Camera vista Colle/5. “Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda”… I ‘due partiti’ dei ‘pro-Draghi’ e ‘anti-Draghi’ si fronteggiano

Camera vista Colle/5. “Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda”… I ‘due partiti’ dei ‘pro-Draghi’ e ‘anti-Draghi’ si fronteggiano

15 Novembre 2021 1 Di Ettore Maria Colombo

“Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda”… I ‘due partiti’ dei ‘pro-Draghi’ (chi vuole mandarcelo) e ‘anti-Draghi’ (chi no…) che si fronteggiano nella guerra per il Colle

“Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda”… I ‘due partiti’ dei ‘pro-Draghi’ e ‘anti-Draghi’ che si fronteggiano nella guerra per il Colle

“Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda”… I ‘due partiti’ dei ‘pro-Draghi’ e ‘anti-Draghi’ che si fronteggiano nella guerra per il Colle

 

Nb: la prima parte di questo articolo è stata pubblicata il 15 novembre 2021 sul sito di notizie Tiscalinews.it 

 

Qui i quattro precedenti articoli usciti sullo stesso argomento: 

  1. La Corsa al Colle lato centrosinistra e M5sVeduta vista Colle/1. Pd e M5s non sanno che pesci pigliare in vista della corsa al Quirinale…
  2.  La Corsa al Colle lato centrodestra e centristi: Camera vista Colle/2. Il centrodestra. Salvini rilancia su Draghi, il Cavaliere ci resta male e cerca voti, ma centristi decisivi
  3. La Corsa al Colle lato giocatori, numeri e possibili bluffCamera con vista Colle/3. Inizia la partita a poker e bisogna conoscere le regole, ma anche numeri e giocatori…
  4. La Corsa al Colle: Mattarella non ha alcuna intenzione di concedere un bis: Camera vista Colle/4. “Ma come ve lo deve dì?!”. Mattarella rifiuta, per l’ennesima volta, ogni ipotesi di bis

Due partiti si fronteggiano l’un contro l’altro: chi vuole mandare Draghi al Colle e chi, invece, no, per lasciarlo dov’è (a Chigi)…

Due partiti si fronteggiano l’un contro l’altro: chi vuole mandare Draghi al Colle e chi no…

Due partiti si fronteggiano l’un contro l’altro: chi vuole mandare Draghi al Colle e chi no…

Un po’ per celia e un po’ seriamente, si può dire che, a partire da qualche settimana, nei giochi della Politica e dei Palazzi, è nata una nuova forma di bipolarismo, ovviamente ‘all’italiana’. Due schieramenti che si fronteggiano e, di fatto, si equivalgono. Da un lato c’è il ‘partito’ di chi vuole mandare Draghi al Quirinale e, dall’altro, c’è il partito di chi vuole lasciare Draghi dov’è ora, cioè a palazzo Chigi.

Il presidente Mattarella

Il presidente Mattarella

Rispetto per gli elettori – che in teoria dovrebbero decidere loro, almeno alle elezioni politiche – meno di zero, ma pure rispetto zero per i 1009 Grandi elettori (in realtà saranno 1007, perché un seggio, quello di Roma centro, è vacante come pure un seggio al Senato) che dovrebbero decidere ‘loro’, a metà gennaio, il successore di Mattarella, non solo con il voto segreto, non solo alle prime tre (servono 671 voti) o dalla IV votazione in poi (ne bastano 504, quorum assai più abbordabile), il quale ha detto, nel modo più chiaro possibile, che non intende concedere alcun bis, al Colle.

 

Mattarella per ribadire che non darà ‘bis’ cita i suoi predecessori

Mattarella, sul no al bis, aveva già citato Segni

Mattarella, sul no al bis, aveva già citato Segni

Lo ha detto, Mattarella, in più occasioni, l’ultima l’altro ieri, nel ricordare un suo predecessore, Giovanni Leone, come già aveva fatto con altri (Antonio Segni) e dicendo che il mandato del Presidente della Repubblica è “a termine”, non può diventare come quello di un Papa o di un Re e che, anzi, andrebbe specificato in Costituzione (cosa che, ad oggi, non è) che tale mandato ‘deve’ durare sette anni e non oltre. Sette anni è la durata massima, per ogni organo costituzionale presente in Italia, inferiore solo a quello dei giudici della Consulta, di ben 9 anni.

