La democrazia italiana si sta ‘ammalando’? Elezioni e referendum rinviati, dpcm del governo, Parlamento chiuso

La democrazia italiana si sta ‘ammalando’? Elezioni e referendum rinviati, dpcm del governo, Parlamento chiuso

14 Marzo 2020 0 Di Ettore Maria Colombo

L’Italia è diventata una democrazia ‘malata’? Elezioni e referendum rinviati sine die, Governo che sforna dpcm, Parlamento chiuso (forse si voterà ‘a distanza’). I rischi della sospensione delle garanzie costituzionali

 

italia malata

L’Italia è diventata una democrazia ‘malata’?

 

Una provocazione: in Italia la democrazia è stata ‘sospesa’?

dittatura

Stiamo diventando una ‘dittatura’

Il nostro Paese è entrato in una fase di democrazia, se non del tutto ‘sospesa’, quantomeno ‘rarefatta’? Stiamo diventando una ‘dittatura’ (pur se non ‘comunista’…) come la Cina, che tanto elogiamo per come ha sconfitto (o, quantomeno, isolato) il germe spaventoso e contagioso del coronavirus? O una teocrazia come l’Iran che nasconde la verità ai suoi cittadini? O, a dirlo e sperarlo ieri ti prendevano per matto, una ‘democratura’ come la Russia, dove Putin fa e disfa governi, Parlamenti e Costituzione a suo piacimento? Domande, forse, eccessive (o retoriche) ma che qualcuno invece inizia a farsi, ma non tra i partiti politici (tranne i Radicali), neppure quelli ‘di sinistra’ che, allineati e coperti, si bevono tutte le richieste di ‘legge&ordine’ che la destra avanza.

Proviamo a vedere cosa sta succedendo, nel mondo della Politica e delle istituzioni, scosse, come tutti i cittadini, dall’emergenza coronavirus e dalle ordinanze del governo – i vari dpcm – che hanno fatto diventare l’Italia una grande ‘zona rossa’ (o ‘zona sicura’) e compresso le libertà dei cittadini. 

 

Elezioni regionali, comunali e referendum rinviati ‘sine die’…

elezioni gesto votazione

Elezioni regionali e referendum rinviati ‘sine die’?

Innanzitutto, esaminiamo il quadro politico di un Paese che, di solito, vota ogni piè sospinto, dove cioè le elezioni (politiche, regionali, comunali, referendum) si susseguono a getto continuo (succede pure altrove, in realtà, ma solo da noi si chiama ‘votite’).

Bene, ad oggi la situazione è questa.
Elezioni (in 7 regioni e amministrative in mille comuni) rinviate, se tutto va bene, a ottobre, con le giunte regionali e i sindaci che restano al loro posto, pur se in teoria scadono a maggio, in regime di prorogatio (sarà solo per tre mesi? Ne siamo sicuri? Certo è solo che i loro cinque anni sono finiti…). Referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari che si doveva tenere il 29 marzo, poi è stato spostato a maggio (doveva tenersi in abbinata con le regionali o con le comunali) e, dopo ancora, è stato rinviato ‘sine die’ già due settimane fa. Quando? A novembre, nel 2012, Dio solo lo sa quando.

 

Si va verso un unico election day verso metà ottobre

election day

Election day

Ma si può fare? Volendo, tutto si può fare, gli escamotage sono tanti, come vedremo, ma la brutta sensazione di una democrazia ‘sospesa’, dove ‘non’ si vota (cioè in sette regioni: Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania, Puglia, più la Valle d’Aosta, e mille comuni) resta forte. Certo, se il Paese si è ‘fermato’ è giusto che si fermi anche la Politica, ma fino a quando e come? Politica vuol dire, appunto, libertà di votare e di scegliersi i propri rappresentanti in modo democratico.

ceccanti

Il professor Ceccanti

In ogni caso, la decisione del governo indica, spiega il deputato del Pd e costituzionalista Stefano Ceccanti, che la decisione dsul probabile election day sarà decisa a settembre (sic), rendendo possibile l’accorpamento di regionali e comunali: “La finestra del 15 ottobre-15 dicembre sembra ragionevole perché consente alle forze politiche di presentare liste nella prima parte di settembre evitando di doverlo fare ad agosto, che sfavorirebbe soprattutto le forze meno organizzate”.

