Speciale Primarie Pd/4. Sfida a tre (Zingaretti, Martina, Giachetti) con ansia partecipazione e quorum in Assemblea

Speciale Primarie Pd/4. Sfida a tre (Zingaretti, Martina, Giachetti) con ansia partecipazione e quorum in Assemblea

3 Marzo 2019 0 Di Ettore Maria Colombo

Primarie Pd, oggi si vota. La sfida è a tre (Zingaretti, Martina, Giachetti), ma i problemi sono due: la partecipazione e chi otterrà, se ci riuscirà, più del 51% dei voti nei gazebo

 

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Giachetti, Martina e Zingaretti. Il “trio” in corsa per le primarie PD

 

Oggi, 3 marzo, si tengono in tutt’Italia (principalmente nei 7000 circoli del Pd, ma anche in molti gazebo messi nelle varie città per l’occasione) le primarie aperte del Pd. Vuol dire che potranno parteciparvi, oltre agli iscritti, anche i semplici elettori e simpatizzanti del Pd e del centrosinistra a patto di versare un piccolo obolo (dai 2 euro in su) e sottoscrivere la ‘Carta degli intenti’ del Pd.

A questi tre link trovare tre ritratti e tre interviste ai tre candidati in lizza scritti per questo blog:

Nicola Zingaretti (Speciale primarie Pd/1. Chi è Nicola Zingaretti, da dove viene, chi lo appoggia e un’intervista )

Maurizio Martina (Speciale primarie Pd/2. Chi è Maurizio Martina, da dove viene, chi lo appoggia e un’intervista )

Roberto Giachetti (Speciale Primarie Pd/3. Chi è Roberto Giachetti, da dove viene, chi lo sostiene e un’intervista )

Per chi volesse approfondire diversi temi che riguardano il Pd e le primarie consiglio di consultare lo speciale “Pacchetto Pd”, articoli tutti rintracciabili sempre su questo blog, di cui indico l’ultimo (Pacchetto Pd 13. Zingaretti vince tra gli iscritti, ma scoppia il caso dei “signori delle tessere” ).

Chi può votare alle primarie del Pd e come si vota

 

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Militanti del Pd in fila per votare ai gazebo per le primarie

 

Possono votare tutti i cittadini italiani, sia quelli iscritti alle liste elettorali delle elezioni politiche, sia studenti fuori sede, purché muniti di documento di riconoscimento valido(carta d’identità o passaporto), i cittadini compresi tra i 16 e i 18 anni che, invece, non possono votare alle Politiche, e icittadini, comunitari ed extracomunitari, residenti in Italia, a loro volta muniti di documento di riconoscimento. E’ previsto il voto anche per i cittadini italiani residenti all’estero, tanto che sono stati allestiti ben 163 seggi esteri.Sono, invece, ben 35 mila i volontari e militanti del Pd che daranno una mano al partito per regolare il voto nei gazebo e, ovviamente, per scrutinare le schede.

Si vota, dalle ore 8 del mattino alle 8 della sera di oggi, tracciando un unico segno su una delle liste (sono diverse) che sostengono uno (e solo uno) dei tre candidati che hanno passato la prima selezione, quella del voto tra gli iscritti, cioè Nicola Zingaretti, Maurizio Martina, Roberto Giachetti.

 

Un meccanismo un po’ contorto. L’Assemblea nazionale

 

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Il cartello all’entrata dell’Assemblea nazionale del Pd

 

In realtà – anche se è un tecnicismo, va spiegato bene – ‘non’ si vota direttamente il candidato ma una lista di delegati che sostengono la sua mozione e che andranno a comporre la nuova Assemblea congressuale del Pd (mille i delegati), che, al momento della convocazione della nuova Assemblea, eleggeranno il nuovo segretario. Si tratta, quindi, in realtà, di un’elezione indiretta (come quella del presidente degli Usa) e non di un’elezione diretta, immediatamente dentro le urne.

Il nuovo segretario, infatti, non verrà proclamato immediatamente, cioè la sera stessa del voto, ma dovrà attendere la convocazione della nuova Assemblea nazionale (1000 delegati la platea congressuale) che decreterà l’elezione del nuovo segretario del Pd. Quindi, il vero obiettivo di ogni candidato non è avere più voti popolari degli altri ma più ‘Grandi elettori‘ (i delegati in Assemblea): la maggioranza di sicurezza è fissata, dunque, a 501 delegati, ma questa cifra non corrisponde al 51% dei voti assoluti. Infatti, per un complicato meccanismo di calcolo che riguarda l’elezione dei delegati in Assemblea, di fatto solo chi si assicura il 53-54% dei voti ‘reali’ nei gazebo ha la certezza di avere, dentro l’Assemblea nazionale, la maggioranza assoluta dei delegati (501 su 1000).  