 

I due partiti pronti a fronteggiarsi sul campo come i drappelli del Conte di Carmagnola…

 L'estremo giorno del conte di Carmagnola, 1834-1838, incisione a bulino su rame, 685 x 815 mm (445 x 538 mm battuta), Biblioteca Nazionale Braidense, Fondo Manzoniano, Milano.

L’estremo giorno del conte di Carmagnola, 1834-1838, incisione a bulino su rame, 685 x 815 mm Biblioteca Nazionale Braidense, Fondo Manzoniano, Milano.

Ma – tornando ai due partiti in campo per il Colle (la partita si apre, come si sa, a gennaio 2022, quando il Transatlantico di Montecitorio, da poco riaperto, si popolerà dei 1009 Grandi elettori, ma non prima che il presidente della Camera, Fico, abbia inviato a tutti i loro la ‘letterina di Natale’ con cui convocherà tutti i partecipanti al ‘ballo’) – enumerare i due partiti è compito, relativamente, facile, anche se – dentro i due schieramenti – le invasioni di campo, i falli di gioco e gli outside (fuori gioco) sono tante e tanti.

MONS QUIRINALIS - COLLE QUIRINALE

MONS QUIRINALIS – COLLE QUIRINALE

Il ‘partito’ di chi vuole far ascendere Mario Draghi al Colle, tagliando alla grossa i vari partiti e coalizioni, è composta da: 1) Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, che puntano al voto anticipato quanto e ove prima fosse possibile; 2) Matteo Salvini e la Lega (solo a giorni alterni, però, inoltre neppure del ministro Giancarlo Giorgetti non si capisce bene cosa vuole…); 3) Giuseppe Conte e diversi pezzi del M5s (non tutti, però, inoltre Di Maio manco lui si capisce, esattamente, cosa ritenga la soluzione migliore: a naso, prolungare a oltranza la legislatura…).

PNRR europa

Il ‘partito’ di chi vuole lasciare Draghi dov’è, invece, è composto da 1) il Pd di Enrico Letta (il quale, peraltro, sostiene che di Colle “non” si deve parlare, almeno fino a gennaio inoltrato, come non si parla, al Sud, del morto in casa…), formalmente per non interrompere l’azione del governo Draghi e del PNRR, in buona sostanza per garantire la intera durata della legislatura; 2) Forza Italia di Silvio Berlusconi, che ancora aspira al Colle (non tutti i suoi azzurri, però) e che, dunque, non vuole che ci si sieda Draghi; 3) un pezzo di M5s, tutta LeU, tutti i parlamentari del Misto (o quasi) e quasi tutti i tanti peones che, si capisce, non vogliono andare a casa anzitempo. Infine, dulcis in fundo, Iv di Matteo Renzi, che non ha alcuna intenzione di chiudere la legislatura prima del tempo e di votare prima. Insomma, ecco i due partiti ‘pro-Draghi’, uno, e ‘tutti tranne Draghi’, invece, il secondo.

 

Un Colle “al Campari”. La battuta di Draghi sull’aperitivo che è solito bere (spritz al Campari) e la semi-gaffe della moglie…

tommaso ciriaco

racconta Tommaso Ciriaco su Repubblica, “Per la prima volta da quando è a Palazzo Chigi, il capo del governo risponde a una domanda lontano dalla liturgia di una conferenza stampa. Inedito assoluto, o quasi.”