La decisione – che era nell’aria e veniva data per scontata nei Palazzi già da qualche giorno – l’ha dunque ieri presa il governo inserendo lo spostamento del voto nel decreto (l’ennesimo dpcm) in preparazione per le misure sanitarie ed economiche per fronteggiare l’emergenza coronavirus: dice che i mandati delle regioni in scadenza entro il 31 luglio 2020 dureranno in carica altri tre mesi mentre le elezioni comunali, in deroga a quanto stabilisce la legge 7/1991, che fissa il termine tra il 15 aprile e il 15 giugno, si terranno in una domenica compresa tra il 15 ottobre e il 15 settembre.

 

E il referendum costituzionale? Si fa a novembre (forse…)

referendum costituzionale

Referendum costituzionale

Invece, per il referendum costituzionale confermativo, inizialmente fissato al 29 marzo e poi prorogato sine die, viene prorogato il termine entro il quale è indetto – secondo una discutibile interpretazione della stessa legge che lo ha indetto, peraltro -fino a 240 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza che lo ha emesso. Essendo l’ordinanza stata emessa, dalla Consulta, il 23 gennaio, il termine scadrà a settembre e la data di indizione andrà poi fissata tra i 50 e i 70 giorni successivi. Il Governo si lascia così aperte due strade: un possibile accorpamento con le regionali e le amministrative, come vorrebbero i fautori del Sì per alzare il quorum, ma anche quella di una consultazione a parte più avanti, entro il 2021 (?), come vorrebbero, invece, nel Comitato del No.

 

La legislatura ne risulta così del tutto ‘blindata’ fino al 2023

2023

La legislatura ne risulta del tutto blindata fino al 2023

Inoltre, se è vero che a voler pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, ‘tirare in lungo’ la data di indizione del referendum costituzionale, da parte del governo, è un ‘aiutino’ alla propria sopravvivenza di vita politica contro ogni ‘virus’ di crisi. Infatti, a causa di una serie, complessa, di motivi tecnici (in sintesi sono tre: vacatio legis dopo la proclamazione dei risultati, collegi elettorali da adeguare al nuovo numero dei parlamentari, legge elettorale nuova da varare), vuol dire, di fatto, impedire di poter ricorrere a elezioni politiche anticipate. E, dato che nell’agosto del 2021, inizia il ‘semestre bianco’ in cui il Capo dello Stato non può, per Costituzione, sciogliere le Camere, vuol dire che l’ultima finestra elettorale (febbraio-maggio 2022) aperta ora potrebbe presto finire spazzata via, facendo dunque finire la legislatura alla sua scadenza ‘naturale’ (febbraio 2023).

salvini renzi

I due Matteo

Moral, per la ‘gioia’, si fa per dire, di Salvini come di Renzi, dopo il governo Conte bis c’è solo, ove  le condizioni ‘sanitarie’ lo necessitassero, un ‘governissimo’ con tutti (o quasi) i partiti dentro.

 

Le ‘smentite’ di palazzo Chigi e di D’Incà sulle date elettorali

Rocco Casalino

Rocco Casalino

Ieri, però, fonti di palazzo Chigi, cioè direttamente il suo portavoce, Rocco Casalino, hanno smentito che il governo prenderà qualsiasi decisione sul rinvio delle elezioni e sulla proroga della durata dei consigli e delle Giunte regionali a 5 anni e tre mesisenza aver prima consultato tutti i gruppi parlamentari e le regioni interessate” (e ci mancava pure che non lo facessero…).

Federico DIncà

Federico D’Incà

Sempre ieri, davanti alla fuga di notizie sempre su questo tema, il governo, stavolta via una nota tecnica sfornata dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico d’Incà (M5S), ha cercato di tranquillizzare gli animi dei referendari dicendo che, come già ricordato, il referendum potrebbe tenersi ‘entro e non oltre’ il 22 novembre (del 2020, non nel 2021…) e che comunque non si andrà oltre quest’anno, per la sua indizione, senza neppure dover varare un nuovo decreto.

