Patrioti ‘rossoneri’… Meloni e Letta siglano il “patto del Risorgimento” contro Salvini&Renzi per mandare Draghi al Colle

Patrioti ‘rossoneri’… Meloni e Letta siglano il “patto del Risorgimento” contro Salvini&Renzi per mandare Draghi al Colle

13 Dicembre 2021 1 Di Ettore Maria Colombo

Patrioti sì, ma ‘rossoneri’… Meloni e Letta siglano il “patto del Risorgimento” contro Salvini & Renzi per mandare Draghi al Colle. Tutti contro il povero Cavaliere che vede allontanarsi il Quirinale

Meloni e Letta siglano il "patto del Risorgimento" contro Salvini & Renzi per mandare Draghi al Colle

Meloni e Letta siglano il “patto del Risorgimento” contro Salvini & Renzi per mandare Draghi al Colle

Nb: questo articolo è stato pubblicato il 13 dicembre 2021 sul sito di notizie Tiscalinews.it

“Un patriota al Colle?”. L’ultima ideona della Meloni…

Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi

Un patriota al Colle. E Berlusconi lo è”. Al netto del fatto che non si capisce se i presidenti della Repubblica che si sono succeduti finora (12, compreso l’ultimo Sergio Mattarella), si vede che tanto ‘patrioti’ non lo erano, se ora ne serve uno nuovo nuovo, fresco fresco, da eleggere, Giorgia Meloni, chiudendo la manifestazione di Atreiu, cioè la festa nazionale del suo partito, FdI (pare, a giudizio di FdI, che solo Atreiu sia stata, e sia, la festa politica dove i leader politici di tutti i partiti si confrontano liberamente e pacatamente, e vabbé, passi), è stata molto chiara, almeno formalmente, sulla richiesta specifica (il patriota). Eppure, le parole, si sa, non sempre inseguono i pensieri, anzi: a volte, li tradiscono, vedremo poi.

Meloni padrona di casa ad Atreju

Meloni padrona di casa ad Atreju

Il ragionamento della leader di FdI dal palco della giornata di una chiusura che, al netto di tre giorni su cinque di diluvio universale (Giove Pluvio non è stato benigno con i figli della Lupa), è stato un vero successo, per presenze e numeri, è stato questo: “Lavoriamo per la madre di tutte le riforme. Uscire dal pantano della Repubblica parlamentare ed entrare nella Repubblica presidenziale”.

Generale De Gaulle

Vaste programme, direbbe il generale De Gaulle…

Vaste programme, direbbe il generale De Gaulle, nel senso che, per farlo, trasformare l’Italia da repubblica parlamentare a presidenziale, servirebbe una riforma costituzionale assai complessa che, forse, non basterebbe una legislatura, per approntarla, ma tant’è. Meloni era consapevole che, sul punto, avrebbe incassato i no di Conte per i 5S e Letta per il Pd, ma anche qui poco importa. Conta, per lei, che Silvio Berlusconi il profilo del ‘patriota’ “ce l’ha” e – assicura la leader di FdI – “non l’abbiamo mai definito un candidato di bandiera, è un nome che compatta il centrodestra. Poi sappiamo che serve una convergenza di numeri” (e, su Silvio, non c’è, neppure dentro il centrodestra, figurarsi fuori).

Mario Draghi

Mario Draghi

Invece, su Draghi, si limita a notare che “non ho ancora elementi”, per giudicarlo “un patriota”, ma la possibilità resta aperta. E, in fondo, questo vuole la Meloni: ‘promuovere’ Draghi al rango di ‘patriota’ e spedirlo dritto per dritto al Colle e ottenerne, in cambio, libere e soprattutto rapide, cioè entro l’anno solare 2022, elezioni. Insomma, le parole della Meloni – da mesi ‘fredda’ sulle chanche del Cavaliere – sembrano più che altro modi gentili per ammansire il Cav, ma la prima a non crederci e non volerlo è lei.

