Veduta vista Colle/1. Pd e M5s non sanno che pesci pigliare in vista della corsa al Quirinale…

Veduta vista Colle/1. Pd e M5s non sanno che pesci pigliare in vista della corsa al Quirinale…

30 Ottobre 2021 1 Di Ettore Maria Colombo

Veduta vista Colle/1. Centrosinistra e M5s non sanno che pesci pigliare in vista della corsa al Quirinale. Per ora si contano solo i candidati ‘papabili’ ma già bruciati

Palazzo del Quirinale

Palazzo del Quirinale

 

Nb: questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2021 sul sito di notizie The Watcher Post

 Qui gli altri articoli usciti sullo stesso argomento: 

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“L’ebrea ce la siamo tolta dalle p…”. La Segre rinuncia alla candidatura (del Fatto) al Colle e i deputati di destra esultano

“L’ebrea ce la siamo tolta dalle p…”. La Segre rinuncia alla candidatura (del Fatto) al Colle

“L’ebrea ce la siamo tolta dalle p…”. La Segre rinuncia alla candidatura (del Fatto) al Colle

Via una. L’ebrea ce la siam tolta dalle palle…”. Il commento – irriferibile con nome e cognome, perché passibile di “incitamento all’odio”, come prescrive la legge Mancino contro l’odio razziale – arriva da un deputato della destra che, poco avvezzo al bon ton istituzionale, commenta così la notizia che la senatrice a vita, Liliana Segre, ha, proprio ieri, rinunciato alla corsa al Quirinale con una lettera al Fatto quotidiano. Infatti, il giornale diretto da Marco Travaglio l’aveva, improvvidamente, candidata al Colle più alto, senza chiederglielo e senza neppure tenere in debito conto che la senatrice a vita ha 91 anni, splendidamente portati (è della classe 1930).

marco travaglio

Marco Travaglio

La Segre ha tolto, dunque, dall’imbarazzo sé stessa, con una cortese lettera inviata al giornale e pubblicata ieri, in cui dice, in buona sostanza, “grazie per l’attenzione, ma ho 91 anni, non fa per me, perché non ne ho la competenza, inoltre quando Mattarella mi ha voluto senatrice a vita, già non pensavo di avere la competenza lì…”.

Una lezione di stile, e di eleganza, che, tuttavia, non fa demordere quei buontemponi del Fatto che intignano e ricordano, nella risposta, le “90 mila firme già raccolte sulla petizione per mandare la Segre al Colle, un sogno bellissimo che resta”.

Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi

Del resto, al Fatto quotidiano, sono ‘fatti’ così. Farebbero, in buona sostanza, qualsiasi cosa, pur di ‘sedere’ anche loro al tavolo della ‘Trattativa’: non quella del processo Stato-Mafia, in cui ancora credono, ma quella per il Colle. E pur di non vedere assurgere al Colle “il Pregiudicato”, come amano chiamare Silvio Berlusconi, ma neppure dei suoi succedanei (da Casini alla Cartabia, dalla Casellati alla Moratti) – che detestano tutti o che non reputano avere ‘i requisiti’. Forse, il Fatto, al Quirinale vorrebbe mandarci Piercamillo Davigo: in effetti, l’ex pm di Mani Pulite, in pensione, è ‘solo’ inquisito, ergo gode ancora dei pieni diritti civili e politici.

 

Per quale candidato voterà la massa di manovra dei 5Stelle? Il ‘Fatto’ e pezzi di M5s sono già pronti a lanciare il nome Rosy Bindi

logo m5s

Il Fatto vuole ‘contare’, nella trattativa, anche per spostare gli equilibri dei 5Stelle che ‘sbandano’, e pericolosamente, nella trattativa medesima e che, in buona sostanza, non sanno bene che pesci pigliare e pescare: non sono affatto ‘strutturati’, per affrontare una trattativa del genere, così ‘politica’ e pure così complessa e sono soggetti a ogni stormir di fronda, e di vento, tra ‘correnti’ e ‘aree’, mugugni e malumori che attraversano le loro truppe parlamentari. Truppe che hanno subito scissioni e sbandate di ogni sorta, ma che contano ancora la bellezza di 233 parlamentari.

