Speciale Primarie Pd/5. Zingaretti stravince su Martina e Giachetti. Come sarà il ‘nuovo’ Pd

Speciale Primarie Pd/5. Zingaretti stravince su Martina e Giachetti. Come sarà il ‘nuovo’ Pd

4 Marzo 2019 1 Di Ettore Maria Colombo

Primarie del Pd/5. Zingaretti stravince, annichiliti gli altri due (Martina e Giachetti). Come sarà il ‘nuovo’ Pd: Barra a sinistra

 

primarie PD 2019

Grande afflusso alle Primarie PD

 

ULTIMISSIMA DALLA COMMISSIONE CONGRESSO DEL PD SUI RISULTATI – ORE 20 DELLA SERA: 

La commissione Congresso del Partito Democratico rende noti i risultati dopo lo scrutinio del 93% dei collegi scrutinati. La partecipazione dovrebbe attestarsi intorno aI 1.600.000 votanti.

Al momento Nicola Zingaretti si attesta tra il 66% e il 66,5% dei consensi; Maurizio Martina tra il 22,5% e il 23%; Roberto Giachetti fra il 12,5% e il 13%. Con un margine di errore di più o meno lo 0,5%. Così si legge in una Nota dell’Ufficio Stampa del Partito Democratico.

 

Prima di analizzare la vittoria e le mosse del nuovo segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ricordo che si sono tenute ieri, 3 marzo, in tutt’Italia (principalmente nei 7000 circoli del Pd, ma anche in molti gazebo messi nelle varie città per l’occasione) le primarie aperte del Pd. Vuol dire che hanno potuto parteciparvi, oltre agli iscritti, anche i semplici elettori e simpatizzanti del Pd e del centrosinistra a patto di versare un piccolo obolo (dai 2 euro in su) e sottoscrivere la ‘Carta degli intenti’ del Pd.

A questi tre link trovare tre ritratti e tre interviste ai tre candidati in lizza scritti per questo blog:

Nicola Zingaretti (Speciale primarie Pd/1. Chi è Nicola Zingaretti, da dove viene, chi lo appoggia e un’intervista )

Maurizio Martina (Speciale primarie Pd/2. Chi è Maurizio Martina, da dove viene, chi lo appoggia e un’intervista )

Roberto Giachetti (Speciale Primarie Pd/3. Chi è Roberto Giachetti, da dove viene, chi lo sostiene e un’intervista )

Per chi volesse approfondire diversi temi che riguardano il Pd e le primarie consiglio di consultare lo speciale “Pacchetto Pd”, articoli tutti rintracciabili sempre su questo blog, di cui indico l’ultimo (Pacchetto Pd 13. Zingaretti vince tra gli iscritti, ma scoppia il caso dei “signori delle tessere” ).

Una vittoria ‘larga’ e indiscutibile, quella di Zingaretti

 

Trionfo per Zingaretti

Un Trionfo per Zingaretti

 

Una vittoria ‘larga’, come il nuovo ‘campo’ che vuole far nascere nel centrosinistra, quella di Nicola Zingaretti. 

Una vittoria schiacciante, nei numeri e nella geografia ‘politica’ che esce dal voto. Una vittoria ‘corale’, per come è lo spirito stesso che il neo segretario vuole imprimere al Pd e una vittoria ‘unanime’, subito riconosciuta, nella notte, dai suoi sfidanti (Martina Giachetti) e anche da Renzi.

I numeri, questa volta (come, però, va detto, anche nel passato) parlano chiaro. Secondo gli ultimi dati (causa la forte affluenza ai seggi, i dati definitivi tardano ad arrivare, in ogni caso si può consultare il sito del Partito democratico a questo indirizzo per avere quelli più aggiornati, man mano che arrivano: https://www.partitodemocratico.it/congresso-2019/), parlano chiaro.

Nicola Zingaretti ha vinto le primarie del Pd con una percentuale tra il 66 e il 67% dei consensi, anche se ancora non sono completi i risultati dello scrutinio nel Sud Italia. Lo scrutinio, infatti, è ancora in corso e solo oggi pomeriggio si riunirà la commissione Congresso del Pd per i dati ufficiali. Al momento Nicola Zingaretti si attesta tra il 66% e il 66,5% dei consensi; Maurizio Martina tra il 22,5% e il 23%; Roberto Giachetti fra il 12,5% e il 13%. Con un margine di errore di più o meno lo 0,5%. Così si legge in una Nota dell’Ufficio Stampa del Partito Democratico.

Le percentuali variano, anche se di poco, rispetto alle cifre fornite dagli stessi candidati: gli ultimi dati, resi noti in nottata da Roberto Giachetti (il che è stata cosa assai curiosa, peraltro…), davano Zingaretti al 66,5%, Martina al17% e Giachetti al 16,5%. Mancano, però, del tutto, i voti assoluti. 