Il sottile e non banale ragionamento dei meloniani: con Silvio salito al Colle, ci possiamo scordare il governo a Giorgia…

con Berlusconi al Colle, gli ‘alleati’ dell’Italia (Ue, Nato, Usa) già diventerebbero assai inquieti e suscettibili

Con Berlusconi al Colle, gli ‘alleati’ dell’Italia (Ue, Nato, Usa) diventerebbero assai inquieti e suscettibili

In ambienti molto vicini alla presidente di FdI, infatti, si fa questo ragionamento: , perché si ritroverebbe con un Capo di Stato che ha dato prova, in passato, di essere ‘pazzariello’, figurarsi se poi il Cavaliere, da Capo dello Stato, desse un incarico di governo alla ‘sovranista’ Meloni, anche se dovesse vincere le elezioni e reclamarlo, giustamente, per sé e per il suo partito arrivando prima dentro l’alleanza di centrodestra.

Farebbero di tutto, in buona sostanza, i ‘centri’ di potere per impedire che ciò accada, premendo su ‘Silvio’ – ricattabile per mille e uno motivi, aziende in primis – e chiedendogli di inventarsi un’altra soluzione ‘creativa’, stile ultimi governi, e cioè un bel governo di ‘salute pubblica’, ‘di larghe intese’, di ‘unità nazionale’ o ‘super-nazionale’. E così, addio sogni di gloria per Giorgia e per noi.

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi

Molto meglio – ragionano gli ambienti di FdI – mandare al Colle Draghi che, rassicurando tutti i partner dell’Italia, con la sua indiscussa autorità, garantirebbe anche che, con la Meloni premier, il nostro Paese resti solido nel suo europeismo e nel suo atlantismo senza diventare un Paese dell’Est ‘appestato’ come sono Polonia e Ungheria, governati da leader amici della Meloni.

Emmanuel Macron

Emmanuel Macron

Insomma, già il ‘cordone sanitario’ è difficile erigerlo verso paesi piccoli e non strategici come quelli dell’Est, se saltasse anche l’Italia – e, nel 2022, magari, scenario da incubo, pure la Francia, ove mai Macron perdesse le elezioni presidenziali – salterebbe l’Europa e gli equilibri. Uno scenario da incubo, oltre che inaccettabile, per gli ‘gnomi’ della finanza e potere mondiale, dicono sospettosi, gli antichi riflessi condizionati, i fan della rapida scalata di Giorgia al governo…

Il “patto del Risorgimento” che avrebbero stretto Meloni e Letta: sono molti gli interessi convergenti dei due leader

Il “patto del Risorgimento” che avrebbero stretto Meloni e Letta: sono molti gli interessi convergenti dei due leader

Il “patto del Risorgimento” che avrebbero stretto Meloni e Letta: sono molti gli interessi convergenti dei due leader

E qui ecco che scatta la ‘convergenza’ con Letta, e cioè il “patto del Risorgimento”, dal nome della piazza dove si è tenuta la festa di Atreju e non per antichi ricordi patriottici e risorgimentali. Quali?

Prima meglio elencare i tre obiettivi da ottenere: Draghi al Colle. Elezioni a ottobre 2022. E costruzione di un ‘sano’ bipolarismo all’italiana, con due forti, e riconosciuti, leader, loro due. Giorgia Meloni ed Enrico Letta avrebbero stretto quello che potrebbe passare alla storia come il “patto di (piazza) Risorgimento”. Un ‘Patto’ (non scritto, ovviamente) che intercorre tra due leader di partito che, più diversi tra loro, non li si potrebbe immaginare, in teoria, ma invece si sentono vicini e si capiscono al volo, oltre essere accomunati da convergenti interessi. Un patto che ha tre obiettivi di breve, medio e lungo periodo abbastanza chiari e ben definiti. Il primo è quello, appunto, di breve periodo, e riguarda l’elezione del Capo dello Stato che si aprirà da metà gennaio in poi, con il ‘raduno’ dei 1009 Grandi elettori dentro palazzo Montecitorio.

