E’ nata l’alleanza ‘disorganica’. Il Pd ‘non conclude’ alleanze con i 5Stelle quasi da nessuna parte. Il ‘caso Roma’ e non solo

E’ nata l’alleanza ‘disorganica’. Il Pd ‘non conclude’ alleanze con i 5Stelle quasi da nessuna parte. Il ‘caso Roma’ e non solo

11 Maggio 2021 0 Di Ettore Maria Colombo

E’ nata “L’alleanza disorganica”. Il Pd ‘non conclude’ alleanze coi 5Stelle quasi da nessuna parte e inizia anche il tiro al piccione contro gli uomini di Letta. Dopo il disastro Roma, dove la lotta tra M5s e Pd sarà fratricida, i due partiti andranno divisi a Torino e Milano, a Bologna dipende da chi vince. Pura a Napoli ci sono problemi, ma riguardano il candidato, cioè Fico
alleanza piccione

NB: La prima parte di questo articolo è uscita l’11 maggio 2021 sul sito di notizie Tiscalinews.it. Più avanti, trovate una ricostruzione del caso Roma pubblicata in originale per questo blog e, infine, riproduco i due articoli pubblicati su Quotidiano nazionale oggi (12 maggio) e ieri (11 maggio) in merito al ‘caso Roma’ e ai guai del Pd.

“Roma non c’è”. E’ già iniziato il ‘tiro al piccione’ contro i lettiani

E’ iniziato il ‘tiro al piccione’ contro i lettiani

E’ iniziato il ‘tiro al piccione’ contro i lettiani

Nb: questa prima parte dell’articolo è stata pubblicata, in forma originale, sul sito di notizie Tiscali.news.it

Alleanza ‘organica’? Sarebbe meglio chiamarla alleanza ‘disorganica’. Qui di ‘organico’ c’è solo che i 5Stelle tendono sempre a puntare i piedi e noi sempre a fare la parte dei fessi o, se va bene, dei portatori d’acqua…”. Lo sbotto d’ira e di bile dell’importante colonnello dem che governa le truppe dem di Montecitorio, sbotto colto nel cortile d’onore della Camera dei Deputati mentre fuma, nervosamente, una sigaretta dietro l’altra, forse è ingeneroso, ma corrisponde, almeno parzialmente, alla verità. Certo è che, sotto le ceneri, inizia a covare una certa insofferenza, un certo nervosismo verso una ‘svolta’, quella che Enrico Letta, secondo molti, avrebbe dovuto imprimere alla barca in tempesta del Pd, e che, invece, secondo alcuni, non solo non è ancora arrivata, non si vede proprio.

Organizzazione ed Enti locali gli anelli deboli del partito democrat

Pier Luigi Bersani

Pier Luigi Bersani

Solo che, ovviamente, non avendo nessuno, nel Pd, il coraggio delle proprie azioni – e, spesso, neppure dei propri pensieri – è più facile prendersela con gli uomini dell’attuale segretario che con il segretario medesimo. Insomma, è come già fu con Bersani, Renzi e Zingaretti: nessuno criticava apertamente il leader ma i suoi uomini sì, finivano nel mirino, spesso travolti da nervose polemiche.

PD IV

Zingaretti (PD) Renzi (IV)

Stumpo e Zoggia al posto di Bersani, Guerini e Lotti al posto di Renzi, Vaccari (che in teoria ci è rimasto, all’Organizzazione, ma conta assai meno di quanto contava, e tanto, prima, con Zingaretti) e Ricci al posto di Zingaretti. Guarda caso, a finire nel mirino degli avversari interni, sono dunque sempre i due responsabili degli unici due posti che contano, in un partito che, in fondo, sempre dal Pci-Pds-Ds proviene: il responsabile Organizzazione e il responsabile Enti locali. Al netto, si capisce, del tesoriere che, per ovvie ragioni, viene sempre tutelato: era Misiani con Bersani, Bonifazi con Renzi, Zanda con Zingaretti, cui poi è subentrato Verini che è rimasto anche con la gestione Letta). Insomma, chi gestisce il partito e chi i rapporti con gli alleati sono i due gangli vitali del Pd da sempre. Il resto, e cioè la segreteria e i suoi vari incarichi, ormai da anni, fanno soltanto da (inutile) contorno.

