“Towanda!” o la “valanga rosa”. La carica delle portavoce donne nel governo Draghi e alcuni miti da sfatare

“Towanda!” o la “valanga rosa”. La carica delle portavoce donne nel governo Draghi e alcuni miti da sfatare

24 Febbraio 2021 0 Di Ettore Maria Colombo

“Towanda!” ovvero della “valanga rosa”. La carica delle portavoce donne del premier Mario Draghi e dei suoi ministri sfata il mito delle donne private di ruoli decisionali in Italia. Una storia politica femminile e un totem da abolire, il Metoo

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E’ una vera e propria ‘valanga rosa’ – proprio come quella delle azzurre campionesse mondiali di sci o come il grido di battaglia della Regina delle fiere Amazzoni, “Towanda!”, appunto – quella che sta travolgendo il governo Draghi. Non a livello di ministri e non – o, almeno, non ancora, a livello di sottosegretari e viceministri, le cui nomine tardano ancora ad arrivare – ma almeno quella che si gioca a livello di portavoce e capi uffici stampa dei ministeri stessi, oltre che di palazzo Chigi.

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Foto Roberto Monaldo / LaPresse
13-02-2021 Roma
Politica
Quirinale -Giuramento del governo Draghi
Nella foto In prima fila da sx, Daniele Franco, Marta Cartabia, Luigi Di Maio, Sergio Mattarella, Mario Draghi, Luciana Lamorgese, Lorenzo Guerini, Giancarlo Giorgetti.
Seconda fila da sx: Roberto Speranza, Maria Cristina Messa, Andrea Orlando, Roberto Cingolani, Stefano Patuanelli, Enrico Giovannini, Patrizio Bianchi, Dario Franceschini, Federico D’Incà.
Terza fila da sx: Erika Stefani, Fabiana Dadone, Maria Stella Gelmini, Vittorio Colao, Renato Brunetta, Mara Carfagna, Elena Bonetti, Massimo Garavaglia.
Photo Roberto Monaldo / LaPresse

Ma perché si sta ‘tingendo di rosa’ in modo cosi marcato la compagine dei portavoce e capi uffici stampa del Draghi Uno? Almeno stavolta, non bisogna ‘compensare’ alcunché. Per capirci, le donne ministro nel governo Draghi sono e restano poche: otto su 23 dicasteri, molto meno della metà.

Un dato di fatto che ha procurato, al governo, polemiche a non finire sulla troppa scarsa rappresentanza femminile (notazione giusta e sacrosanta) ma soprattutto un vero ‘tormentone’ polemico e politico dentro il Pd, polverone assai meno giustificato e, in verità, molto, molto ipocrita.

Un retroscena ‘tinto di rosa’: perché, nella delegazione ministeriale del Pd nel governo Draghi, manca la donna

debora serracchiani

Debora Serracchiani

Il Pd, infatti, presenta tre ministri su tre tutti ‘maschietti’ (Guerini, Franceschini, Orlando), ma non ha escluso le donne per scelta ‘anti-femminista’ – come molte donne dem hanno sostenuto, in modalità Amazzoni vis pugnandi, ancora non placata, contro il Nazareno e i ‘maschi’ al potere dentro il partito – ma per una precisa scelta politica. Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, nella rosa dei tre nomi presentati a Draghi, una donna l’aveva pure messa (Debora Serracchiani, che ora pare destinata a diventare la nuova vicesegretaria del Pd), ma escludendo, di fatto, Guerini, capofila di una corrente dem non ‘in linea’ con il Nazareno, quella di Base riformista, che guida insieme a Luca Lotti.

guerini

Lorenzo Guerini

Recuperato, in limine mortis, Guerini, ma solo grazie all’intervento del Quirinale che non voleva rinunciare a un pezzo pregiato (e a un ministro in forte sintonia con i ministri della Difesa Ue e Nato, oltre che con l’ammistrazione Biden negli Usa), il Pd ha risposto picche alla richiesta del Colle (‘caricatevi voi il nome di una donna’…) perché non voleva rinunciare a Orlando e Franceschini, tenutari di due correnti dem molto importanti per il governo interno di ‘Zinga’ e che, a differenza di quella di Guerini, ne sorreggono il comando. A ‘saltare’, dunque, alla fine, è stata la donna…