Una ‘truppa’ gigantesca, pari solo a quella che contava la Dc nella Prima Repubblica, e che – al netto delle ciance sul ‘Grande centro’ decisivo per le sorti della corsa al Colle, come dicono – sarà fondamentale a eleggere il nuovo Presidente.

bindi rosy

Rosy Bindi

Una ‘truppa’ che il Fatto vuole ‘condizionare’. Ora ha dovuto rinunciare alla Segre, ma già si parla, nei suoi corridoi, di un’altra candidata – sempre donna, si capisce – che potrebbe tornare buona, all’uopo. Quella Rosy Bindi(toscana, classe 1951, 70 anni, fedina penale specchiata), che, ex ministro alla Salute nel II governo Prodi, ex presidente della Commissione Antimafia, ulivista e prodiana della prima ora, pasionaria del centrosinistra, cattolica, sì, ma progressista, favorevole a tutti i diritti civili possibili, dai Dico ai Pacs (antesignani nei fatti della legge Zan), il Fatto e i 5Stelle – soprattutto l’ala movimentista, sia fuori dal Parlamento (Di Battista) che dentro (Fico) – si apprestano a ‘lanciare’ come nuova ‘papabile’ per il fronte degli ex giallorossi. Fronte che, però, non è affatto unito, sul tema.

 

Romano Prodi, la vera candidatura ‘di bandiera’ del Pd, e i troppi ‘papabili’ che affollano la scena dei dem nella corsa al Colle…

Il Prof. Romano Prodi

Il Prof. Romano Prodi

Il Pd potrebbe appoggiare la Bindi o stringersi intorno a un candidato di bandiera, cioè Prodi.

Una candidatura che, evidentemente, il Pd ‘non’ può rifiutare, anche fosse solo ‘di bandiera’, dati gli storici rapporti di amicizia e di solidarietà che legano la Bindi a Enrico Letta. Per non dire, però, dei rapporti che legano sempre Letta a Prodi, che lo volle, giovanissimo, alla presidenza del Consiglio, come sottosegretario nel suo secondo governo, quello del 2006-2008, detto dell’Unione, e che ne è sempre stato il nume tutelare. E per non dire del vero ‘padre’ di entrambi, Beniamino Andreatta, ex ministro e inventore, ante litteram, dell’Ulivo, il cui figlio, Filippo, è oggi ascoltato consigliere di Letta, pur se ha un ruolo esterno (è professore a Bologna).

Matteo Renzi

Matteo Renzi – Foto LaPresse –

Non ultimo, a legare, come un fil rouge, la Bindi, Prodi e Letta, l’antipatia, se non l’odio (politico), per Renzi. Il quale ha ‘colpito’ e ‘affondato’ tutti e tre, pur se in epoche diverse (Prodi con i 101, la Bindi non ricandidandola, Letta scalzandolo dal governo) e che, ove mai non lo fosse stato ‘sempre e per sempre’, è tornato a essere il ‘nemico pubblico numero uno’ di tutti i democrat (e ulivisti) che oggi si rispettino. La prima scelta, per il Pd, dunque, sarebbe di portare, almeno come candidato di bandiera, quel Romano Prodi che – così dicono a Bologna – ancora ci spera e crede di poter tornare al Colle.

