Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur… Il Pd va al congresso e si scanna al suo interno

Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur… Il Pd va al congresso e si scanna al suo interno

29 Ottobre 2022 0 Di Ettore Maria Colombo

“Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”…. Il Pd va al congresso e si scanna al suo interno sulle regole! E’ tutto meraviglioso, compreso il fatto che, nel frattempo, il governo Meloni e tutte le altre opposizioni macinano posizioni e consensi

Dum Romae consulitur Saguntum

Nb: questo articolo è pubblicato in forma originale, in parte per Quotidiano Nazionale e in parte per il sito Tiscali.it usciti entrambi il 29 ottobre 2022.

Una locuzione latina arcinota e che ha ‘fatto’ la Storia…

il generale cartaginese Annibale Barca

Il generale cartaginese Annibale Barca

La locuzione latina “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” significa mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata (Tito Livio, Storie, XXI, 7, 1). In realtà, la citazione esatta sarebbe “Dum ea Romani parant consultantque, iam Saguntum summa vi oppugnabatur”. Insomma, un tantinello meno efficace e icastica di come confusi ricordi liceali fanno ricordare. Inoltre, la frase non è pronunciata dagli ambasciatori di Sagunto per chiedere l’aiuto di Roma nello sforzo di respingere l’assedio che nel 219 a.C. il generale cartaginese Annibale Barca aveva posto alla città, ma è, bensì, l’amaro commento e chiosa di Tito Livio alla situazione (cfr. Livio, XXI, 7, 1). Uno storico che, come maestria e scrittura, solo Tacito e Svetonio, ecco.

Tito Livio

Tito Livio

In buona sostanza, Roma tergiversava, non si decideva a mandare aiuti, sicché dopo otto mesi di combattimenti la città si arrese e Annibale (Barca, attenzione, ‘non’ Annibale l’Africano), la rase al suolo. Un attacco che, però, divenne il casus belli della seconda guerra punica, quella che, appunto, vide l’altro Annibale, quello più ‘famoso’ anche a chi non ha fatto il liceo classico, invadere l’Italia, passando per le Alpi, e mettere, a lungo, nel sacco i romani, fino alla fatidica battaglia di Canne, capolavoro di strategia militare (vinse Annibale, che polverizzò le legioni romane, umiliandole).

Quinto Fabio Massimo (detto ‘Cuncator’, il Temporeggiatore)

Quinto Fabio Massimo (detto ‘Cuncator’, il Temporeggiatore)

Una vera e propria invasione sul sacro suolo della Repubblica che solo la tempra di un generale e console romano, Quinto Fabio Massimo (detto ‘Cuncator’, il Temporeggiatore), con la sua abile strategia, riuscì, alla fine, a battere, oltre che le indecisioni dello stesso Annibale (i noti ‘ozi di Capua’) che, pur potendo, non si decideva ad attaccare Roma.

Hannibal ad portas

“Hannibal ad portas”

Ne segue un’altra famosa locuzione, “Hannibal ad portas!” (“Annibale è alle porte!”) con cui le matrone romane usavano spaventare i loro figli, qualora non volessero andare a dormire, proprio perché l’attesa (pur mai effettivamente giunta…) di Annibale serviva, almeno, a metterli a letto.

Tornando alla frase di Tito Livio, di solito si cita solo la prima parte della frase (Dum Romae consulitur…), con riferimento traslato a coloro che perdono molto tempo in consultazioni continue senza decidere, in un contesto che invece richiederebbe decisioni molto rapide.