Il Metoo, un fenomeno degenerativo e la sua involuzione

#MeToo

#MeToo

Ne è scaturito, come si diceva, un fuoco di fila polemico che, dopo due settimane, non accenna ad attenuarsi, né sulle pagine dei giornali né sui social, spalleggiato e rinfocolato da un perverso ‘shit storm’ tipico delle campagne comunicative che usano mettere in campo i fan del #Metoo. Nato per esigenze sacrosante e legittime – la necessità di difendere donne che, nel mondo del cinema, dell’arte, etc. venivano adescate, sfruttate e violentate, abusate sessualmente, sotto minaccia di ricatto, fisico e psicologico – il #Metoo ha preso poi una piega degenerativa assai pericolosa.

Per capirsi, oggi, e entri nell’obiettivo delle femministe ‘4.0’ è meglio che ti vai a nascondere per sempre – come dimostrano i casi di Woody Allen e tanti altri artisti incolpevoli di alcunché – perché vieni travolto da una vera e propria ‘campagna di odio’ che cancella per sempre ogni onorabilità e dignità del tuo nome, per sempre associato a quella campagna (vedi il caso dello scrittore Fausto Brizzi) e a un’ondata di denigrazione che sale come un’alta marea.

black Lives Matter

Quello ora descritto è, però, un problema sociale, culturale e intellettuale, prima ancora che politico. Tra le aberrazioni che ha prodotto – figlie del combinato disposto tra #Metoo, movimento dei diritti degli afroamericani, quella del Black Lives Matter e ormai ‘antica’ teoria del gender, un combinato disposto micidiale e altamente esplosivo – vi è la riscrittura dell’intera Storia dell’Umanità e la cancellazione post mortem di personaggi della Storia, della Letteratura e del Cinema. Figure come Shakespeare, Cristoforo Colombo, Charlie Chaplin, e opere come praticamente l’intera opera lirica, intere commedie, film (da Via col Vento in poi), opere artistiche e letterarie sono finite sul ‘banco degli imputati’ solo perché ‘non in linea’ con il Nuovo Pensiero Post-Femminista del Nuovo Ordine Mondiale (parliamo in modo chiaramente sarcastico di un problema che riteniamo molto reale).

Il governo Draghi si ‘tinge’ di rosa, ma a livello comunicativo

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Il governo si ‘tinge’ di rosa, ma a livello comunicativo

Detto del contesto culturale generale, torniamo in medias res, cioè lo specifico del settore Politico. Se le donne ministro nel governo Draghi sono e restano poche (otto su 23 dicasteri, molto meno della metà), almeno la squadra di sottogoverno (viceministri e sottosegretari) vedrà una discreta ‘compensazione’ tra maschi e femmine (dovrebbe finire con un onesto 50% e 50% di presenze). Anche perché la legge Bassanini del 1999 – che definisce i membri e le funzioni del governo della Repubblica e che integra la legge di riforma della presidenza del Consiglio Craxi del 1988 – fissa in 65 il tetto massimo delle presenze totali all’interno di un esecutivo (ministri compresi) e ‘consiglia’ la cd. ‘parità di genere’. Ma a livello di capi uffici stampa, portavoce e staff dei vari ministeri è ovvio che ogni ministro – maschio o donna che sia – può scegliere chi vuole, maschio o femmina che sia.

Ed ecco la ‘sorpresa’: stanno arrivando quasi tutte donne! In questo caso, però, la motivazione non è politica – né correct incorrect – ma ‘banale’: “women do it better!”, “le donne lo fanno meglio”.

Non sembri irriverente, la frase, ma qui si detesta nel profondo sia il politically correct che la ‘moda’ e le fobie da #Metoo, si sarà capito. Insomma, proprio come nel giornalismo, anche a livello di comunicazione politica e istituzionale, nei ruoli ‘storici’ (e ‘topici’) di portavoce e capi uffici stampa, le donne sono, banalmente, più brave degli uomini e, non a caso, si fanno largo ormai da tempo.