“E’ colpa è di Boccia e Meloni, se tutto è saltato, non di Letta…”

Francesco_Boccia_primarie_Pd

Francesco Boccia

Meloni e Boccia non ascoltano nessuno. Fanno e disfano tutto da soli. E questi sono i risultati…” è l’altra critica che echeggia da radio Montecitorio. Nella fattispecie, infatti, volendo criticare l’attuale dirigenza dem, senza prendere di petto Letta, ce la si prende con la ‘triade’ dei lettiani come viene chiamata, cioè Letta-Boccia-Meloni.

Marco Meloni

Marco Meloni

Marco Meloni sta nell’ombra, non parla mai e quasi con nessuno, del resto è sardo, ma sembra pure sordo, di certo è persona riservata, schiva, un po’ ombrosa, ma sveglio e influente, l’unico vero lettiano rimasto sempre fedele, negli anni, a Enrico Letta, perinde ac cadaver, tanto che nel 2018 ci rimise anche il posto in Parlamento: oggi è coordinatore della segreteria nazionale del Pd. Francesco Boccia – oltre a essere uomo estroverso, scherzo, ironico – ha un percorso diverso: è stato lettiano, poi molte altre cose (zingarettiano, uomo di fiducia di Emiliano, mai renziano, questo a onor del vero gli va riconosciuto, anche quando nel Pd lo erano tutti, renziani), ma ora è di nuovo pienamente un uomo di fiducia del segretario, cura lui i rapporti con gli alleati e non solo perché responsabile degli Enti locali, ma proprio perché di lui Letta è tornato a fidarsi in pieno.

Insomma, se le alleanze con i 5Stelle non si fanno e se le elezioni amministrative si perderanno la ‘colpa’ sarà la loro, di Boccia e Meloni. Nessuno, per ora, ‘osa’ dire che possa essere ‘anche’ di Enrico Letta, ma – come fu per Zingaretti, quando perse, volendosi cocciutamente alleare con i 5Stelle prima l’Umbria e poi la Liguria, storiche regioni rosse – presto o tardi, ovviamente, diventerà anche la sua. Per ora, però, meglio riannodare il nastro del film e cercare di capire, esattamente, cosa è successo.

“Entra tu e segna”. Letta, a Roma, mette in campo la riserva Gualtieri al novantesimo e solo per abbandono del ‘titolare’

Enrico Letta

Enrico Letta

Dopo la rinuncia, seppur a malincuore, di Nicola Zingaretti a scendere in campo per la poltrona di sindaco della Capitale e la ‘discesa in campo’ del povero Roberto Gualtieri, non solo non c’è l’alleanza, a Roma, tra Pd e M5s, ma partirà presto una guerra lunga e pesante, tra i due partiti, oltre che, ovviamente, con gli altri contendenti già in campo: contro Carlo Calenda – che si è prodotto in un antipatico tiro al bersaglio prima su Zingaretti e poi su Gualtieri – e contro il centrodestra, con il concreto rischio che uno dei due candidati (Gualtieri, si presume, la Raggi è messa meglio, non foss’altro perché sindaca uscente) non solo non andrà al ballottaggio, ma difficilmente potrà dare indicazioni di voto per il suo competitor con la certezza che il grosso dei suoi elettori seguano. Certo è che l’ex ministro al Mef, storico di professione e dalemiano di vocazione, a Letta non è mai andato a genio. Il segretario non lo voleva all’inizio, come candidato sindaco, e non lo voleva neppure alla fine.

Solo il passo indietro, all’ultima ora, di Zingaretti, ha costretto Letta a chiedere a Gualtieri di farne due in avanti. Un po’ come una riserva che si è scaldata in panchina e a bordo campo per troppo tempo, senza mai godere della fiducia del mister, il quale ha sperato, fino alla fine, che il goledor titolare tirasse in porta e segnasse e che, solo all’89esimo del secondo tempo, lo fa entrare e lo sfotte pure: ‘ora segna un goal, se sei davvero bravo e se ne sei capace’. Insomma, fuor di metafora calcistica, Gualtieri è solo un rimpiazzo per uno Zingaretti che non c’è più.

