Una lunga storia, non sempre bella. Il Pd e la sua fonte di legittimazione: storia e storie di segretari, Assemblea e primarie

Una lunga storia, non sempre bella. Il Pd e la sua fonte di legittimazione: storia e storie di segretari, Assemblea e primarie

11 Marzo 2021 0 Di Ettore Maria Colombo

Una lunga storia, non sempre bella. Il Pd e la sua fonte di legittimazione: storia e storie di segretari, Assemblea nazionale e primarie. Letta si è preso “48 ore di tempo per decidere”, ma nel Pd ‘chi vota cosa’?

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Che cos’è l’Assemblea nazionale, cosa sono le primarie e una breve storia di 12 anni di leader dem mangiati e sputati dal dominio delle correnti interne

 

 

NB: un sunto di questo articolo è rintracciabile sui siti di Tiscalinotizie.it e di Quotidiano.net

 

Letta si è dato “48 ore”. Sarà lui il nono segretario del Pd?

enrico letta pd parigi

Enrico Letta si è dato “48 ore di tempo per riflettere bene” se accettare, o meno, l’offerta che gli è giunta da quasi tutte le aree politiche (le famose ‘correnti’) e i maggiorenti dem per diventare il nuovo segretario del Pd. E’ probabile, dunque, che – al massimo entro venerdì mattina – la ‘riserva’ dell’ex premier dell’ultimo governo di ‘larghe intese’ (2013-2015) sarà sciolta, in un senso o nell’altro, ma tutto lascia pensare che il suo oggi sarà un ‘sì’ e verrà eletto segretario. Letta sarà eletto all’interno dell’Assemblea nazionale del Pd, massimo organismo rappresentativo del partito, e non con le primarie, un bagno ‘di popolo’, come solitamente si pensa e accade all’interno del Pd.

Elezione ‘indiretta’ (Assemblea) e ‘diretta’ (le primarie)

Arturo Parisi e Romano Prodi

Arturo Parisi e Romano Prodi

Quella di Letta, cioè, sarà un’elezione ‘indiretta’ e non ‘diretta’, dunque. La stessa differenza che passa tra eleggere i membri del Parlamento che poi eleggono il governo (elezione indiretta, come in Italia) ed eleggere direttamente il premier o il Capo di Stato (elezione diretta, come in Francia). Le primarie – ai tempi dell’Ulivo prima e del Pd – erano invece state pensate dal loro inventore (il professore Arturo Parisi, braccio destro e ideologo di Prodi, anche se il loro regolamento tecnico fu demandato ai professori Salvatore Vassallo e Stefano Ceccanti, gli stessi due responsabili dell’attuale Statuto del Pd…) come una forma di legittimazione diretta, popolare, di primo grado.

Prof. Salvatore Vassallo

Prof. Salvatore Vassallo

Invece, nello statuto fondativo del Pd (quello ancora attuale e vigente, anche se parzialmente modificato nel 2020 proprio sotto la segretaria di Zingaretti), la elezione diretta (le primarie) è diventata una forma di legittimazione ‘attenuata’. L’Assemblea nazionale, il ‘parlamentino’ di mille persone che presiede la vita del Pd, non solo deve ratificare, pena la non validità, il risultato delle primarie popolari, ma può anche approvare – dietro un tot di firme raccolte in Assemblea – una mozione di censura o di sfiducia contro il segretario eletto (e legittimato dalle primarie) e, quindi, persino sfiduciarlo e deporlo. Un controsenso evidente: come può un parlamentino di eletti oscuri ai più e semplici ‘catapultati’ in lista arrogarsi il diritto di capovolgere l’esito di primarie di popolo?

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Il professore e deputato del Pd Stefano Ceccanti

Va anche ricordato che le primarie sono composte da due ‘giri’: il primo giro, che screma le candidature, viene presentato, discusso e votato all’interno dei circoli del Pd (le vecchie sezioni). Solo in un secondo momento, due o tre candidati, a seconda delle percentuali ottenute in quel voto, passano al secondo ‘giro’ e possono, dunque, presentarsi, finalmente, davanti agli elettori dei gazebo, nelle primarie classicamente intese. Per votare occorre versare un obolo (di due o cinque euro), essere nel pieno possesso dei diritti civili e politici elettorali ma NON occorre essere iscritti al Pd come invece è d’obbligo nel primo giro. Possono votare tutti, cioè, pur con l’obbligo di sottoscrivere una dichiarazione che vede l’elettore ‘aderire’ ai valori ‘fondanti’ del partito.

