incendiario è Conte

L’altro incendiario è, però, il premier. Conte, infatti, a dispetto dei consigli di tutti (del Pd, persino dei 5Stelle, e soprattutto del Colle) vuole perseguire la impervia strada annunciata nella conferenza stampa di fine anno: andare in Parlamento e cercarsi i voti uno a uno per sopravvivere, garantendosi una nuova maggioranza con i ‘Responsabili’. Ma una maggioranza ‘raccogliticcia’ e precaria non la vuole il Pd, e forse neppure l’M5s, figurarsi il Colle, il quale ha vivamente consigliato a Conte di non tentare la sorte – come fecero, peraltro perdendo la partita in corner, sia Prodi, e per ben due volte (1998 e 2008) che Berlusconi (2011) – anche perché “se perdi la sfida sei fuori i giochi, se la vinci male sopravvivi pochi mesi e poi vieni disarcionato ma anche se la vinci bene bisognerà fare un nuovo governo e aprire le consultazioni e non è detto che esca il tuo nome”, questo il vibrante consiglio arrivato a Conte dal Quirinale.  

“E ultimo viene il corvo”. Il Colle sta per dire la sua

ultimo viene il corvo calvino scaled

Ultimo viene il corvo – Calvino

In ogni caso, dato che la crisi, invece di decelerare, accelera sempre di più, è ormai chiaro a tutti gli osservatori politici e istituzionali che sta per scendere in campo il Colle, cioè Mattarella. Per dirla con il famoso racconto resistenziale di Italo Calvino (“E ultimo viene il corvo”), peraltro assai spregiativo (il ‘corvo’ era il traditore della situazione…), si può dire ‘per ultimo (o buon ultimo) venne Mattarella’… Ma se il Colle interviene ‘alla fine’ (‘tardi’ secondo alcuni) ci sono molti perché e percome che lo spiegano, da decenni: il Colle, infatti, interviene a valle di una crisi politica, mai a monte, anche se il suo ruolo di suggeritore e interlocutore dei partiti, del governo, dei gruppi parlamentari non manca mai, anzi: è sempre presente. In ogni caso, ora è la sua ora.

Cosa può succedere ora? I diversi scenari in campo

cosa succede

Cosa può succedere ora?

Ma cosa può succedere? Tante le possibilità in campo, ma poche quelle che hanno, oggi, chanches di concretizzarsi. Un ‘rimpastino’ del Conte 2, ormai, è ipotesi da escludere, anche se il Colle vedeva questa come la strada migliore, oltre che la più indolore. Neppure al Pd, che chiede a Conte di accelerare, va bene. Figurarsi a Italia viva di Renzi…

Ma anche un ‘rimpastone’, sempre nell’ottica di tenere in piedi il Conte due, è diventata strada ardua. I rapporti – tra Iv da una parte e il resto degli alleati di governo dall’altra – si sono, ormai, troppo logorati e sfilacciati per permettere una reale ricomposizione del quadro in cui tutti i litiganti di ieri dovrebbero diventare i ‘nuovi’ amici di domani. Una via sulla quale il Colle recalcitrava, temendo che venissero meno troppi pezzi del puzzle per poterlo poi ricomporre, senza dire del fastidio nel sentir mettere dentro il calderone dicasteri chiave, delicati, da sempre sotto l’ombra del Colle, come Interni, Difesa, Esteri, Economia. Ma anche la strada cui il Colle, pur recalcitrante, si sarebbe acconciata, è già finita in un vicolo cieco. Il Conte bis ormai non c’è più.

Esclusi rimpastino e rimpastone, pure il Conte ter balla

Conte TER

Infatti, ieri sera proprio il Pd – spalleggiato da LeU, durissima contro Iv, e anche dal M5s – a scontrarsi, a sera, in modo duro, durissimo, con Iv, chiedendo “un cdm al più presto” per ‘svelare’ – dicono fonti dem – il ‘gioco del cerino’ di Iv. “Bugiardi e ipocriti” è la risposta di Iv e dello stesso Renzi. Una risposta che lascia presagire una rottura ormai profonda, e insanabile, nella coalizione, persino a dispetto dello stesso Conte, che invece vorrebbe mediare mentre invece Pd e LeU sembrano ormai auspicare il voto.

Il premier, ieri sera, infatti, ha proposto a tutti, Iv compresa, un “patto di legislatura”, pur di ‘salvare il salvabile’, a partire dalla sua poltrona, ma la crisi ormai corre verso il precipizio. Resterebbe la strada maestra indicata da Renzi: un Conte ter con la stessa maggioranza e lo stesso premier, ma passando per una crisi che formalmente si apre e altrettanto formalmente si chiude. E’ la soluzione che Conte ‘aborre’ e sulla quale, fino a ieri, anche il Colle recalcitrava. Tutti sanno che può trasformarsi in un ‘salto nel buio’: Renzi potrebbe indicare un altro premier (magari del Pd o neutro), i 5Stelle barricarsi al grido del ‘Conte o morte’, il Pd dilaniarsi tra la difesa di Conte e la tentazione di prendere in mano le redini del governo per i prossimi anni. Certo è che, da ieri sera, neppure la soluzione estrema, il Conte ter, potrebbe non bastare più a Iv e neppure al Pd.