Sia Meloni che Letta – testimoniano gli uomini e le donne vicini a entrambi – sono mossi da due interessi convergenti.

Sia Meloni che Letta – testimoniano gli uomini e le donne vicini a entrambi – sono mossi da due interessi convergenti.

Sia Meloni che Letta – testimoniano gli uomini e le donne vicini a entrambi – sono mossi da due interessi convergenti. Sia Letta, ovviamente, che, anche, la Meloni, non vogliono permettere che Silvio Berlusconi abbia chance di salire al Colle, magari con un voto sul filo di lana dal IV scrutinio in poi, quando a Berlusconi – che parte da 451 voti – ne mancherebbero solo una manciata (55, e Iv, da sola, ne ha ben 43…) per essere eletto nuovo Capo della Stato. Letta perché, per lui e per il Pd, sarebbe una sconfitta, il patto con i 5S, già logoro, franerebbe perché una parte del Pd, alla fine, nel segreto dell’urna, Berlusconi finirebbe per votarlo, alcuni 5stelle pure, accuse e controaccuse sui franchi tiratori fioccherebbero come veleno, e l’immagine internazionale dell’Italia ne avrebbe a risentire, creando imbarazzi in Ue, Nato, Usa.

Giorgia Meloni

Giorgia Meloni

La Meloni perché, sentendosi a un passo dal poter ambire a palazzo Chigi, quando si andrà a votare, dato il costante favor dei sondaggi, rischierebbe di veder sfumare, o di farsi sfilare sotto il naso, l’incarico di formare il governo, come si diceva poc’anzi. Per le cancellerie europee e Nato, oltre che per i mercati e le borse, già Berlusconi al Colle sarebbe un vero trauma, figurarsi l’accoppiata con la ‘sovranista’ Meloni premier. La stessa costruzione dell’Ue sarebbe a rischio. Ergo, molto meglio che, al Colle, ci vada Draghi, un nome dallo standing internazionale indiscusso, che darebbe ampie garanzie, agli alleati Ue e Usa (e Nato), che anche dando un incarico a Meloni non vi sarebbero ‘mattane’ di sorta (un ministro del Tesoro ‘anti-euro’, programmi economici di spesa pubblica ‘allegra’, soldi del PNRR persi) e che una maggioranza di destra-centro non andrebbe a discapito degli alleati, facendo finire l’Italia in un angolo, quello degli ‘appestati’ d’Europa come sono, oggi, Polonia e Ungheria.

L’obiettivo di medio periodo convergente, per Meloni come per Letta, è di arrivare a elezioni anticipate, anche se solo nell’autunno del 2022, sia per tenersi buoni i peones(che, dal 15 settembre, maturano il diritto ai contributi per la pensione da parlamentare) e convincerli a votare Draghi al Colle, sapendo che difficilmente un governo, dopo di lui, potrebbe reggere a lungo, sia per non innervosire i mercati, dato che la nuova manovra economica (quella del 2022 sul 2023) sarebbe stata messa ‘in salvò da un governo tecnico, prosecuzione – e brutta copia, oltre che malferma – di quello Draghi, o da un governo emergenziale contro cui la Meloni, ottenendo le elezioni, non farebbe  né fuoco né fiamme, ma l’opposizione di sua Maestà (che poi è quella che, già ora, fa verso Draghi…).

Obiettivo politico di Letta

Obiettivo politico di Letta

Al contempo, Letta potrebbe sia cambiare gruppi parlamentari a lui non fedeli (anzi, tutt’altro…), gli attuali, per promuovere i suoi e, votando in autunno 2022, ‘saltare’ e rinviare a data da destinarsi un sempre pericoloso congresso anticipato del Pd e relative primarie.  Letta potrebbe presentarsi davanti agli elettori – lui, e non certo Conte – così, come il candidato premier ‘naturale’ di quel ‘campo largo’ che, ormai da mesi, dice di stare costruendo (anche se, ad oggi, con scarsi apporti e capacità di successo.