L’Assemblea nazionale ‘fa’ il segretario, e non le primarie…

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Si può fare!”, come direbbe il film Frankenstein. Infatti, la vera ‘fonte’ di legittimità del segretario del Pd ‘non’ sono, per paradosso, le primarie, ma l’elezione dentro l’Assemblea che deve ‘ratificare’ (atto non formale, però), l’elezione popolare decisa con il voto delle primarie.

Ma da chi è composta e quali poteri ha, l’Assemblea nazionale? L’Assemblea nazionale rappresenta tutte le correnti e le aree del partito – che, come vedremo e racconteremo in un prossimo articolo, sono tante (anzi: decisamente troppe) – ma non ha di certo il senso del lavacro purificatore delle primarie quando votano, di solito, milioni di persone.

Dagli iniziali tre milioni di votanti alle primarie, si è poi scesi sempre di più, con un numero di votanti rimasto prima sopra e poi abbondantemente sotto i due milioni di elettori.

Breve storia (e numeri) delle elezioni primarie in Italia

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L’ex premier e fondatore dell’Ulivo Romano Prodi

Le primarie sono nate come sistema di selezione della classe dirigente politica locale negli Stati Uniti, all’interno dei movimenti progressisti e di sinistra di fine Ottocento.

In Italia, le primarie sono state inventate da Arturo Parisi e promosse da Romano Prodi alle regionali del 2005, ma il primo e il più importante esempio di elezione primaria nazionale si è svolta il 16 ottobre del 2005, quando l’Unione (nata nel 2005 come coalizione di partiti del centro-sinistra) propose agli elettori di scegliere il candidato alla Presidenza del Consiglio per le politiche del 2006.

Trionfò Romano Prodi, che poi vinse anche le elezioni e formò il secondo governo da lui guidato, caduto nel 2008. Nell’introduzione al primo documento sulle regole delle primarie, Arturo Parisi scriveva che “La ‘Primaria 2005’ è lo strumento scelto dalle forze politiche aderenti all’Unione del centrosinistra italiano per l’individuazione di un candidato comune alla carica di Presidente del Consiglio per la prossima legislatura. La ‘Primaria 2005’ è una iniziativa assolutamente nuova, destinata a restare nella storia politica del nostro Paese; è la prima volta, infatti, che le scelte fondamentali riguardanti il governo vengono affidate direttamente ai cittadini”. Alle prime primarie partecipano 4 milioni e 307 mila persone (un decimo dell’elettorato nazionale, record ineguagliato): Prodi le vinse con il 74% (3 milioni e 181 mila voti) contro Fausto Bertinotti (14,6%), Clemente Mastella (4,56%), Antonio Di Pietro (3,28%) e Ivan Scalfarotto (0,62%).

Il Pd ha solo 12 anni di vita, ma ha avuto ben otto segretari…

dal PCI al PD

Dal PCI al PD

Sarebbe, dunque, Letta, il nono segretario democrat dalla nascita del Pd, avvenuta nel 2007, dopo i precedenti otto. I segretari dem, infatti, sono stati, in soli 12 anni, ben otto, compreso l’ultimo, dimissionario, Nicola Zingaretti. Di loro, però, tre sono e vengono definiti segretari ‘reggenti’. E questo proprio perché i ‘reggenti’ vengono eletti in seno all’Assemblea nazionale, che è composta da mille delegati aventi diritto di voto e che vengono eletti sulla base di liste collegate ai vari candidati alle primarie e con rigido metodo proporzionale. In seguito alle ultime primarie, quelle del 2019, che decretarono la vittoria di Nicola Zingaretti, ottavo segretario del Pd e da poco segretario dimissionario, i delegati dell’Assemblea corrispondono alle varie ‘quote’ ottenute dai diversi candidati che si presentarono allora. Dunque, l’area Zingaretti-Orlando ha circa il 66-70% dei delegati e la minoranza, Base riformista, ha solo il 16-18%, ma va notato che ben due su tre candidati a quelle primarie (Martina e Giachetti) hanno sciolto le loro rispettive aree e i loro delegati sono stati ‘redistribuiti’ in modo proporzionale alle altre aree, allargando la quota dell’area Zingaretti.

