“Chiudiamo il Parlamento!”. Camere chiuse come in tempo di guerra. Isteria e panico dilagano nei Palazzi della Politica
6 Marzo 2020Sommario
“Chiudiamo il Parlamento!”. Camere chiuse come non fu neppure in tempo di guerra. Isteria e panico dilagano
“Chiudiamo il Parlamento!”. La follia contagia anche il Palazzo
“Chiudiamo il Parlamento!” o teniamolo a mezzo servizio. La decisione, di fatto, è questo. Perché? L’emergenza, ovviamente, come sanno pure i sassi, è il coronavirus. Non bastavano i controlli termici, i famosi ‘termoscanner’, messi all’ingresso del Palazzo, con tanto di infermiere in tuta e mascherina che ti prende la temperatura. Non bastavano le confezioni di amuchina e i kleenex lasciati ovunque, gratis, come se piovessero.
Il Parlamento italiano si adegua, a partire da oggi, alla sindrome da epidemia (‘non’ pandemia, c’è una bella differenza, ma cosa importa?) dilagante nel Paese, e chiude i battenti: si riunirà una volta a settimana e, in un giorno solo, dovrà fare tutto: votare in Aula, fare le interrogazioni parlamentari, ricever le risposte, riunirsi in commissione.
Del resto, se le scuole vengono chiuse a tempo infinito, se non ci si può più né baciare né abbracciare, se un colpo di tosse viene vissuto come un possibile ‘sintomo’ del Male che sta devastando l’Italia, se concerti, teatri, cinema, musei sono vietati (o permessi restando a “un metro di distanza”), se neppure più in chiesa si può andare più a pregare, se il referendum costituzionale previsto per il 29 marzo è stato rinviato a data da destinarsi (dovrebbe essere accorpato al primo o al secondo turno delle elezioni amministrative di maggio, il 17 o il 31 maggio, ma non vi è certezza neppure su questo), se i consigli regionali, falcidiati dalla malattia, assessori in testa, non lavorano o lo fanno a scartamento ridotto.
Se il Capo dello Stato (dopo quello del premier Conte il giorno prima) fa un discorso alla Nazione a reti unificate dicendo che bisogna “Evitare iniziative particolari. Serve senso di responsabilità e bisogna dire no alle ansie immotivate. Ce la faremo, bisogna avere fiducia nell’Italia e osservare le indicazioni del governo sul contagio“, poteva mai il Parlamento restare indenne dalla follia collettiva?
Le misure draconiane prese dalla Camera dei Deputati
No che non poteva. Edecco, allora, le misure ‘draconiane’. “Nelle prossime tre settimane la Camera dei Deputati lavorerà solo nella giornata del mercoledì per uniformarsi il più possibile alle norme di salvaguardia previste dal governo per il contrasto alla diffusione del Coronavirus, ma senza interrompere la necessaria attività legislativa”. Questa è la decisione presa e resa nota dalla Capigruppo della Camera che ha stabilito l’esame solo di “atti urgenti e indifferibili”.
Lo riferisce ai giornalisti il deputato del Pd Emanuele Fiano (viene da Milano: meglio tenersi alla ‘giusta distanza’?) del Pd. Alla fine della Capigruppo di Montecitorio è stato anche spiegato che è stato varato un “calendario ridotto” per l’intero mese di marzo: confermati i question time del mercoledì pomeriggio mentre le commissioni lavoreranno solo sui provvedimenti urgenti già in calendario. Cosa farà il Senato? Si adeguerà? A ora non si sa, ma si presuppone che farà lo stesso.
Eppure sta per arrivare un voto delicatissimo, quello sul pareggio di bilancio, dove serve la maggioranza assoluta
Peraltro, mercoledì prossimo, 11 marzo, l’Aula della Camera è attesa da un voto delicatissimo: dovrà esaminare l’autorizzazione allo scostamento di bilancio propedeutica al varo del decreto legge straordinario del governo che contiene le misure economiche per fronteggiare l’emergenza Coronavirus (la ‘manovrina’ da 3,6 miliardi): un voto assai delicato e, anche in questo caso, un unicuum nella storia parlamentare.
Infatti, da quando il pareggio di bilancio è entrato in Costituzione, cioè dal 2011, veniva votato il diritto, agli occhi occhiuti e arcigni della commissione Ue, del nostro Paese allo ‘scostamento’ a settembre, in occasione del voto finale del Parlamento sul Def, il documento quadro di economia e finanza del governo, e prima del varo e della discussione della legge di Stabilità (entro il 31 dicembre). Non è mai successo che il pareggio di bilancio venisse votato prima. Un voto che è, appunto, assai speciale: occorre, infatti, per approvare lo scostamento dal pareggio di bilancio il ‘sì’ della maggioranza assoluta dei componenti delle due Camere (161 su 320 senatori e 316 su 630 deputati), come non succede neppure nel caso della fiducia al governo. Eppure, le Camere dovranno fare tutto in un giorno solo, un one shot in cui sarà praticamente impossibile discutere.