 

I ‘diritti’ dei parlamentari sono diventati di meno già ora: è giusto?

emergenza sanitaria

Emergenza sanitaria ed economica

Dal punto di vista, invece, del rispetto dei ‘diritti’ costituzionali, se i diritti di tutti i cittadini sono stati, giocoforza, limitati (e, di fatto, ‘compressi’, senza perciò voler dire ‘conculcati’), a causa dell’emergenza sanitaria causata dal coronavirus, il ‘guaio’ – per gli esegeti del diritto e qualche osservatore – è che le limitazioni valgono anche per quei parlamentari che, in condizioni ‘normali’, devono poter fare cioè che vogliono come prescrive la Costituzione. I parlamentari, infatti, hanno un ‘potere’ di sindacato e ispettivo superiore non solo a quello dei cittadini ‘normali’, ma anche a molti organi di polizia e di altri corpi dello Stato (le visite nelle carceri, per dire, o sulle navi delle ong) ma proprio loro, da due settimane a oggi, non si possono neppure recare più in Parlamento.

Guido Guidesi

L’indomito deputato leghista, Guido Guidesi

Il deputato leghista Guido Guidesi, il primo caso di onorevole finito in isolamento, è stato costretto a restare nella ‘sua’ Codogno senza potersi muovere di un passo, da casa, piantonat dalla Polizia.. Ma, di solito, appunto, un deputato – più di ogni altro cittadino – può andare dove vuole, in Italia e fuori.

Inoltre, i deputati, come i senatori, dopo l’assemblea plenaria di mercoledì scorso, ormai non dibattono più, non discutono, non ‘interpellano’ nessuno, tantomeno votano più nulla. Inoltre, se i diritti dei cittadini sono stati (tutti quanti) limitati, lo è – di fatto – anche il diritto più semplice, elementare e classico di ogni democrazia che si rispetti: il loro diritto di voto, appunto.

 

Il Parlamento si riunirà il 25 marzo, poi Dio solo lo sa, quando…

giuseppe conte

Giuseppe Conte

Il Parlamento, di fatto, è chiuso ma, dopo il voto dello scorso mercoledì 11 marzo, si dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – riunire il prossimo 25 marzo, quando Conte dovrebbe illustrare le posizioni del governo in vista del nuovo Consiglio Europeo. Uno di quegli appuntamenti che, di solito, facevano registrare il ‘pienone’ in Aula con i vari leader politici s’affollavano in Aula per non perdere l’occasione di un ntervento. Ma ora si possono usare solo tanti ‘condizionali’ perché potremmo anche ritrovarci con una bella ‘video-conferenza’ tra il governo (a palazzo Chigi?) e i parlamentari, chiusi nelle loro diverse residenze e domicili, se passerà l’idea del ‘voto a distanza’.

palazzo chigi

Sala del Consiglio dei ministri – Palazzo Chigi

Infatti, già le due assemblee plenarie di Camera e Senato di mercoledì scorso, 11 marzo – quando, senza neppure un fiato e tantomeno un voto di dissenso, destra e sinistra, centristi e pentastellati, hanno votato, a maggioranza assoluta, l’autorizzazione al governo allo scostamento dal pareggio di bilancio (norma che, prevista in Costituzione, prevede tale quorum) – avevano registrato un unicuum politico e istituzionale, una singolarità – come si direbbe in fisica quantistica – mai accaduta prima: l’obbligatoria presenza, previo l’accordo tra tutti i gruppi, non dell’intero plenum ma solo della metà più uno dei componenti di ognuno dei due rami del Parlamento, cioè un Parlamento convocato ‘a ranghi ridotti’.

Ma mentre alla Camera dovevano essere presenti in 350, su 630, ne sono venuti solo in 322, al Senato è andata anche peggio: dovevano essere in 161, su 320, erano in appena in 122. Per fortuna nessuno, per tacito accordo tra tutti i gruppi parlamentari, ha chiesto la verifica del numero legale, come di solito le opposizioni fanno quando vogliono cogliere in castagna il governo, altrimenti il voto sarebbe stato nullo.