Ma vediamo gli otto segretari del Pd e, molto brevemente, cosa ha caratterizzato la loro segreteria.

Veltroni (2007-2009), il Fondatore, eletto con le primarie

Walter Veltroni

Walter Veltroni

Il primo segretario, e fondatore dell’Ulivo, come del Pd, già sindaco di Roma ed ex segretario del Pds, Walter Veltroni, Il Pd nasce ufficialmente il 14 ottobre 2007. L’allora sindaco di Roma, che alle primarie corre contro Rosy Bindi, Enrico Letta (sì, proprio lui), e alcuni ‘Carneadi’ come Mario Adinolfi, Pier Giorgio Gawronski e Jacopo G. Schettini, vince con il 75,8% (2 milioni e 667 mila voti) e, dunque, con una legittimazione popolare molto forte. La percentuale dei votanti fu di 3 milioni e 500 mila elettori.

La nomina di Veltroni viene ratificata dall’Assemblea Costituente Nazionale il 27 ottobre 2007 e il suo incarico dura fino al 17 febbraio 2009, quando si dimette dopo le sconfitte elettorali dai lui subite. Alle elezioni politiche dell’aprile 2008 e nella precedente campagna elettorale non pronuncia mai il nome di Berlusconi chiamandolo “il principale esponente dello schieramento a me avverso”. Poi perde le regionali 2009 in Sardegna. La critica di Veltroni è contro ‘correnti’ e ‘caminetti’ che infestano la vita del Pd e, dunque, le sue dimissioni di allora, come quelle di Zinga oggi, riguardano la sua mancanza di sopportazione di esse.

Dario Franceschini (2009): il primo ‘reggente’ del Pd

Dario Franceschini

Dario Franceschini

Il 21 febbraio 2009, dopo l’uscita di scena di Veltroni, viene eletto segretario del Pd Dario Franceschini. Già dal lungo cursus honorum nel PPI-Margherita e nel Pd, oltre che più volte ministro, Franceschini oggi è ministro del governo Draghi ai Beni culturali, dicastero che custodisce gelosamente. E’ legato a doppio filo con il Quirinale, tiene in piedi una corrente di fatto inesistente ma che decide, ogni volta, chi ‘deve’ e ‘può’ fare il segretario del Pd. Anche nel caso di Letta, per capirci, la scelta decisiva è stata di Dario come lo fu quella di farlo cadere, nel 2015, appoggiando la scalata nel partito di Renzi: senza il ‘tradimento’ di ‘Giu-Dario’, infatti, Renzi non avrebbe mai defenestrato Letta…. Franceschini, nel 2009, viene eletto dall’Assemblea Nazionale con 1047 preferenze, battendo Arturo Parisi. Franceschini è segretario del Pd durante le elezioni europee del 2009 e conduce le trattative con Martin Schulz che portano alla nascita del Gruppo dei Socialisti e Democratici Europei. Franceschini poi si candiderà alle primarie del 25 ottobre 2009, ma verrà sconfitto da Pier Luigi Bersani.

Pier Luigi Bersani (2009-2013): la ‘non vittoria’ 

Pier Luigi Bersani

Pier Luigi Bersani

Dal 7 novembre 2009 il nuovo segretario del Pd è Pier Luigi Bersani, eletto alle primarie del 25 ottobre dove sconfigge gli avversari Dario Franceschini e Ignazio Marino con il 53,15% dei voti, seguito da Franceschini (34,31%) e Marino (12,54%). La percentuale dei votanti, già in calo, è stata di 3 milioni e centomila votanti.

Già presidente dell’Emilia-Romagna tra il 1993 e il 1996, ex ministro nei Governi Prodi e D’Alema, Bersani – emiliano di Piacenza – vuole riportare al governo, nel Pd, la famosa ‘Ditta’ dell’ex Pci-Pds-Ds, e nel Paese il riformismo moderato e temperato, una sorta di ‘socialismo’ umanitario. Nel 2012 si candida anche alle elezioni primarie della coalizione “Italia. Bene Comune” per scegliere il candidato premier del centrosinistra alle elezioni politiche del 2013: corre contro l’allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi, il presidente della regione Puglia e presidente di SEL Nichi Vendola, il consigliere della regione Veneto Laura Puppato e l’allora assessore al Bilancio del comune di Milano, Bruno Tabacci. In testa al primo turno, il 2 dicembre 2012, Bersani vincerà poi anche il ballottaggio contro Renzi. Alle politiche del 24-25 febbraio 2013 la coalizione di centrosinistra vince, ma ha la maggioranza solo alla Camera e non al Senato. E’ la famosa ‘non vittoria’. Bersani viene incaricato dal capo dello Stato Giorgio Napolitano di trovare i numeri per formare un nuovo governo, ma il segretario Pd alla fine fallisce e rimette il suo mandato. Il 19 aprile 2013, dopo il fallimento delle candidature al Quirinale di Franco Marini e Romano Prodi (il famoso ‘complotto dei 101’) annuncia l’intenzione di dimettersi da segretario del Pd, e lo fa il 20, a ruota della rielezione di Napolitano al secondo mandato. Nel 2017, in disaccordo con Renzi sulla linea politica, esce dal Pd e fonda Mdp.