Evidentemente non pago della pugnalata dei 101 che ne affossò la candidatura alle presidenziali del 2015, ferita che, in ogni caso, ancora brucia, in molti hanno notato, con malcelata perfidia, l’attivismo dell’ex premier. Infatti, Prodi ha intensificato interviste, comparsate in tv, presentazioni pubbliche (del resto, è appena uscito un libro che ne racconta la vita e le gesta): pur avendo più volte ripetuto “non ho l’età” e, anche, “ho già dato” (riferendosi proprio al 2015), nei conciliaboli di Montecitorio in molti dicono, anche tra i dem, che “Romano sogna il Colle” o che “Romano ci crede e ancora ci spera”, etc. Lo dicono, ovviamente, con un sorriso perfido, se non beffardo: pronti, cioè, ad affossarlo ancora…

mario draghi

Mario Draghi

E così, al netto del fatto che Letta, testardamente, continua a ripetere di ‘non’ voler parlare di Colle (neppure di legge elettorale se è per questo), ovviamente, la candidatura ‘naturale’, per il Colle, del Pd, sarebbe Mario Draghi. Eppure, il leader dem non vorrebbe ‘spostare’ Draghi da dove sta, cioè da palazzo Chigi, perché sa fin troppo bene che, se le cose andassero così, sarebbe difficile, e molto, far proseguire la legislatura a scadenza naturale con un altro governo (magari guidato dal ministro dell’Economia, Daniele Franco), idea e prospettiva che terrorizza le truppe parlamentari, soprattutto quelle del Pd e specie gli ex renziani. Quindi, è alla – disperata – ricerca di altri nomi.

 

Ma i problemi, per i candidati dem, sono due: sono troppi e, soprattutto, non hanno i voti necessari per essere eletti…

Dario Franceschini

Dario Franceschini

I problemi, però, in questo caso, e in ogni caso, come per ogni candidato del Pd, sono due. Il primo è che i candidati dem ‘papabili’ sono decisamente troppi. Si va dall’attuale ministro alla Cultura, Dario Franceschini, capofila di Area dem, che si muove come è abituato, cioè in modo felpato, discreto e silenzioso, a ex di lusso come l’ex segretario e ‘fondatore’ del Pd Walter Veltroni.

Paolo Gentiloni

Paolo Gentiloni

E anche il loro, in quanto ad attivismo e in quanto a presenzialismo, è rimarchevole. Poi, ovviamente, ci sono i due ‘fiori all’occhiello’ del Pd che, oggi, stanno in Europa. Il commissario alla Concorrenza, Paolo Gentiloni, non manca mai di dare un’intervista o intervenire a un consesso di menti brillanti o a convegni democrat (l’ultimo ieri, quello “Progressive future – Global Progress Roma 2021” organizzato da Letta) e può vantare una solida rete di relazioni e rapporti non solo a sinistra, ma anche al centro e a destra, dove ha sempre goduto di buona stampa, oltre che di solide amicizie, ottima stima e considerazione.

David Sassoli

David Sassoli

L’altro è David Sassoli, oggi e da due anni, ormai, presidente dell’Europarlamento, ma con la carica, appunto, in scadenza, e che dunque rischia di tornare a fare l’eurodeputato ‘semplice’ del Pd. Anche Sassoli è diventato iper-presenzialista e se non può vantare i rapporti altolocati di Gentiloni, e neppure il suo lignaggio, in Ue è, a sua volta, molto quotato, se non fosse che si vota in Italia…

L’altro, non piccolo, problema, per il Pd, è che – a differenza di tutte le altre volte, quando ha sempre ‘portato a dama’ l’elezione del Presidente (nel 1999 con Ciampi, nel 2006 con Napolitano, nel 2015 con Mattarella), negli ultimi 40 anni – stavolta non solo i suoi candidati non godono dei ‘favori del pronostico’, ma banalmente non ha i voti per eleggerselo da solo, l’inquilino al Colle.

Infatti, i 131 voti del Pd, cui si possono sommare, al massimo, i 18 di LeU, rappresentano uno ‘spicchio’ del tutto residuale, all’interno dell’attuale Parlamento, anche sommando loro i (pochi) delegati regionali (24). Sono 173 voti, in totale, con cui, in pratica, almeno non stavolta, “non si va da nessuna parte” diceva Che Guevara.

