Ogni giorno ha la sua pena. Botte da orbi nel Pd su ogni fronte: congresso, Roma e Lazio, nomine, alleanze

Ogni giorno ha la sua pena. Botte da orbi nel Pd su ogni fronte: congresso, Roma e Lazio, nomine, alleanze

28 Febbraio 2021 0 Di Ettore Maria Colombo

Sommario

“Ogni giorno ha la sua pena”. Botte da orbi dentro il Pd tra maggioranza di Zingaretti e minoranze variamente intese su ogni tema possibile e immaginabile. Dall’alleanza con i 5Stelle (a Roma e nel Lazio) al ‘caso donne’ fino al sottogoverno e a chi dovrà fare il vicesegretario, etc.

Lorenzo Guerini

Lorenzo Guerini, ha cercato di fare il ‘pompiere’

Guerini prova a fare ‘da pompiere’, ma stavolta nessuno gli dà credito. Intanto, sono ormai in diversi (Padoan, Martina, Minniti) i deputati dem di prestigio che si dimettono. La fuga sa tanto di “topi che scappano dalla nave che affonda”…

NB: Una parte di questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2021 sul sito di notizie Tiscali.it

Sottogoverno. Alleanza con i 5Stelle a Roma e in Lazio. Congresso. Nel Pd, ormai, ogni giorno ha la sua pena…

Zingaretti Nicola

Nicola Zingaretti

Nel Pd, ormai, ogni giorno ha la sua pena. Solo negli ultimi due giorni – in pratica, i dem non prendono una boccata di aria pulita neppure nei weekend – il fronte di Zingaretti e quello delle minoranze se le sono date di santa ragione, in pratica, su tutti i fronti aperti, possibili e immaginabili. Si va dalle esclusioni eccellenti nel sottogoverno Draghi in quota Pd fino alle voci che si rincorrono sempre più insistenti, sempre più forti e sempre più corpose (ieri le rilanciava un articolo a firma Mario Lavia su l’Inkiesta) e che parlando di un possibile abbandono di Zingaretti della segreteria dem come pure della regione Lazio in cambio del lancio della sua candidatura nella corsa a sindaco di Roma.

Il ‘modello Roma” 4.0: Zingaretti tentato da correre a sindaco lasciando il Lazio ai 5Stelle, cui apre le porte

zingaretti bettini

Zingaretti e Bettini

Zinga, cioè, ‘mollerebbe’ il Lazio ai 5Stelle – cui proprio ieri ha ‘aperto’ proponendo loro l’ingresso in giunta via rimpasto di due assessori che hanno lasciato o stanno lasciando l’incarico – come pure le candidature di alcune altre grandi città (Napoli e Torino, non Milano e Bologna) che, in teoria, dovrebbero andare al voto entro giugno. La mossa Zinga la farebbe anche per sfilarsi dal massacro quotidiano – un vero tiro al piccione, spesso sguaiato e spesso anonimo – che l’attuale segretario subisce nel Pd, ridotto a novello San Sebastiano, o pungiball, di tutti i guai. ‘Incoronato’ dal solito Goffredo Bettini – inventore del ‘modello Roma’ che vide trionfare prima Rutelli e poi Veltroni (e poi, molto meno, Ignazio Marino…), Zingaretti crede davvero di poter unire un fronte vasto che andrebbe da Calenda fino a LeU, passando soprattutto per i 5Stelle, e diventare sindaco della Capitale, sempre che l’M5s scarichi, per davvero, l’attuale sindaca, Virginia Raggi (difficile) e che il centrodestra presenti una candidatura debole (facile).

La ‘mossa’ di Zinga e Lombardi, avversaria della Raggi

Roberta Lombardi

Roberta Lombardi

Com’è, come non è, Zingaretti lavora apertamente, ormai, all’ipotesi di allargare la sua giunta in Regione Lazio ai 5 stelle, con il possibile ingresso di almeno un assessore pentastellato. Pare certo un incarico a Roberta Lombardi – fiera oppositrice di Virginia Raggi dentro il Movimento e oggi capogruppo del Movimento in Consiglio regionale – e di un ipotetico secondo posto in giunta in favore di un ‘tecnico’, ma gradito ai pentastellati. Tra le caselle in giunta potrebbe liberarsi la Cultura per fare spazio ai nuovi innesti.

rousseau piattaforma

Rousseau

Infatti, con l’uscita di Giovanna Pugliese, ora alla Cultura, e lo spostamento di Daniele Leodori all’Economia, l’ingresso di due donne M5S (in pole Lombardi e Corrado) nel governo della Regione, il cerchio sarebbe completo. Vero è che già in passato l’esperimento era stato tentato, e fallito e che, anche in questo caso, le mosse dei pentastellati – con annesso voto su Rousseau, come già accaduto per la Puglia – costituiranno un banco di prova a livello nazionale.
Inoltre, la Lombardi ha sempre avuto un atteggiamento dialogante con la maggioranza, portando il M5s a una sfilza di voti favorevoli alla giunta, nel ‘parlamentino’ laziale.