Anche a Torino e a Milano l’alleanza Pd-M5s proprio “non c’è”…

M5S PD

Pd e M5S

Ma si è, ovviamente, complicata maledettamente l’intera architettura dell’alleanza tra Pd e M5s, in vista delle prossime elezioni comunali. Non ci sarà nessun ‘patto’ per unire le forze né a Torino né a Milano mentre i dem e i pentastellati correranno insieme al primo turno a Napoli e, forse, a Bologna. Anche se la strada per andare insieme già al primo turno nei capoluoghi emiliano e campano è ancora tutta in salita, pur se non quanto, ovviamente, quella per la Capitale. Il Pd si consola sbandierando l’alleanza Pd-M5s che, in quel di Varese, è “cosa fatta”, ma con tutto il rispetto per Varese, capoluogo di provincia lombarda, e neppure dei più grandi, è davvero un po’ misero come risultato da portare.

A Bologna i 5Stelle attendono l’esito delle primarie interne al Pd, a Napoli l’alleanza c’è, ma manca ancora il nome del candidato…

Isabella Conti

Isabella Conti

Scendendo nelle città più a Sud del ‘triangolo industriale’ del Nord, si scopre che, anche a Bologna, nessuna alleanza, per ora, è possibile. I 5 Stelle appoggeranno solo il candidato ufficiale del Pd, Matteo Lepore, se vincerà la sfida delle primarie, e non certo se a spuntarla sarà la renziana Isabella Conti, che però non solo si è decisa a correre alle primarie, ma acquista consensi di giorno in giorno.

Alberto Aitini

Alberto Aitini

La Conti, infatti, andrà in ticket con l’assessore Alberto Aitini, esponente di Base Riformista, gli ex renziani, e sta incassando endorsment importanti, come l’europarlamentare Elisabetta Gualmini.

Isabella Gualmini

Elisabetta Gualmini

E a Napoli neppure la scesa in campo di Roberto Fico – sul punto, ormai, di rinunciare alla corsa – sembra che sarebbe sufficiente per spianare la strada all’alleanza tra i due partiti. Infatti, da un lato c’è la base dei 5 Stelle locali che si mettono di traverso e ripudiano ogni alleanza del Movimento con i partiti, chiunque essi siano (quindi con il Pd) e vorrebbero andare da soli, in nome di antiche ‘purezze’.

roberto fico

Roberto Fico

Un documento di questo tenore ha già le firme di due consiglieri comunali e del 90% dei municipali: “riteniamo – scrivono i 5Stelle della base – che per Napoli non ci siano le condizioni per procedere in tal senso (l’alleanza Pd-M5s, ndr.) ma siamo aperti ad un confronto su temi e programmi con liste civiche reali e non costituite ai soli fini elettorali”. Gli stessi eletti che stanno costruendo il programma elettorale sulla piattaforma messa a disposizione da Rousseau, proprio come nel caso di Roma. Un altro prodomo di scissione prossima ventura, nei 5Stelle, in guerra aperta tra Conte e Casaleggio.

Il ‘baillamme’ napoletano divide il M5s locale come pure il Pd…

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Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca (Fabio Cimaglia / LaPresse)

Nel Pd, d’altro canto, c’è l’ala dem vicina al potente governatore campano, il dem Vincenzo De Luca, che ‘tifa’ apertamente contro la candidatura di Roberto Fico – De Luca è un suo storico avversario – mentre vede di buon occhio quella dell’ex rettore, ed ex ministro, Gaetano Manfredi, peraltro ‘equi-vicino’ a Zingaretti come a Conte e il cui amico personale è, non a caso, Goffredo Bettini, ‘ideologo’ di Zingaretti ieri e di Conte oggi, ma ancora molto influente, anche rispetto alle scelte fatte da Letta.

manfredi gaetano

Gaetano Manfredi

Non a caso, Fico è entrato in ‘modalità Zingaretti’ (ci pensa, ci ripensa, soppesa dubbi e possibilità, alla fine si tirerà indietro?) mentre Manfredi è entrato in ‘modalità Gualtieri’: tenuto buono buono, di riserva in panchina, il Pd starebbe per dirgli che Fico non c’è più, “ora tocca a te, entra, segna e vinci”…