 

La partecipazione al voto eguaglia quella del 2017

Pd_gazebo_primarie

Militanti del Pd in fila per votare ai gazebo per le primarie

 

Un risultato, dunque, inatteso e oltre le più aspettative più ottimistiche, quello delle primarie del Pd, specie sul lato da tutti più temuto, la partecipazione. Infatti, se, anche in maniera tattica, alla vigilia l’asticella era stata fissata al milione di partecipanti, in pochi al Nazareno avrebbero scommesso sul fatto che l’affluenza alle primarie avrebbe facilmente superato il milione e mezzo di partecipanti per insidiare il1,8 milioni di votanti del 2017. In nottata, il presidente della commissione congresso, Gianni Dal Moro, però,  ha confermato che l’affluenza ha superato il milione e 600 mila votanti.

Per il Pd, reduce dalla batosta delle elezioni del 4 marzo, non è affatto poco.

Il comitato Zingaretti si era sbilanciato già in serata, ma lo aveva fatto troppo: “Abbiamo superato il dato dell’affluenza alle primarie del 2017, siamo oltre il milione e ottocentomila elettori”.

In percentuale, il neo-segretario viaggia, in ogni caso, tra il 65 e il 66% dei voti. La somma dei suoi due avversari non riesce neppure ad arrivare al 33% complessivo dei consensi. 

La soglia del 50%, quella che avrebbe rimandato l’elezione all’Assemblea nazionale del 17 marzo, in pratica non è mai stata in discussione. Già dopo le prime 30mila schede, Zingaretti si è attestato sopra il 60%. Secondo i dati reali, ma relativi solo al 10% dei votanti, gli unici ‘ufficiali’ diffusi dal Nazareno, Zingaretti si attesta al 63%, Maurizio Martina al 24,5%, Roberto Giachetti al 12,5%.

Per avere un riferimento immediato, nelle ultime due primarie precedenti, Matteo Renzi era diventato segretario con poco meno del 70% dei voti nel 2017 e con quasi il 68% dei voti nel 2013. Zingaretti dovrebbe non essere molto lontano da quei numeri, ma solo oggi si sapranno votanti e percentuali.

 

Le immediate congratulazioni dei due sconfitti (e di Renzi)

 

Giachetti zingaretti martina

Giachetti, Martina e Zingaretti. Il “trio” in corsa per le primarie PD

 

Con la suspense ridotta all’osso, i due contendenti si sono subito complimentati con Zingaretti per la vittoria. Prima Giachetti e subito dopo Martina. “Zingaretti è il nostro segretario, da oggi lavoriamo fianco a fianco con lui ad una nuova stagione – dice Martina. “Il Pd è in buone mani, si apre una stagione di impegno per tutti noi”. Giachetti sottolinea che “Siamo e restiamo nel Pd, faremo una battaglia di minoranza”.

Tra i primi a complimentarsi anche Matteo Renzi: “Quella di Zingaretti è una vittoria bella e netta. Adesso basta col fuoco amico: gli avversari politici non sono in casa ma al governo. Al segretario Zingaretti un grande in bocca al lupo. A Maurizio, Bobo e a tutti i volontari grazie. Viva la democrazia”, scrive su Renzi Twitter.

L’appello notturno di Zingaretti nel commentare la vittoria

 

Zinga nuovo segretario PD

Il nuovo Segretario del PD Nicola Zingaretti. (ANSA/ANGELO CARCONI)

 

“Invito tutti gli italiani e le italiane: venite nel nostro partito. C’è bisogno di voi. Voltiamo pagina. Ognuno – dice Zingaretti dal palco nel suo primo discorso da segretario, quello che tiene, visibilmente emozionato, nella notte, dalla sede del suo comitato elettorale – con dentro il cuore e le proprie radici che non dobbiamo rinnegare. Venite con dentro il cuore le vostre radici raccontando con orgoglio le stagioni più belle della vostra storia: l’Ulivo di Prodi, la nascita del Pd, l’impegno di tutti i nostri governi che ci hanno salvati dalla bancarotta. Io farò di tutto per essere all’altezza.

E essere all’altezza vorrà dire sapere ascoltare e sapere decidere. Apriremo una nuova fase costituente per un nuovo Pd che dovrà avere dei segnali chiari per far contare di più le persone”. Un Pd che, scandisce Zingaretti, deve sapere offrire “un’altra strada rispetto al governo gialloverde. Da oggi noi non vogliamo solo contestare l’avversario, o solo fare opposizione, ma siamo qui convinti di poter mettere in campo idee migliori per gli italiani rispetto a questo governo illiberale e pericoloso”.