Carlo Alberto Dalla Chiesa 1

Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ucciso dalla mafia nel 1982

Destò, poi, grande impressione la citazione che di questa storica frase fece, a Palermo, il cardinale Salvatore Pappalardo durante l’omelia del funerale del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ucciso dalla mafia nel 1982: con essa voleva esortare a una maggior vigilanza e presenza dello Stato nel contesto drammatico di violenti omicidi mafiosi. Ma, dunque, perché questa lunga premessa?

il governo Meloni macina sia decisioni che consensi

Il governo Meloni macina sia decisioni che consensi

Perché la frase si attaglia molto bene al principale partito di opposizione, il Pd, che – mentre il governo Meloni macina sia decisioni che consensi e, paradossalmente, persino le altre opposizioni (M5s di Conte e Terzo Polo) pure – si attarda, in mezzo al guado di una ‘discussione’ abbastanza incomprensibile, fumosa, quella sul suo futuro, sul suo Congresso (anticipato) e su ‘quale’ dovrà essere la struttura, la forma, il nome e i contenuti (l’ubi consistam, direbbero sempre i romani…) della propria funzione, prospettiva, vita, destino. E, allora, veniamo al tema del presente articolo

 

Ecce congressum! Primarie il 12 marzo (si, ma del 2023!) e una discussione ‘franca’, cioè molto dura avvenuta ieri in Direzione…

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Ecce congressum! Primarie il 12 marzo (2023!) e una discussione ‘franca’, cioè molto dura…

Ecce congressum! Il nuovo segretario del Pd sarà eletto dalle primarie, il 12 marzo 2023. In mezzo, un lungo percorso di quattro mesi e mezzo aperto a chi vorrà iscriversi fin alla soglia delle primarie, cioè in pratica ‘alla qualsiasi’. Una scelta mai fatta e che – dicono i maligni – serve a ‘fermare’ la scalata ‘ostile’ di Bonaccini al Pd, scalata che tanti big dem vogliono scongiurare.

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Enrico Letta, sarà “arbitro nel congresso”, “guida nell’opposizione”

Ma se la mediazione di Enrico Letta, che sarà “arbitro nel congresso”, “guida nell’opposizione”, è passata, non è stato all’unanimità, però, stavolta, tra astensioni, voti in dissenso, sotto forma di non partecipazione al voto (l’area di Matteo Orfini, ma anche Prestipino, Morani, Bruno Bossio, Moretti, Di Salvo, etc.) e contrari (uno solo, in realtà).

volano gli stracci

E’ stata una discussione franca”, il che vuol dire che sono volati gli stracci

“E’ stata una discussione franca”, dicono tutti, il che vuol dire che sono volati gli stracci. Tra chi spingeva per anticipare, e tanto, i tempi, specie Bonaccini e l’area di Guerini e chi (Provenzano, Orlando, la sinistra) ha chiesto, nella Direzione di ieri, tempi adeguati per una discussione ‘vera’. Cioè, tempi ‘lunghi’ (almeno sei mesi, era l’idea) che, però, al giorno d’oggi, diventano ‘biblici’.

Bonaccini e Guerini

Bonaccini e Guerini

Un confronto, dunque, duro che preannuncia già la disposizione delle forze in campo quando si presenteranno i vari candidati e mozioni. ‘Destra’ (Bonaccini, spalleggiato da Guerini) riformista, e più sensibile alle sirene del Terzo Polo e moderati contro ‘sinistra’ (tutti gli altri, dalla sinistra in giù), che invece si sentono molto più ‘attratti’ dalle ‘sirene’ di Conte e dei 5Stelle, ex ‘campo largo’, diventato sempre più ‘stretto’, ma tant’è. Più due outsider (Matteo Ricci e la De Micheli) che cercheranno di ‘disturbare i manovratori’.

Le ‘alternative’: quando la ‘destra’ sta contro la ‘sinistra’ interna

alternative

Bonaccini, che presto si lancerà in via definitiva, ben più, cioè, di quanto abbia fatto fino ad oggi, ha fatto capire che avrebbe voluto un percorso più rapido: “Al di là delle diverse posizioni, è cosa buona e saggia trovare un accordo su regole e percorso. Stiamo attenti a non rimanere appesi all’immagine del 25 settembre, però, perché questa è l’impressione. E a non fare di questa fase costituente uno spazio di discussione filosofica sul senso della sinistra e della vita mentre gli altri governano”. Appunto, come dargli torto? Parole sante e puntute, le sue, in replica a chi, da Provenzano a Orlando, vuole una discussione vera e dice: “Se stiamo solo provando a fare un restyling di quello che c’è, non è sufficiente”. Tra ‘tempi brevi’ e ‘tempi lunghi’, Letta – il quale, però, propende per i secondi contro il primo – ha salomonicamente deciso per i soliti ‘tempi medi’.