Antonio Bassolino

Antonio Bassolino

Inoltre, c’è la candidatura ‘di disturbo’ dell’ex ‘viceré’ di Napoli, come della Campania, Antonio Bassolino, che si candiderà comunque e rosicchierà voti a sinistra, dove potrebbero spuntare altre liste di disturbo, mentre al centro – e non solo, dati i suoi trascorsi da ‘rafaniello’, cioè in Rifondazione comunista – li potrebbe prendere un esponente di Italia Viva ancora amato a Napoli come il deputato Gennaro Migliore: ha inutilmente chiesto le primarie, nel centrosinistra, ora potrebbe correre da solo. 

Gennaro Migliore

Gennaro Migliore

Un baillamme in cui Fico ha sempre meno voglia di infilarsi, per non dire del fatto che dovrebbe dimettersi da presidente della Camera al più presto per affrontare una campagna elettorale ostica e ispida in una città storicamente difficile e che ha chiesto rassicurazioni al governo Draghi sulla cancellazione dell’enorme debito delle casse del comune (2,7 miliardi), ‘rassicurazioni’ che il premier, e il Mef, non possono però di certo dargli. Infine, per succedere a Fico, come presidente della Camera, e peraltro a meno di due anni dalla fine della legislatura, si aprirebbe uno scontro al fulmicotone tra il M5s, che chiederebbero continuità per un loro uomo/donna, il Pd, che ambisce a conquistare sempre da quella poltrona, e la Lega che potrebbe volersi mettere in mezzo e dire la sua, facendo pesare i suoi voti. A più di sei mesi dall’elezione del nuovo Capo dello Stato non sarebbe un bello spettacolo.

Le parole (rassegnate) di Letta e quelle (combattive) di Boccia

parole

Le parole (rassegnate) di Letta e quelle (combattive) di Boccia

Noi lavoriamo con il M5s ma è evidente che, a Torino e Roma, il lavoro è complesso perché il Pd in questi anni era all’opposizione ed ha criticato l’operato delle sindache Raggi e Appendino” dice Letta.

Roberto Gualtieri

Roberto Gualtieri

Poi, con tutto lo stato maggiore del partito prova a lanciare con forza la candidatura di Roberto Gualtieri: “è un candidato autorevolissimo, ha costruito lui il Recovery, è romano”. “Ora andiamo al ballottaggio e sono sicuro che poi convinceremo il M5s a convergere perché l’avversario è la destra” prova rassicurare tutti Francesco Boccia, ma senza alcuna certezza che poi realmente questo avvenga (difficile che la Raggi, se sconfitta, dia indicazione di voto al Pd). Zingaretti benedice la corsa di Gualtieri e gli promette che “sarò sempre al tuo fianco, durante l’intera campagna elettorale”. E chissà, anche qui, cosa avranno da dire i grillini e se lo tacceranno, anche in tal caso, di lesa maestà.

Francesco Boccia

Francesco Boccia

Boccia, in ogni caso, è convinto “che andremo insieme al primo turno a Bologna e Varese. E su Napoli, il presidente della Camera Roberto Fico è la terza carica dello Stato e un napoletano appassionato della sua città. Sta dando il suo contributo e sono sicuro che a Napoli andremo uniti. Per ora abbiamo aperto un tavolo, in città”. Ora, con tutto il rispetto per Varese, e pure per il ‘tavolo’, è un po’ per dire che l’alleanza Pd-M5s ‘regna sovrana’, nelle cinque importanti città al voto in ottobre (si vota il primo turno il 10 ottobre, gli eventuali ballottaggi sono in programma 15 giorni dopo, cioè il 17 ottobre). Siamo, appunto, all’alleanza assai ‘disorganica’: magari potrebbe perfino funzionare, ma tale resta.