 

Il ‘passato’, a partire dal renzismo, da lasciarsi alle spalle

 

renzi ha votato

Renzi ha votato alle Primarie del PD per il nuovo segretario

 

Il passato – a partire dalla stagione del renzismo – va gettato alle spalle perché, si ragionava ieri sera al comitato di Zingaretti, il successo inaspettato di queste primarie si spiega anche con una richiesta esplicita di discontinuità.E anche con la volontà dei partecipanti di rispondere alla ‘chiamata’ del governatore, che ha voluto presentare queste primarie come “primarie per l’Italia” e non “per il Pd”, riuscendo così ad allargare il campo e la partecipazione.

“Ricostruzione sentimentale con un bagaglio di valori, emozioni, sedimentazioni culturali profonde. “Partigiani”, “disoccupati”, “femministe”, “l’appello al meglio della intellettualità italiana”, il porsi come l’interprete di una comunità e non come un capo sono stati i suoi mantra” commenta l’Huffington Post. “È solo l’inizio – continua a scrivere Alessandro De Angelis – ma sembra una rivoluzione copernicana, rispetto al Pd di questi anni. Il passaggio dalla cultura del conflitto – “noi” e “loro” – a quella del “patto” come chiave per costruire una alternativa: patto tra lavoro, cultura, impresa, con la politica chiamata a far camminare le idee sulle gambe degli uomini, attraverso una alleanza larga e radicata nella società è la ‘filosofia’ del neo-segretario che chiede, con la voce emozionata e la sua ormai ‘simpatica’ zeppola, nel discorso di ringraziamento – “un nuovo Pd, una nuova alleanza, un campo nuovo e largo. Unità e ancora unità. Cambiamento, ancora cambiamento”.

“Basta con l’opposizione dei popcorn, per richiamare alla mente l’immagine evocata da Matteo Renzi quando è nato il governo gialloverde” scrive Angela Mauro, sempre sull’Huffington Post. Via ad un Pd che esce dalla sua ‘torre d’avorio’ e comincia a incontrare periodicamente il sindacato, le associazioni, le realtà della società civile, attraverso dei forum tematici istituiti ad hoc ed affiancati ai dipartimenti del partito. Disegnare il nuovo Pd con una mission: cesura netta col passato”.

 

La ‘buona domenica’ del segretario in pectore

 

Zingaretti_Montalbano

Salvo Montalbano, ovvero Luca Zingaretti

 

Dopo aver parlato di ambiente, sicurezza, lavoro, Zingaretti dedica la sua vittoria a Greta, la ragazza svedese che si batte per “la salvezza del pianeta”, ai “5 milioni di poveri”, ai giovani disoccupati.

E a Matteo Salvini che parla di voti dimezzati alle primarie in 10 anni, Zingaretti ribatte lasciando per un attimo i soliti toni soft: “Salvini? Si vede che gli rode, non si aspettava quasi due milioni di persone… Quando Salvini fa queste dichiarazioni sono sereno”. Poco dopo le 11 Zingaretti aveva lasciato il comitato diretto a casa, che sta nel quartiere Prati a Roma.

Chiude la giornata, partita dal voto al gazebo di piazza Mazzini e dal pranzo al mare a Maccarese con la famiglia e il fratello Luca, famoso attore di cinema interprete della serie tv l commissario Montalbano. Da oggi comincia la sua sfida in un Pd in cui i sostenitori di Renzi si sono rivelati minoranza ai gazebo, date le percentuali di Martina Giachetti e restano forti solo nei gruppi parlamentari, a trazione renziana.

 

Le prime mosse del nuovo segretario: Sì Tav e sì Cgil

 

sergio chiamparino

Sergio Chiamparino, governatore della Regione Piemonte

 

Ma se sarà il caso di analizzare, più avanti, i risultati nel loro complesso, per capire l’entità della vittoria, è meglio dire subito quali saranno le prime mosse di Zingaretti.

L’esordio del nuovo segretario, infatti, con una mossa spiazzante, è stato, ieri, a Torino, e lo sarà di nuovo il 15 marzo, quando sarà in piazza con gli ambientalisti, per ribadire il suo Sì – per nulla scontato, peraltro – alla costruzione della Tav.

Zingaretti oggi è andato trovare il ‘collega’ governatore Sergio Chiamparino, ‘capitano’ dei ‘Sì Tav’ in Piemonte e ricandidato presidente alle regionali del 26 maggio. Appuntamento cruciale, quest’ultimo, perché si tiene lo stesso giorno delle europee: due test in uno per la nuova segreteria Zingaretti. L’annuncio della sua presenza a Torino arriva lo stesso giorno di Luigi Di Maio, sempre più in difficoltà sulla Tav, cercherà di ‘rappattumare’ la giunta Appendino che pencola di parecchio.