La chiusura delle Camere? Neppure in tempo di guerra
Eppure, i presidenti delle Camere e i rispettivi capigruppo parlamentari non hanno voluto sentire ragioni. E’ serrata, conclamata e decisa come se nulla fosse.
Morale: Camere chiuse, tanta paura e tanta, troppa, isteria. A memoria di parlamentare, non era mai successo. Neppure durante la Grande Guerra, per capirsi, quando il Parlamento lavorò come sempre, mentre durante la Seconda Guerra mondiale, il Parlamento non poteva riunirsi perché, dopo l’avvento del regime fascista, era stato sciolto e, dal 1939, sostituito dalla Camera dei fasci e delle Corporazioni, che si estinse nel 1943. Dopo la guerra che imperversò nella Penisola dal 1943 al 1945, bisognerà aspettare il 1946 e le elezioni dell’Assemblea costituente, per vedere riaprire i battenti del Parlamento. Da allora in poi, né terremoti né crisi internazionali né altro ne hanno fermato l’operosità (relativa, si capisce…), tranne che nelle consuete pause festive estive e simili.
Nei Palazzi della Politica dilagano paura e isterismo
Camere chiuse, dunque, tranne un giorno alla settimana, il mercoledì, in una seduta ‘unica’ per l’Aula della Camera, con tanti saluti ai riti e miti della democrazia parlamentare, almeno per le prossime tre settimane, poi si vedrà. Referendum costituzionale del 29 marzo rinviato sine die.
E tanta, troppa, paura dentro i Palazzi, isterismi compresi. A partire da quelli dei nostri politici che danno un pessimo esempio di sé stessi al Paese che dovrebbero tranquillizzare. Il ministro allo Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, si è messo in auto-isolamento, cioè in quarantena, pur se ‘da sano’ (quindi non si capisce perché l’ha fatto), in quanto ha incontrato (magari gli ha pure stretto la mano) l’assessore lombardo Alessandro Mattizzoli, risultato positivo al virus.
Patuanelli si auto-isola al Ministero e proclama indomito (e propagandistico): “tanto ci lavoro già 18 ore al giorno…”
Singolare, e dal sapore propagandistico, la dichiarazione di Patuanelli (risultato negativo al tampone, meglio ribadirlo) in merito alla sua scelta: “Sto bene e in fondo non cambia molto. Vivo in isolamento già 18 ore al giorno per quanto lavoro, e dal giorno del mio insediamento, resto qui in via Veneto (sede del ministero, ndr.) dove mi sono barricato e dormo”. Ogni ministro, inoltre, da ieri, non può portare più di un ‘portaborse’ (cioè collaboratore) con sé persino nelle riunioni del cdm (di solito ogni erano una quadrata legione romana…) e “solo ove strettamente necessario”.
Panico anche a via Arenula, sede del ministero di Giustizia, dopo l’annuncio della ‘bonifica’ degli ambienti che, durante lo scorso fine settimane, aveva fatto scattare l’allarme tra i dipendenti che hanno preteso i dovuti controlli. Note, da giorni i casi di ‘infetti’ in diversi consigli e giunte regionali.
Prima l’episodio, di eco planetario, del governatore della Lombardia, Attilio Fontana, che si è messo (e resta) in quarantena e che s’è fatto fotografare, provocando il panico in mezzo mondo, con la mascherina indosso (messa, tra l’altro, pure male), perché una sua collaboratrice è stata infettata.
Il panico straripa dai ministeri alle regioni e, dalla Lombardia, infetta anche l’Emilia-Romagna
Ma, da ieri, il panico corre anche in Emilia-Romagna, dove due assessori regionali (Raffaele Donini, assessore alla Salute – sic – e Barbara Lori, che si occupa di montagna) sono risultati positivi al virus. Il governatore della regione, Stefano Bonaccini, ha pensato bene di collegarsi solo in videoconferenza con gli altri governatori e con il governo, per evitare altri guai.
Un altro ‘campione’ dell’auto isolamento volontario è il giovane sindaco di Cesena, il dem Enzo Lattuca: si è messo in isolamento proprio perché ha stretto la mano a Donini… A Piacenza, la sindaca, Patrizia Barbieri (di centrodestra: il virus non fa differenza di casacche politiche), è stata contagiata e risulta positiva al tampone: accusa febbre alta e tosse, ma le sue condizioni, per fortuna, non sono tragiche e si collega con i suoi assessori in videoconferenza (come fa anche Fontana) ma altri due sindaci del piacentino seguitano a stare in Municipio nonostante il contagio.