Alessandra Sartore scaled

ALESSANDRA SARTORE REGIONE LAZIO

Poi, certo, ‘casualmente’, la nomina di Alessandra Sartore a sottosegretario all’Economia nel governo Draghi, da tre anni titolare del Bilancio della Regione, ha aperto la strada a un rimescolamento delle deleghe nella giunta Zingaretti. Ma il segretario Pd vuole a dare corpo in tutti gli enti locali all’alleanza giallorossa che ha sostenuto il governo Conte: dalla Puglia di Emiliano alla Toscana di Giani e via così.

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Virginia Raggi

Ma la ‘mossa’ di Zingaretti guarda anche alle prossime elezioni comunali, dove la partita per il Campidoglio è quella che presenta le maggiori difficoltà per una intesa tra Pd e 5 stelle. Virginia Raggi non intende fare un passo indietro sulla sua ricandidatura mentre i dem hanno ribadito che non sosterranno mai la sua corsa. Ed ecco che l’intesa in Regione, con l’ingresso in giunta di un esponente 5 Stelle (Lombardi), da sempre in guerra con la sindaca, potrebbe diventare un primo passo, nell’ottica di un sostegno grillino al candidato del Pd al ballottaggio per il Campidoglio.

Patrizia Prestipino scaled

PATRIZIA PRESTIPINO

Solo che, nel Pd, sull’operazione, scoppia la pentola che, a livello di scontro interno, era già in piena ebollizione. Critica dura l’operazione, per dire, la deputata dem romana, Patrizia Prestipino, che sta nell’area di Base riformista: “L’ingresso in giunta regionale del Lazio del M5s se fatto così crea molta confusione. Prima serve una discussione nel Pd e le sedi sono quelle del partito”. “L’alleanza Pd-M5s in Regione avrà contraccolpi sia a livello nazionale, sia alle prossime regionali ma, prima di tutto, su Roma, che andrà al voto fra poco – spiega -. È uno schema che verrà riprodotto anche nella Capitale?

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Fa capolino la ‘maggioranza Ursula’….

Se deve essere così, allora allarghiamo l’alleanza anche ai liberali, ai riformisti, riproponiamo la maggioranza Ursula (la Prestipino non lo dice, ma pensa a Forza Italia, ndr.). E il candidato chi sarà, la Raggi? Prima di fare qualsiasi mossa, bisogna parlarne nel partito, a livello regionale e nazionale: le sedi sono direzione o assemblea, non certo i giornali o le agenzie”.

Il congresso. Guerini prova a calmare le acque e tende un ramoscello d’ulivo, ma Lotti mena e Zinga non ci sta

Lorenzo Guerini

Lorenzo Guerini, ha cercato di fare il ‘pompiere’

Infine, ovviamente, c’è l’ormai frusto, e già assai noioso, tema del ‘congresso sì, congresso no’, ‘congresso forse, congresso quando’, ‘congresso come’ e altre amenità simili, veri addicted del genere ‘horror’. Tema, quello del congresso anticipato, delle sue eventuali modalità (primarie aperte o chiuse? Voto riservato a iscritti ed elettori o altri?) e soprattutto della sua necessità politica sempre più urgente. Un tema che sta bruciando e accendendo troppo gli animi e rispetto al quale il ministro alla Difesa, Lorenzo Guerini, ha cercato di fare il ‘pompiere’ in un pezzo ‘retroscena’ uscito ieri sul Corriere della Sera, a firma Francesco Verderami e in alcuni conversari con alcuni colleghi di partito: “Non è il tempo, ora, di parlare di congresso – spiega – Vedremo, dopo l’estate, se e quando sarà finita la pandemia. Noi non chiediamo posti, ma un chiarimento sulla linea politica e sull’identità del Pd del futuro sì” la sintesi del suo pensiero. Poi Guerini dice: “il problema non è il nome del segretario, ma il profilo e l’identità riformista del Pd. Serve un nuovo patto federativo e fare primarie davvero aperte a tutti”