 

Gli onorevoli della Repubblica sono esseri umani: hanno paura…

la paura della paura

Tanta, troppa, paura dentro i Palazzi, isterismi compresi

La verità è che gli onorevoli della nostra Repubblica – esseri umani come tutti noi – hanno paura di finire contagiati e non hanno nessuna intenzione di venire più a Roma, dove fino a ieri agognavano a correre non foss’altro che per liberarsi di mogli, madri, figli e fidanzate opprimenti, perché temono di finire contagiati pure loro da qualcuno dei loro colleghi provenienti dalle ‘zone rosse’…

Del resto, i casi di onorevoli ‘positivi’ al Covid 19 ora iniziano, pericolosamente, ad aumentare: dopo il deputato Claudio Pedrazzini, del gruppo Misto, è stata la vota del questore della Camera, Edmondo Cirielli (la cui testimonianza, diffusa ieri su vari social, video e agenzie di stampa, è davvero toccante ed emozionante): la voce che gira nei Palazzi, dopo che sono risultati positivi al tampone i governatori Zingaretti e Cirio, ma anche molti sindaci e assessori regionali, è che – dice allarmato un deputato che ha il polso – “ci siano almeno dieci deputati e cinque senatori positivi”.

 

La strada impervia del ‘voto a distanza’: favorevoli e contrari

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L’aula (vuota) di palazzo Montecitorio

Già l’immagine del Parlamento pieno solo per metà (al netto delle facili ironie ‘tanto quelli non ci vanno mai’…) faceva impressione. Ma anche l’immagine del Parlamento chiuso, sprangato, se non in occasioni eccezionali, o quella dei deputati che votano a distanza crea molte perplessità, sia tra i politici sia tra i costituzionalisti, evocando, appunto, scenari di sospensione della democrazia.

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Luigi Zanda

Luigi Zanda, numero tre del Pd (tesoriere, ex capogruppo dei senatori), già tre giorni fa ammoniva: “A nessuno venga in mente di chiudere il Parlamento”. Contro il voto a distanza, che per lui evoca scenari da ‘democrazia Casaleggio’ (dal nome del fondatore dell’M5S insieme a Beppe Grillo) dice: “Sono fermamente contrario. Il voto a distanza non garantisce la libertà di mandato prevista in Costituzione”.

giuseppe provenzano ministro sud

Giuseppe Provenzano Ministro del Sud

Ma la situazione che il Paese sta vivendo è eccezionale e inedita, tanto che il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, ammette con una frase che fino a ieri sarebbe stata ‘bomba’ che “Molte delle decisioni che stiamo prendendo in questi giorni e in queste ore sono ai limiti della democrazia”. Parole che mettono i brividi. E così, per il voto a distanza in Parlamento, sembra questione di ore.

Certo, c’è chi – come il leader di Italia Viva, Matteo Renzi (“Calma, ragazzi. Il Parlamento non ha chiuso neppure durante la guerra”), oppure come Andrea Cangini (FI), secondo cui “Non far lavorare i parlamentari significa certificarne l’irrilevanza sociale” – difende il “diritto/dovere dei parlamentari ad andare nelle Camere, dibattere e votare”, ma molti onorevoli, dal capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio, ai gruppi di Lega e FdI sono favorevoli e chiedono al presidente Fico di introdurlo.

 

Ma Fico resta contrario: “Poco e ranghi ridotti, ma ci riuniremo…”

Roberto Fico

Roberto Fico

Il quale Fico, però, ribadisce che “il Parlamento seguiterà a fare la sua parte, come ha già fatto, andando in aula, anche se nelle modalità di emergenza già sperimentate (cioè con la metà dei parlamentari presenti, ma obbligati a esserci, ndr.)”. E anche se le strette ai lavori d’aula si susseguono (niente question time, una sola seduta il 13 marzo, riduzione delle sedute al massimo) per ora non ci sarà nessun ‘smart working’…, per gli onorevoli.

elisabetta casellati

La presidente Casellati

Insomma, Fico ritiene di dover continuare ad andare avanti con le modalità straordinarie attuate in occasione della seduta di mercoledì (una sola seduta a settimana, riduzione concordata del numero di deputati, scaglionamento delle presenze in aula) e dice sostanzialmente no al voto online. E la Casellati, per non saper cosa fare e che pesci prendere, pure lei si adegua alle scelte imposte da Fico e che, pare, siano state ‘sollecitate’ dall’alta burocrazia di Montecitorio, contraria alle ‘novità’.

 

Elezioni, Parlamento, Governo: di rinvio in rinvio, ‘che fare’?