Le donne sono sempre più brave – spesso e anche volentieri pure più preparate, scrupolose, toniche, sul pezzo – dei loro colleghi uomini e, quindi, non esiste giustamente ‘quota rosa’ che tenga: spesso vengono preferite ai maschi e amen. E’ giusto? Sì, ovviamente, lo è, ma vediamo meglio  ‘chi’ sono.

Della Ansuini qualcosa (poco) si sa, ma chi sono “le altre”?

Paola Ansuini

Come dicevamo, sono molte le donne: superano il 60%, notazione rivolta ai fan delle “quote” rosa, dentro il governo Draghi, e mancano ancora alcune delle nomine, dentro i 23 nuovi ministeri.

A cominciare, ovviamente, dalla portavoce del Presidente del consiglio, Paola Ansuini, che viene dritta dritta da BankItalia e che, al premier (volente) e ai ministri (nolenti), ha già imposto il nuovo mood di comunicazione: molto lavoro, zero (o quasi) interviste, zero o pochi social da usare.

Alcuni ministri (maschi) hanno accettato di buon grado, specialmente quelli tecnici, mentre quelli più ‘politici’ – dal vulcanico Renato Brunetta (FI) al compulsivo Andrea Orlando (Pd), abituati ad esternare, via agenzia o social, e a ogni pié sospinto – fanno più fatica, ma si sono dovuti a loro volta adeguare, o meglio, come si usa dire, fare buon viso a cattivo gioco.

Rocco Casalino

Rocco Casalino

Ma se della Ansuini – personaggio schivo e riservato, l’esatto opposto del suo predecessore, Rocco Casalino – si sa tutto (per quel poco che è dato sapere: le piace Bach, per dire, preferisce parlare in inglese, come Draghi, e ama i cani, come Draghi), delle altre e molto giovani portavoce, si sa invece ben poco. Cerchiamo, dunque, di conoscerle tutte un pochino meglio.

Il 60% dei portavoce del governo è ‘speriamo che sia femmina’…

Alessandra Ravetta

Alessandra Ravetta

Innanzitutto, va detto – come notava giustamente, qualche giorno fa, il mensile Prima comunicazione, la ‘Bibbia’ dei giornalisti italiani, nella sua versione on-line (giornale diretto da una donna, Alessandra Ravetta, ‘Prima’ è stato il primo a notare la caratteristica della ‘valanga rosa’ al governo) – che i portavoce, poco noti al grande pubblico, quasi quanto i capi di gabinetto, “ricoprono il delicato ruolo di interfaccia con i media e le istituzioni dei ministri del nuovo esecutivo”, come peraltro da sempre accade (leggere per credere il libro di Anonimo, “Io sono il Potere. Confessioni di un capo di gabinetto”, edito da Feltrinelli, libro indispensabile per capire le dinamiche dei Palazzi).

Solo che, di solito, anche questo ruolo spetta ai ‘maschi’, molto più raramente alle donne. In effetti, i capi di gabinetto sono e restano quasi tutti maschi, a partire dal capo di gabinetto di palazzo Chigi, Antonio Funiciello, autore di un altro libro indispensabile, “Il metodo Machiavelli” (Rizzoli). 

agnese pini

Agnese Pini

Le quali donne, però, negli ultimi anni, come anche nel campo del giornalismo (per la prima volta, oggi, in Italia, abbiamo una direttrice di quotidiano: la giovane e brava Agnese Pini, direttore de La Nazione di Firenze, direttore ormai da anni, ma ora c’è finalmente anche una donna a capo di un’agenzia, Alessia Lautone, all’agenzia La Presse), si sono fatte largo e, oggi, sono diventate tra le/i migliori professioniste/i su piazza. Non a caso, dunque, ecco che molte delle scelte dei ministri vengono direttamente dal mondo del giornalismo, mondo in cui la politica ‘pesca’ perché riconosce la stoffa dei colleghi spesso più bravi dei normali addetti stampa e, in particolare, come in questo caso, delle colleghe.

Le nomine ‘rosa’ già definite e quelle ancora da definire

Maria Cristina Messa

Maria Cristina Messa

Va detto anche che il pacchetto delle nomine dei portavoce del governo Draghi non è stato ancora del tutto definito. Tra conferme e new entry, e con alcune caselle ancora da perfezionare – per quella del ministro dell’Università e ricerca, Maria Cristina Messa, è questione di ore. In ogni caso, al fianco dell’ex ministro, Gaetano Manfredi, lavorava la brava e competente Sabrina Iadarola, ora pronta a nuove offerte – mancano ancora alcune, ma poche, importanti caselle da completare.