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La candidata numero uno è Valeria Fedeli

La traduzione della frase “ora serve una gestione collegiale, il partito va messo in sicurezza” pronunciata da Guerini è, di fatto, un ramoscello d’ulivo offerto agli zingarettiani: dateci un vicesegretario, ovviamente donna (la candidata numero uno è Valeria Fedeli, ex-Cgil,in secundis c’è la ex governatrice del Friuli Deborah Serracchiani) è il concetto e noi non rompiamo con voi e non usciamo dalla Segreteria.

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Luca Lotti

Poi però c’è Luca Lotti, ‘co-compagno’ di guida dell’area di Base riformista, gli ex renziani del Pd, con Guerini, invece, oggi in un’intervista alla Nazione, il giornale di Firenze diretto da Agnese Pini, ci mette più pepe: chiede un congresso in tempi più ravvicinata, critica le scelte di chi ha attaccato pesantemente la segreteria della Toscana (la Bonafé), i sindaci, Bonaccini, le tante richieste. Critiche che hanno un solo nome e cognome: Orlando e la sua ormai famigerata intervista alla Nazione di giorni fa che vedeva mettere sul banco degli accusati soggetti diversi.

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Enrico Borghi

Non a caso, un colonnello di Base Riformista come il deputato valtellinese Enrico Borghi, la mette giù così: “Pensare a un congresso ‘tradizionale’ con le riunioni nei circoli e le fila ai gazebo è irrealistico e sbagliato, oltre che pericoloso dal punto di vista sanitario. Inoltre, il Pd non deve accelerare o prestarsi a regolamenti di conti interni o a sostituzioni nominalistiche dei suoi assetti senza prima aver impostato una discussione profonda e il più possibile allargata al centrosinistra discussione sull’identità del partito e sulla sua vocazione riformista. Dobbiamo prima dirci dove vogliamo andare, poi con chi e solo alla fine quali possono essere i traghettatori verso nuovi lidi”.
Occorre, dunque, mettere ordine, e mettere in fila, i temi cercando di trovare un minimo di filo logico, nel racconto.

La rivolta delle escluse dalle nomine nel sottogoverno suona così: “il Pd ha perso un posto strategico, il mio…”

Alessia morani

Alessia Morani

L’altro ieri, venerdì, per dire, è stata la giornata della ‘rivolta degli esclusi’ o – meglio – delle ‘escluse’. Trattasi delle ormai ex sottosegretarie Sandra Zanda (bolognese, stava alla Salute, nasce come prodiana di ferro, di Prodi era l’inflessibile portavoce) e Alessia Morani (marchigiana, ex renziana, oggi di area Base riformista, era collocata al Mise) che accusano Zingaretti sulla base di due ordini di motivi: 1) “non mi ha fatto neppure una telefonata per motivare la mia esclusione” e 2) “di aver perso un ruolo strategico”. Il guaio è – si tratti della Sanità per la Zampa o del Mise per la Morani – che il posto strategico era il loro.

I ‘maschi’ esclusi tacciono, ma covano profondi rancori

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Antonio Misiani

Non che altri esclusi non covino minori e profondi rancori. Antonio Misiani, ottimo e capace viceministro al Mef – quello che si dice ‘un culo di pietra’, competente e preparato, è stato ‘segato’ senza una spiegazione, una prece. Matteo Mauri, sottosegretario agli Interni, pure. Un altro che parlava poco e lavorava tanto. Li ha smontati Mauri, i decreti Sicurezza targati governo gialloverde, e pezzo per pezzo, modello gutta incavat lapidem, mica la Lamorgese o, tantomeno, Zingaretti, il quale però se n’è molto vantato, di aver ‘cancellato’ i decreti Salvini. I quali decreti, però, pare proprio che ora torneranno in pista, anche perché, al Viminale, ci è finito il bravissimo – e giovane, e luciferino – Molteni, cioè quello che li aveva scritti, di suo pugno. Bene, entrambi – vicini a diverse aree del partito (Misiani all’area Orlando, Mauri all’area Martina) via, zut!, trombati e che ancora non si capacitano di essere stati fatti fuori. Invece, Andrea Martella, ora ex sottosegretario a palazzo Chigi con delega all’Editoria, oltre che uomo di Orlando (nel senso di Andrea, oggi ministro) tace, ma la rabbia, come si sa, quando cova dentro è peggiore di chi la urla.