Nb. da qui in poi parte la ricostruzione originale scritta per questo blog

Il retroscena e la scena. Com’è andata davvero la scelta di Roma

roma immersa nel sole

La Città Eterna è immersa nel sole

Nella scelta di rinunciare a Zingaretti e di mettere in campo Gualtieri, nel Pd come nei 5Stelle, che hanno ‘tenuto’ sulla Raggi, le convulsioni politiche e personalistiche che da settimane (anzi, mesi) scuotevano il Movimento e la crisi politica e sentimentale che agitava il Pd hanno finito per sommarsi, e in poche ore, per deflagrare mandando in fumo il ‘patto’ che – giovedì scorso, in maniera riservata – era stato siglato tra il vecchio e il nuovo leader del Pd, Zingaretti e Letta, come pure tra Letta e Conte.

Virginia_Raggi_M5S_Roma

Virginia Raggi, sindaco di Roma

E’ bastato un efficace contropiede orchestrato, in meno di 48 ore, dalla sindaca di Roma, Raggi, per mandare in fumo il ‘patto dei segretari’ con l’effetto di spegnere quasi definitivamente ogni possibilità di realizzare accordi di coalizione tra Pd e M5s in tutte le principali in cui si andrà al voto il 10 ottobre.

In pratica, Pd e M5s stanno per ritrovarsi con un candidato solo in comune (Napoli) su ben cinque scelte possibili (Torino, Milano, Bologna e Roma): un raccolto davvero modesto per un’alleanza che, nelle ultime settimane, si voleva dare orizzonti ‘strategici’, nel senso che doveva partire dalle comunali dell’autunno per arrivare fino alle future elezioni politiche, quando mai si terranno. Epicentro della crisi, ovviamente, è stata Roma. Eppure, giovedì scorso, il ‘patto’ era fatto e Zingaretti si diceva ‘pronto’ a scendere in pista. Enrico Letta confidava: “un pressing come quello fatto su Nicola, in vita mia, non lo avevo mai fatto”. Mancavano, però, i dettagli, quelli in cui il Diavolo ci mette lo zampino.

Il ‘patto’ dei segretari Zingaretti-Letta e il contropiede della Raggi

Roberta Lombardi

Roberta Lombardi

Certo è che è stato il contropiede della Raggi a compiere il miracolo, dimostrando che anche lei ha doti di abilità politica, tattica e strategica, fino a ieri del tutto insospettabili. La sindaca muove le sue pedine e costringe a convergere sul suo nome le diverse, e litigiose, anime di tutto il Movimento, passato, presente e futuro: la sua ‘nemica’ storica, a Roma e in Lazio, Roberta Lombardi, ma anche il fuoriuscito (dal M5s ‘official’) Alessandro Di Battista, il nuovo – presunto – leader, Giuseppe Conte, e il giovane tessitore del ‘vecchio’ M5s, Davide Casaleggio, riuscendo a unirli tutti, volenti o nolenti.

marco travaglio

Marco Travaglio

Scende in campo anche il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, che scrive: “sradicare Zingaretti dalla Regione sarebbe un dichiarazione di guerra al Movimento, oggi ‘alleato’ del Pd, che non resterebbe senza conseguenze”. La Raggi ottiene dalle due assessore, fresche di nomina, in giunta regionale, l’impegno a dimettersi, non appena Zingaretti scendesse davvero in campo, come poi diranno subito, obtorto collo, le due assessore nella giunta laziale, la Lombardi e la Corrado.

Ma soprattutto la Raggi fa sapere che darà vita a una campagna elettorale durissima, anche a botta di dossier (sgreadevoli) e di colpi sotto la cintola, rispondendo colpo su colpo a un Pd che, negli ultimi tempi, si è fatto a sua volta sgarbato e aggressivo, a Roma, contro di lei e contro la sua gestione (“La Raggi è una minaccia per Roma”, Zinga dixit, appena un mesi fa). Una campagna elettorale pesantissima si prospettava, dunque, che avrebbe impedito ogni accordo Pd-M5s al ballottaggio.

Claudio Mancini

Claudio Mancini – Deputato PD

Ma anche nel Pd capitolino si apre subito una nuova crepa: Claudio Mancini, uomo forte del Pd romano e ‘imprenditore’ politico della candidatura di Gualtieri, rimasta ai box per mesi, si dimette dall’incarico di tesoriere del Pd romano. Che è come dire: faccia Nicola, io me ne lavo le mani.