C’è anche chi, al momento, in verità, ha optato per la scelta singolare del ‘nessun portavoce’: è il caso del ministro Fabiana Dadone (M5s), alle Politiche giovanili, che non porta con sé dall’Innovazione l’ottimo Ulisse Spinnato Vega, ma scommette su un gruppo di ragazzi e ragazze presenti in particolare sui social, per affinità con il mood di lavoro del suo innovativo dicastero.

La Lega ‘accentra’ la comunicazione con la ‘mitica’ Garibaldi

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Iva Garibaldi

Poi c’è chi, come i ministeri in capo ad esponenti della Lega (Mise-Giorgetti, Turismo-Garavaglia, Disabilità-Stefani), sceglierà presto un proprio staff per l’ufficio stampa, ma vuole avvalersi di un ‘coordinamento politico’ che vede al suo capo una colonna della comunicazione leghista come Iva Garibaldi. ‘La Iva’, come la chiamano i giornalisti che seguono la Lega, tipa tosta e rocciosa, per l’occasione, dunque, si “distacca” dal segretario leghista, che seguiva come un’ombra, Matteo Salvini – il quale resta affidato alle cure di Matteo Pandini, giornalista di Libero che lo segue da quando era ministro – e centralizza la comunicazione dei ministri del Carroccio, oltre che essere anche la portavoce del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, numero due di Salvini e Richelieu dei poteri del mondo leghista e del filone ‘atlantista’ e filo Ue .

Nello specifico, Massimo Garavaglia, ministro del Turismo ha come portavoce Narda Frisoni, giovane riminese, esperta del settore comunicazione, già portavoce del leghista Giulio Centemero, affabile e smart. Mentre Erika Stefani, ministro alla Disabilità, si avvarrà della collaborazione di Cinzia Iovino, che già lavorava al ministero della Famiglia e disabilità quando c’era Fontana.

La Calandra per la Cartabia e le nomine dei ministri ‘tecnici’

Marta Cartabia e Raffaella Calandra

Marta Cartabia e Raffaella Calandra

Per quanto riguarda i ministri al primo incarico, il Guardasigilli, Marta Cartabia, ex presidente della Consulta, ha scelto la giornalista Raffaella Calandra. Sannita trapiantata a Milano, cronista di giudiziaria, ex vicedirettore della scuola di Giornalismo ‘Walter Tobagi’ (Ifg di Milano), inviata di giudiziaria di Radio24-Sole24Ore, la Calandra ha un carattere quieto ma caparbio, un profilo gentile e disponibile, fermo nei ‘no’ come nei ‘sì’ ed è un ottimo ‘acchiappo’ per una ministra così low profile e schiva che la giovane Calandra saprà imporre con stile.

Al cruciale e centrale dicastero dell’Economia – è notizia di queste ultime ore – il nuovo ministro tecnico, Daniele Franco, si porta Antonella Dragotto, che viene, guarda caso, anche lei da BankItalia e che ha scritto un libro dal titolo profetico, “Comunicatrici”, insieme a Janina Benedetta Landau, responsabile della sede romana di Class CNBC.

Roberto Cingolani, ministro dell’Ambiente e della Transizione ecologica ed Energia conferma Stefania Divertito, impeccabile professionista, nella posizione ricoperta con l’uscente ministro, Sergio Costa.

In Area dem, tornano al governo le ‘figlie’ della Sinistra giovanile

patrizio bianchi

Patrizio Bianchi

All’Istruzione, con il ministro Patrizio Bianchi arriva Chiara Muzzi. Portavoce dell’uscente sottosegretario al Mef, Maria Cecilia Guerra, già all’Istruzione con Maria Chiara Carrozza, la Muzzi ‘nasce’ con Pierluigi Bersani, prima nei suoi primi passi al governo come ministro economico e poi come ufficio stampa della segreteria dell’ex leader del Pd. ‘Figlia’, cioè, anche se alla lontana, di una filiera, quella del Pci-Pds-Ds-Pd, che tanto ha dato anche al mondo della comunicazione politica come pure nel caso di un’altra ‘figlia’ della Sinistra giovanile dei Ds (ex Fgci che fu…).