Anche Salvatore Margiotta ha ben operato, al ministero dei Trasporti, ma anche lui e’ stato defenestrato senza uno straccio di spiegazione e non l’ha presa bene.

Persino Cuperlo attacca Zingaretti sul tema ‘Interni’

gianni cuperlo

Gianni Cuperlo

Sugli Interni, peraltro, che lo è davvero, “posto strategico”, spara a palle incatenate un ex big di peso come Gianni Cuperlo. Uno che di certo, dell’attuale leader dem e della sua linea politica, non è mai stato un pericoloso avversario. “Nicola Molteni (sempre lui: il nuovo, ma ‘vecchio’, sottosegretario agli Interni in quota Lega, ndr.) è uno bravo – riconosce Cuperlo – e conosce la struttura, ma questo ci deve preoccupare ancora di più. C’è il rischio che la destra provi a resuscitare la miscela di propaganda e disumanità dei suoi vecchi decreti che noi, poi, abbiamo superato”. Eh, sì, il rischio c’è eccome, ma al Nazareno alzano le braccia: avevamo pochi posti. Sei, erano i posti assegnati al Pd, ma – accusano le minoranze (e di ogni area) “Zingaretti ha promosso solo veri Carneadi o donne di obbedienza cieca”.

Zingaretti ha promosso solo “carneadi e fedelissimi” l’accusa, velenosa, delle minoranze sul piede di guerra

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La lucana, e femminista di sinistra, Cecilia D’Elia

In effetti, sembrano essere prevalse logiche, più che di corrente, proprio ‘di territorio’, nel senso più terra terra del termine: Alessandra Sartore, sguardo torvo, profilo tecnico, approda al Mise, da assessore alla regione Lazio che era (nessuno lo sapeva, neppure in Lazio, pare…), solo perché fa parte dell’inner circle di Zingaretti: “Zinga, del resto – dicono avversari con una cattiveria e una totale assenza di tatto come di galanteria, inusitate persino nel Pd – pensava di fare ministro, quando sembrava stesse per nascere il Conte ter, persino la sua scherana Cecilia D’Elia, il cui unico merito è aver fatto la Fgci insieme a lui”. Chiosa scandalizzata di un big della minoranza ex renziana: “queste non sono logiche di corrente, ma di parrocchia…”.

Assuntela Messina

Assuntela Messina

In effetti, un’altra Carneade, la giovane e bionda Assuntela Messina – pugliese, ‘scuderia’ politica di Emiliano&Boccia – finisce, come per incanto, al nuovissimo dicastero della Innovazione tecnologica, “speriamo faccia bene – sospirano i dem del Senato – è tanto carina, ma la conosciamo poco, forse è timida, di certo non si segnalano suoi interventi…”.

Conferme di Malpezzi e Sereni tra le rare buone notizie

simona malpezzi

Simona Malpezzi

Certo, qualche nota positiva, nella squadra dem al governo (i sottosegretari giureranno lunedì, nelle mani del premier) c’è. Simona Malpezzi, ai Rapporti con il Parlamento, è brava, efficiente, efficace (e, soprattutto, lavora in silenzio, virtù rara tra i politici e, in particolare le donne democrat). Marina Sereni, viceministro agli Affari esteri, è garanzia di buon operare e lungo riflettere (scuola Piero Fassino). Maria Cecilia Guerra – tipo roccioso e pure silenzioso, un passato ‘a pendolo’ tra Pci-Pds-Ds-Pd e Mdp-LeU-Art. 1 – torna a lavorare, h 24, al Mef mentre Anna Ascani (pure lei un passato a pendolo ma da Letta a Bersani, da Bersani a Renzi, da Renzi a Zingaretti…) resta confermata al Mise.

anna ascani

Anna Ascani

Conferme e giudizi tutti al netto del ‘ripescaggio’ di Enzo Amendola, già ministro agli Affari Ue, che seguirà la partita del Recovery Plan come già fatto con il Conte II, ma da sottosegretario, con i soliti aplomb da napoletano raffinato e illuminato quale è, oltre a competenza e stile. Ma Amendola è stato recuperato ‘in quota Draghi’ come Guerini lo era stato, nel toto-ministri, ‘in quota Colle’: insomma, se ancora hanno una ‘seggiola’ sotto il sedere, il merito non è del loro ben operare (indubbio) e non è certo del Nazareno, che li voleva ‘segare’, ma di altre ‘Entità’…