Il quale Draghi è incorso nella “gaffe dell’Aperol”. Ieri, infatti, racconta Tommaso Ciriaco su Repubblica, “Per la prima volta da quando è a Palazzo Chigi, il capo del governo risponde a una domanda lontano dalla liturgia di una conferenza stampa. Inedito assoluto, o quasi.Presidente, sua moglie avrebbe detto al vostro barista che andrete al Colle”. “Voglio dire solo – si diverte l’ex banchiere – che non ho mai bevuto spritz all’Aperol, non mi piace proprio. Ho sempre preso quello al Campari..”. E adesso che c’entra l’aperitivo con l’ambizione di salire al Quirinale? Urge fare ordine: la questione è seria e la sfida tra gradazioni alcoliche non c’entra nulla.

la signora Maria Serena Cappello - consorte del Presidente del Consiglio

La signora Maria Serena Cappello – consorte del Presidente del Consiglio

La storia nasce così: la signora Maria Serena Cappello – consorte del Presidente del Consiglio – avrebbe confidato al barista Proietti Antonio, titolare del “PagaRoma”, che Mario Draghi andrà al Quirinale. Il problema è che il signor Proietti non è riuscito a mantenere il segreto e ha svelato la svolta politica ai giornalisti di un Giorno da Pecora, più o meno in diretta mondiale: “Ogni tanto la signora Serenella viene al nostro bar. L’ultima volta la settimana scorsa”. E scusi, lei le ha chiesto se il marito vuole fare il Capo dello Stato? “Sì. E ha detto che sì, sicuramente lo farà. Me lo ha detto un po’ sconsolata, perché saranno molto impegnati. Di solito stavano sempre a città della Pieve, mentre andando al Quirinale sarà molto più complicato”.

Aperol spritz

La confidenza del barista è accompagnata da un dettaglio decisivo: “Prima di diventare premier, Draghi veniva per colazione e per l’aperitivo, gli piace lo spritz Aperol”. Anzi, gli spritz Aperol: A volte ne beve anche un paio, insieme ai classici stuzzichini, patatine ed olive“. Ed ecco che adesso, nella gelida sera parigina, mentre solca il tappeto rosso, il Presidente del Consiglio deve dire senza dire. Parla del Campari per non esporsi sul Colle. Certo, fa capire divertito che un barista che non ricorda il gusto del cliente, “Campari, l’Aperol proprio no!“, non va preso troppo sul serio se rivela strategie e ambizioni per conquistare il Quirinale. Ma continua comunque a non sbilanciarsi, a sfoderare l’ironia per sorvolare sulla sostanza del problema. “Ho sempre preso lo spritz al Campari – prosegue – Per il resto, mi hanno spiegato che si tratta di una montatura del giornalista”. Beh, Presidente, se lo era, non era male… “Non era male… tutto qua“, e via col sorriso che prova a sedare la curiosità e invece l’alimenta, altroché se l’alimenta.

La signora Serenella e il premier Draghi

La signora Serenella e il premier Draghi

Nella Capitale Draghi atterra a sera. E lì troverà ad accoglierlo la domanda delle domande, ancora e di nuovo, fino a gennaio e soprattutto finché non dirà una parola chiara e definitiva sul nodo dei nodi: vuole andare al Colle? Molto prima, forse già questo fine settimana, si ritroverà però faccia a faccia con il barista. Che forse è stupito dal clamore, forse no, ma che di certo al telefono si aggrappa al disincanto, che a volte nella Capitale diventa arte: “Se davvero vuole andare al Colle? Ma no, queste cose si decidono in Parlamento, mica al bar… E comunque prende l’Aperol”. Ma, finito il racconto sul divertente episodio, torniamo ai ‘due partiti’.

 

Le motivazioni dei due schieramenti. I ‘pro-Draghi’ e gli ‘anti-Draghi’, come si dice, “parlano a nuora perché suocera intenda”…

Le diverse motivazioni dei due schieramenti

Le diverse motivazioni dei due schieramenti

Più complicato assai, dicevamo, è spiegare le motivazioni che allignano nei due partiti e/o schieramenti che si fronteggiano, pronti alla pugna, stile eserciti nel conte di Carmagnola del Manzoni (“Ecco appare un drappello schierato; / Ecco un altro che incontro gli vien”…). Si può dire, come recita un vecchio detto popolare, che “parlano a nuora perché suocera intenda”…

Qui si entra, oggettivamente, in un bel ginepraio, assai più complicato da spiegare e raccontare.