Il secondo ‘reggente’, il cigiellino Guglielmo Epifani (2013)

Guglielmo Epifani

Guglielmo Epifani

A prendere il posto di Bersani, l’11 maggio 2013, è Guglielmo Epifani, nominato segretario reggente del Pd dall’Assemblea del partito con 458 voti su 534. L’ex segretario generale della Cgil rimane in carica fino al 15 dicembre, quando viene sostituito da Matteo Renzi, vincitore delle primarie dell’8 dicembre. Anche Epifani, come Bersani, lascerà il Pd nel 2017 ed entrerà in Mdp. A votare andarono 3 milioni e 100 mila al primo turno e 2 milioni e 800 mila votanti al ballottaggio o secondo turno.

Il terzo segretario, quello ‘vero’, Matteo Renzi (2013-2015)

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Il terzo segretario ‘vero’, Matteo Renzi

Alle primarie dell’8 dicembre 2013 diventa segretario del Pd l’allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Lo tsunami fiorentino che investe il Pd, e sembra travolgerlo, arriva alla guida dei dem dopo aver sconfitto, alle primarie, Gianni Cuperlo e Giuseppe Civati con il 65% dei voti con una percentuale di votanti che si ferma a 2 milioni e 831 mila. Il voto è un plebiscito: 65% contro 18 (Cuperlo) e Civati (14).

L’Assemblea proclama ufficialmente Renzi il 15 dicembre. Due mesi dopo presenta un documento che propone la sostituzione del governo guidato da Enrico Letta: il testo viene votato a larghissima maggioranza dalla Direzione del Pd e, dopo le dimissioni di Letta (sempre lui), Renzi nel febbraio 2014 riceve da Napolitano l’incarico di formare il governo. Diventa famoso con l’hastag #enricostaisereno… Dopo il successo alle elezioni europee del 2014 (Pd al 40%) il governo Renzi affronta, e perde, il 4 dicembre 2016, il referendum costituzionale. Seguono le dimissioni di Renzi da premier e poi da segretario del Pd (19 febbraio 2015).

La ‘reggenza’ di Orfini (2017) tra il Renzi I e il Renzi II

Matteo Orfini

Matteo Orfini

Nei tre mesi che intercorrono tra il primo e il secondo mandato di Renzi alla guida del Pd, il segretario neppure reggente, ma solo ‘pro tempore’ del Pd è Matteo Orfini, presidente del partito dal 14 giugno 2014 e commissario straordinario del Pd romano. Il 30 aprile 2017 le primarie rieleggono Renzi segretario e il 7 maggio Orfini viene riconfermato presidente del Pd dall’Assemblea nazionale, ma la sua non si può considerare neppure come reggenza, ma davvero solo come una presidenza pro-tempore. Oggi, Orfini, che guida la corrente dei ‘Giovani turchi’, non è più in maggioranza ma all’opposizione contro l’area Zingaretti.

Il secondo e ultimo mandato di Renzi segretario (2017-2018)

Orlando, Renzi ed Emiliano

Orlando, Renzi ed Emiliano

Già durante il mandato del ‘reggente’ Orfini, Renzi annuncia la volontà di ripresentarsi alle primarie di partito che vengono indette per il 30 aprile 2017. I suoi sfidanti sono l’allora ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e il presidente della Puglia Michele Emiliano, ma l’ex sindaco di Firenze li sbaraglia, con il 69,2% dei voti, ma i votanti alle primarie sono in netto calo, solo 1 milione e 800 mila.