Sergio_Mattarella_costituzione

Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella

Che fare, dunque, in via generale, rispetto a così tanti nodi? Rinviare le elezioni sine die, cioè fino a tempi migliori? E se il governo dovesse entrare in crisi, non si riuscisse a formarne un altro e si dovesse dover ricorrere alle elezioni anticipate (peraltro impossibili da tenere, come abbiamo visto, prima della convocazione del referendum costituzionale, per una lunga serie di motivi tecnici)?

Vuol dire che, di fatto, l’arma dello scioglimento delle Camere è interdetta a tutti, compreso al Capo dello Stato, e non certo perché siamo entrati nel ‘semestre bianco’. Insomma, per  l’intero 2020, in Italia non si può votare neppure volendo. E così sarà, di fatto, almeno fino a ottobre-novembre, se tutto va bene, anche per le elezioni regionali (da tenersi in 7 regioni a dover andare al voto) e in mille comuni. Elezioni amministrative che, in Italia, si sono tenute persino durante la Grande Guerra, persino nei primi anni della dittatura fascista (almeno dal 1922 al 1924) e che erano state ‘sospese’ solo durante il fascismo e la guerra civile contro il fascismo (1943-1945).

 

Le Camere sono già diventate una ‘landa desolata’…

corridoi vuoti

Corridoi deserti nei palazzi della politica

Per quanto riguarda, invece, la convocazione delle Camere queste sono ormai luoghi spettrali dove non entra e non esce più nessuno, compresi commessi, funzionari, giornalisti (anche le presenze e le possibilità e il diritto di ingresso di queste tre categorie, tutte e tre cruciali, nella vita dei Palazzi, sono state drasticamente limitate a pochissime e limitate unità). La loro stessa ‘vita’, normalmente il ‘cuore pulsante’ di una democrazia, è ferma, sospesa nel nulla, una ‘zona rossa’. Dunque, che fare?

E’ evidente che convocare le Camere una volta al mese vuol dire limitarne il potere di controllo, discussione, dibattito e ispezione di atti propri e di quelli del governo. Quindi, quale è la soluzione? Ritrovarsi come amici reduci dal Vietnam una volta l’anno? Introdurre il voto a distanza? Ma il problema è che il voto a distanza si può adottare solo se ci si accorda a votare tutti ‘sì’- nella fattispecie sarebbe dei sì alla conversione in legge dei decreti del governo – perché la libertà e la segretezza del voto sono, di fatto, con il voto ‘da casa’, impossibili da garantire. Ma se un deputato o un senatore volesse votare ‘no’, che si fa? Rinuncia? Si astiene? O, appunto, deve votare ‘sì’ a forza?

Parola ai costituzionalisti: Curreri, Ceccanti, Pertici, Villone

Domande che possono apparire oziose, certo, in tempi di emergenza sanitaria, pandemia, morti e malati, ma forse non lo sono perché in gioco c’è la nostra stessa democrazia. Qualcuno tra i costituzionalisti italiani più seri e avveduti del tema già ne discute e con dovizia di particolari.

Salvatore Curreri

Salvatore Curreri

Il costituzionalista Salvatore Curreri ne ha fatto un punto di (innovativa) dottrina e ha scritto in un lungo articolo con delle motivazioni che si possono riassumere in tale modo: “Per impedire che le Camere non raggiungano neanche il numero legale della maggioranza dei componenti, previsto dall’art. 64.3 della Costituzione, sarebbe il caso di affrontare il tema dell’introduzione del voto telematico, cui non osta lo stesso art. 64.3 che fa solo riferimento alla necessaria presenza dei componenti delle Camere, lasciando quindi all’autonomia regolamentare di ciascuna Camera se essa debba essere esclusivamente quella fisica oppure, in circostanze eccezionali, anche quella telematica. Nessuna norma scritta vigente, quindi, lo esclude. Serve la modifica regolamentare del Presidente dell’Assemblea, previo parere unanime della Giunta per il Regolamento, e la concordia di tutti i gruppi parlamentari secondo il principio del ‘nemina contradicente’ (nessuno in disaccordo)”.