Zingaretti vuole aiutare la campagna di Chiamparino e insieme tracciare il primo connotato del nuovo Pd per il sì alla Tav, tema diventato ormai simbolo delle divisioni nel governo gialloverde, esempio di tutti i cantieri da sbloccare per far ripartire gli investimenti e l’economia del Paese. Il segretario è e resta dell’idea che sarebbe un bene istituire dei commissari ad hoc per rilanciare le opere pubbliche: degli ‘addetti ai cantieri’, si può così, per snellire le pratiche burocratiche.

 

Greta Thunberg

Greta Thunberg

 

L’altra notte, nel celebrare la vittoria, Zingaretti ha fatto solo due citazioni: una era Aldo Moro, l’altra è stata dedicare la vittoria a Greta Thunberg, punto di riferimento della protesta studentesca europea sui cambiamenti climatici. E così, per il 15 marzo, il Pd di Zingaretti ha messo in agenda la sua prima manifestazione di piazza: al fianco degli studenti per nuove politiche ambientaliste.

Ma Zingaretti ha anche deciso di tenere incontri periodici con il sindacato, a partire – ovviamente – dalla Cgil, oggi guidata dal nuovo leader – altrettanto ‘di sinistra’– Maurizio Landini e ripristinare, se non la vecchia ‘cinghia di trasmissione’ che esisteva tra Pci Cgil, un rapporto di certo più stretto e per nulla conflittuale con la principale – e più ‘rossa’ – organizzazione sindacale del Paese, la Cgil.

 

La due diligence sui conti: via Bonifazi, dentro Misiani

 

Francesco_Bonifazi_Pd_tesoriere

Il tesoriere del Pd, Francesco Bonifazi

 

Poi, per passare agli assetti interni, subito una due diligence sui conti del Pd: l’attuale tesoriere, Francesco Bonifazi, renzianissimo, verrà ‘licenziato’ e, a subentrargli, sarà Antonio Misiani, che già aveva ricoperto quell’incarico nella segreteria Bersani.e che oggi milita nell’area di Orlando

Come mai? Raccontano che, nelle ultime settimane, al Nazareno, non si riuscivano a trovare nemmeno le risorse per affittare la sala per l’Assemblea del 17 marzo. Alla fine, sono stati trovati e si terrà all’Ergife. Ma, ecco, c’è da fare chiarezza sul bilancio, dicono dallo staff del governatore.

E poi insediamento al Nazareno, certo, ma solo dopo l’Assemblea nazionale che, il 17 marzo, lo incoronerà segretario formalmente. Attento a ogni singola mossa, ieri notte il governatore del Lazio ha fatto un punto con i suoi. E’ intenzionato a non farsi vedere alla sede del Pd prima della proclamazione ufficiale a segretario, che avverrà, appunto, con l’Assemblea nazionale del 17 marzo. Sostanzialmente, non vuole fare come Renzi che, la sera delle sue ultime primarie, il 30 aprile 2017, salì subito sul terrazzo del Nazareno per fare il primo comizio su un palchetto preparato per l’occasione, circondato dai suoi. Zingaretti non lo farà. Aspetterà la proclamazione ufficiale dell’Assemblea, sebbene si tratti odi una formalità dopo la percentuale con cui ha vinto le primarie.

 

Le candidature alle Europee e le possibili alleanze

 

Carlo_Calenda_Pd

L’ex ministro Carlo Calenda

 

Infine, naturalmente, testa tutta concentrata sulle elezioni europee del 26 maggio. Zingaretti aspetterà di avere in mano i pieni poteri, poi inizierà un giro di incontri con diverse formazioni politiche che gravitano nell’orbita del centrosinistra (+Europa di Della Vedova e Bonino, i Verdi, Italia Bene Comune del sindaco di Parma Federico Pizzarotti) per dare vita a quel ‘listone’ che dovrebbe, appunto, allargare il ‘campo’ del Pd a tutto il centrosinistra.

Nei sondaggi il suo partito è dato in costante calo: l’ultimo elaborato dallo stesso Europarlamento lo inquadra sulla soglia critica del 17%. Per questo, sulle elezioni europee di maggio, l’idea già c’è ed è quella di ‘allargare il campo’, ma a una condizione: il Pd sarà perno di questa operazione.

E’ un messaggio per Carlo Calenda, l’ex ministro allo Sviluppo Economico da tempo attivo per la costruzione di un listone unico europeista. Ecco, per Zingaretti l’idea è di allargare la lista del Pd a molte new entry che oggi stanno in quella che viene sembra definita come ‘la società civile’.