Resta il ‘salto nel vuoto’. Governissimo o elezioni?

un salto nel vuoto

Un salto nel vuoto

Resta il ‘salto nel vuoto’. Un governissimo a guida Draghi? Forse. Ma con chi, poi, se – al di là di Iv, forse Forza Italia, sicuramente molti, se non tutti, i gruppuscoli minori che vegetano nel gruppo Misto – non ci sta nessuno degli altri? Fratelli d’Italia sicuramente no. La Lega probabilmente no. Il Pd, in parte affascinato dalla prospettiva, in parte riottoso, si spaccherebbe. I 5Stelle non ne parliamo: la scissione dell’ala guidata da Di Battista sarebbe una cosa già fatta.

Mario Draghi

Mario Draghi


E Draghi dovrebbe guidare un caravanserraglio simile?
Arduo anche solo pensarlo, conoscendo il soggetto in questione. Resterebbero, appunto, le elezioni anticipate, da tenere a maggio, con l’attuale sistema elettorale, il Rosatellum, e con il taglio del numero dei parlamentari (da 945 a 600) già operativo (una ‘leggina’ ha adeguato il numero ai collegi). La vittoria del centrodestra sarebbe sicura, e schiacciante. Il centrosinistra, alleato o meno con i 5Stelle e una lista guidata da Conte, andrebbe all’opposizione e anche male, cioè contando assai poco e pur prendendo circa il 20-25%. Iv, certo, sarebbe forse cancellata dal Parlamento, ma con lo sbarramento al 3% (e non al 5%) come è nel Rosatellum, potrebbe forse entrare accordandosi con Calenda e Bonino. Il centrodestra, versione ‘sovranista’ e ‘trumpiana’, farebbe un governo in pochi giorni e poi ‘Dio ce ne scampi e liberi’, nel 2022, potrebbe eleggersi da sola il nuovo Capo di Stato. Davvero il Pd vuole questo? E Mattarella lo avallerebbe? Proprio lui, un sincero cattolico democratico di sinistra? Troppo presto per poter dare, oggi, risposte di questo tipo.

Due ipotesi non praticabili: status quo e Responsabili

ipotesi

Due sole ipotesi e scenari sono ormai scomparse dal radar. Ce tutto resti com’è ora, con il Conte bis ‘rimpastato’: l’ipotesi, come abbiamo visto, è diventata del tutto remota, anche se, più a Chigi che al Colle, ancora vi si aggrappano. E qui la fantasia e i precedenti, in questi casi, impazzano.

Infatti, nel 1987 il dc Giovanni Goria si dimise perché un partito della coalizione, il piccolo Pli (ricorda la Iv attuale, aveva il 2% dei voti, era di destra liberale e coriacea, etc.), aveva fatto venir meno l’appoggio. Il Capo dello Stato di allora, Francesco Cossiga, respinse le sue dimissioni e lo reincaricò. Ma Goria non dovette neppure passare per un voto di fiducia delle Camere perché incassò un nuovo accordo politico interno alla maggioranza di pentapartito: Cossiga respinse le dimissioni e Goria continuò il mandato.

Un altro precedente citato in questi giorni riguarda una storia a noi molto più vicina. Nel 2010 l’allora presidente della Camera, Gianfranco Fini, formò un gruppo a suo nome (Fli), distaccandosi dall’allora Pdl di Berlusconi, e tolse l’appoggio al IV governo Berlusconi, ma l’allora Capo dello Stato, Napolitano, impedì di far votare subito la fiducia al governo perché questi doveva approvare la legge Finanziaria. Un mese di tempo prezioso per Berlusconi che, in quei 30 giorni, mise in campo l’operazione Responsabili cosicché, quando si votò la sfiducia, vinse per un soffio e il suo governo andò avanti, anche se non ancora per molto. Nel 2011, infatti, con la crisi finanziaria, poi cadde davvero.

L’altra ipotesi che sembra del tutto, ormai, sparita dai radar e il ‘governicchio’ Conte senza Iv ma con i ‘Responsabili’. La loro caccia, che si protrae da tempo, al Senato continua a dare ben pochi frutti. Inoltre, è lo stesso Colle a sconsigliare vivamente Conte di prendere questa strada: che vinca o che perda, il suo nome sarebbe bruciato per un reincarico. Resta il fatto che le urne anticipate si fanno sempre più vicine. Anche al Colle lo sanno bene e la cosa non piace affatto.

 

NB: Una parte dell’articolo è stata scritta e pubblicata sul Quotidiano Nazionale del 9 gennaio 2021