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Caterina Perniconi

All’Innovazione tecnologica e transizione digitale, con Vittorio Colao, troviamo, infatti, e non a caso, Caterina Perniconi. Già capo ufficio stampa all’Istruzione, con Mussi,, alla Cultura, con Bray, e all’Agricoltura, con Martina, nelle passate legislature e da ultimo al Commissariato italiano per l’Expo Dubai presso la Presidenza del Consiglio, la Perniconi è stata, nel tempo, portavoce di antichi e ormai dimenticati esponenti della sinistra-sinistra del Pds-Ds, da Fabio Mussi in giù, o di segretari e mozioni congressuali del Pd come nell’ultimo caso, quello di Maurizio Martina, ora alla Fao, ma soprattutto ha ‘preso parte’, da giovane, alle peripezie ed evoluzioni della sinistra post-comunista (la Sinistra giovanile), in modo arguto e discreto, appassionata di politica quanto di comunicazione.

Le molte riconferme dei molti ministri ‘riconfermati’…

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Il Ministro Lamorgese

Ai ministeri con portafoglio, una lunga fila di riconferme: Augusto Rubei, ormai storico portavoce di Luigi Di Maio, agli Esteri, il cronista e quirinalista del Corriere della Sera, Dino Martirano, resta al fianco di Luciana Lamorgese agli Interni. Il giovane, discreto e collaudato – giornalisticamente e politicamente – Mattia Morandi resta con il ministro della Cultura, Dario Franceschini: Morandi è uno dei pochi giovani dem che ‘non’ viene dal filone ex ‘figiciotto’ ma dalla galassia del PPI-Margherita, e politicamente si è formato con l’ex presidente del PPI, Pierluigi Castagnetti, in un lungo tirocinio.

Nicola del Duce, solida spalla di Roberto Speranza alla Salute, viene invece – come le donne citate prima – da esperienze politiche e giornalistiche sempre vissute ‘a sinistra’: portavoce di Gavino Angius, quando questi divenne vicepresidente del Senato in quota Ds, di altri esponenti della sinistra socialista e poi del Pd, Del Duce è ‘passato’ nelle fila degli scissionisti di LeU dal Pd di epoca Renzi e ha creato e cementato un sodalizio con il giovane Speranza che li porta, dai tempi del Covid, ha essere diventati una sorta di gemelli siamesi che vivono e patiscono vittorie e difficoltà all’unisono.

Tante altre donne per altrettanti ministeri chiave

Nicoletta Santucci

Nicoletta Santucci

Per tornare, invece, nel campo dell’altra metà del cielo, quella delle donne, la giovane e brava Nicoletta Santucci viene confermata con Lorenzo Guerini alla Difesa: un ruolo tecnico, più che politico, il suo, svolto con puntualità, precisione ed efficienza oltre che con obbligata discrezione.

Tra le collaborazioni che vengono confermate, ecco spuntare quella di Claudia Caputi, che torna con Enrico Giovannini al ministero delle Infrastrutture e Trasporti dopo aver lavorato a lungo con lui all’Istat e poi all’Asviss.

Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, porta con sé Daniela Gentile, sua nuova (ma non troppo) collaboratrice dentro il Pd, nel ruolo coperto per anni dalla gentile e soave Laura Cremolini: la Gentile, di nome e di fatto, viene dal mondo bancario (Mediocredito) ed ha accompagnato Orlando già nel suo ultimo anno di lavoro, ma quando era ministro della Giustizia nel governo Renzi.

mara carfagna forza italia

Mara Carfagna

Carlotta Sabatino, giovane ed efficiente, resta con Mara Carfagna, ora ministro per il Sud e la coesione territoriale.