Alla fine, prevale il contropiede Raggi. Allo scadere delle 48 ore di tempo che si era preso per pensarci, Zingaretti rinuncia e comunica la sua decisione a Letta nel pomeriggio di domenica, aprendo le porte, alla candidatura di Gualtieri, che era rimasta ‘in sonno’ per mesi cui Mancini ha però sempre creduto. 

goffredo bettini

Goffredo Bettini

E così, dunque, 48 ore ‘pazze’ chiudono quasi definitivamente ogni strada per un accordo generale – ‘organico’, come lo sognava proprio Bettini – tra Pd e M5s non solo a Roma, ma anche altrove.

A Torino, per dire, il Pd torinese come pure i suoi ‘padri storici’ e ‘nobili’ (Castellani, Fassino e Chiamparino, ex sindaci ed ex presidenti di regione) dicono no all’accordo con i 5Stelle, questi pure. Si ricomincia, se tutto va bene, da Napoli. Sicuro? No, mica tanto, come abbiamo visto poco sopra.

L’alleanza Pd-M5s si fonda, dunque, sulla sabbia. Si era già visto in Liguria e in Umbria, dove l’alleanza ha prodotto due sconfitte assai rovinose: la somma non fa il totale, direbbe Totò.


“Il caso Roma affonda la Ditta Pd-M5s quasi ovunque”

“Il caso Roma affonda la Ditta Pd-M5s ovunque”

“Il caso Roma affonda la Ditta Pd-M5s ovunque”

 

Nb: questo articolo è uscito sulle pagine di Quotidiano Nazionale il 11 maggio 2021

 

Roma no, nessuna alleanza tra Pd e M5s, anzi: ci sarà uno scontro frontale e all’ultimo sangue e già al primo turno. Una specie di terno al lotto in cui, tra la sindaca uscente, Raggi, il candidato del Pd, Gualtieri, il ‘mister X’ del centrodestra (i cui sherpa, per riuscire a trovarlo, si vedono domani), e il quarto incomodo, il leader di Azione, Calenda, ad oggi le scommesse sono aperte, e rischiose, su quali saranno i due che andranno al ballottaggio. Torino neppure, “mancano le condizioni” ammettono sia Conte che, obtorto collo, i dem locali i quali non vogliono mischiarsi con il M5s, sempre combattuto. Centrosinistra e M5s andranno divisi, e già si guardano in cagnesco, con la concreta possibilità che il candidato del centrodestra, il civico Damilano, possa facilmente vincere la partita. Milano neppure a nominarla. Il sindaco uscente, Beppe Sala, i grillini in coalizione non li vuole e, quindi, amen. Casomai si vedrà al ballottaggio che vedrà, ragionevolmente, Sala contro la destra.

Bologna, forse, dipende. Da cosa? Dalle primarie che si terranno, come pure a Roma, il 20 giugno. Se la sfida interna, che già si annuncia fratricida, tra il candidato dell’Apparato, Matteo Lepore, e la renziana Isabella Conti, appoggiata da Alberto Aitini (altro ex renziano) e da Elisabetta Gualmini, la vincerà Lepore allora l’apparentamento, già dal primo turno, sarà possibile. Ma, se le vince la Conti, i pentastellati già dicono niet. Parola di Max Bugani, grillino storico e pure gran consigliere della Raggi.

Resterebbe Napoli a sancire quell’alleanza ‘organica’ tra Pd e M5s che è diventataassai ‘disorganica’. Peccato che, a Napoli, che doveva essere il fiore all’occhiello dell’alleanza, il presidente della Camera, Roberto Fico sia entrato in ‘modalità Zingaretti’: ci sta ripensando, non è convinto, vuole rinunciare. Inoltre, le assicurazioni che Fico ha chiesto, e cioè il governo ripiani l’enorme debito accumulato dal comune (2,7 miliardi) non ce ne sono. De Luca, il potente governatore campano, è contrarissimo a Fico, una parte del Pd napoletano lo vede di malocchio e l’ex ‘viceré’, Antonio Bassolino, si candida a prescindere, e toglierà voti a sinistra, senza parlare di altre assai probabili candidature di disturbo (Migliore per Iv) e senza dire che un bel pezzo della base del M5s napoletano si è già espresso contro l’alleanza. Morale, Letta e Boccia hanno chiesto all’ex ministro all’Università, Gaetano Manfredi, di “tenersi pronto”, cioè di entrare in ‘modalità Gualtieri’: se Fico si tira indietro, toccherà a lui correre.