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Foto Roberto Monaldo / LaPresse – Giuseppe Conte

Un ‘campo’ cui i 5Stelle, guidati da Conte, ma assai deboli, impreparati al voto anticipato e in netta flessione nei consensi, vogliono partecipare, ma limitandosi a fare solo da ‘ruota di scorta’. Ergo, la naturale premiership del campo largo spetterebbe a lui, Letta, che pensa di potersela giocare fino in fondo la partita con una destra forte ma priva di ‘centro’ (da attirare, specie FI) e schiacciata su posizioni sovraniste e xenofobe perché fondata sul litigioso asse Salvini-Meloni. 

coronavirus parlamento agile

Serve un “Parlamento agile”

Infine, sia Meloni che Letta, sul lungo periodo, stanno seriamente pensando a una stagione ‘costituente’ che, con un Parlamento nuovo di zecca, finalmente legittimato dal voto popolare (a partire dalla prossima legislatura scatterà il taglio dei parlamentari che scenderanno a soli 600), possa approntare le riforme costituzionali che, in questa legislatura, tranne alcuni minimi ritocchi (voto ai diciottenni al Senato) non s’è potuto fare. Tra istituto della mozione di sfiducia costruttiva e rafforzamento dei poteri del premier (proposte del Pd), più la riforma dei regolamenti parlamentari e una nuova legge elettorale, e introduzione del semi-presidenzialismo in Italia (proposta di FdI) bisognerà, ovviamente, mediare e non è detto che si trovi ‘la quadra’, ma chi avrà più filo da tessere e la maggioranza nelle Camere tesserà e si vedrà.

Certo, Letta non può dire, oggi, se non al prezzo di essere linciato, nel suo partito, che gli va bene l’idea di trasformare l’Italia in una repubblica presidenziale, ma se ne inizierebbe a parlare, anche a sinistra, e Letta, forte di una piena investitura su di sé e sul Pd, potrebbe accettare, quantomeno, il tavolo di confronto, sulle riforme.

Nuova legge elettorale

Nuova legge elettorale

Infine, la legge elettorale: Meloni e Letta sono due maggioritaristi convinti (anche se con gradualità diverse, nei tecnicismi), quindi sono pronti a dire ‘no’, all’unisono, a qualsiasi ritorno al sistema proporzionale (caro ai centristi come ai 5Stelle), anche se sotto mentite spoglie, e vogliono accordarsi su una legge elettorale nuova (magari la pdl dem di Parrini e Ceccanti che prevede il ballottaggio tra le prime due liste o schieramenti con relativo premio di maggioranza) o tenersi stretti il Rosatellum, con la sua torsione maggioritaria che aiuta chi arriva primo a vincere.

Il ‘rovesciamento delle alleanze’: contro la coppia Meloni&Letta si staglia Salvini&Renzi

Salvini & Renzi

Salvini & Renzi

Del resto, se ogni partito e gruppo parlamentare è dotato del potere di veto, su questo o quel nome candidato al Colle, nessuno può giocare ‘da solo’: se Meloni si allea con Letta, Salvini va con Renzi.