Il deputato leghista ‘piantonato’ a Codogno: il busillis è se abbassa, o no, il quorum delle votazioni in Aula…
Poi, lo si sa dai primi giorni dell’emergenza coronavirus, c’è il caso dell’indomito deputato leghista, Guido Guidesi, che è di Codogno, zona rossa per eccellenza, e che da quando è scoppiato il caso a ‘casa’ sua non si muove da lì, piantonato persino dalle forze di polizia, anche se rilascia interviste a pié sospinto. Guidesi, come molti suoi colleghi della Lega, ha chiesto la “chiusura del Parlamento che, deprivato di parlamentari, ne vede inficiato il quorum”. La soluzione, per ora, è stato quello di considerare Guidesi ‘in missione’ (lo si dice dei deputati assenti per, appunto, missioni autorizzate dalle Camere sul territorio o all’estero) e, dunque, di non conteggiarlo ai fini del quorum in Aula.
Per i voti ‘normali’ il problema non si pone: il quorum si calcola sui presenti, al netto dei deputati in missione), ma quando si voterà lo scostamento dal pareggio di bilancio (voto in cui serve il quorum del plenum dell’assemblea, per essere valido, cioè 316 deputati su 630) il problema tornerà. C’è anche chi parla di smart working, cioè di telelavoro per i parlamentari, ma qui si pone un altro busillis: “è impossibile garantire la segretezza del voto” spiega il costituzionalista dem Ceccanti.
Le misure precauzionali delle Camere non bastano più?
Il Senato è stato il primo a prendere provvedimenti: termoscanner agli ingressi e limitazione degli accessi dei non autorizzati, cronisti compresi. La Camera si è adeguata, ma tardi e male: prima sono comparsi i fazzoletti di carta e i flaconi di aumichina, i dipsenser di gel igienizzante, le ‘raccomandazioni’ scritte, messe a bella vista nei bagni, su come lavarsi le mani, poi gli infermieri con i termometri agli ingressi, ma dopo qualche giorno gli stessi infermieri si sono presentati indossando una – inquietante – mascherina. Ma come rispettare la distanza di “almeno due metri” (o quasi) di distanza (‘la giusta distanza’) tra una persona all’altra, misura voluta e imposta dal governo, considerando che, sugli scranni, deputati e senatori vivono a contatto di gomito e che, in Transatlantico, parlano fitto fitto per non farsi sentire, quindi a distanza/rischio saliva?
E allora ecco che è arrivata la decisione draconiana finale. Quella di chiudere, di fatto, il Parlamento e cari saluti a tutti compresi i deputati che si sono presentati dotati di regolare mascherina, pensando di ovviare in modo plateale e isterico, come Teresa Baldini (FdI) che è pure medico (sic).
Anche i cronisti parlamentari, a fobie, non scherzano…
Ma, in quanto a paure e angoscia, non scherzano neppure i giornalisti della Stampa parlamentare. I quali dovrebbero essere, in teoria, più coriacei e più corazzati dei politici, non foss’altro per quante ne hanno viste passare, ma tant’è. Ieri, una giornalista della Rai si è sentita male all’interno della Sala stampa di palazzo Montecitorio: accusava tachicardia e febbre (almeno questo diceva lei). E’ stata ‘impacchettata’ in un ‘abito’ fatto su misura per l’emergenza e portata in ospedale con tanto di ambulanza.
Un altro giornalista, invece, non è stato neppure fatto entrare perché risultava troppo ‘alto’ di temperatura ai controlli dell’infermiere all’ingresso della Sala stampa: si è molto spaventato. Sala stampa che, in seguito al ‘malore’ della collega della Rai (dove si registra sì un caso di un infettato, ma a Saxa Rubra), è stata, in parte, transennata, come si vede, per evitare altri contagi.
Il referendum sarà rinviato, le amministrative forse…
Insomma, il clima è questo, e c’è poco da scherzare. Basti pensare che anche il referendum costituzionale, previsto per il 29 marzo, è stato rinviato ‘sine die’, come ha ammesso lo stesso Conte, ma andrà comunque celebrato in una data compresa tra il 50esimo e il 70esimo giorno dalla sua indizione da parte della Consulta, cioè entro il 23 marzo: probabilmente sarà abbinato alle future elezioni comunali (il primo turno si dovrebbe tenere il 17 maggio, i ballottaggi il 30 maggio: più probabile l’abbinamento con i ballottaggi, cioè il 31 maggio) oppure, ma è cosa più incerta, alle regionali che, in sei importanti regioni, si dovrebbero svolgere a metà maggio, forse il 17, lo stesso giorno del primo turno delle amministrative (ma ogni regione ha la facoltà di scegliere la data a sé).
Ma se il referendum costituzionale, dunque, rischia di finire accorpato in un complicato, per quanto risparmioso, election day (e i comitati del No già protestano, all’idea: chiedono che si voti in una data ad hoc…), anche la data delle prossime elezioni amministrative, da ieri, è diventata incerta, insicura. Il Paese intero s’è fermato e, dunque, si è fermata anche la Politica e i suoi Palazzi.
NB: Questo articolo è stato pubblicato sul sito di notizie Tiscali.it il 6 marzo 2020