Ma altra cosa è, invece, la richiesta di Calenda, ribadita anche oggi, un’intervista di ‘comprendere’ il logo del Pd – e pure di scriverlo “in piccolo” – sotto un logo più grande, il suo “Siamo Europei”. Una rinuncia, quella che dovrebbe fare il Pd, a nome e a simbolo che, a oggi, sembra davvero eccessiva. 

Tra i candidati alle prossime elezioni europee, si parla insistentemente di un posto, già prenotato, per l’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, come capolista del Nord Ovest, di una donna, Ilaria Cucchi, al Centro, e naturalmente di un posto, sempre da capolista, all’ex ministro Carlo Calenda, ideatore del manifesto ‘Siamo Europei’, che dovrebbe avere una candidatura nel Nord Est (o al Centro), area geografica dove però si parla anche di una candidatura del filosofo Massimo Cacciari.

 

alessio pascucci

Alessio Pascucci, sindaco di Cerveteri

 

Ma dei posti ci dovrebbero essere anche per alcune figure legate alle battaglie anti-razziste e favorevoli all’integrazione dei migranti come Alessio Pascucci, sindaco di Cerveteri, uno dei primi cittadini solidali con Mimmo Lucano, il sindaco di Riace indagato e allontanato dal suo paese in Calabria per il presunto reato di favoreggiamento dell’immigrazione.

Ad ogni modo, per Zingaretti, solo alla fine di questa tessitura di molteplici rapporti si deciderà se presentare una lista del Pd oppure una lista in cui il simbolo del Pd figuri in piccolo. Insomma, il simbolo non è un dogma, dicono i suoi, l’importante è costruire la rete e “con chi ci sta”.

 

La nuova segreteria e la nuova Direzione del Pd

 

primarie pd

La segreteria non sarà “unitaria”

 

Infine, la segreteria. Dati i risultati, non sarà ‘unitaria’ (non vi sarà, cioè, alcun posto, tantomeno da vicesegretario, per Maurizio Martina), ma nascerà tutta con esponenti delle varie correnti (Orlando, Cuperlo, Franceschini, Gentiloni) che hanno appoggiato, dall’inizio, la sua corsa.

Come vicesegretario è difficile che il vero braccio destro di Zingaretti, Massimiliano Smeriglio, oggi vicepresidente della Regione Lazio, venga subito promosso a tale incarico, anche perché, almeno in teoria e fino a oggi, non è mai stato iscritto al Pd ma prima al Prc, poi a SeL, infine a Campo progressista, la formazione lanciata da Giuliano Pisapia, e quindi prima dovrebbe entrarci, nel Pd. Ma di certo, se vi entrerà, nel Pd, come prima o poi accadrà, Smeriglio entrerà anche nella nuova segreteria, e non è detto che non lo diventi, in futuro, proprio lui il prossimo vicesegretario.

Dipenderà anche molto da quello che succederà, appunto, alla Pisana, in Regione. Per ora, Zingaretti non ha alcuna intenzione di rinunciare al ‘doppio incarico’, ma la maggioranza, in seno al consiglio regionale, si regge su due voti di transfughi del centrodestra e l’astensione dei 5Stelle. Prima o poi, il Lazio potrebbe andare a nuove elezioni, ma con il rischio concreto di perderlo.

Anche in Direzione, come – ovviamente – dentro l’Assemblea nazionale, che eleggerà i suoi nuovi membri il 17 marzo, la maggioranza di Zingaretti, avendo oltre il 65% dei voti, sarà schiacciante: controllerà il 70% di entrambi gli organismi. Insomma, qualsiasi decisione sarà presa, nei nuovi organismi dirigenti del Pd, passerà in modo indolore e avrà la maggioranza.

I rappresentanti delle due minoranze interne potranno limitarsi solo ad appoggiarle o a votare contro, ma limitati a un ruolo di pura ‘testimonianza’. Un vero ‘ribaltone, se si considera che nella Direzione, come nell’Assemblea nazionale uscente, i renziani erano in stragrande maggioranza.

 

I difficili equilibri nei gruppi parlamentari, ridotta renziana

 

Montecitorio_Camera_dei_deputati

Vista dall’alto dell’aula di Montecitorio

 

Invece, per quanto riguarda i gruppi parlamentari, che formalmente rimetteranno gli incarichi nelle mani del segretario, non vi sarà, per ora, alcun cambiamento. Graziano Delrio resterà al suo posto di capogruppo alla Camera e anche il renzianissimo Andrea Marcucci manterrà la sua postazione di capogruppo al SenatoEquilibri comunque difficili – quelli dei gruppi parlamentari – dove le truppe di ‘Zinga’ sono esigue (le liste per le Politiche le aveva fatte Renzi), circa una quarantina di parlamentari in tutto, compresi quelli della ex minoranza (Orlando) e di Franceschini, ma dove il ‘nocciolo duro’ dei renziani (una trentina) sarà, ancora per lungo tempo, ancora difficile da scalfire.