Inoltre, se gli interessi convergenti di Meloni e Letta sono abbastanza chiari, sono due i rischi che minano la riuscita del “patto del Risorgimento”. Il primo è numerico. Pd e FdI rappresentano, tra i gruppi parlamentari, due partiti medio-grandi, ma non grandissimi e dal peso specifico assai relativo dato che, sommando deputati e senatori, FdI ne ha appena 58 e il Pd soltanto 132 (totale: 190), un numero troppo esiguo per poter condurre i giochi.

 meloni berlusconi renzi letta conte salvini

Collage Meloni Berlusconi Renzi Letta Conte Salvini

Il secondo problema è, invece, squisitamente politico: possono, Meloni e Letta, fare i conti senza gli ‘osti’? E cioè senza Silvio Berlusconi stesso e le sue truppe (129 i parlamentari di FI) e, soprattutto, senza l’altra coppia di ‘gemelli del goal’ che ormai si è formata, quella Renzi-Salvini (196 i parlamentari della Lega, 43 quelli di Iv)?  Per non dire del ‘pattuglione’, magmatico e ribollente di desideri, a volte patetici e a volte miseri, del gruppo Misto(101 parlamentari)? No, che non possono. E qui, appunto, entrano in scena gli altri attori della ‘corsa’ al Quirinale.

Un gioco in cui Renzi può tornare centrale, segnando la ‘messa all’angolo’ del Pd (oltre che dei 5Stelle) e seri dubbi per il futuro di Letta.

Ridimensionare Matteo Renzi a tutti i costi, l’input arrivato. La nuova coppia da battere è quella dei ‘due Matteo’…

Matteo Renzi

Matteo Renzi – Foto LaPresse –

Infatti, il Pd, ovviamente, vivrebbe come una sconfitta, un affronto e un pericolo l’ascesa di Berlusconi al Colle (ma anche quella di Casini o di un presidente di pura marca centrodestra) e, pur di evitarla, è disposto anche a ‘muovere’ Draghi da palazzo Chigi, dove, in teoria, Letta dice sempre vuole resti. Solo eleggendo, subito (cioè al primo scrutinio, e con larga maggioranza, che dal secondo al terzo la stessa figura di Draghi ne verrebbe intaccata) Draghi al Colle il Pd può evitare la catastrofe. E, cioè che,. dal IV scrutinio in poi, parta davvero un effetto bad wagon per Berlusconi (o per Casini, che Renzi spinge, volendo poi c’è sempre la Casellati…).

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I peones

Interessi convergente di Meloni e Letta è dunque ‘ridimensionare’ il potere d’interdizione di Renzi. Non a caso Renzi sta giocando di sponda e in maniera un po’ sporca: descrive il Parlamento come un lavoro ‘precario’ e ‘saltuario’ e i peones tutti a rischio ‘licenziamento’ perché, secondo lui, tranne lui, tutti gli altri leader vogliono andare a votare e venisse eletto Draghi, ci riuscirebbero.

Matteo Salvini

Matteo Salvini

L’atout o asso nella manica di Renzi è, però, quello di aver ripreso contatti e entende cordiale con quel Matteo Salvini che, a partire da oggi, inizierà un suo giro di ‘consultazioni’ tra tutti i leader politici, in vista della corsa al Colle, novità assai irrituale e francamente singolare che Meloni commenta algida e distaccata: “non lo sapevo, ma è una buona idea, tutti dobbiamo cercare convergenze, specialmente tra di noi…”.

Pierferdinando Casini

Pierferdinando Casini

Salvini ha ribadito che “Berlusconi è il nostro candidato”, ma anche lui, in maniera riservata, ci punta poco o nulla. Preferirebbe di gran lunga accordarsi con Renzi (su Casini) o promuovere una donna di centrodestra (Letizia Moratti) per far vedere che la partita l’ha risolta lui e, in ogni caso, per sbarrare la strada a nomi del Pd. Una sola cosa accomuna Meloni, Salvini, Renzi e persino Letta: stavolta, il boccino in mano ce l’ha il centrodestra (451 Grandi elettori su 1009). A loro spetta la proposta ufficiale, quella del primo scrutinio, quando i giochi si apriranno. La ‘mano’ di apertura, come si dice a poker, spetta al centrodestra, che deve ‘parlare’. Perché, in fondo, sarà un poker…