Ecco perché, se prendere il 53,-54% dei voti assicura una vittoria piena (secondo i calcoli di chi ci capisce la percentuale esatta per avere 501 delegati è il 53,5% dei voti per un complicato meccanismo che, come vedremo, riguarda ‘i resti’) uno dei candidati finirà sotto, ovviamente, cioè al 49%, ma anche poco sopra il 50% dei voti nei gazebo, il voto dell’Assemblea nazionale diventerà dirimente, nel senso che potrebbe verificarsi di tutto. Compresa la possibilità – teorica e che non si è mai verificata, ma possibile e prevista dallo Statuto – che i delegati delle due mozioni congressuali battute nel voto reale sovvertano il risultato dei gazebo. Un esempio: Zingaretti (49% dei voti) viene battuto dalla somma dei delegati delle mozioni Martina (35%) e Giachetti (15%) perché la somma dei due candidati sconfitti nelle urne ha il 51% dei delegati…

 

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Gianni Dal Moro, presidente della commissione Congresso del Pd

 

“La macchina organizzativa sta dimostrando una tenuta straordinaria” spiega il presidente della Commissione congresso, l’onorevole Gianni Dal Moro, anche se i seggi allestiti oggi sono il 15% in meno dell’ultima volta (2017). Commissione che, nella sua ultima delibera, ha stabilito anche quali saranno i componenti di dirittodella nuova Assemblea nazionale, oltre i 1000 eletti alle primarie. Tra questi, a patto che siano ancora iscritti al Pd, figureranno gli ex segretari, gli ex segretari dei partiti fondatori, il presidente e il tesoriere uscenti, gli ex premier, i capigruppo parlamentari, i ministri e commissari Ue, i presidenti ed i vicepresidenti di Camera e Senato e del Parlamento Ue.

 

Lo Statuto del Pd e due, diversi, modelli di partito

 

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Il primo leader e fondatore del Pd Walter Veltroni

 

Le primarie di oggi del Pd potrebbero, dunque, almeno teoricamente non essere il passaggio definitivo per eleggere il nuovo segretario. Lo Statuto del partito prevede infatti un ‘terzo tempo’ nel caso in cui nessuno dei tre candidati dovesse riuscire ad avere la maggioranza assoluta dei voti ai gazebo. Un’ipotesi però che non si è mai verificata nei tre precedenti congressi, quando il voto dei militanti è stato sempre risolutivo. Ma lo Statuto voluto e approvato all’epoca di Walter Veltroni, quando il Pd è nato (2007) e che è stato scritto da due costituzionalisti, Stefano Ceccanti (oggi deputato dem) e Salvatore Vassallo, ha voluto salvaguardare due principi e tenerli insieme: la forma partito tradizionale, in cui a decidere sono gli iscritti, e il modello aperto all’americana, dove la parola finale è degli elettori con tanto di modello ‘americano’, secondo il quale la parola finale spetta all’Assemblea che dovrebbe rappresentare, trasporta, l’Assemblea dei Grandi elettori negli Usa. 

Il ‘doppio’ turno e come si calcolano i delegati in Assemblea

 

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Maurizio Martina parla all’Assemblea nazionale del Pd

 

Il congresso, dunque, ha una prima fase riservata ai soli iscritti che selezionano i tre candidati che poi si misureranno alle primarie aperte a tutti i militanti. In questa prima fase, i candidati erano sei, ma solo tre di essi hanno passato la selezione del primo step congressuale. Si tratta di Nicola Zingaretti, Maurizio Martina e Roberto Giachetti che hanno ottenuto rispettivamente il 47,95%, il 36,53% e l’11,23% sui 189.023 tesserati che hanno votato (il 50,43%dei 374.786 iscritti al Pd).

Ma partecipare alla prima fase non è così semplice, visto che occorreva raccogliere 1.500 firme in almeno 5 Regioni, cosa che erano riusciti comunque a fare anche gli altri tre candidati (Francesco Boccia, Maria Saladino Dario Corallo), esclusi dalle primarie aperte perché rimasti sotto il 5%.