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Dario Nardella

Infine, arriva pure la stoccata del sindaco di Firenze, Dario Nardella, che lamenta “l’assenza dei toscani dal governo”. Manca che dicano la stessa cosa i veneti, i piemontesi, i liguri (ah già’, c’è Orlando…), forse pure abruzzesi e molisani, lucani e bruzii, sardi e siculi. Insomma, nel Pd, siamo alla fiera delle rivendicazioni e dell’attacco al leader, al grido classico ‘spariamo sul quartier generale’. Sport assai praticato, e da sempre, nel Pd, ma che ormai ha raggiunto livelli parossistici, superando i limiti del ridicolo.

Marcucci al Foglio: servono congresso e leader nuovi

Andrea Marcucci

Andrea Marcucci

Basta? No. A spargere sale sulle ferite, ecco l’intervista che il capogruppo dem al Senato, Andrea Marcucci, rilascia al Foglio di venerdì scorso. Papale papale, Marcucci – toscano e riformista doc, gode di zero gradimento al Nazareno dove amano definirlo “il secondo capogruppo, ma in quota Renzi, di Iv, insieme a quello vero, Faraone” – dice che “al posto di Orlando (oggi ministro e, ancora, vicesegretario di Zingaretti, ndr.) mi sarei già dimesso. La ex vicesegretaria, Paola De Micheli – continua Marcucci – ha lasciato il suo incarico quando è andata a fare il ministro ai Trasporti (cosa che la De Micheli ha già sottolineato, e rimproverato, a Orlando, durante la Direzione di venerdì, ndr.)”. Poi, Marcucci fa cadere il discorso sulla sostanziale richiesta di un congresso anticipato – nei tempi e nei modi che si studieranno, ovvio – e loda la personalità di Stefano Bonaccini, il governatore dell’Emilia-Romagna, che “avrebbe la statura e l’autorevolezza per ricoprire il ruolo di segretario”.

Bonaccini

Stefano Bonaccini

Parole che, ovviamente, vengono vissute, dentro il Nazareno, come un assalto al quartier generale. Quella ‘guerra di logoramento’ continua degli “ex renziani che vogliono riportare Renzi dentro il Pd e di cui sono il cavallo di Troia”. Per ora, in realtà, gli ex renziani di Base riformista – che terranno, il prossimo martedì, una assemblea interna di corrente per decidere il da farsi – preferiscono, in realtà, la logica ‘democrista’ wait and see.

“Wait and see”. La (ovvia) logica attendista di Guerini e quella più ‘movimentista’ di Lotti e di altri ex renziani

parole parole parole

“Parole, parole, parole” Mina e Alberto Lupo

“Calma e gesso” predica pero’ ai suoi il ministro Lorenzo Guerini: “per chiedere il congresso c’è molto tempo e lavoro da fare e di certo non si può fare il congresso con il Covid che avanza e imperversa, in piena crisi pandemica, sociale, economica”.
Guerini, dunque, prova a calmare le truppe, come fa sempre: il metodo è quello del ‘Conte zio’ dei Promessi Sposi (‘troncare, sopire. Sopire, troncare’…), o per dirla in modo meno nobile, dell’antica sapienza democristiana delle correnti della Balena Bianca, lato ‘doroteo’ e ‘moroteo’…

Ecco perché il ministro della Difesa assicura – o ‘finge’? – di guardare al congresso, ma solo a emergenza Covid finita, per “rigenerare” il partito” e “metterlo in sicurezza”. A Zingaretti, Guerini chiede quindi “una gestione collegiale”, che “nulla ha a che fare con i posti”, ma riguarda il modo in cui condurre il Pd in passaggi delicati. “Parole, parole, parole” direbbe Mina ad Alberto Lupo nella nota canzone.

lotti guerini

Lotti Guerini Area Riformista

Ma dentro la sua area, Br, molti, se non tutti, scalpitano. Spiega una fonte della corrente di Guerini e Lotti – “credo che usciremo da ogni organismo di gestione del partito. La ‘favoletta’ della segreteria unitaria per noi finisce qua”.