Tra i ministeri senza portafoglio, conferma per Valeria Calicchio portavoce del ministro dei Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà. Proveniente dal mondo della sinistra radicale e del giornalismo impegnato e sindacale, la Calicchio – con il suo spiccato accento cilentano e una durezza nei tratti cui corrisponde la gentilezza nell’animo – si è ormai affermata nel mondo dei portavoce del Palazzo, di cui conosce segreti e ministeri. All’altro capo del filo- cioè non da una storia ‘di sinistra –  c’è e resta Roberta Leone al fianco di Elena Bonetti (Iv) ministro alle Pari opportunità e famiglia. Vaticanista, cattolica raffinata e arguta, la Leone ha un carattere mite, ma una professionalità e una sensibilità non comuni.

Manuela Perrone

Manuela Perrone

Nuova esperienza invece per Manuela Perrone, giornalista politica de IlSole24Ore e ora diventata portavoce di Renato Brunetta al dicastero Pubblica amministrazione.

Alessandra Migliozzi, intanto, sempre alla Pubblica istruzione, resta capo ufficio stampa del ministero, ruolo nel quale è diventata, ormai, una pietra miliare e una garanzia.

Ma resiste anche qualche ‘maschietto’ con i ministri…

Maria Stella Gelmini

Maria Stella Gelmini

Oltre alle riconferme già citate in precedenza (Rubei con Di Maio, Del Duce con Speranza, Martirano con Lamorgese, Morandi con Franceschini), vanno segnalati almeno altri due ‘maschi’ in caselle cruciali, nel governo Draghi. C’è un azzurro doc, non giovane ma sempre brillante, Fabrizio Augimeri ad affiancare Maria Stella Gelmini agli Affari regionali e alle Autonomie. Con il pentastellato Stefano Patuanelli resta invece Giorgio Chiesa che passa, come il ministro, dallo Sviluppo ec. all’Agricoltura.

Insomma, come si vede, nella comunicazione del governo Draghi il ‘potere femminile’ esiste e la ‘valanga rosa’ vince.

Nel Mondo il Potere è donna ovunque, tranne che in Italia…

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Ma il Potere, come si sa, è azzurro, o meglio blu, cioè ‘maschio’, e non certo ‘rosa’. In Italia, in particolare, è così. Nel resto del Mondo contiamo candidati alla presidenza (Hillary Clinton) e attuali vicepresidenti (Kamala Harris) donne, per stare agli Stati Uniti, ma anche ‘cancelliere’ di ferro – dalla prime minister inglese, Margareth Thatcher, all’attuale cancelliera tedesca, Angela Merkel, e alla ‘capa’ di tutta l’Unione europea, la presidente della commissione Ue, Ursula von der Leyen, per restare al vecchio continente. Ma si può arrivare fino in Nuova Zelanda, dove l’attuale premier, Jacinda Arden, è la più giovane premier al mondo e, nel frattempo, tra un’elezione (vinta) e l’altra, trovava anche il tempo di fare ben due figli. Oppure si può tornare nei regni del Nord Europa – dove le regine donna non si contano, dalla semi-eterna Elisabetta II che governa il Regno Unito dal lontano 1952 – alle monarchie scandinave, o passare per gli stati del Baltico, dove le premier donna – in testa a tutte la finlandese, Sanna Martin, a soli 35 anni ha ‘stracciato’ il record neozelandese di Arden (ne aveva 37).

L’Italia dei piccoli passi: Parlamento e Consulta sono ormai ‘rosa’

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Parlamento e Consulta ‘rosa’

In Italia, invece, amiamo essere e restare ‘conservativi’ e, quindi, ‘maschili’, per quanto questo – in tempo di conclamata e universale crisi del ‘maschio’ – voglia dire. Insomma, in Italia il Potere è e resta ‘anti-femminile’ e, in qualche modo, discriminatorio, anche se notevoli passi in avanti sono stati fatti. Dal 2013 al 2018 abbiamo avuto la prima presidente della Camera dei Deputati donna, Laura Boldrini (Sel-LeU) e, dal 2018 in poi, abbiamo anche la prima presidente del Senato donna, Maria Elisabetta Alberti Casellati (Pdl-FI).

Inoltre, come si sa, il ‘muro del Potere maschile’ è stato rotto dalla prima presidente della Corte costituzionale donna, Marta Cartabia, che ha guidato la Consulta nel 2019-2020, un traguardo, forse, persino più importante di quello delle prime presidenti dei due rami del Parlamento.

