“Facimme ammuina”… Il ‘Grande Gioco’ del Colle s’infittisce. Draghi e Berlusconi i ‘veri’ candidati a succedere a Mattarella

“Facimme ammuina”… Il ‘Grande Gioco’ del Colle s’infittisce. Draghi e Berlusconi i ‘veri’ candidati a succedere a Mattarella

17 Dicembre 2021 1 Di Ettore Maria Colombo

“Facimme ammuina”… Il ‘Grande Gioco’ del Colle s’infittisce. Draghi e Berlusconi i due ‘veri’ candidati a succedere a Mattarella, che continua sempre a negarsi

 

"Facimme ammuina"... Il 'Grande Gioco' del Colle s'infittisce. Draghi e Berlusconi i 'veri' candidati a succedere a Mattarella

“Facimme ammuina”… Il ‘Grande Gioco’ del Colle s’infittisce

Nb: questo articolo è stato pubblicato il 17 dicembre 2021 sulle pagine del sito di notizieThe Watcher Post.it

 

Fuori uno. Mattarella si (ri)chiama fuori, ma è giallo sulle parole di rito del Vaticano: sparisce la formula “visita di congedo”…

Visita di congedo di Mattarella a Papa Francesco

Visita di congedo di Mattarella a Papa Francesco

Fuori uno. Sergio Mattarella si chiama fuori, per l’ennesima volta, dalla successione a se stesso, sul Colle, con un uno-due che più formale, istituzionale e diplomatico non si potrebbe fare.

Mattarella papa Francesco

Papa Francesco I, con la splendida figlia Laura

Prima va in “visita di congedo” (ma la formula di rito presto scompare dal comunicato ufficiale del Vaticano, il che dà subito adito ai ‘soliti sospetti’ sul fatto che, invece, potrebbe restare…) da Papa Francesco I, con la sua intera famiglia, dalla splendida figlia Laura, sempre delicata, sempre gentile e premurosa, sempre un passo indietro, e alcuni dei suoi tanto amati nipoti. “Grazie della sua testimonianza” gli dice il Papa, e non è un mistero che, dentro le mura vaticane, vorrebbero che Mattarella restasse lì dov’è o che, almeno, il Parlamento eleggesse un profilo simile.

padre Antonio Spadaro, il direttore della Civiltà Cattolica, uno degli uomini più vicini a Francesco

Padre Antonio Spadaro, il direttore della Civiltà Cattolica, uno degli uomini più vicini a Francesco

Quali segnali si possono cogliere in filigrana dalla lunga visita di due ore in Vaticano, di cui 45 minuti di colloquio a tu per tu tra il Pontefice e il capo dello Stato? Una buona chiave di lettura la offre un’intervista rilasciata ieri all’AdnKronos da padre Antonio Spadaro, il direttore della Civiltà Cattolica, uno degli uomini più vicini a Francesco. Alla domanda se fosse possibile un Mattarella bis, Spadaro dice: “Lui ascolterà la voce che viene dal Paese. Mattarella crede nel valore delle istituzioni che si esprimono nei tempi, nelle scelte, nella disponibilità. Quali saranno le richieste della base politica, si vedrà”. Aggiunge però, lo spin doctor del Papa, subito: “Certamente quello che mi sembra bello è vedere come la popolarità di Mattarella sia molto alta pur tenendo lui un profilo molto basso”. Disponibilità, dunque, umiltà e costruttore di unità, le caratteristiche di Mattarella, secondo Spadaro, e pure quelle che piacciono in Vaticano, dove si ‘prega’ perché le abbia anche il suo successore (evidente, dunque, che le ‘preghiere’ del Vaticano di Francesco non sono rivolte al Dio del Cavaliere). 

Il Presidente Matatrella

Il Presidente Mattarella

Poi, nel pomeriggio, il Capo dello Stato parla al corpo diplomatico (gli ambasciatori accreditati al Quirinale) per i saluti di fine anno: “oggi, per me, è anche l’occasione di un commiato” dice loro, nel ringraziarli tutti. Insomma, sembra proprio che Mattarella no, non abbia alcuna intenzione a un bis, come dicono anche i suoi consiglieri dentro il Quirinale e pure quelli fuori (l’ex presidente del PPI Castagnetti, che però ammette: “La pandemia sta cambiando volto e storia, di nuovo, al Paese…“)

Mario Draghi

Mario Draghi

Per uno che va, dentro, però, un altro. Si chiama Mario Draghi, formalmente sta a palazzo Chigi e, soprattutto per la gioia dei peones di tutti i partiti (“se cade la legislatura – fa di calcolo un 5Stelle nel cortile di palazzo Montecitorioio ci perdo 200 mila euro e devo rinegoziare il mutuo con la banca…”), dovrebbe restarci. Ma del premier tutti analizzano parole e non detti, sospiri e malcelate intenzioni. “Ci ha detto buon Natale! Vuole congedarsi da premier!” sibila un dem, assai sospettoso, dopo averlo sentito parlare, l’altro giorno, alla Camera. “Ha anticipato la conferenza stampa di fine anno al 22 dicembre, vuol dire che si lancia al Colle” dice preoccupato il leghista di vecchio conio.