 

Paolo Gentiloni presidente, ruoli chiave per Bettini e Cappelli 

 

paolo_gentiloni

L’ex premier Paolo Gentiloni

Come presidente del partito verrà sicuramente indicato l’ex premier, Paolo Gentiloni, figura sobria, rassicurante, molto forte nei sondaggi e capace di aprire il dialogo con i moderati e il centro.

Per quanto riguarda, invece, le figure chiave del nuovo Pd di Zingaretti saranno di fatto tre: il primo è l’europarlamentare uscente, Goffredo Bettini, inventore del famoso ‘modello romano’ e che ne è il ‘padre’ politico, continuerà a svolgere il suo ruolo di ‘consigliori’ e di ideologo (un po’ come era per il filosofo Beppe Vacca con gli ultimi segretari del Pci e con Alfredo Reichlin con Bersani e poi con Renzi). Il secondo è Andrea Cappelli, suo storico portavoce, che diventerà il nuovo capo ufficio stampa del Pd, scalzando da quel posto l’attuale portavoce di Renzi e Martina, Marco Agnoletti. 

Infine, la coordinatrice della mozione, Paola De Micheli, avrà certo un ruolo chiave nella Segreteria. 

 

Zingaretti, per ora, non aprirà al dialogo con l’M5S e non si riprenderà quelli che Giachetti chiama gli ‘scappati di casa’

 

Roberto_Speranza_Mdp

Roberto Speranza alla presentazione del simbolo del Movimento democratico e progressista (Mdp)

 

Inoltre, per ora, e almeno nei prossimi mesi, Zingaretti non darà seguito alle due principali accuse che, per l’intera campagna elettorale, gli sono state mosse: voler far rientrare gli “scappati di casa” (copyright di Giachetti), cioè gli scissionisti di Mdp-LeU (per loro non ci saranno posti neppure dentro il ‘listone’ alle Europee) e voler aprire un ‘dialogo’, in vista di un nuovo governo, con i 5Stelle.

Zingaretti ha diversi difetti, ma non è stupido. Avanzare queste due mosse, così presto, sarebbe un boomerang. Attenderà gli eventi e dice a chiare lettere che, se il governo Conte e la maggioranza gialloverde dovessero entrare in crisi, “la strada maestra sono le elezioni”. Ne avrebbe anche parlato, giorni fa, in un colloquio informale con il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, al Quirinale.

 

Il ritorno dei ‘padri nobili’: Prodi, Enrico Letta e Veltroni

 

Romano Prodi Enrico Letta

Romano Prodi ed Enrico Letta

 

Un’altra cosa è certa. Nel Pd stanno per tornare alcuni padri nobili che se ne erano, negli anni, allontanati. Romano Prodi ed Enrico Letta, in testa a tutti, non solo hanno detto, in chiaro, di aver votato Zingaretti, ma anche che sono pronti, se necessario e se le condizioni ci saranno, a rifarsi una tessera che non hanno più. Anche il fondatore del Pd, Walter Veltroni, che la tessera ancora la conserva, potrebbe tornare a ruoli più ‘attivi’, nella vita del partito, dopo esserne rimasto ai margini per molti anni. Operazioni di immagine, per ora, sia chiaro, ma utili a far vedere che il Pd torna a essere ‘la casa’ del centrosinistra, una sorta di ‘Ulivo 2.0’ e non, però, di una ‘Unione 2.0’.

 

Intanto, la ‘botta’, per i renziani sconfitti, è stata forte…

 

Lex premier ed ex leader del Pd Matteo Renzi

L’ex premier ed ex leader del Pd Matteo Renzi

 

“La botta è stata forte, molto più del previsto” scrive sempre l’Huffington Post. L’affluenza così alta, una percentuale così netta, a favore di ‘Zinga’. I numeri del nuovo segretario, alla fine, saranno molto vicini a quelli riportati da Matteo Renzi nel 2017, con avversari che oggi apparivano sulla carta perfino più competitivi di quelli di allora. E per lui, per il “senatore di Firenze”, come si definisce sui social, è un segnale pesantissimo, una bocciatura difficile da sdrammatizzare. Nonostante abbia provato in ogni modo a tenersi fuori dalla competizione, ne è stato il convitato di pietra e oggi è a lui che tutti guardano quando si pronuncia la parola “sconfitta”. Aggravata dal fatto che anche a casa sua, in Toscana, a Firenze e perfino a Rignano, i numeri danno ragione al nuovo segretario.