Daniele Franco

Il Ministro Daniele Franco

Nel fronte dei partiti ‘pro-Draghi’, la volontà della Meloni è ‘quella facile’ da capire e raccontare: vuole mandare Draghi al Colle perché scommette sul voto anticipato o, anche, su un “apres soi le deluge”: dopo il trasloco al Colle, nessun altro governo sarebbe possibile, ergo si andrebbe a votare in via anticipata come vuole lei – speranzosa o sicura di risultare il primo partito, alle elezioni, ergo di poter ambire a palazzo Chigi una volta, ovviamente, che risulti vincitore e con un voto in più su Salvini, dentro il centrodestra.

renato brunetta

Renato Brunetta

Un calcolo decisamente semplicistico, però. Infatti, potrebbe benissimo nascere un governo dalle ceneri di quello Draghi o con la stessa, identica, maggioranza (cioè con la Lega dentro), oppure con una maggioranza parzialmente diversa (ad esempio, una maggioranza ‘Ursula’, con dentro Pd-M5s-LeU da un lato e FI-Udc-CI dall’altro, ma senza la Lega che, a quel punto, andrebbe all’opposizione) e che, con un premier ‘di fiducia’ del nuovo inquilino del Colle (Daniele Franco, attuale ministro all’Economia, o Renato Brunetta, ministro alla Pa, o Marta Cartabia, Giustizia), porti a termine la legislatura e il Piano PNRR, rassicurando la Ue, che ha i cordoni della borsa, i mercati internazionali e anche le potenze alleate. Una forma di ‘governo del Presidente’ (della Repubblica) che avrebbe il ruolo di ‘garante’ e, di fatto, di ‘Lord Protettore’ del governo. Ruolo di certo inedito, ma non del tutto alieno dalla antica tradizione dei governi italiani: il governo Pella, per dire, nacque per espressa volontà e ‘comando’ del presidente Einaudi, dopo l’ultimo governo a guida De Gasperi, nel 1953-‘54 e così fu vissuto.

Marta cartabia

Marta Cartabia

Inoltre, i desiderata della Meloni cozzano con la testarda, e coriacea, volontà del Parlamento di voler ‘sopravvivere’ a sé stesso: solo il 24 settembre 2022 i parlamentari ‘maturano’ il loro tanto agognato diritto al vitalizio(devono aver fatto 4 anni, 6 mesi e un giorno per poterne usufruire e, specie se sono alla prima legislatura, ne perdono del tutto il diritto, il che è pure ingiusto). Inoltre, più della metà di loro sa che, tra il taglio del numero dei parlamentari e la volontà dei leader dei partiti – di tutti i partiti… – di rinnovare la propria rappresentanza politica, verrà dato spazio, nelle future liste, a pochi ‘eletti’, in senso figurato, oltre che fedelissimi.

salvini

Matteo Salvini

Salvini, invece, è ondivago, cosa ormai abituale, per il leader leghista. Il giorno pari dice che pure lui vuole andare votare in via anticipata, per ‘gareggiare’ con la Meloni per il primato nel centro destra. Il giorno dispari, invece, assicura – soprattutto ai suoi, lontano da orecchie indiscrete – che vuole portare a termine la legislatura e che sa benissimo che eventuali e ventilate elezioni anticipate non sono sul tappeto né, tantomeno, nel novero delle cose fattibili.

In sovrannumero, anche Giancarlo Giorgetti è assai ondivago. L’alter ego ‘moderato’ e ‘popolare’ (nel senso del PPE e non della popolarità nel loro elettorato…) di Salvini, infatti, a sua volta, un giorno dice che Draghi dovrebbe andare al Colle, un altro giorno si augura che “resti dov’è”, cioè a palazzo Chigi, un altro giorno ancora “è stato male interpretato”, un altro ancora dice entrambe le cose.

Giancarlo Giorgetti

Giancarlo Giorgetti

Certo è che Giorgetti vorrebbe restare al governo il più a lungo possibile, sia perché ‘è umano’ (che voglia restarci), sia perché solo dal governo si possono manovrare le leve del potere che, invece, nel partito, guidato con mano ferrea da Salvini, non ha e non può usare, come è ovvio.