A imbullonare Draghi a palazzo Chigi ci si mette pure il riconoscimento del giornale finanziario inglese The Economist. L’Italia, per la popolare rivista britannica, è il “Paese dell’anno 2021”. Il premio va al Paese che “è migliorato di più nel 2021” e l’Economist sceglie l’Italia “per la sua politica” perché “con Mario Draghi l’Italia ha acquisito un premier competente e rispettato a livello internazionale”. Immediate le reazioni di giubilo. Da Ronzulli e Bergamini (FI) a Bellanova e Rosato (Iv) fino a Calenda (Azione) sono in tanti col destro per dire “avanti così, Draghi rimanga dov’è”…

Tutti i partiti, e i loro leader, da Salvini a Letta, passando per Conte vorrebbero che Draghi restasse dov’è

Tutti i partiti, e i loro leader, da Salvini a Letta, passando per Conte vorrebbero che Draghi restasse dov’è

Tutti i partiti, e i loro leader, da Salvini a Letta, passando per Conte (tutti tranne una, la Meloni, che però è anche la sola che vorrebbe correre al voto anticipato appena possibile e in ogni condizione), vorrebbero che Draghi restasse dov’è, a Chigi, perché temono che la maggioranza poi non regga (e ne hanno ben donde), ma dall’altra parte sanno anche che, per ‘fermare’ la corsa di Berlusconi (il terzo incomodo, come vedremo) hanno solo una carta in mano: spedire Draghi al Quirinale (si parte, contando tutti i voti dei partiti che reggono l’attuale maggioranza di governo, da 710 voti, uno in meno già sarebbe uno smacco, per Draghi e di certo ne farebbe vacillare la corsa) e acconciarsi a sostenere un nuovo governo, più o meno con la stessa maggioranza, a guida Franco (o Cartabia), anche se c’è, persino tra i ministri, chi liquida la prospettiva con parole al fiele (“Franco chi? Sì, Franco Franchi”…). Tutti gli altri nomi che pure si fanno (Casini, Amato, Cartabia, Casellati, Pera) sono deboli, alla prova dei numeri, e di Aule ‘ingovernabili’: non reggerebbe neppure l’azzardo su di loro dal IV scrutinio in poi.

Luigi DI Maio

Luigi DI Maio

Io non voglio entrare nel totonomi – avverte il ministro degli Esteri Di Maio (un giorno accusato di brigare con i dem, un giorno con Giorgetti, etc, ndr) ma il premier va protetto dai giochi politici”. Lo stesso Di Maio che dice a Conteva bene il dialogo con Letta, ma bisogna ascoltare tutti” e avverte: “bisogna ascoltare il Parlamento perché il partito dei franchi tiratori aumenta e c’è un gruppo misto che è il più grande della storia…”. Parole sagge, ponderate, di chi conosce i ‘polli’ che navigano, solitari, dentro il Parlamento.

 

Il ‘terzo incomodo’, il Cavaliere mascherato, ci crede eccome…

Berlusconi

Il Cavaliere le cui chance di elezione al Colle più alto, dopo tanti decenni di guai, giudiziari compresi, problemi e tribolazioni, salgono

Ed ecco che, appunto, in questo baillamme di voci che si inseguono, di stop and go asfissianti, di ‘consultazioni’ di Salvini che sente tutti i leader, anche quelli minori, ma via WhatsApp, come rivela Nicola Fratoianni (sic), anche se il leader della Lega assicura che “entro fine anno convocherò tutti i leader di partito a Roma, attorno a un tavolo, non sui giornali, ho avuto l’ok di tutti, lo farò dopo la legge di Bilancio, non voglio passare un gennaio di confusione, con trenta votazioni” (e nemmeno di ‘confusioni’ di consultazioni irrituali…) e di Giorgia Meloni che finge di plaudire a Salvini ma cui tocca soprattutto ‘precisare’ la sua definizione di presidente ‘patriota’ (“Non vuol dire che un patriota esista solo nel campo della destra, magari anche da altre parti, facciano i nomi, non dei passati, Pertini, ma dei presenti”), spunta fuori il ‘terzo incomodo’, Silvio Berlusconi.