Il richiamo alla collegialità viene apprezzato dai parlamentari di Base Riformista (martedì ci sara’ la loro riunione di area) che da tempo chiedono un chiarimento, ma molti dicono anche che “non li teniamo più, i nostri, e a Lorenzo lo diremo. La ‘base’, sia nei gruppi che sui territori, vuole andare allo scontro…”.

Al Nazareno non si fidano: “Guerini ci crede dei fessi”

Lorenzo Guerini

Lorenzo Guerini

Al Nazareno, invece, bocche cucite, ma tra i dem vicini a Zingaretti c’è assai scarsa fiducia e rispetto per le parole di Guerini. Non convince la bandiera bianca sventolata dopo giorni di attacchi. “Guerini ci crede dei fessi, pensa che abbiamo tutti l’anello al naso e l’unico furbo è lui. Ma lo conosciamo bene, a quel ‘democristo’ di Guerini. E non ci fidiamo”, dice un parlamentare vicino a Zingaretti. Poi rincara la dose: “Base Riformista vuole logorare il segretario. E già lo fa ogni giorno con Marcucci, Gori e Nardella. E’ sicuro che candideranno Bonaccini contro di noi. Il loro obiettivo è il rientro di Renzi e dei renziani. Un partito piccolo e isolato, ecco cosa vogliono. Ma noi ci opporremo in ogni modo: la Mozione ‘Torna a casa Matteo’ non vincerà. Questo è poco ma sicuro”. Si vedrà.

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Un primo piano di Matteo Renzi

Certo è che il secondo tempo della Direzione previsto per lunedì alle 16, si annuncia infuocato, anche se la ‘partita’ vera si giocherà, come detto, all’Assemblea del 13-14 marzo, quando verrà nominato uno o più vicesegretario/a e si decideranno le ‘regole del gioco’ per il congresso.

La ‘fiaba’ della gestione unitaria e il tema del congresso. La querelle lunedì si sposterà sui nomi dei nuovi vicesegretari

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Assemblea nazionale del 13 e 14 marzo 2021

Ma la nomina dei nuovi vicesegretari dem che l’Assemblea nazionale del 13 e 14 marzo dovrà ratificare decisioni di fatto già prese dalla maggioranza, di certo se ne parlerà, usque ad effusionem sanguinis (cioè in modo assai violento) nella ‘seconda parte’ della Direzione del Pd che ha avuto un primo tempo giovedì e ne avrà un secondo, assai più urticante, lunedì prossimo pur se tutti ‘da remoto’.

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Cecilia D’Elia

Zingaretti vuole, a tutti i costi, una donna (in pole c’è la ‘sua’ Cecilia D’Elia, romana) e, solo se Orlando cederà il passo, un’altra donna. Ma è difficile che si tratti di una figura espressa dalle minoranze (la Fedeli o la Serracchiani) e molto più probabile che, invece, si tratti di un’altra figura legata a Orlando (Rossomando) o a Franceschini (Pinotti).

Morale, la leadership dem si ‘blinda’ sperando ‘la piena’ passi, ma le correnti di minoranza già affilano le armi. Il congresso dem, quando mai sarà e si terrà, si preannuncia assai ‘agitato’.

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Andrea Orlando

Anche perché Orlando, a dimettersi, non ci pensa neppure e gli zingarettiani lo ‘blindano’, non foss’altro perché, senza le truppe di Orland, Zingaretti non avrebbe più una stabile e certa maggioranza, dentro l’Assemblea congressuale dem.

NB: questa ultima parte di quest’articolo è stata pubblica il 28 febbraio sulle pagine del Quotidiano nazionale

“Quando la nave affonda, i topi scappano”… Padoan, Martina, Minniti mollano il seggio. ‘Fuggi fuggi’ dal Parlamento e dal Pd

nave che affonda

“Quando la nave affonda, i topi scappano”