Davvero un po’ poco, per il ‘patto’ che Conte e Di Maio da una parte, Letta e Boccia dall’altra, erano convinti di aver stipulato per le cinque grandi e importanti città che andranno al voto a metà ottobre. Se solo il centrodestra azzeccasse un paio di candidati (tornano a girare i nomi di Lupi a Milano e ancora di Bertolaso – oppure di Fabio Rampelli – a Roma) potrebbe, in molte città, rientrare in partita.

Certo è che un Pd ancora ‘in bambola’ per lo schiaffo preso a Roma – la repentina rinuncia di Zingaretti a correre e l’altrettanto repentina necessità di far scendere in campo la ‘riserva’ Gualtieri – prova a mantenere in piedi il progetto politico cui Letta crede ancora e in modo indefettibile: l’alleanza ‘organica’ tra Pd e M5s. Letta è sicuro che, “al ballottaggio convinceremo i 5Stelle a votare per i nostri candidati”. E Francesco Boccia, a Zapping (trasmissione che va in onda su Radio Uno), si consola così: “Sono convinto che con i 5Stelle andremo insieme al primo turno a Bologna e a Varese. A Napoli sono sicuro che andremo uniti. Non c’è un candidato, ma c’è un tavolo”. Ecco, con tutto il rispetto per Varese, come per il ‘tavolo’, la verità è che, a oggi, siamo a ‘zero tituli’, nella costruzione dell’alleanza.


Zingaretti non si candida, per il Pd ora c’è Gualtieri

zingaretti_gualtieri

 

Questo articolo è stato pubblicato su Quotidiano nazionale ed è uscito il 10 maggio 2021

Succede tutto in una placida domenica romana, con il sole che batte e la gente che sciama, felice, nelle strade e per i locali, per di più nel giorno della festa della Mamma. Un comunicato, di sibilante minaccia, un concentrato di pura cattiveria, delle due assessore grilline in regione Lazio, manda un ‘avvertimento’ al governatore, Zingaretti: una candidatura – scrivono Roberta Lombardi (anti-Raggi doc) e Valentina Corrado (raggiana doc) – di Zingaretti al comune di Roma contro Virginia Raggi sarebbe “paradossale” e causerebbe “forte imbarazzo”. “Ci auguriamo – sillabano le due assessore – che il Pd non contempli soluzioni che avrebbero inevitabili ripercussioni sulla tenuta della maggioranza regionale e le future alleanze”. Una dichiarazione di guerra in piena regola che fa il paio con le parole già dette da Giuseppe Conte, appena il giorno prima, e di ugual tenore: “Virginia Raggi è un ottimo candidato. Ci auguriamo che la decisione del Pd non metta in discussione il lavoro comune che da alcuni mesi è stato avviato a livello di governo regionale”.

Dallo staff di Nicola Zingaretti, alla Pisana, fanno sapere un laconico “per noi la storia finisce qua. La candidatura di Nicola a Roma non esiste più”. La morale che ne traggono altri zingarettiani è più acida: “Letta e Boccia ci avevano assicurato che Conte e Di Maio avrebbero fatto digerire ai 5Stelle locali la necessità di mantenere in piedi il governo della Regione almeno fino a settembre. Così non è. Ne va chiesto conto a Letta e Boccia, non più a noi”.

E così, mentre il giorno volge all’imbrunire, il Pd è costretto a una precipitosa marcia indietro e a buttare subito in pista Roberto Gualtieri, che si affretta a twittare parole di chi “con umiltà e orgoglio” partecipa “alle primarie del 20 giugno”, anche se queste, si sa, saranno un proforma (le vincerà lui).