Servono, come il pane, i 233 parlamentari dei 5s (il totale, cioè la somma di Pd-M5s-LeU fa 406 voti) per provare, almeno, a giocarsela la partita del Colle che prevede nei 2/3 (cioè 671 Grandi elettori su 1007) la maggioranza necessaria nelle prime quattro votazioni, ma ‘solo’ 504 voti, maggioranza assoluta, dal quarto scrutinio in poi. E sempre contando che il centrodestra parte, invece, da 450/455 ‘Grandi elettori’ sui 1007 (in teoria 1009) che compongono la platea che elegge, ogni sette anni, il Capo di Stato (945 parlamentari, 7 senatori a vita, 58 delegati regionali, con il centrodestra che ne ha 33 e il centrosinistra 25). Il che vuol dire che, sommando i 48 (con Iv, senza CI) o 81 (con CI, cioè Coraggio Italia) neo-centristi, il centrodestra avrebbe già fatto ‘bingo’, con l’elezione di un ‘suo’ candidato come finora è mai successo. Al netto dei ‘certi’ franchi tiratori

 

Per ora, nel M5s, contano solo i ‘no’. Di Maio avverte il Cavaliere: “guarda che Salvini e Meloni ti stanno fregando…”

di maio M5S

Luigi Di Maio

Per ora, però, dentro i 5Stelle, sul Colle, è buio pesto. Solo i ‘no’ sono chiari. Quello al Cavaliere e a candidati ‘in scia’ a lui per grado. Anche un liberal – tale, ormai, è diventato – e un ‘diplomatico’, oltre che un manovriero, come il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, si distingue, direbbe Montale, per “ciò che non siamo e ciò che non possiamo”. E, cioè, per i ‘no’, non i ‘sì’.

Certo, Di Maio si mostra dotato di tatto e acume e ‘finge’ di mandare al Cav un warning positivo: “Sono l’unico leader politico – scandisce – che non ha mai avuto una telefonata con Berlusconi, lo hanno chiamato tutti, ma io oggi vorrei chiamarlo per dirgli ‘attento ai tuoi amici di percorso, Salvini e Meloni’, perché ricordano la tela di Penelope: la mattina gli dicono vai al Quirinale e la sera lavorano per affossarlo” dice a Agorà su Rai3. Berlusconi, quindi, “stia attento ai suoi amici di percorso – ribadisce Di Maio – perché non gli stanno dicendo la verità”.

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Paola Taverna

Infine, c’è pure la vicepresidente del Senato, Paola Taverna, che si mette a insultare Renzi, che, secondo lei, “prestò andrà col centrodestra”. La ‘raffinata’ analisi della Taverna è che “il centrodestra da solo non avrebbe potuto farcela, a bocciare il ddl Zan, quindi il contributo di Italia Viva è stato determinante. Sono state prove tecniche per il Quirinale. E forse Renzi tirerà la volata a Berlusconi” (ma il ‘forse’ è pleonastico).

 

Le truppe parlamentari del M5s sanno solo che Conte non vuole Draghi e che la legislatura ‘deve’ arrivare a fine naturale…

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Foto Roberto Monaldo / LaPresse – Giuseppe Conte

Il problema è che, però, pure dentro il M5s non sanno che pesci pigliare. Il ragionamento, per ora, è solo abbozzato, ma a Giuseppe Conte è chiara una cosa: andare a elezioni nel 2023 (o quando sarà) con Mario Draghi ancora presidente del Consiglio sarebbe una pessima eventualità per il M5S. Il cosiddetto “metodo Draghi”, coi partiti costretti a subirne le scelte e ridotti a portatori d’acqua del super tecnico, fa male al Movimento più che ad altri; la sensazione è che l’alto astensionismo delle amministrative ne sia un effetto diretto, pagato a caro prezzo proprio dai 5 Stelle, come dimostrano i flussi di voto. Per questo promuovere Draghi al Colle non è un’opzione impraticabile per chi guida il M5S.

La fase è assai confusa e un coordinamento sulla partita Quirinale, all’interno del più grosso gruppo oggi in Parlamento, non è ancora cominciata. Su un punto però pare ci sia assoluta comunanza di vedute tra le varie ‘anime’ del partito: la legislatura deve arrivare a naturale scadenza. I motivi qui si fanno meno politici e più ‘pratici’.