 

Salvini (e Giorgetti) ondivaghi, Conte incerto e malmostoso, il Pd in dubbio, 5S nel panico che la legislatura finisca troppo presto…

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Foto Roberto Monaldo / LaPresse – Giuseppe Conte

Il (teorico) leader del M5s, Giuseppe Conte, infine, parla e usa quella che gli indiani chiamavano “lingua biforcuta”: ai suoi parlamentari, spaventatissimi anche solo all’idea del voto anticipato, assicura che non si andrà a votare prima del marzo 2023, anche spedendo Draghi al Quirinale, ma molti indizi fanno, invece, capire che vorrebbe correre alle urne.

Bettini

Goffredo Bettini

Lo fa capire, nei suoi conversari con i fedelissimi, lui stesso e lo ha fatto capire, più volte, il suo nuovo ‘mentore’, quel Goffredo Bettini che, un tempo ‘gran visir’ dei segretari del PD (Zingaretti in testa a tutti) ora lo è, appunto, anche di Conte.

Di Maio

Luigi DI Maio

Del resto, la sua leadership – quella di Conte – si indebolisce ogni giorno che passa, dentro i 5S, i sondaggi, per l’M5s, vanno sempre peggio, la concorrenza di Di Maio si fa sempre più forte. Insomma, la ‘convenienza’ di Conte a spedire Draghi al Quirinale per ottenere – causa il puro concatenarsi di eventi – il voto anticipato è forte, ed ‘elevare’ Draghi al Colle più alto di Roma potrebbe agevolargli il compito. Peraltro, si dice che anche Enrico Letta voglia correre alle urne, ma la notizia è, come si suol dire, destituita di ogni fondamento. E’ evidente, infatti, che sarà il segretario del Pd – forte come non mai, di questi tempi – a fare le prossime liste elettorali, che si voti nel 2022 o nel 2023, poco importa. Ergo, Letta non ha convenienza a correre al voto, anzi: più passa il tempo e più lui si rafforza, dentro il Pd, togliendo soldati semplici e ufficiali ai tanto detestati (e detestabili?) ex renziani di Br (Base riformista, l’area di Lotti e Guerini, ma in rapido processo di ‘separazione’ interna, con Lotti da dannare, per Letta, Guerini da salvare).

sinistra

Enrico Letta

Al massimo, Letta accarezza, come Conte, la via del voto anticipato per massimizzare gli esiti delle amministrative e correre insieme ai 5S prima che Conte ne venga, di fatto, esautorato.

mattarella

Dall’altra parte, nel ‘partito’ – sempre più diviso, percorso da liti sotterranee e guerre al coltello – dei 5S, cresce il ‘partito’ di chi vuole lasciare Draghi dov’è, cioè a palazzo Chigi, ed eleggere un altro inquilino, al Colle. Un qualsiasi altro, purchessia sia, persino uno del centrodestra. O, è l’ideona, chiedere, a dispetto dei santi, un bis all’attuale Capo dello Stato, Mattarella (che non vuole saperne, lo ha detto in tutte le salse, non sa più come dirlo, solo il deputato democrat e professor Stefano Ceccanti ci spera e crede…),

Ceccanti Stefano

Il costituzionalista e deputato dem Stefano Ceccanti

Ma pure qui ci sono diversi, reconditi, propositi. Se nel Pd si teme – a livello di Nazareno e di truppe – che si vada a votare troppo presto e ci si lamenta che “non siamo pronti, né noi né i 5S”, dentro la pancia dei 5S, pure, il voto anticipato è visto come una ‘bestia nera’, un ‘vade retro, Satana’: sanno che non torneranno a sedere in Parlamento in più della metà di quanti sono oggi, il che, ovviamente, li spinge a restare imbullonati o meglio inchiavardati alle seggiole attuali (sic).

Infine, c’è Luigi Di Maio. Un altro che ‘non’ vuole il voto anticipato, sia perché non sarebbe più ministro (ruolo che sta svolgendo assai bene, ma il suo lavoro di accreditamento presso le capitali e gli Stati esteri, pur iniziato, è a metà dell’opera), sia perché, con il tempo, la leadership di Conte può solo logorarsi e sfilacciarsi, ovviamente a suo vantaggio, come una mela matura che cade nel cesto.