Dopo un controllo ferreo, ma inferiore al precedente, sul Pd, le dimissioni arrivano di nuovo meno di un anno dopo, dopo la debacle del Pd alle elezioni politiche del 4 marzo 2018. Renzi uscirà dal Pd per fondare Italia Viva nel 2019.

L’ultima ‘reggenza’, quella di Maurizio Martina (2018)

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Maurizio Martina, ex segretario del Pd

A occupare la poltrona di segretario del Pd, dopo le seconde dimissioni di Renzi, è Maurizio Martina, prima vicesegretario del partito e ministro delle Politiche agricole nei governi Renzi e Gentiloni. Durante il suo mandato da reggente, Martina si distingue per la sua apertura verso il M5s durante la prima fase transitoria post voto, contro Renzi che non voleva aprire alcuna trattativa con i 5Stelle. Il 7 luglio 2018 l’Assemblea nazionale elegge segretario del partito Martina, ruolo che ricopre fino alle sue dimissioni, ufficializzate il 17 novembre del 2018. Cinque giorni dopo, il 22 novembre, Martina annuncia, a sua volta, la sua candidatura alle successive primarie del 3 marzo 2019. Oggi Martina se n’è andato a lavorare alla Fao, lasciando sia il Pd che lo scranno da parlamentare. Peggio di Veltroni che, almeno, scrive libri e gira film di non grande successo, che non è mai partito per l’Africa, ma che osserva ancora con attenzione le vicende e cose che accadono dentro il Pd.

L’ottavo nano, Nicola Zingaretti segretario (2019-2021)

Zingaretti Nicola

Nicola Zingaretti

Le primarie del 3 marzo 2019 vengono vinte dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, che ottiene il 66% dei voti e sconfigge così gli sfidanti Maurizio Martina (18) e Roberto Giachetti (14%), poi uscito dal Pd per entrare in Italia viva. I votanti sono in nettissimo calo, appena un milione e 600 mila. Zingaretti viene ufficialmente proclamato segretario del partito il 17 marzo, con il voto dell’Assemblea nazionale a Roma. “Dobbiamo cambiare, serve un partito aperto”, il suo primo messaggio da leader. Promesse, a dirla tutta, non o mai mantenute… In ogni caso, lo scorso 5 marzo 2021, Zingaretti si è dimesso, con una lettera formale inviata al presidente dell’Assemblea del Pd, Valentina Cuppi. L’Assemblea nazionale che dovrà eleggere il nuovo segretario è convocata il 14 marzo, ma – per la prima volta nella storia del Pd, causa pandemia – si svolgerà in modalità webinar, cioè con collegamenti dei mille deleganti partecipanti che voteranno ‘da remoto’.

Dodici anni di vita, otto segretari e tante, troppe, scissioni…

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Dodici anni di vita, otto segretari e tante, troppe scissioni…

Dunque, in 12 anni di vita, il Pd conta già otto segretari, di cui quattro effettivi (Veltroni, Bersani, Renzi, Zingaretti), tre reggenti (Franceschini, Epifani, Martina) e un segretario pro tempore (Orfini), intervallati da elezioni politiche (tutte o quasi tutte perse), molti governi diretti in prima persona (Renzi) o sostenuti dal Pd (i governi Monti e Letta sostenuti da Bersani, il governo Gentiloni, sostenuto da Renzi, il secondo governo Conte, sostenuto da Zingaretti e da LeU), praticamente tutte dimissioni prima del tempo, cioè della scadenza naturale del mandato (Veltroni, Bersani, Renzi e Zingaretti si sono dimessi prima di essa) e abbandoni. Infatti, dal Pd, si registrano molte scissioni, ben cinque: quella di Civati e del suo movimento, ‘Possibile’, nel 2016, quella di Bersani-D’Alema-Epifani-Speranza nel 2017 per fondare Mdp (oggi ‘Articolo Uno’), quella di Renzi nel 2019 per fondare Italia Viva e, in ultimo, quella di Carlo Calenda, sempre nel 2019, per fondare ‘Azione civile’.

Questa la tormentata, e complicata, storia del Pd, dove tutti stanno col fiato sospeso e in attesa di sapere se davvero Enrico Letta, nell’Assemblea di domenica, arriverà e ne prenderà le redini, di sicuro continuando a sostenere il governo Draghi ma anche per raddrizzare e far risalire la china a un partito precipitato al 16-18% dei voti dal 33% preso con Veltroni e volato fino al 40% con Renzi.