Sugli attuali 233 parlamentari del Movimento, circa 160sono al primo mandato. Considerato il taglio dei parlamentari, che parte dalla prossima legislatura, il prevedibile dimezzamento – se non di più – dei consensi del partito rispetto al 2018, pochissimi di loro avranno un’altra possibilità di rientrare in Parlamento e quindi godere di un trattamento economico e di status invidiabile.

Inoltre, per maturare il diritto alla pensione, una volta compiuti i 65 anni di età, occorre che si arrivi almeno a settembre 2022. Nessuno è pronto a immolarsi per scelte che possano comportare la fine anticipata della legislatura.

 

Del resto, tutti i peones si interrogano sul (loro), di futuro, ma intanto i 5Stelle hanno già ‘bruciato’ il nome di Gentiloni…

davide crippa

Davide Crippa

Vale per i 5 Stelle ma anche per gli altri gruppi, dove a parte i big sicuri di un futuro, decine di peones si interrogano sul loro, di futuro… Tornando ai 5Stelle, prima di cominciare un confronto vero con gli eletti sull’elezione del presidente della Repubblica, Conte deve risolvere un altro problema: tenere unito il proprio gruppo parlamentare. Oppure, altra dizione che va molto in questi giorni, dimostrare di poterlo controllare.

Ettore Licheri

Ettore Licheri

La faccenda dei nuovi capigruppo alla Camera e al Senato del M5S da rinnovare è ancora tutta aperta e a nessuno è sfuggito – neanche agli altri partiti – che il tentativo del presidente del Movimento di sostituire Davide Crippa a Montecitorio non è andato in porto. Se ne riparla a dicembre, a naturale scadenza del mandato (nei 5 Stelle il mandato è storicamente a rotazione). Né è ancora ben chiaro come andrà a finire a Palazzo Madama, dove l’uscente Ettore Licheri, a differenza di Crippa, è un fedelissimo contiano e dovrebbe riproporsi, ma attorno alla senatrice Maria Domenica Castellone si sta unendo un gruppo di scontenti che può riaprire la questione.

Maria Domenica Castellone

Maria Domenica Castellone

Le indiscrezioni uscite dopo il pranzo di lunedì scorso tra Conte ed Enrico Letta, con il nome di Paolo Gentiloni filtrato e bruciato in area M5S, non sono state gradite da molti parlamentari. “Quando mai si è detto sì o no a Gentiloni? Non è stata fatta nessuna riunione sull’argomento” è la considerazione arrivata da molti. “Il partito di maggioranza relativa in Parlamento non può pensare di risolvere il confronto interno tornando alla logica del ‘caminetto’” sibila Sergio Battelli.

sergio battelli

Sergio Battelli

Opinione tanto diffusa che Conte ha subito dovuto metterci una pezza: “Sul futuro nome ci deve essere ampia discussione interna. E non possiamo escludere neppure un passaggio in Rete, ma dovremo valutare candidati su cui ci sia una possibile convergenza degli altri partiti”, la sua puntualizzazione all’agenzia Adnkronos.

Mattarella

Il presidente Mattarella

Di carne al fuoco ce n’è parecchia, i nomi che girano nel M5S per ora sono più che altro legati a suggestioni, conta molto non “bruciare i nomi”, per citare sempre Di Maio, ma a Otto e mezzo. Si parla comunque di un bis di Sergio Mattarella, Liliana Segre, Pierluigi Bersani. Il no secco è riservato solo a una persona: Silvio Berlusconi.

Silvio Berlusconi Leader di Forza ItaliaSilvio Berlusconi Leader di Forza Italia

Silvio Berlusconi Leader di Forza Italia

E ora si dovrebbe parlare di quello, cioè del Cav e delle sue ambizioni al Colle, come dei molti movimenti in corso nell’area centrista, ma lo spazio è finito. Ne parleremo in un’altra sede, e in un’altra occasione, ma ovviamente assai presto…