Se ne stanno andando via dal Pd come dieci piccoli indiani e il fuggi-fuggi inizia ad assumere contorni imbarazzanti. ‘Come se’ il Pd fosse una barca che affonda e da cui i ‘topastri’, quelli più noti e pure più grassi, sentano la necessità cosmica di fuggire il più velocemente possibile.
In effetti, il Pd naviga in pessime acque. Ridotto al 18% dei voti, poco di più (sul 20%) nei sondaggi, salassato da tre scissioni (una a sinistra, Mdp-LeU, nel 2016, e due ‘a destra, Iv di Renzi e Azione di Calenda, nel 2019), con una richiesta di congresso anticipato che sale da più parti, ridimensionato nei posti di sottogoverno e nelle ambizioni, svillaneggiato dalle donne (dem) come dagli ‘intellettuali’ (vedi alla voce polemica sulla “sinistra colla chitarra” di Concita De Gregorio versus Nicola Zingaretti), il Pd è un partito che ogni giorno ‘deve’ ricevere un altro schiaffo.
Ieri, appena si è sparsa la notizia che Zingaretti – novello San Sebastiano che tutti i suoi avversari vogliono infilzare con una cattiveria e una perfidia davvero inusitate – vuole ‘aprire’ ai 5Stelle la giunta regionale del Lazio, s’è scatenato un altro finimondo, con solita coda polemica tra chi dice ‘sì ai grillini’, chi dice ‘no ai grillini’, chi dice ‘ni’ (vedremo più avanti, nella fattispecie, questa ‘polemica’).

Padoan prende cappello e se ne va nel cda di Unicredit

pier carlo padoan

L’ex ministro Pier Carlo Padoan

Ma in attesa che il Pd affondi, alcuni ‘toponi’ già scappano. Per primo venne Pier Carlo Padoan. Dalemiano, ab ovo, finanche direttore della prestigiosa rivista Italiani-Europei, consigliere economico nei governi D’Alema e Amato, abituato da tempo ai prestigiosi e ben remunerati incarichi (direttore generale Fmi prima, poi vicedirettore dell’Ocse), ministro all’Economia nei governi Renzi e Gentiloni, Padoan è fuggito verso Unicredit, dritto dritto nel suo Cda. Di certo, avrà retribuzioni ben superiori ai ‘miseri’ 12 mila euro mensili che prendeva, fino a ieri, da deputato, di certo più in linea ai 210 mila euro che prendeva all’Ocse. Peraltro, Padoan lascia libero un seggio uninominale (in base al Rosatellum, nei seggi uninominali tocca rivotare per rimpiazzare l’eletto che si dimette), quello di Siena, e che – essendo Siena la città sede di bank Mps-Monte dei Paschi ma pure degli ultimi epigoni (dal punto di vista elettorale) della tradizione ‘Pci-Pds-Ds-Pd’ – viene ritenuto un seggio ‘sicuro’ o ‘blindato’, dove cioè è facile vincere facile. Infatti, è uno di quei seggi, Siena, che si usa dire ‘blindato’. All’epoca, nel 2018, Renzi dovette sudare sette camicie per imporre Padoan ai toscani. Ma vuoi mettere con Unicredit? Ci perdi in prestigio personale, ci guadagna il portafogli.

A Siena ora si canta “Aggiungi un posto a tavola”…

giuseppe conte

Giuseppe Conte

Ma ecco dunque il motivo per il quale, sul seggio di Siena, hanno messo gli occhi in parecchi, a partire dall’ex premier, Giuseppe Conte cui Zingaretti voleva fare il ‘regalino’ di concederglielo senza passare dal via di una lotta vera, sapendo cioè di potergli garantire un’elezione sicura, come fece il Pds con Di Pietro ai tempi del Mugello, per dire – per poter ‘entrare’ o ‘rientrare’ in Parlamento (i pochi che ancora lo desiderano, appunto, entrare in Parlamento…).

simona bonafé

Simona Bonafè

Solo che, la querelle dal titolo ‘avanza un posto libero’, a Siena, ha causato, di rimando, una guerra dei ‘lunghi coltelli’ nel Pd toscano. E questo solo perché la segretaria, Simona Bonafé, ha osato dire ‘a Roma’, e al Nazareno, che “dei candidati in Toscana discutono i toscani, grazie…”, provocando dimissioni a catena dentro la sua segreteria e polemiche a non finire con Roma cui la Bonafé non è ‘allineata’ e a cui, dunque, ora Zingaretti muoverà guerra.

Martina trasvola alla Fao e, come Veltroni, forse se ne va in Africa…

maurizio martina

Maurizio Martina

Poi c’è Maurizio Martina, trasvolato – non dal punto di vista fisico, ma mentale sì – oltreoceano, cioè alla Fao, storico organismo dell’Onu che pero’ ha sede a roma, e pure con una splendida vista sul circo Massimo, come vicedirettore generale. Eletto in un collegio plurinominale, ma come testa di lista (altro seggio blindato, dunque) in Lombardia Tre, a Martina succederà il secondo in lista. Poco male, dunque. Epperò, insomma, Martina è stato segretario (reggente) del Pd, vicesegretario (transeunte) dello stesso, candidato (perdente) alla segreteria. La sua corrente, ‘Sinistra è cambiamento’, di fatto non esiste più, come polverizzata. I resti li ha ereditati il capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, ma sono resti assai modesti, assai minuscoli. Martina, di certo, almeno non si rifugia nel ‘privato’ (ben remunerato), ma resta nel ‘pubblico’.