Ma, come si è visto nella nascita del governo Draghi, dove le donne sono poche (8 donne ministro su 23, e nessuna del Pd, il partito che della ‘questione femminile’, dai tempi del Pci-Pds-Ds, aveva sempre fatto una orgogliosa bandiera…), e come si vede, ogni volta, quando si tratta di comporre le liste elettorali, a rimetterci, di solito, sono sempre le donne. Nonostante quella che molti giudicano una ‘diminutio’, le ‘quote rosa’ (per legge, alle elezioni politiche, le liste vanno composte nella proporzione di 60% maschi e 40% donne), cosa ben diversa dalla vera ‘parità di genere’ (50% e 50%) come dall’alternanza uomo/donna sulla scheda elettorale.

Una polemica, quella sull’assenza delle donne al governo – e, ripetiamolo, soprattutto dentro il Pd, dove è esplosa una feroce polemica da parte di tutte le ‘donne’ democrat contro il loro segretario, Nicola Zingaretti, e i ministri dem maschi – che, da settimane, riempie le pagine di giornali e social.

Mai una donna al Colle, mai una donna a palazzo Chigi…

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Nilde Jotti (Pci), la donna più votata per il Quirinale, e Tina Anselmi (Dc)

La – triste – verità – è, in effetti, un’altra. E qui la Storia la ‘canta’. Non vi è mai stato un presidente della Repubblica donna. Vi concorsero, a dire il vero, ma sempre con scarso successo, alcune storiche figure della storia repubblicana, da Tina Anselmi (Dc) a Nilde Jotti (Pci) ma più nolenti che volenti, e solo una, Emma Bonino, nel 1999, quando il Parlamento scelse Carlo Azeglio Ciampi, usufruì di una vera e propria campagna, allora non social, ma mediatica, che si chiamava “Emma for president” (qui il link a un articolo che racconta la storia delle donne candidate al Colle: https://www.quotidiano.net/blog/colombo/elezioni-presidenziali-mai-una-donna-al-quirinale-una-lunga-storia-di-fallimenti-123.160 ). Non vi è mai stata, in Italia, peraltro, un presidente del Consiglio donna, come si sa, ma vi sono state alcune figure di donne incaricate di ‘esplorare’ la possibilità di diventarlo da parte di alcuni Capi di Stato. La prima fu sempre Nilde Jotti, incaricata da Sandro Pertini (Psi), nel 1979. L’ultima è stata Maria Elisabetta Alberti Casellati, incaricata nel 2018 – sempre per un incarico ‘esplorativo’ – da parte dell’attuale Capo di Stato, Sergio Mattarella.

Ma mai vi.è stato un premier ‘rosa’. Non a caso, alla Camera dei Deputati, al piano nobile di palazzo Montecitorio, una galleria – inaugurata nel 2016 dalla Boldrini nella scorsa legislatura e chiamata ‘sala delle donne’ racconta il lungo, doloroso e faticoso percorso che ha portato molte donne a diventare deputate dell’Assemblea costituente (26, tra loro vi erano anche la Jotti e la Anselmi) e tante donne a diventare deputate e poi anche ministre (la prima fu, appunto, Tina Anselmi, ministro del Lavoro nel IV governo Andreotti, 1976-1978), oltre che presidenti di consigli regionali (lo è Donatella Tesei in Umbria, lo era Jole Santelli, prematuramente morta nel 2020, in Calabria), la cui prima è stata l’abruzzese Anna Nenna D’Antonio e molte sono state le ‘sindache’ di grandi città, ultime delle quali le due pentastellate Virginia Raggi a Roma e Chiara Appendino a Torino.

Ma proprio la ‘sala delle donne’ di palazzo Montecitorio ci ricorda quanta strada devono ancora fare le donne, in Italia. Uno, anzi più specchi, vuoti, accanto ai ritratti dicono, infatti, alle giovani studentesse che qui vengono in visita: “la prossima premier, il prossimo Capo dello Stato, potresti essere tu, pensaci e non limitarti a sognarlo!”. Anzi, come direbbero negli Usa, ‘Towanda!”.

 

NB. questo articolo, in una sua parte, è stato pubblicato sul sito di notizie Tiscali.it il 24 febbraio 2021