I tre candidati che hanno passato il ‘primo turno’ hanno dovuto superare un altro ostacolo organizzativo: trovare ciascuno mille candidati per l’Assemblea nazionale. Alle primarie, infatti, si vota per il segretario, ma anche per eleggere i mille delegati dell’Assemblea nazionale nei 170 collegi in cui il Pd ha diviso l’Italia. A ciascun candidato è collegato quindi, in ogni collegio, un listino bloccato di candidati all’Assemblea (non si possono, cioè, esprimere preferenze né dare un voto di genere) che vengono eletti seguendo un metodo di calcolo assai complicato. Si tratta, in buona sostanza, di un meccanismo proporzionale, simile a quello in uso nella Prima Repubblica per calcolare i seggi del Senato, che fonde due elementi per determinare i seggi in un mix ponderato tra i risultati delle ultime Politiche del Pd (quindi quelle del 4 marzo 2018) e il computo delle regioni più popolose in termini di abitanti, che, di conseguenza, assegnano più seggi. Insomma, il voto a un candidato delle regioni più popolose e dove il Pd ha preso più voti (in questo caso, le regioni del Centro Italia e, in parte, del Nord) ‘pesano’ di più di quelle del Sud e Isole.

Inoltre, viene anche considerata la questione dei ‘resti’: un candidato che non ce la fa in prima battuta, nel suo collegio, può essere recuperato, a livello provinciale, con i resti. Ecco perché, per avere la sicurezza di avere 501 delegati in Assemblea occorre vincere con almeno il 53,5% dei voti

 

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Il logo della Convenzione nazionale del Pd

 

Ed ecco perché, qualora ai gazebo nessuno dei tre sfidanti dovesse ottenere la maggioranza assoluta dei consensi, sarebbero i 1.000 delegati dell’Assemblea nazionale ad eleggere il nuovo segretario, nomina che dovranno, in ogni caso, convalidare, pena la nullità del risultato. E, appunto, almeno teoricamente, il più candidato più votato dai militanti potrebbe poi non essere eletto segretario dai delegati dell’Assemblea. Tuttavia, questa circostanza non si è mai verificata e il candidato più votato nei circoli ha sempre avuto anche la maggioranza assoluta nei gazebo.

 

Le precedenti primarie del Pd e quelle del centrosinistra

 

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L’ingresso di un circolo del Pd

 

Alle prime primarie del Pd, tenute nel 2007, atto fondativo del nuovo partito, su 3.554.169 votanti, Walter Veltroni si impose su Rosy Bindi ed Enrico Letta con il 75,8% dei voti.

Nel 2009 Pierluigi Bersani vinse su Dario Franceschini Ignazio Marino con il 53,2% dei voti su3.102.709 votanti; nel 2013 Matteo Renzi sconfisse Gianni Cuperlo Giuseppe Civati con il 67,5% dei voti su 2.814.881 votanti; nel 2017 ancora Renzi superò di gran lunga sia Andrea Orlando che Michele Emiliano con il 69,2% dei voti su un totale di 1.838.938 votanti.

 

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Romano Prodi, ex premier e fondatore dell’Ulivo

 

Un caso diverso e ‘speciale’ sono state, invece, le primarie del centrosinistra che si sono tenute solo due volte: nel 2005, le prime, quando Romano Prodi superò di gran lunga gli altri concorrenti, a partire da Fausto Bertinotti, su una platea (mai realmente certificata) di 4 milioni 300 mila votanti. 

Nel 2012 si tennero le seconde, quando sempre Bersani – che poteva anche non farle perché lo Statuto del Pd prevedeva la coincidenza automatica tra segretario e candidato premier – si impose contro gli altri contendenti, che erano Matteo Renzi, Nichi Vendola e Bruno Tabacci con il 44,9% contro il 35,5% di Renzi al primo turno e il 60,9% al secondo turno contro il 39,1% di Renzi su un totale di votanti che fu di1.395.096 votanti al primo turno e di 1.706.457 votanti al secondo turno. Unico caso, peraltro, in cui le primarie si tennero sull’arco di due turni.

Ma, in entrambi questi due ultimi casi, si trattava di scegliere, appunto, il candidato premier alle seguenti elezioni politiche (nel 2005 fu Prodi, a capo dell’Unione, nel 2013 fu Bersani, a capo della coalizione Italia Bene Comune: il primo vincente, il secondo sconfitto) e non, semplicemente, il leader del Pd come tutte le altre volte. Tecnicamente, dunque, le elezioni primarie per il segretario del Pd si sono svolte in 4 occasioni: 2007 (Veltroni), 2009 (Bersani), 2014 (Renzi), 2017 (Renzi). 