Appena ha chiaro il quadro, Renzi invia subito un tweet conciliante: “Quella di Nicola Zingaretti è una vittoria bella e netta. Adesso basta col fuoco amico: gli avversari politici non sono in casa ma al governo”. Difficile dire e fare altro. Nei prossimi mesi la convivenza sarà gestita con una chiara divisione dei ruoli: Zingaretti a guidare il partito e Renzi ad attaccare ad alzo zero il governo, soprattutto contro i 5Stelle, tenendo la ‘giusta distanza’ dalle questioni interne del partito.

Si capisce così maggiormente il timore in chi ha perso davvero queste primarie, nei sostenitori di Maurizio Martina e di Roberto Giachetti, fermi – nei dati parziali – entrambi sotto il 20%, con un vantaggio del primo sul secondo di 3-5 punti. Tra di loro la parola più pronunciata nei corridoi del Nazareno è “azzeramento”. Non tanto per volere del nuovo segretario, sulla cui indole si spera anzi per la ri-costruzione di un partito inclusivo, che possa in qualche modo tenere conto della rappresentanza di tutte le aree. È piuttosto su chi gli sta attorno che si concentrano i sospetti, sulla componente di Andrea Orlando, su quella sinistra interna bistrattata dai renziani e ora tornata forte come mai era stata, forse nemmeno ai tempi di Bersani. “Le liste per le politiche del 2018, nelle quali le minoranze sono state praticamente azzerate, costituiscono un precedente che chi allora ha pagato difficilmente dimenticherà, ora che toccherà a loro guidare il partito”, sono i ragionamenti. E non poter contare su un leader forte che provi comunque a tutelarli aggrava la loro depressione.

 

Andrea_Marcucci_Pd_Senato

Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato

A temere di più sono i quadri, i dipendenti, i dirigenti locali: la parte più debole insomma, che in breve tempo si era convertita al renzismo militante e ora dovrà fare i conti con la nuova stagione. Ma anche i parlamentari cominciano a interrogarsi su quello che succederà nei gruppi di Camera e Senato. I capigruppo Graziano Delrio Andrea Marcucci, entrambi schierati con Martina, resteranno, come si diceva prima. A Montecitorio, dove il gruppo è più fluido e meno ‘renzianissimo’, gli equilibri potrebbero progressivamente spostarsi a sostegno del nuovo leader, come spesso accade in questi casi, ma a Palazzo Madama si faranno i veri giochi.

Nel fortino renziano si ragiona già di un appeasement che dovrebbe durare per tutta la campagna elettorale di europee e amministrative. Solo in autunno, acquisiti i risultati delle elezioni, verificato l’atteggiamento del nuovo segretario e scontate eventuali defezioni, ci si siederà attorno a un tavolo e si deciderà se (e come) restare nel Pd oppure tentare un’avventura in solitaria, che oggi – alla luce dei dati del congresso – appare a dir poco un azzardo. Certo è che, con questa partecipazione, difficilmente si potrà dipingere il Pd come un partito morto.

 

Ma cosa farà Matteo Renzi? Nulla, almeno per ora…

 

libro_Matteo_Renzi

La copertina del nuovo libro di Matteo Renzi, “Un’altra strada” (Marsilio)

 

Cosa farà, dunque, Matteo Renzi? Per ora, nulla di nulla. Il risultato, sia in termini di affluenza (alta) che di sconfitta (forte) delle due mozioni Martina e Giachetti, infarcite di renziani ‘morbidi’ (la prima) e di renziani ‘duri e puri’ (la seconda), non permette di fare altro. Renzi resterà alla finestra, sicuro di poter impedire, con la manciata di senatori al suo fianco, ogni ‘tentazione’ di Zingaretti di aprire ai 5Stelle. Se poi, quando mai saranno (nel 2020? O subito dopo l’estate?) arriveranno nuove elezioni politiche, Renzi dovrà decidere se restare nel Pd, in una posizione di estrema minoranza, o se prepararsi al ‘grande salto’, dando vita a una nuova formazione politica.

Più un ‘movimento’, che un partito, basato sulla rete che i suoi fedelissimi Gozi e Scalfarotto stanno creando da mesi, in giro per l’Italia, grazie ai comitati ‘Ritorno al futuro – Italia 2020’, un nome che è già, di fatto, tutto un programma. Peraltro, la separazione con il Pd di Zingaretti, che tornerà di certo a una versione classica,  da partito ‘di sinistra’, potrebbe non essere neppure drammatica o di rottura, ma una separazione ‘consensuale’, seguendo uno schema antico ma che potrebbe funzionare, quello di Ds Margherita. In fondo, le separazioni consensuali, sono sempre le migliori.