Le critiche di Orfini e Zanda all’attuale assetto e organigramma

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Matteo Orfini

Ma pure il ‘lavoro’ d’opposizione è finito nel mirino, con critiche dure, come Matteo Orfini: “In aula siamo andati male perché non abbiamo saputo leggere bene il cambio di fase e nemmeno il rapporto con le altre opposizioni “che puntano a spolparci. Va bene attaccare il Terzo Polo e la sua ambiguità, ma è assurdo non rispondere ai 5S, all’ipocrisia trasformista mostrata da Conte”.

luigi zanda

Rincara la dose l’ex capogruppo Luigi Zanda

Rincara la dose l’ex capogruppo Luigi Zanda: “il Pd deve rispondere colpo su colpo alle provocazioni di Conte come di Renzi”. Sul punto si esercita, però, e parla anche Bonaccini: “Le ragioni per cui il Pd è nato ci sono tutte, ma per la prima volta abbiamo, alla nostra destra e alla nostra sinistra, tra le opposizioni, due alternative possibili, entrambe legittime. Il Pd non ha un futuro scontato. Serve metterci in moto subito”, avverte, paventando il rischio ‘estinzione’. Modello, cioè, Psf francese, ormai diventato il vero mantra, sotto forma di incubo, del Pd attuale.

Ecco le famose ‘regole’ congressuali, ma hanno ‘il barbatrucco’ incorporato con cui la Sinistra dem vuole ‘fermare’ Bonaccini

pd barbatrucco

E le famose regole, quelle che tanto piacciono a un partito ‘leguleio’ per definizione come il Pd? Dal 7 novembre ci si potrà iscrivere alla piattaforma congressuale, poi si terrà l’Assemblea nazionale (unico organo deputato, per Statuto, a indire il congresso e a ‘sciogliere’ gli organi fin qui avuti, quelli ‘dirigenti’), a metà novembre, che dovrebbe sciogliere anche alcuni nodi procedurali: chi redige il Manifesto dei valori, come saranno le mozioni, il manifesto, chi deve redigerle, come, se ci sarà un congresso solo per candidati o, anche, per mozioni legate a essi…

Dario Nardella

Dario Nardella (ex renziano, ormai pure ex di Base riformista, in via di avvicinamento alla sinistra interna)

E, soprattutto, il nodo dell’apertura all’esterno: il sospetto è che le nuove ‘regole’ – decise, in buona sostanza, da Letta stesso, con l’accordo dei big- servano a portare dentro solo pezzi di gruppi dirigenti (come Articolo Uno) per ‘aiutare’ non certo Bonaccini, ma il suo (futuro) avversario che, al momento, sembra che sia e sarà il sindaco di Firenze, Dario Nardella (ex renziano, ormai pure ex di Base riformista, in via di avvicinamento alla sinistra interna) che, forse, correrà in tandem con la ‘pasionaria’ della sinistra-sinistra, nonché italo-svizzera-americana, nonché lesbica dichiarata, nonché ex vicepresidente dell’Emilia-Romagna, la deputata Elly Schlein, o forse no.

Elly Schlien

Elly Schlein

In ogni caso, la ‘sinistra’ (interna) è alla disperata ricerca di un candidato/a da contrapporre a Bonaccini, considerato il ‘vero’ latore di tutti i mali, ‘cavallo di Troia’ del riformismo, ma soprattutto del renzismo, che – secondo loro – vorrebbe fare del Pd una sorta di ‘mega Italia Viva’, un partito succedaneo di tutti i moderatismi che, alla sinistra, fanno tanto schifo.

Ed ecco, appunto, che si entra in uno di quei meandri che tanto ‘piacciono’ alla nomenklatura dem e che tanto lasciano basiti i suoi militanti (quei pochi, si capisce, che ancora esistono e ci credono…).