Ovvia e immediata la benedizione di Enrico Letta che retwitta Gualtieri: ci mette sotto un ‘braccino’ in segno di forza, e di speranza, anche se, a fine giornata, viene descritto da chi gli è vicino “consapevole delle difficoltà del momento”. Infatti, il rischio di non ottenere al Pd di riconquistare proprio Roma, capitale d’Italia, con Gualtieri, è molto alto e l’altro guaio è che, dopo mesi di attesa messianica per Zingaretti, la sua candidatura, pur se di prestigio, finisce per avere il sapore inevitabile del ripiego.

E così Nicola Zingaretti, resta dov’è, in Regione, a fare il governatore di una Giunta che si regge, e non cade, solo grazie all’appoggio – prima esterno, e da qualche mese interno, cioè con ben due assessori – dei 5Stelle, che gli hanno messo sul piatto un ricatto bello e buono, e neppure vis a vis, ma via agenzie di stampa: “se ti candidi a sindaco di Roma, noi due ci dimettiamo e la tua giunta cade“.

Dentro, dunque, ‘i secondi’, e cioè Roberto Gualtieri, ex ministro all’Economia (ma di professione storico, specializzazione sul Pci, non a caso ex dalemiano di ferro), eterno ‘secondo’ candidato dem al comune di Roma. Nel senso che il nuovo segretario, Enrico Letta, ha fatto di tutto, per non candidare ‘Roberto’ – che da mesi aveva pronta l’intervistona (a Repubblica, la quale, puntuale, arriverà lunedì) con annuncio di trionfale discesa in campo e che ieri si è dovuto acconciare a un modesto cinguettìo su Twitter – e invece incassare il sì di ‘Nicola’. Ben consapevole dell’importanza ‘capitale’ della sfida romana e del fatto che – come recitava il mantra del Nazareno – “Gualtieri è un ottimo candidato, esempio di classe dirigente, ma con Zingaretti vinciamo al primo turno, dicono tutti i sondaggi”.

Già, i sondaggi. In effetti, davano tutti Zingaretti molte spanne sopra (fino al 40% e rotti percento) ogni altro contendente, Raggi compresa, mentre Gualtieri, al di là del fatto che sarà costretto al pro forma delle primarie interne al centrosinistra (si vota il 20 giugno, sarà un trionfo di ‘nanetti’), se la dovrà sudare e, persino dentro il Pd, c’è chi teme che “neppure ci arriva, Gualtieri, al ballottaggio…”.

La sindaca uscente, e in pista ormai da mesi (batte ogni giorno quelle periferie dove far diventare ‘simpatico’ il professor Gualtieri sarà dura), Virginia Raggi, infatti, sprizza di gioia, e da tutti i pori, oltre a incassare gli endorsment – molti assai tartufeschi, dato che in tanti la detestano – del gotha del Movimento, da Giuseppe Conte in giù. Il centrodestra, a questo punto, però, affila le armi e sente “l’odore del sangue”: se poco poco azzecca il candidato, dopo esserne rovinosamente uscito, con la rinuncia di Guido Bertolaso a correre, potrebbe persino rientrare in partita. Un altro che, ovviamente, si gode lo spettacolo e ora spera di ritornare, in qualche modo in partita, anche perché a sua volta gira Roma come una trottola da mesi, specie le ‘benedette’ periferie (non foss’altro che per togliersi la nome del ‘pariolino’, cioè del romano che vive ai Parioli), è Carlo Calenda. Con il consueto disprezzo per chiunque non lo appoggi e non gli dia ragione, il leader della piccola ‘Azione’, appoggiato dall’ancor più piccola Italia Viva di Renzi, dai Radicali e da +Europa (idem), infierisce in corpore vili (il corpore è quello dem), subito dopo l’annuncio della candidatura di Gualtieri, con relativo e obbligato, obtorto collo, placet del Nazareno e Letta: “Non ho mai visto una incompetenza politica così atomica”.

La ultima, e pia, illusione dei vertici di Pd e M5s, la mette giù in italiano proprio Conte: “La campagna elettorale sarà una sorta di primaria del nostro campo rispetto al campo del centrodestra”. Tradotto: chi dei due avrà la meglio e arriverà al secondo turno avrà l’appoggio dell’altro partito al ballottaggio. Desideri o, più che altro, appunto, pie illusioni.