 

Il cruccio della partecipazione. Asticella fissata a un milione

 

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I candidati alle Primarie del Pd 2019

 

Da tenere a mente, in ogni caso e qualsiasi sia il risultato, che uno dei problemi principali delle primarie di domenica sarà di certo la partecipazione. L’asticella è stata fissata, da tutti i contendenti, a un milione di voti, almeno per non sfigurare: se i votanti fossero di meno, l‘affluenza verrebbe indicata come un flop, dal milione in su sarebbe, invece, un successo, anche se l’ultima volta, nel 2017, quando Renzi vinse su Orlando Emiliano, a votare furono 1 milione e 800 mila.

 

I tre contendenti: tre campagne elettorali diverse tra loro

 

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Martina Zingaretti e Giachetti

 

Le tre campagne elettorali dei tre candidati si sono chiuse in modo assai diverso, ieri, sabato 2 marzo. Nicola Zingaretti e Maurizio Martina hanno partecipato alla manifestazione “People” che si è tenuta a Milano e che, indetta da un vasto arco di associazioni anti-razziste, ha visto un enorme afflusso di gente (250 mila persone). Entrambi hanno detto che “qui c’è tutto il Pd”. Ma non è così.

Roberto Giachetti, infatti, ha chiuso la sua campagna elettorale a Roma, in un teatro, facendo salire sul palco Carlo Calenda, promotore del manifesto ‘Siamo europei’, e ha ribadito che “se il Pd fa l’alleanza con il M5S io tolgo il disturbo”. Da sottolineare anche l’altra polemica che ha caratterizzato la campagna congressuale di Giachetti, quella contro gli “scappati di casa” (sarebbero gli ex ‘cugini’ di Mdp di Bersani, D’Alema e Speranza) cui Giachetti vuole sbarrare la porta, altrimenti, se rientrano, se ne andrebbe.

Giachetti ha giocato molto della sua campagna elettorale sui social, Martina e, soprattutto, Zingaretti hanno preferito gli incontri pubblici e le iniziative aperte, andando in tutt’Italia. 

Giachetti Zingaretti voteranno a Roma, ma in due seggi diversi (il primo a Monteverde, in suo quartiere, il secondo in piazza Mazzini), Martina in un seggio a Bergamo. Martina attenderà i risultati nella sede del Pd, al Nazareno. Giachetti al suo comitato, in via dei Delfini, e Zingaretti in un locale che si chiama Domus “Circo Massimo”, forse presagendo la vittoria che tutti i sondaggi gli accreditano.

Certo è che, se non fosse per l’adesione al manifesto ‘calendiano’ che tutti e tre hanno firmato, anche così si vede quanto e come i tre candidati siano stati distanti e diversi. Non solo fisicamente.

 

I big del Pd e fuori dal Pd si sa già per chi votano

 

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L’ex ministro Carlo Calenda

A proposito di Calenda, anche lui si è deciso: forse voterà, ma di certo farà lo scrutatore – compito umile e, di solito, riservato ai militanti – al seggio di piazza del Popolo a Roma. “Più siamo, meglio è per l’Italia”, dice l’ex ministro. Anche l’ex sindaco di Milano, e di Campo progressista, Giuliano Pisapia, ha fatto il suo appello al voto (“Io voto e invito a votare”), ma già si sa che Pisapia voterà per Zingaretti. Stessa cosa ha annunciato di voler fare Enrico Letta, che andrà a votare pur non avendo più, da anni, la tessera del Pd in tasca, mentre Romano Prodi e Walter Veltroni si sono limitati a invitare “tutti” gli iscritti e gli elettori dem alla “partecipazione”, ma i beni informati dicono che anche i loro favori saranno per ‘Zinga’. Gesto che Prodi, ieri, ha esplicitato in un’intervista a Avvenire:“Al Pd serve un padre e Zingaretti potrebbe esserlo”.

Prodi voterà a Bologna, al gazebo di via Orfeo, in tarda mattinata dopo aver partecipato alla messa delle 11. L’appello dell’ex premier, e fondatore dell’Ulivo, è quello, in ogni caso, come dice, di “andare ai gazebo perché l’unico cambiamento può darlo un Pd” che ha “tardato troppo” nella scelta del leader, ma ora serve “andare in tanti a votare per dare forza e sicurezza al nuovo segretario”.