Il Pd ha deciso che stavolta si gioca a rugby, non si tira di fioretto

Il Pd gioca a rugby, non tira più di fioretto

Il Pd gioca a rugby, non tira più di fioretto

E qui tocca ricorrere al classico proverbio sapienziale popolare. “Fatta la legge (o, meglio, il regolamento), trovato l’inganno”. Il Pd si auto-conferisce, come del resto è giusto, le regole per andare al suo congresso anticipato. L’ultimo step, le primarie aperte, si terranno il 12 marzo 2023 (in mezzo, in pratica, oltre quattro mesi in cui, nel frattempo, il governo Meloni farà e disferà come meglio crede e piace quello che vuole, ma tant’è), e questo già è un (primo) risultato. Il problema, tanto per cambiare, sono la croce e delizia del Pd medesimo, le famose ‘regole’ congressuali

Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna

Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna

Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna, ormai in pista, ma che ha contro tutti gli altri maggiorenti dem, specie quelli della sinistra interna – i quali, però, ancora faticano a trovare un oppositore degno per tentare l’ardita impresa di batterlo – credeva che le ‘regole’ sarebbero state quelle della scherma (sport noto per la sua, insita, cavalleria), invece saranno quelle del rugby, sport da ‘maschiacci’ per eccellenza. Non che, si capisce, nel rugby non ci siano, le regole, ma insomma, la ‘mischia’ è sicura e il fango pure, ecco tutto. In pratica, tutti gli iscritti (al Pd), ma pure agli altri partiti ‘fratelli’ (Art. 1, Demos, Psi) della lista ‘Italia democratica e progressista’ che si è presentata alle ultime elezioni politiche, perdendole di brutto, potranno votare. Fino all’ultimo uomo e donna e fino, soprattutto, fino all’ultimo giorno.

Questa la prima, vera, novità. Il che è assai curioso. Da quando mondo è mondo, infatti, e cioè da quando il Pd esiste (2007), il tesseramento dell’anno solare in corso veniva ‘chiuso’ a far data un giorno e un mese preciso (di solito il novembre o il dicembre dell’anno stesso), proprio per evitare ‘inquinamenti’ dell’ultima ora.

Inoltre, se è vero che alla seconda fase, le cd. ‘primarie aperte’, per votare bastava dichiararsi elettori e/o simpatizzanti del Pd, pagando 5 euro, alla prima fase, le primarie ‘chiuse’, accedevano solo gli iscritti al ‘partitone’ (a data di cui sopra). Qui, invece, tutti (ma proprio tutti) possono iscriversi e partecipare, ove vengano folgorati sulla via di Damasco del ‘nuovo’ Pd. Evviva.

Peccato che questo sia un modo come un altro per ‘cammellare’ truppe, quelle degli anti-Bonaccini.

articolo regole

In più, ecco materializzarsi l’altra ‘regoletta’ di cui non si è accorto

In più, ecco materializzarsi l’altra ‘regoletta’ di cui non si è accorto, in pratica, finora, nessuno, anche perché è stata votata a sera tarda, in ‘coda’ alla discussione generale, non è prevista né scritta neppure nel regolamento congressuale e si è saputa solo perché Bonaccini ha chiesto, sul punto, lumi a Letta, che però ha confermato l’eccezione (alla regola) e dunque ha risposto picche.

congressi di ben quattro regioni (Lazio, Lombardia, Friuli, Molise) che, a marzo (o poco dopo o poco prima) andranno al voto per eleggere il proprio nuovo governatore vengono ‘sospesi’, ‘cristallizzati’ nel nulla eterno. Con la scusa che in quelle regioni si vota, ma per le regionali, i congressi locali, nelle medesime, non si fanno. Un modo come un altro per tenere, bene in sella, i dirigenti locali che, oggi, fanno capo ai vecchi big ancora in sella (Zingaretti in Lazio, la sinistra in Lombardia, ma pure nelle due piccole regioni Molise e Friuli) e non effettuare alcun ‘rinnovamento’ interno. Altra norma ‘anti-Bonaccini’ che, soprattutto in Lazio e in Lombardia, di sicuro sposterà voti a favore del ‘suo’ o ‘suoi ‘competitor’ perché, come è evidente, i segretari regionali hanno sempre un qualche ‘potere’ di orientare i voti degli iscritti. Soprattutto in Lazio, ma anche in altre regioni.