 

Iv, ma pure FI, sono ovviamente terrorizzati dal voto anticipato

renzi italia viva

Renzi Leader di IV

Pure in Iv di Renzi, temono il voto, ben sapendo che, con il 2%, non ritorneranno mai a sedersi tra gli augusti scranni dei due sacri, austeri, Palazzi.

Mario Draghi

Mario Draghi

Ergo, meglio lasciare Draghi dov’è, a Chigi, ed eleggere un nome ‘nuovo’ (Berlusconi? Casini? Pera? Gianni Letta? Giuliano Amato? Cartabia? Dipende dalle convenienze di Renzi al momento) che non metta a rischio la durata della legislatura.

Cochi e Renato

Cochi e Renato

E questo al netto del fatto che una decina di parlamentari dei quasi 40 renziani se ne sbattano la porta e se vadano, ad horas, ‘spaventati’ dalla ‘svolta a destra’ del loro leader, che sarebbe pronto a votare, sul Colle, con la destra, come scrive La Repubblica. Che, poi, “dove vanno quelli che partono?”, cantavano Cochi e Renato, nel senso che non ha alcun senso logico andarsene ora che si deve votare per il Colle: in un gruppo formalizzato conti e pesi, nel Misto non conti quasi nulla, se arrivi – buon ultimo – nel Pd o altrove, conti meno di zero….

Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi

Idem sentire pure dentro FI, sia perché le residue speranze di Silvio Berlusconi di ambire al Colle andrebbero in frantumi, sia perché ‘vedi sopra’: insomma, un po’ per orgoglio di ‘casata’ (il Cav, di andare al Colle, ci spera e ci crede, ergo meglio assecondarne la ‘pazza voglia’, per pazza che sia) e un po’ per terrore del voto anticipato, che se e quando sarà, falcidierà le fila del partito azzurro, nessuno, dentro FI, come pure nei gruppi minori del centrodestra, vuole mandare Draghi al Colle.

Mario Draghi

Mario Draghi

‘Vedi sopra’ pure per i parlamentari peones di tutti i partiti, specie chi ‘vegeta’ nel Misto, come si è detto già, in lungo e largo, in questo articolo.

 

In Italia, dunque, è ritornato il bipolarismo? Ai tempi della Prima come della Seconda Repubblica vigeva un ‘bipolarismo’ di fatto…

camera vista colle

Chi vincerà, la ‘gara’, tra i due ‘partiti’ in lotta, quello ‘pro-Draghi’ al Colle e quello del ‘tutti tranne Draghi’? Troppo presto, troppo difficile, pronosticarlo ora. La sola cosa curiosa è che, in Italia, è come ‘ritornato’ il bipolarismo, almeno per il Grande Gioco del Colle, e forse, chissà, anche per le prossime elezioni politiche.

politologo milanese molto radical e molto di sinistra, Giorgio Galli

Il politologo milanese molto radical e molto di sinistra, Giorgio Galli

Ai tempi gloriosi della Prima Repubblica, le menti raffinate – cioè gli studiosi di politologia – lo chiamavano “bipolarismo all’italiana” o, ancora meglio, “bipartitismo imperfetto” (la felice definizione la coniò un politologo milanese molto radical e molto di sinistra, Giorgio Galli). In pratica – questa era la tesi – si contestava l’idea che il nostro sistema politico fosse, a causa del sistema elettorale (un proporzionale puro), realmente frammentato. Infatti, come in tutte le democrazie europee, basate sul modello anglosassone (se vinci le elezioni governi, se perdi stai all’opposizione), anche in Italia esistevano ‘due poli’. Uno gravitava intorno alla Dc (i partiti laici minori: Pli, Pri, Psdi, poi – ma solo dagli anni Sessanta – anche il Psi) e uno aveva come suo centro il Pci (prima il Psi, che poi ruppe con i comunisti, poi altri partiti minori).

bandiera PCI

Bandiera del PCI

I ‘due poli’ si fronteggiavano sempre, a ogni elezione, ma accadevano – sempre – due cose: le elezioni le vinceva di regola il blocco intorno alla Dc e, altra cosa fondamentale, il Pci ‘non’ poteva governare, manco prendendo il 50,1%. Era, cioè, unfit, ma non per incapacità proprie, ma perché ancora troppo legato all’Urss e al blocco sovietico i partiti comunisti del patto di Varsavia. Un dato di fatto che, in un Paese membro della Nato, era una scelta strategica assai inaccettabile.