 

Analisi del voto delle primarie, regione per regione

 

cartina_Italia_regioni

Cartina dell’Italia suddivisa in Regioni

 

La partecipazione alle primarie del Pd di ieri è stata più larga del previsto, con un milione e 800 mila elettori e vede la netta affermazione di Nicola Zingaretti, che raggiunge quasi il 70% dei consensi, in netta prevalenza rispetto agli altri due candidati, Maurizio Martina e Roberto Giachetti. Un dato di affluenza superiore alle aspettative della stessa organizzazione del partito, che puntava a un milione di voti, e in linea con le primarie del 2017, che videro vincitore Matteo Renzi. I dati definitivi arriveranno in giornata, ma il successo sul piano della partecipazione è stato di tutto il Pd, testimoniato dalle lunghe code di elettori ai gazebo per tutto il giorno e anche in chiusura dei seggi.

Ragionando in termini di macroregioni è stato in particolare il Centro-Nord a premiare Zingaretti, sebbene non vi sia area in cui non abbia raggiunto e superato abbondantemente la soglia del 50%. Secondo i dati di YouTrend, infatti, Zingaretti si è affermato con il 68,15% al Nord, con il 66,53% nelle “zone rosse” (Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche) e con il 59,43% dei consensi al Sud.

 

Gianni_Dal_Moro_Pd

Il presidente della commissione Congresso del Pd, Gianni Dal Moro

Gianni Dal Moro, presidente della commissione Congresso rimarca che “l’affluenza è stata omogenea in tutto il territorio nazionale, senza sacche di difficoltà e con un leggero picco al centro-sud, in particolare nel Lazio e in Campania”.

Osservando la mappa del voto regione per regione spicca anche un altro elemento, ossia l’aumento del voto nelle città, con Roma – che ha votato unanime per il governatore del Lazio con 190 mila votanti in più e soprattutto Torino, che registrano gli incrementi più alti e sempre con Torino che registra un +102%. Anche in Toscana registrano ben circa 160 mila votanti (oltre il 60% a Zingaretti).

La Sicilia non si discosta dal dato nazionale e regala un largo successo a Zingaretti, nonostante i timori dei suoi (molto probabilmente una delle prime teste a saltare, nei gangli del partito, sarà quella del segretario del Pd siciliano, il renziano Davide Faraone). Il dato più significativo è Palermo: Zingaretti vola al 67%, su circa 15.500 votanti.

Anche Bologna ha fatto la sua parte: in città e provincia hanno votato quasi 50mila persone e il 71,22% ha scelto il Zingaretti mentre, in totale, sono stanti ben 141.101 i cittadini dell’Emilia Romagna hanno partecipato al voto. Rispetto al 2017 (215.958) c’è un calo, ma non un crollo.

Nella città metropolitana di Milano le primarie del Pd sono state vinte da Zingaretti con il 68,2% dei voti, ma il risultato più eclatante resta quello della partecipazione: nei seggi allestiti hanno votato 96.874, il 9,5% in più del 2017. Oltre 23mila i votanti solo in provincia di Genova, superiori a quelli per le primarie 2017. Più di 50 mila votanti a Napoli e in totale oltre 80 mila i votanti in Campania.

Oltre 80 mila i votanti in Puglia, dove i risultati sono definitivi, e superata la quota di 50 mila votanti con Zingaretti che vince con il 65% e fa il pieno in tutte le province.

Solo in Umbria e in Basilicata, rispetto al 2017, l’affluenza cala in entrambe le regioni, per le quali già ci sono dati definitivi: in Umbria si passa dai poco più di 40 mila voti del 2017 a circa 30.700 votanti di oggi mentre in Basilicata si assiste a un vero crollo: da 41.700 votanti di due anni fa ai 15.600 di oggi.

A Reggio Calabria, dove hanno votato in tutto 6930 persone, Zingaretti è risultato il candidato più votato co il 54,5% dei consensi.

Anche gli elettori del Pd all’Estero hanno dato fiducia a Zingaretti. Quando mancano solo i dati del Nord America, è chiara i la vittoria del governatore del Lazio anche fuori i confini nazionali, con il 58,4% di preferenze. A seguire Martina, con il 33% di preferenze e Giachetti con l’8,5%.

Ma per i dati finali, quelli definitivi, bisognerà attendere ancora. Come pure bisognerà attendere un paio di giorni per sapere chi saranno gli eletti (cioè i delegati) della nuova Assemblea nazionale a causa del difficile e contorto meccanismo di calcolo dei voti necessario per individuarli.

 


NB: Questo articolo è stato pubblicato in forma originale per questo blog il 4 marzo 2019