Walter Veltroni

Walter Veltroni

Si occuperà di ‘fame nel mondo’. Insomma, roba seria. A differenza di Walter Veltroni che, un giorno sì e l’altro pure, doveva partire per l’Africa, Martina – in Africa o nelle terre in cui gli antichi cartografi scrivevano ‘hic sunt leones’ – ci andrà spesso. Non che, va detto, gli stipendi della Fao siano però miseri. Ieri, infine, però, ecco che arriva l’ultimo colpo, micidiale.

La ‘testa pelata’ di Minniti prende il volo con Leonardo

Minniti

Marco Minniti

Prende il cappello e se ne va, da ultimo, pure Marco Minniti. Storicamente e politicamente noto perché ‘Lothar’ di D’Alema (insieme a Claudio Velardi e Fabrizio Rondolino: non uno che sia rimasto, peraltro, dalemiano), sottosegretario agli Interni e ai Servizi sotto molti governi, ex ministro dell’Interno nel governo Gentiloni e soprattutto ‘eminenza grigia’ nel Deep State del Pci-Pds-Ds-Pd come, per dire, Ugo Pecchioli lo era per il Pci di Berlinguer, Minniti è un pezzo da novanta del partito. Quando, di rado, parla, in Direzione o in Transatlantico, non fiata nessuno. Non a caso, è in Parlamento da, ormai, cinque legislature.

alessandro profumo

Alessandro Profumo

Un altro, Minniti, che però Renzi dovette sudare altre sette camicie per candidarlo nelle Marche, dove non lo volevano vedere neppure dipinto, perché era uscente come ministro agli Interni nel momento in cui la Lega imperversava. Il collegio fu perso rovinosamente, ma il seggio recuperato grazie alla pluri-candidatura al proporzionale (Campania 2). Minniti lascia la Camera, scrive Repubblica, che motiva così il suo adieu: andrà a guidare la neonata fondazione “Med-Or” all’interno dell’azienda – strategica per le ‘armi’ italiche, ma questo Rep non lo dice… – di Leonardo. Già in pancia di Finmeccanica, Leonardo è “un’azienda a partecipazione pubblica che opera nei settori di difesa, aerospazio e sicurezza” (dalla brochure patinata). Il cda di Leonardo, il cui ad è Alessandro Profumo, “ha deciso di costituire una fondazione per lo sviluppo dei rapporti con i paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente”. E chi meglio di Minniti, che le tribù libiche le conosce come le sue tasche e le divisioni religiose degli egizi pure?
E poco importa pure che Minniti dovesse essere la ‘carta segreta’ di Renzi, quando ancora era nel Pd, per vincere il congresso poi vinto da Zingaretti. E poco importa pure che Minniti si occupi, da una vita, di ‘spie, spioni e spiette’. E poco importa pure per il collegio: verrà sostituito dal secondo in lista. Insomma, sempre al Pd, resta (il posto alla Camera), mentre è solo a Siena che i dem ‘se la giocano’.

L’amaro in bocca della deputata dem Prestipino: “diventare deputato era il mio sogno da ragazzina…”

Patrizia Prestipino

Patrizia Prestipino

Resta l’amaro in bocca di molti deputati e senatori dem che si chiedono angosciati: “Ma che ci stiamo a fare, qui, noi?”. Patrizia Prestipino – deputata dem romana, tipa tosta, esponente di Base riformista, il suo collegio uninominale, quello di Roma Eur, nel 2018 lo ha vinto con 51 mila voti (l’unico collegio ‘a Sud di Roma’ vinto dal Pd, per dire…) – la mette così: “Questo esodo di nostri parlamentari non è un bello spettacolo. Come se oggi il Parlamento non fosse più un punto di arrivo ma di snodo per andare altrove. Al netto della lunga, o meno, permanenza dei colleghi citati, mi rattrista. Per me, sedere alla Camera dei deputati, era un sogno da studentessa, prima ancora che attivista politica”. Un sogno che, ormai, almeno nel Pd, è diventato un incubo.