M5S bandiere

Bandiere del M5S

In ogni caso, il bipolarismo all’italiana, nella Seconda Repubblica, è proseguito e si è rilanciato, anche grazie al sistema elettorale (il Mattarellum, un sistema a base maggioritaria) e si è vieppiù strutturato: centrodestra, attorno a FI di Silvio Berlusconi, da un lato, e centrosinistra, attorno all’Ulivo di Romano Prodi come pure al Pci-Pds-Ds-Pd dall’altro lato. Solo l’arrivo dei 5Stelle ha scompaginato tutti i giochi: “è nato il tripolarismo” hanno gridato un po’ tutti, dopo i risultati delle elezioni politiche del 2018. Solo che il tripolarismo durò lo spazio di un mattino.

Giorgia Meloni

La leader di Fdi Giorgia Meloni

L’M5s, che voleva aprire il Parlamento come una “scatoletta di tonno” si è normalizzato (“il tonno siete diventati voi” ha detto loro Giorgia Meloni, con una delle sue espressioni icastiche) e siamo tornati a una forma, per quanto ‘imperfetta’, di bipolarismo, quella del centrodestra (neri-verdi-azzurri) contro il centrosinistra (giallo-rossi), ma, ora, anche al ‘bipolarismo per il Colle’. Vedremo se le cose andranno proprio così…


Enrico Letta propone una ‘moratoria’ sul Colle e sulla manovra. Stavolta Forza Italia e altri gli vanno dietro…

Logo Forza Italia

Logo FI

Nb. L’articolo che segue è uscito, in forma più succinta, sul Quotidiano nazionale del 15 novembre 2021

Il Pd presenta una legge per ‘aiutare’ i sindaci che, però, ai sindaci democrat piace davvero assai poco…

“A forza di prenderlo in giro, finiranno per dargli ‘tutti ragioni’, vedrete”. Lo sbotto è del lettiano di rigida osservanza e contiene un fondo di verità. Il segretario del Pd, Enrico Letta, si è intestardito sull’idea della ‘moratoria’ per il Colle (“Il Pd si rifiuta di parlarne fino a gennaio, quando si vota” ha detto e ripetuto, all’estenuazione e più volte) e, a partire da ieri, sembra aver ottenuto, se non una aperta vittoria, nei partiti altrui, almeno una qualche forma di ‘incoraggiamento’, alla proposta che arriva, in particolare, da parte di Forza Italia. Direttamente da Silvio Berlusconi – via ‘fonti’ di FI, concetto poi ribadito dal coordinatore nazionale, Antonio Tajani – e dalla capogruppo al Senato, Annamaria Bernini, ma anche da altri gruppi minori del centrodestra, come Coraggio Italia.

 

Enrico Letta

Enrico Letta

Ora, stabilito che è a dir poco singolare dare adito alla tesi di Letta – mancano meno di tre mesi alla scadenza del mandato di Mattarella, il quale ha detto e ridetto, in tutte le salse possibili, che non si ricandida – e anche che non solo i soliti, odiati, ‘giornaloni’ a parlare dell’argomento, ma i partiti, va anche detto che la discussione sta tracimando. Insomma, se ne parla troppo e spesso a proposito.

L’ultima corbelleria girata nel Palazzo è questa (ripresa pure dal quotidiano Il Domani, mah): le dimissioni di Draghi a fine dicembre, fresco di approvazione della manovra economica, per auto-spianarsi la strada al Colle con, nel frattempo, la nomina, in fretta e furia, da Mattarella, di un governo amico che poi lo stesso Draghi, una volta assurto al Colle, dovrebbe solo confermare (le dimissioni del governo in carica, quando si elegge un nuovo Capo dello Stato, stanno nella prassi), ha davvero superato le fantasie e la fantascienza. Urgeva, dunque, mettere freno alle troppe voci.

matteo renzi

Matteo Renzi – Italia Viva

Letta lo ha fatto, ieri, con un’intervista al quotidiano La Stampa. Lo stesso che, guarda caso, in questi giorni si sta distinguendo per gli attacchi a Matteo Renzi, sul caso della fondazione Open, stile Il Fatto quotidiano, per capirsi, ma sarà stato di sicuro un caso. “Vedo uno sfilacciamento in corso – dice, severo, Letta a La Stampache temo moltissimo, perché in questo momento c’è bisogno dell’opposto. Un’assunzione di responsabilità delle forze politiche a sostegno di Draghi”.