Sempre che, s’intende, l‘anti-Bonaccini’ si trovi, che il tempo passa e i candidati, tranne quelli minori (De Micheli, Ricci, etc.) scarseggiano.

 

Quel che resta del giorno. Il ‘complesso’ dibattito in Direzione: i nomi candidati dovranno essere pronti non prima di gennaio…

Rivoluzione bolscevica

7 Novembre inizio della Rivoluzione bolscevica

Ma cosa resta dell’alato dibattito in Direzione? Primo passo, come si diceva, il 7 novembre (è il giorno dell’anniversario della Rivoluzione bolscevica, in quel della Russia dei Soviet, 1917, ma di sicuro trattasi di mera coincidenza, figurarsi se il Pd vuole ‘celebrare’ la Rivoluzione bolscevica…), con “l’appello alla partecipazione”. Per sapere chi saranno i candidati c’è tempo fino al 28 gennaio. 

Il 12 marzo (ma del 2023…) sarà scelto il vincitore, con le primarie aperte. La direzione del Pd ha approvato l’agenda del congresso per l’elezione del successore di Enrico Letta, che si è dimesso dopo la sconfitta elettorale alle Politiche, al termine di un confronto molto acceso sui tempi.

Paola de Micheli

Paola de Micheli

Alla fine, il documento è stato votato con 16 astenuti: tra loro ci sono i Giovani turchi e l’ex ministra Paola de Micheli, candidata alla segreteria, ma anche Ia ex deputata romana, esponente di Base Riformista, Patrizia Prestipino, la ex deputata marchigiana Alessia Morani, la ex deputata calabra Enza Bruno Bossio, la veneta europarlamentare Alessandra Moretti, la torinese Francesca Bonomo, la ex sindacalista della Cgil Titti Di Salvo. Tutte donne. Tutte molto arrabbiate. Tutte poco o nulla convinte dalla relazione e proposta di Letta. 

Prestipino: “Con Nicola non ce n’è per nessuno”

Prestipino: “Con Nicola non ce n’è per nessuno”

Le quali, per bocca della stessa Prestipino, oggi dicono: “Non condividiamo tempi eccessivamente lunghi proprio come ha detto Bonaccini: la Meloni ci ha messo 20 giorni per fare un governo e noi ci mettiamo 5 mesi per fare un congresso. La figura di arbitro è una figura curiosa. Che vuol dire ‘fidatevi di me?’ La fiducia va conquistata. E già le liste sono state fatte in maniera più che faziosa. Non certo un buon presupposto per chiedere la fiducia a tutti. Questo modo di fare non ci piace. Abbiamo preferito astenerci, e non votare contro, ma volevamo chiarezza, tempi certi, garanzie sulle regole che, oggi, sembrano fatte non erga omnes ma ‘contra personam’ (e come darle torto?, ndr.)”. 

Poi, dopo interventi piuttosto critici, non hanno partecipato al voto Matteo Orfini e Andrea Orlando. “Oggi, 28 ottobre 2022, cento anni dopo la marcia su Roma, comincia il percorso costituente del nuovo Pd”, ha detto Letta nella relazione introduttiva, che è servita a tracciare le tappe del congresso, ma anche a definire il rapporto con le altre opposizioni. Il Terzo polo, per il segretario dem, è ormai “una stampella della maggioranza” e il M5s, invece, vuol fare “il cavaliere solitario”.

 

Le ‘parolone’: Comitato costituente e Manifesto dei Principi..