Giorgia Meloni

Giorgia Meloni

Lui ci crede e affina la sua strategia. Che poi è questa. ‘Comprati’ i peones del Misto uno a uno (sarebbero già 20 o 30 quelli ‘avvicinati’ con successo cui è stato promesso di tutto), stretto un patto di ferro con Renzi e con i centristi,minacciati’ Salvini e Meloni (“se mi tradiscono, gli scateno contro le mie tv e rompo l’alleanza”, sarebbe stata la ‘minaccia’ o l’offerta che ‘non si può rifiutare’, avrebbe riferito a un amico il deputato ex dc Gianfranco Rotondi, il quale però riconosce anche che “se scende in campo, e formalmente, Draghi, Silvio farà non uno ma due passi indietro, per il bene del Paese”) e considerando che “a quel punto Letta e Conte potranno votarsi pure il loro candidato di bandiera ma perderanno, restando al tappeto”), persino millantando – riferisce sempre Rotondi – “un patto con Conte: loro escono dall’Aula, oppure mi votano, in parte, se ce la faccio bene, altrimenti voto chi mi diranno loro, tipo Sabino Cassese o chi vogliono loro, perché io i patti li rispetto sempre”, ebbene eccola squaternata la strategia del Cavaliere.

Gianfranco Rotondi

Gianfranco Rotondi

La linea già scelta, ma da mettere in pratica, al momento del voto, è di ‘obbligare’ i partiti del centrodestra a votare scheda bianca alle prime tre votazioni, quando il quorum è di due terzi (674 voti su 1009 Grandi elettori, i due seggi mancanti – uno alla Camera, un seggio uninominale, e uno al Senato, un eletto all’estero decaduto – saranno completati per la data di convocazione, fissata a spanne per il 19 gennaio, al massimo per il 24, si dice dalle parti di Fico, che manderà la lettera di convocazione alla Befana) e di iniziare a votare il suo nome dal quarto scrutinio in poi, quando basta la maggioranza assoluta (506 voti). E la ‘squadra’ che si muove all’unisono con il Cav?.

Paolo Barelli

Paolo Barelli

Eccola. Il neo-capogruppo alla Camera, Paolo Barelli, tiene i rapporti con gli altri gruppi parlamentari, specie i 5Stelle e i tanti ex M5s finiti nel gruppo Misto (sono ormai ben più di 100 parlamentari, in tutto), Gianni Letta e Fedele Confalonieri interloquiscono coi centristi (Renzi, Calenda, ma anche gli ex diccì sparsi) mentre Denis Verdini, dal suo eremo fiorentino, parla un po’ con tutti, ex parlamentari e attuali. Ma si dice che Verdini ‘giochi’ anche su un altro tavolo, per il suo ‘suocero’ Salvini, avanzando il nome del conservatore, già presidente del Senato, Marcello Pera, gradito a Renzi e altri centristi.

Antonio Tajani

Antonio Tajani

Le dichiarazioni di giubilo da parte degli espon enti di FI, ovviamente, si sprecano. Antonio Tajani martella, un giorno sì e l’altro pure, che “Silvio Berlusconi sarebbe il miglior presidente della Repubblica. Se lui deciderà di farlo, sarà una scelta sua, ma porre veti su di lui, dopo avere avuto presidenti della Repubblica che venivano dal Pd è un errore. Salvini e Meloni hanno dimostrato sempre di essere leali e coerenti. Il centrodestra sarà coeso alla presentazione della candidatura e del voto”.

 

Tutti quelli che, invece, Berlusconi non lo vogliono proprio…

Salvini e la Meloni

Salvini e la Meloni

Il problema è che Berlusconi non lo vogliono mica così tanto, Capo dello Stato, Salvini e Meloni (“con un Capo dello Stato come Silvio, a Matteo o a Giorgia mai arriverebbe l’incarico di formare un governo, la Ue, gli Usa e la Nato non lo permetterebbero mai, tornerebbe in auge Draghi”, sibilano i loro), figurarsi Letta e Conte.

Il primo, il segretario dem, “non vuole eleggere un presidente alla Leone (che prese 505 voti, ndr.), ma con i voti di tutti, come Cossiga e Napolitano (che ne ebbero 700, ndr.)”. Ma soprattutto Letta avverte: “Le forze politiche non reggerebbero venti votazioni, sarebbero sottoposte a pressioni troppo forti, con inevitabili conseguenze sulla stabilità della legislatura”. “Serve – dice Letta – metodo e condivisione per eleggere un Presidente con un largo consenso”, il che vuol dire al massimo nei primi tre scrutini, anche se Letta parla dei “primi quattro o cinque”, il che però vorrebbe dire eleggerlo a maggioranza assoluta, cioè risicata, appunto, e non dei due terzi (lapsus freudiano?).