Ed ecco la proposta: “un patto tra i partiti che sostengono questo governo. Propongo un incontro di tutti i leader della maggioranza con il premier perché questo accordo sia formalizzato. Ognuno rinunci alla sua bandiera per un risultato condiviso da tutti”. Ora, magari Letta è ‘geloso’ del fatto che Salvini, con Draghi, ha stabilito un patto di consultazione settimanale.

E pure è vero che, nel ‘suo’ Pd hanno fatto fuoco e fiamme, i deputati, con tanto di lettera del loro capogruppo, Deborah Serracchiani, al presidente della Camera il cui succo era ‘ma ora anche basta, ma pure no’, rispetto al fatto che, dati i tempi semi-biblici di trasmissione della ex legge Finanziaria alle Camera, la Camera (dei Deputati) si dovrà limitar a metterci il timbro ma senza poterla cambiare di una virgola, rispetto al testo che le arriverà, a dicembre, dal Senato.

debora serracchiani

Debora Serracchiani

 

Ma certo è che la proposta di Letta ha sfondato anche tra gli altri partiti. E qual è la proposta? Questa: “Immaginare che sulla prima manovra di questo governo ci possa essere un Vietnam parlamentare non è accettabile. Il Quirinale è il secondo tempo. Se non si spostano a dopo l’approvazione della manovra le giuste e legittime discussioni che dobbiamo fare sulla migliore soluzione per il Colle ne andrà di mezzo la legge di bilancio e saliranno le tensioni nel Paese. Le strategie sul prossimo presidente non possono interferire su decisioni che milioni di cittadini attendono, come quelle sulle pensioni. Altrimenti finiremo per alimentare l’idea che la politica è diventata l’ostacolo. Ma alle elezioni dovremo andarci noi”. Concetto assai chiaro: saremo noi – nel senso di ‘noi’ partiti – che, alla fine della fiera, dovremo andare a chiedere i voti, rischiando grosso.

Anna_Maria_Bernini_Forza_Italia

La capogruppo di Forza Italia al Senato, Anna Maria Bernini

Come si diceva, il plauso di FI è immediato. “Di fronte a una pandemia non ancora superata, e con le riforme del Pnrr che non possono subire battute d’arresto, serve una forte stabilità politica, che solo il premier Draghi ha dimostrato di garantire” spiega la capogruppo azzurra al Senato, Bernini. “Questo è un momento cruciale per il futuro del Paese – verga in una nota – e la maggioranza non può procedere in ordine sparso, facendo prevalere gli interessi di partito. Il presidente Berlusconi stamani (ieri, ndr.) ha confermato con grande chiarezza la linea di Forza Italia, improntata alla massima responsabilità, e anche la proposta di Letta di un patto fra i leader della maggioranza per mettere in sicurezza la manovra economica è sicuramente un passo nella giusta direzione”.

Osvaldo Napoli

Osvaldo Napoli

Entusiasta, all’idea, si dice anche Osvaldo Napoli, ex azzurro, poi trasmigrato in CI (Coraggio Italia) di Toti: “Trovo saggia la proposta di Letta di un patto tra leader per blindare la manovra e il suo invito affinché ciascuno rinunci alla propria bandiera. La risposta fulminante e positiva di Berlusconi è rimasta fin qui senza seguito. Salvini e Conte? Devono ancora decidere…”. Poi, però, Napoli ‘s’allarga’ e dice: “A Letta suggerisco: il patto tra i leader per blindare la manovra facciamolo crescere. Diventi un patto per la scelta del Colle”. Ecco, qui, però, già è chiedere troppo: se è vero che una ciliegia tira l’altra, la ‘ciliegia’ del Colle non è ancora matura per cadere dall’albero…