Comitato costituente

Comitato costituente

Per Letta, l’unico modo per mettere in difficoltà il governo resta il “lavoro comune” (che non c’è). Per questo, ha detto, “saremo sempre disponibili a coordinarci con le altre opposizioni, ma non a farci prendere in giro o a inseguire chi ha altre agende”. Il congresso non servirà solo a scegliere il nuovo segretario. Ci sarà una fase costituente, aperta anche ai non iscritti, per definire “i valori fondanti, la missione, la forma partito e le modalità di organizzazione dell’attività politica, la proposta politica del nuovo Pd”. Belle parole, tante parole, molte del tutto inutili…

Un Comitato costituente composto da personalità rappresentative del mondo del lavoro, della cultura, dell’associazionismo, delle amministrazioni locali avrà il compito di scrivere il Manifesto dei principi e dei valori fondanti del partito. Entro il 26 febbraio, gli iscritti al nuovo Pd sceglieranno chi sono i due candidati che quindici giorni dopo, si sfideranno alle primarie (aperte al voto anche dei non iscritti).

Un percorso un po’ tantino ‘articolato’, ecco, quello con cui Letta ha cercato di mediare fra chi avrebbe voluto arrivare alla scelta del nuovo segretario più velocemente e chi invece avrebbe preferito più tempo per discutere l’identità del partito. “Penso che sei mesi dal giorno delle elezioni per fare un congresso siano una enormità” ha messo in chiaro Matteo Orfini che, con la sua componente, non ha poi partecipato al voto sull’agenda. E anche per il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, papabile candidato alla segreteria: “se ci mettiamo troppo tempo, diamo idea che discutiamo di noi stessi e non dei problemi della gente”. Per Andrea Orlando, invece, “se le questioni dell’identità e della forma partito vengono messe da una parte, credo che non stiamo facendo una vera costituente, ma stiamo semplicemente provando a fare un restyling”.

I candidati ‘minori’ già in campo e quelli finora solo ‘papabili’…

candidati

I candidati in campo e quelli ‘papabili’…

Che, poi, lo scontro sui tempi ha alle spalle anche il tema dei candidati, delle diverse esigenze tra chi ha già un cavallo su cui puntare e chi no. Per adesso, sono in campo il sindaco di Pesaro Matteo Ricci, che sta compiendo un giro di ‘ascolto’ per molte città italiane, e l’ex ministra Paola De Micheli, che pure raggruppa forze. Mentre stanno riflettendo Bonaccini e il sindaco di Firenze, Dario Nardella. Ma la strada è ancora lunga e le sorprese, di certo, non mancheranno.

Pierluigi Bersani

Pierluigi Bersani

Il congresso Pd potrà essere anche l’occasione per il “ritorno” degli esponenti di Articolo Uno, come Roberto Speranza e Pier Luigi Bersani: “L’impianto – ha detto il coordinatore nazionale Arturo Scotto – ci consente di partecipare anche come Articolo Uno, in piena autonomia”.

piero fassino

Piero Fassino

Un altro tema che è stato sollevato in diversi interventi è stato quello dell’autonomia differenziata, in un’ottica di confronto tra partito del Nord (Piero Fassino) e partito del Sud (Francesco Boccia e Provenzano) che pure potrebbe ripercuotersi nel dibattito congressuale.

“Ma la verità è che – come spiega una imbufalita esponente riformista a una collega di partito  – soprattutto non si capisce che vuol dire quando Letta parla di voler fare la funzione dell’arbitro. Come gli ha detto Claudio Mancini provocatoriamente “e perché no anche giocatore?!” Ci ha chiesto di fidarci di lui in qualità di garante, ma perché dovremmo fidarci di un segretario che ha agito con rancore nella fase dela liste, ammazzato tanti riformisti a prescindere dal merito o dal rapporto con i loro territori, che ha catapultato candidati in Veneto o in Sicilia che con quelle regioni non avevano nulla a che fare? O che ha usato le donne che dice tanto di voler tutelare nelle pluri-candidature per favorire un uomo (vedi Marianna Madia nel Lazio per far entrare Andrea Casu) e togliere il posto a un’altra donna? O che non ha avuto il coraggio di candidarsi in un collegio uninominale perché annusava l’odore della sconfitta? No grazie! – dice l’esponente dem citando, di fatto, il Cyrano – a un segretario senza coraggio e imparziale che non può essere un garante di cui fidarsi! No, grazie!”.