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Il costituzionalista e deputato dem Stefano Ceccanti

Stefano Ceccanti, che è anche deputato dem, la pensa come Curreri e ne ha fatto, del punto ormai, con altri, una vera campagna politica: vuole ottenere, dalle Camere, il ‘voto a distanza’. “Ora che si è ammalato anche un questore della Camera (Cirielli, ndr.) che l’altro ieri era in Aula – scriveva sul suo blog – c’è ancora chi considera un’eresia la creazione di un diritto parlamentare dell’emergenza con voto a distanza, una commissione speciale per i decreti e altre innovazioni? La fatale progressione del virus, può solo portarci a due esiti: non poter riunire Aule e Commissioni o dover votare coi sopravvissuti in formazione casuale, politica e territoriale. Chi si oppone all’introduzione di misure speciali può causare la completa paralisi dell’attività delle Camere e un danno ben maggiore alla nostra democrazia parlamentare”, conclude Ceccanti con velato riferimento a Fico e ai funzionari.

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Fermamente contrario è invece il costituzionalista Massimo Villone

Fermamente contrario è invece il costituzionalista Massimo Villone: “Qui non si tratta di lettera della Costituzione ma di sostanza: come si può definirlo rappresentativo? E che immagine darebbero i parlamentari autotutelandosi quando milioni di italiani mettono in pericolo la propria salute non potendo evitare di uscire di casa per andare al lavoro?”.

Precedenti pericolosi: l’allarme preoccupato di Andrea Pertici 

 

Il costituzionalista Andrea Pertici

Il costituzionalista Andrea Pertici

Molto preoccupata l’analisi del costituzionalista Andrea Pertici, uno dei pochi costituzionalisti ‘di sinistra’ rimasti. “Il voto a distanza – spiega – sarebbe un precedente incredibile e pericoloso, ma anche l’uso e abuso dei dpcm in luogo dei decreti legge lo è. Viviamo in un periodo in cui servono decreti legge: questi vanno presentati alle Camere il giorno stesso della loro emanazione e le Camere – da sottolineare che l’obbligo vale anche se queste venissero sciolte – devono riunirsi entro 5 giorni per convertirli”

la stampa

Pertici intervistato da La Stampa

In un’intervista al quotidiano La Stampa, Pertici stigmatizzava, pochi giorni fa, non solo l’idea del ‘voto a distanza’, ma anche quella, passata come se niente fosse, con il plauso e il consenso di tutti i gruppi politici, della convocazione delle Camere a ranghi ridotti dopo un accordo tra i gruppi per dimezzare i presenti ed evitare contatti ravvicinati. “Un precedente pericoloso“, secondo Pertici, come pure la convocazione dell’aula un solo giorno a settimana in un periodo di emergenza: Il voto di oggi (cioè di mercoledì 11 marzo, ndr.) lascia certamente molto perplessi. È ciascun parlamentare a rappresentare la Nazione e quindi nessuno può essere escluso dal partecipare. Il dovere di rappresentare la Nazione non viene meno con l’emergenza sanitaria, ancorché molto grave. Giustissimo che si adottino misure adeguate, ma senza privare i parlamentari del loro ruolo istituzionale. Per giunta, se la rappresentanza è ritenuta adeguata con 350 deputati e 161 senatori, come potrà qualcuno che ha condiviso questa decisione sostenere che sono troppo pochi i 400 deputati e 200 senatori elettivi previsti dalla riforma costituzionale?” si chiede con un occhio rivolto anche al referendum costituzionale che, come abbiamo visto prima, è ‘passato in cavalleria’.

In merito alle ‘voci’ di chiusura del Parlamento, Pertici si augura che si tratti di “una voce infondata. Lo stop sarebbe impraticabile. La Costituzione assicura alle Camere continuità. Perfino quando queste sono sciolte sono prorogati i loro poteri finché non si riuniscono le nuove. E, proprio rispetto ai decreti legge che il Governo adotta per fronteggiare i casi straordinari di necessità e urgenza, come questo, le Camere devono riunirsi, sempre, anche se sciolte, entro cinque giorni dall’adozione. È assicurata la convocazione, se del caso, perfino dal Presidente della Repubblica».