 

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Matteo Renzi ex Premier del Pd

 

E Renzi? Voterà a Firenze, al circolo ‘Vie nuove’, e anche se non dice per chi tutti sanno che voterà per Giachetti. L’ex premier sottolinea: “Mi fa piacere che tutti e tre abbiano escluso accordi con i 5Stelle e ritorni al passato. Chiunque vinca non dovrà temere da parte mia la guerriglia che io ho subito”. Sul tema della partecipazione Renzi dice: “Se votasse meno gente dell’altra volta non significa nulla: il Pd è l’unica forza politica che si affida alla democrazia, altro che piattaforma Rousseau”, come ha scritto nella sua Enews.

 

Chi sta con chi. Le correnti del Pd e chi appoggiano

 

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Maria Elena Boschi e Luca Lotti al Quirinale per il giuramento del governo Gentiloni (AP Photo/Domenico Stinellis)

 

Ma se Renzi voterà il ‘suo’ Giachetti, molti renziani non lo faranno. Il grosso del ‘pattuglione’ degli ex renziani, infatti, da Guerini a Rosato e Giacomelli, si è schierato con Martina. Un dolore speciale, a Renzi, glielo ha dato il suo ormai ex braccio destro, Luca Lotti, che all’Huffington Post ha annunciato: “Renzi non esce, ma nel caso lo facesse io resto”. Lotti su Giachetti dice: “Sono in disaccordo con lui, fa come chi in passato è andato via”. Poi avverte Zingaretti: “No a un Pd brutta copia dei Ds”. Come Lotti, anche molti renziani (Guerini, Giacomelli, Rosato) stanno con Martina

 

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L’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando (Pd)

 

Con Zingaretti sta tutta la sinistra interna (dall’area che fa capo a Andrea Orlando a quella di Gianni Cuperlo), l’area guidata da Dario Franceschini (Area dem), quasi tutti gli ex ministri dei governi Renzi e Gentiloni (Padoan, Pinotti, Poletti, Madia) e l’ex premier Paolo Gentiloni che oggi voterà nel seggio della sua città, Roma, in via Goito, e anche un pezzo di mondo cattolico moderato e centrista. 

 

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Il presidente dell’assemblea nazionale Pd, Matteo Orfini, capofila dell’area dei ‘Giovani Turchi’

Per Martina si sono schierati i Giovani turchi capitanati da Matteo Orfini, il capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, alcuni ex renziani, guidati da Matteo Richetti (in teoria in ticket con Martina ma che con lui ha litigato forte, di recente) e, appunto, tutto il pattuglione degli ex renziani.

 

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Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato

 

Con Giachetti si sono schierati in pochi. I ‘turborenziani’ Sandro Gozi, Ivan Scalfarotto, Luciano Nobili, Michele Anzaldi, il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci, e ovviamente Anna Ascani, che con Giachetti fa ticket, più l’ex ministra Maria Elena Boschi, che voterà nella sua città, Laterina

 

Come è andato il voto tra gli iscritti e gli ultimi sondaggi

 

 

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Un simbolo dei sondaggi

 

Si parte, ovviamente, dai risultati del voto tra gli iscritti, ma le primarie aperte sono una competizione del tutto nuova, nel senso che i voti presi sugli iscritti ‘non valgono’. In ogni caso, stando ai risultati resi noti e ufficializzati alla Convenzione nazionale del Pd del 3 febbraio, nel voto tra gli iscritti Nicola Zingaretti, Maurizio Martina Roberto Giachetti hanno ottenuto, rispettivamente, il 47,95%, il 36,53% l’11,23% sui 189.023 tesserati che hanno votato (il 50,43% del totale, che è, quindi, di 374.786 iscritti).

Per quanto riguarda i sondaggi, Zingaretti è quotato intorno al 55% per Noto (Ipr Marketing), al 48-60% per DemoPolis e al 58% per Emg. Martina al 27% per Noto, al 27-39% per DemoPolis e al 34% per Emg. Giachetti al 18% per Noto, all’8-18% per Demopolis e all’8% per Emg.

Ma oggi, nei gazebo, peseranno solo i voti reali e, prima delle 11 di notte non si saprà chi avrà vinto. 

 


NB: Questo articolo è stato pubblicato in forma originale per questo blog il 3 marzo 2019.