Letta sembra per un attimo ricordare la lezione del Pci: la lotta contro “gli opposti estremismi”, ma solo quelli delle opposizioni…

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Enrico Letta

Letta annuncia che il Pd è pronto a una opposizione “dura, intransigente e non consociativa” e che lo farà a prescindere da quanto decideranno gli altri partiti. Il leader dem lancia stoccate a destra e a manca: a Matteo Renzi come a Giuseppe Conte, Il primo accusato di fare “opposizione all’opposizione” e, dunque, “stampella del governo”. Il secondo di voler “giocare al cavaliere solitario”. 

renzi vs conte

Renzi & Conte

Due linee che dagli esponenti del Pd e di Articolo Uno vengono ricondotte alla volontà di Italia Viva e M5s di corrodere ancora il consenso dei dem a proprio beneficio. Nonostante questo, Letta si dice “disponibile a dialogare con il resto dell’opposizione, ma”, avverte, “non ci facciamo prendere in giro. C’è un’opposizione che della opposizione non ha nulla e che ha già trasferito le tende nel campo della maggioranza. Chi passa il tempo ad attaccare l’opposizione è solo una stampella della maggioranza”, dice riferendosi nemmeno troppo implicitamente a Matteo Renzi.

I renziani, per tutta risposta, infittiscono il fuoco di fila aperto sul Pd già con l’intervento di Renzi in Senato, in occasione del voto di fiducia sul governo, riprendendone le parole. “Letta è il miglior alleato di Meloni”, ripetono quasi in coro gli esponenti renziani, da Nicola Danti a Raffaella Paita passando per Ivan Scalfarotto. Ma non è solo ai renziani che Letta invia i propri strali. “Questo governo lo metteremo in difficoltà se ci sarà un voto compatto di tutte le opposizioni”, spiega ancora Letta: “Ma se qualche opposizione gioca a fare il cavaliere solitario, sarà difficile mettere in difficoltà il governo“. E qui il messaggio è a Giuseppe Conte, accusato dai dem di aver lanciato un’Opa ostile a sinistra del Pd.

Il Pd promette opposizione dura in Parlamento e pure nelle piazze

Andrea orlando

Andrea Orlando

D’altra parte, che nel partito convivano le due opposte nature, quella di sinistra e quella liberal, lo spiega anche Andrea Orlando spingendosi a dire che su alcuni temi, come quelli dei giovani e della questione sociale, il governo Meloni, “non è fascista, ma liberale”. Da qui la richiesta di affrontare la questione dell’identità del Pd.

Il segretario è consapevole che la partita del congresso andrà giocata assieme a quella dell’opposizione. “Questo percorso ci vedrà sorridenti se siamo in grado di essere efficaci nel parallelo lavoro di costruzione della nostra opposizione. Se il lavoro dell’opposizione non sarà soddisfacente, trasferiremo quella frustrazione nel percorso del congresso”, ammonisce Letta. I due piani si sovrapporranno fra novembre e dicembre, periodo in cui partirà la fase della ‘chiamata’ alle forze della società che vorranno partecipare al percorso costituente.

legge di bilancio 1

Negli ultimi due sabati di novembre e il primo di dicembre, il Pd porterà nelle piazze le sue proposte per la legge di bilancio. “Questa legge di bilancio sarebbe dovuta essere la legge che introduceva il salario minimo e la lotta al precariato. Il 19 novembre, il 26 novembre e il 3 dicembre per mobilitazione nel paese con le nostre proposte rispetto alla legge di bilancio”.

E, così, dunque, il Pd promette di ‘sorprenderci’, e cioè di fare – tutto assieme – un congresso assai difficile, dove ‘scorrerà il sangue’, direbbe Prodi, opposizione al governo Meloni e ‘distinzione’ dalle altre opposizioni. Troppa grazia, san Enrico.