Enrico Letta

Enrico Letta

In ogni caso, per Letta, “rivedendo la storia dei 12 presidenti fino a oggi, non c’è mai stato nessun capo politico, e non è un caso (e qui, appunto, il riferimento ‘a contrario’ è a Berlusconi, ndr.), tanto che quelli che sono stati eletti finora erano stati in gran parte presidenti di uno dei due rami del Parlamento, Mattarella è stato giudice alla Consulta”. Senza dire del fatto che “chiunque salirà al Colle dovrà affrontare la crisi della magistratura con un rapporto sano, equilibrato, tra poteri dello Stato”. Un doppio motivo, ben solido, seppure ammantato di nobiltà, per mettere ‘fuorigioco’ il Cavaliere, cioè.

Silvio Berlusconi Leader di Forza ItaliaSilvio Berlusconi Leader di Forza Italia

Silvio Berlusconi Leader di Forza Italia

Il secondo, il leader del M5s, ribadisce che “Berlusconi non è il candidato del M5S e non avrà i voti del M5S. Per eleggere il presidente della Repubblica di tutti gli italiani, vista la situazione che stiamo vivendo, sarebbe bene che le forze politiche cerchino la più ampia condivisione. Per evitare che il presidente della Repubblica nasca fuori (sic, ndr.), dobbiamo mirare ad una figura di alto profilo morale”. Già, il problema è che l’M5s è una barca che fa acqua. I dem si dicono molto “preoccupati” dalla tenuta dei gruppi dei 5S.

Il ministro alla difesa Lorenzo Guerini

Il ministro alla difesa Lorenzo Guerini

Il rischio che il ‘ventre’ dei parlamentari stellati esploda è altissimo, al Nazareno lo sanno e monitorano in modo costante l’evolversi dei gruppi del M5s con le loro antenne in Parlamento. “Noi siamo in salute, e cresciamo nei sondaggi, mentre Conte è imballato, non riesce a essere il ricostituente che pensavano” sibilano i dem.

E Andrea Romano, portavoce di Base riformista, arriva al punto di dire a Conte “datti una mossa. Deve pensare di più alle battaglie identitarie e meno agli organigrammi, mostrarsi più muscolare e incisivo” è il consiglio (non richiesto) del dem mentre il suo ‘capo corrente’, il ministro Lorenzo Guerini, dialoga amabilmente, e tutti i giorni, con il suo omologo Di Maio (non solo di ambascerie e soldatini) e conviene con lui: “non si possono mettere veti, da parte di partiti del 15-20% a partiti del 2-3%, con Iv e Azione serve dialogo”. “Quando quei due si parlano, poi a gennaio succedono sempre cose interessanti…” ghigna un altro dem di Base riformista, ricordando la crisi del governo Conte e la nascita di quello Draghi, che vide in regia occulta pure Di Maio e Guerini, oltre Renzi e Mattarella.

 

A risultare decisivo, al solito, però, sarà Renzi e il suo centro…

Matteo Renzi

Matteo Renzi

Chi di certo si dà, e da tempo, una mossa, sono i centristi. Soprattutto Matteo Renzi, in gran spolvero da mesi, nonostante i guai giudiziari, e la sua Iv, al centro di tutti i giochi.

Ettore Rosato

Ettore Rosato

Il suo ‘primo generale’, il coordinatore di Iv, e vicepresidente della Camera, Ettore Rosato, dice al Foglio che “bisogna affrettarsi a riportare Di Maio in auge, sennò è il caos” mentre il deputato renziano Luciano Nobili assicura che “alla fine il Grande Centro lo faremo proprio con Di Maio”, oltre a invitare a votare, “per evitare casini”, “i due Casini” (Pierferdinando al Quirinale e Lorenzo al collegio uninominale della Camera di Roma 1).

luciano nobili

Luciano Nobili

il loro leader, inoltre, va verso la ‘fusione’ dei gruppi di Iv (43 parlamentari) con quelli di ‘Cambiamo!”, la formazione di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro (con il secondo, però, ormai in rotta con il primo), che di parlamentari/Grandi elettori ne conta 29, per dar vita al ungruppone centrista di 72 elementi (Renzi e Toti getteranno le basi del gruppone in un incontro a due che terranno sabato prossimo, pare che persino Salvini non sia contrario…) che potrebbe pesare non poco, nella scelta del nuovo inquilino del Colle.

I due ‘dogi’ Toti e Brugnaro prendono il largo

I due ‘dogi’ Toti e Brugnaro prendono il largo, Toti e Brugnaro

Sia che il nuovo inquilino del Colle sia Draghi, cioè un presidente da eleggere a larga maggioranza, sia che si tratti di un ‘terzo nome’, ancora ignoto, tra quelli, tanti, papabili, da tirare fuori dal cilindro, sia che si tratti, a sorpresa, del blitzkrieg di Berlusconi – che sull’apporto di Renzi e dei centristi conta, eccome: si dice che quei voti siano già suoi – che, dal IV scrutinio in poi, può rompere tutti i giochi e diventare la variabile impazzita e vincente, del ‘Grande Gioco’ del Quirinale, saranno loro, i centristi, a fare la differenza.