Mattarella

Il presidente della Repubblica Mattarella Sergio

Riducendo così tanto l’attività – continua Pertici – il Parlamento sembra  abdicare alle proprie funzioni, rinunciando al proprio ruolo. Si discute della centralità del Parlamento, ma poi, a fronte di un’emergenza, si pensa di metterlo da parte”. Più in generale, l’opinione di Pertici – che condividiamo parola per parola e che ci convince più di tutte le altre opinioni dei costituzionalisti – è che “la nostra Costituzione non consente nessuna strozzatura delle regole democratiche, neppure per un’emergenza. L’unica deroga all’ordinario equilibrio tra poteri è il decreto legge, che consente al Governo di intervenire con atti legislativi, normalmente spettanti al Parlamento, naturalmente nei limiti della Costituzione. È con questo strumento che, ad esempio, il Governo può limitare la libertà di circolazione. I decreti legge producono subito i loro effetti, ma devono essere trasmessi il giorno stesso alle Camere che possono controllarli e correggerli: anche per questo non possono chiudere. Ma più in generale è proprio nell’emergenza che le istituzioni devono essere massimamente impegnate. E quella più rappresentativa, il Parlamento, espressione di maggioranza e opposizione, deve farlo in modo particolare, controllando il Governo, appunto”.

 

L’abuso dei dpcm. Il parere di Clementi: “meglio il decreto legge”

il costituzionalista Francesco Clementi

Il costituzionalista Francesco Clementi

 

Ma se la discussione sul ‘voto a distanza’ può sembrare una discussione oziosa, da maniaci di diritto costituzionale, la ‘legiferite’ prodotta dai dpcm (decreti del Presidente del Consiglio) – ormai noti in tutt’Italia, ma fino a ieri del tutto ignoti – una ‘legiferite’ che ha contagiato il governo alla stregua di un virus da ‘decisionismo’ spinto pone altrettanti, e problematici, interrogativi che praticamente nessuno si pone. Solo il costituzionalista Francesco Clementi ha scovato una piccola ‘toppa’ per cercare di coprire ‘il buco’: di fatto, meglio adottare un decreto legge che un dpcm.

Il punto di partenza di Clementi è che: “per prevenire il coronavirus nel nostro Paese, il Governo ha progressivamente approvato una serie di provvedimenti di emergenza, attraverso l’utilizzo di quattro fonti di diverso rango: tre decreti-legge; tre decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (d.p.c.m.); una delibera del Consiglio dei Ministri ed un’ordinanza del Ministro della salute”.

In sé – ragiona Clementi sulle pagine del Sole 24 ore del 12 marzo – provvedimenti emergenziali non sono una novità e lo «stato di eccezione» è uno dei concetti più studiati nel diritto che ha visto una straordinaria espansione di quelle fonti di secondo grado che, come le ordinanze amministrative fondate sull’urgenza, sono oggi fonti normative rilevanti”. Ma se, anche in Italia – continua Clementi – siamo davanti a un potere extra ordinem del Governo, cioè a una normalizzazione amministrativa dell’emergenza, ciò è tollerabile solo laddove non è possibile adottare, per ragioni diverse e contingenti, quello strumento normativo ad hoc che la Costituzione prevede, all’art. 77, proprio «in casi straordinari di necessità e di urgenza», cioè il decreto-legge”.

Insomma, Clementi eccepisce che usare, in luogo del decreto legge, già provvedimento in teoria ‘straordinario’ “una fonte normativa di rango secondario, il dpcm, per limitare le libertà costituzionali come la libertà di circolazione sull’intero territorio nazionale è quantomeno problematico”.

Presidente Mattarella

Il Presidente Mattarella

 

“Una scelta del genere, quella dell’abuso dei dpcm, nonostante l’uso distorto che negli anni si è fatto del decreto-legge da parte di tutti i Governi – spiega Clementi rappresenta un serio problema perché degrada e svilisce le libertà costituzionali a un livello che non meritano. Infatti, secondo il criterio di gerarchia delle fonti, nel decreto legge vi è la garanzia suprema di un atto che, proprio per la sua delicatezza, passa nelle mani (e negli occhi) del Capo dello Stato quanto del Parlamento, chiamato alla sua conversione”. Per Clementi, molto meglio sarebbe la scelta, da parte di Parlamento e governo, di convertire dei decreti-legge e non dei d.p.c.m., senza dire che, ove le Camere fossero impossibilitate a svolgere la propria funzione (causa, appunto, la loro ‘non’ convocazione), il decreto legge si può ‘reiterare’, da parte del Governo, mentre il dpcm non si può.

Questioni di lana caprina? No, ne va dei diritti costituzionali di tutti noi…

 


 

NB: questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2020 sul sito di notizie Tiscali.it